Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 9 nr. 71
gennaio 1979


Rivista Anarchica Online

La rivolta della fame
di Enrique Gutierrez

Una lotta esemplare si è conclusa vittoriosa in Bolivia a cavallo del dicembre 1977 e il gennaio 1978. L'articolo che segue illustra e analizza quella lotta. Non si tratta quindi di fatti attuali, ciononostante abbiamo ritenuto utile la pubblicazione perché ci offre una visione, dall'interno, di una lotta clamorosa e di massa completamente sconosciute in Europa. Lo pseudonimo Enrique Gutierrez serve a nascondere la reale identità di un compagno che vive in Bolivia e che ha già collaborato al n.15 della rivista Interrogations con l'articolo "Poder y corrupción en Bolivia".

Il 28 dicembre 1977, 4 mogli di minatori, accompagnate dai loro 14 figli, i cui mariti erano o imprigionati, o esiliati, o costretti a vivere in clandestinità, in ogni caso privati del loro lavoro, iniziano uno sciopero della fame nei locali dell'arcivescovado di La Paz. Reclamano un'amnistia generale, la riassunzione dei minatori licenziati, il libero esercizio del diritto sindacale e il ritiro dell'esercito dalle miniere. Alla vigilia delle feste dell'anno nuovo queste donne non dormono dalla speranza di arrivare a farsi ascoltare dalle autorità. Il 31 dicembre, 11 nuovi scioperanti si installano nei locali del giornale cattolico Presencia. Il gruppo è composto da rappresentanti dell'Assemblea Permanente dei Diritti dell'Uomo, da rappresentanti di studenti, da membri dell'Unione delle Donne Boliviane e da un gruppo di teatro Popolare, oltre che da parenti di detenuti. Gruppo d'appoggio dunque, rappresentativo delle diverse organizzazioni che sostengono le donne in sciopero. Nel frattempo, la Federazione sindacale dei lavoratori aderenti ai partiti di estrema sinistra fa conoscere il suo sostegno allo sciopero. A partire da questo momento si costituisce un movimento di adesione: un terzo gruppo si installa il 1° gennaio in una chiesa di La Paz; il 3 gennaio un altro gruppo assale gli uffici delle Nazioni Unite mentre a Cochabamba altre 10 persone entrano in sciopero. Tutto si accelera. Gruppi si formano in tutto il paese: a Potosi, Oruro, Tarya, Sucre, Santa Cruz, anche in talune miniere: Caracoles e Clallagua. Quando lo sciopero finisce, il 18 gennaio, ci sono 28 gruppi in lotta che coinvolgono circa 1.200 persone. Altri sono pronti ad entrare in azione. All'estero, anche alcuni esiliati si sono messi in sciopero della fame: a Parigi, Lovanio, Mexico, Lima.... Il paese intero è mobilitato e sembra che un'ondata stia spazzando via il governo di Banzer che sembrava inamovibile fino solo a qualche giorno prima.

Per ben afferrare la portata dell'avvenimento è importante situarlo brevemente nel suo contesto storico. Il 21 agosto 1971, il colonnello Banzer prendeva il potere in Bolivia in seguito a un colpo di stato che fece circa 500 morti. Dal 1971 al 1977, secondo un documento dell'Assemblea dei Diritti dell'Uomo, 14.750 persone sono state incarcerate per periodi più o meno prolungati e oltre 19.140 hanno dovuto espatriare. Due grandi ondate di repressione meritano una menzione particolare: il massacro di contadini della valle di Cochabamba nel 1974 che fece circa un centinaio di morti e l'intervento dell'esercito nelle miniere, nel 1976, che fu seguito dal licenziamento di 900 minatori e dall'arresto di numerose decine di dirigenti sindacali che vennero successivamente esiliati in Cile. Bisogna aggiungere a tutto questo che, dal novembre 1974, partiti politici e sindacati sono interdetti, che, a partire dallo stesso momento, venne istituito il servizio civile obbligatorio che obbliga tutti i cittadini ad accettare qualsiasi incarico che il governo affidi loro, che le miniere ed alcune campagne vengono dichiarate zone militari e che il paese vive sotto il regime della legge di sicurezza dello stato. Si potrebbe ulteriormente approfondire il discorso parlando della censura, delle intimidazioni, del controllo dell'università chiusa per un anno, nel 1971-1972, e numerosissime altre volte per periodi più corti.... In breve, il paese vive nella paura, sotto un regime di dittatura militare.

Come si arriva a questa fantastica liberazione costituita dallo sciopero della fame e al cambiamento che esso provoca? Ci si interroga ancora sulle ragioni che fecero accettare a Banzer, a metà dell'anno 1977, l'idea di una costituzionalizzazione del paese, con l'elezione, a suffragio universale, di un parlamento e di un presidente, inizialmente annunciata per il 1980. Pressioni dell'amministrazione del presidente americano Jimmy Carter? Discussioni in seno all'esercito? Manovre personali di Banzer che cerca di succedere a se stesso per via legale? Tutte queste ragioni si mischiano senza dubbio e interagiscono le une sulle altre. Comunque, a partire dall'inizio del secondo semestre del 1977, si avvertono le premesse di una agitazione sociale e politica che diverrà evidente verso fine anno. Gli operai reclamano aumenti di salario (il loro potere d'acquisto si è fortemente deteriorato negli ultimi mesi, perché i salari sono bloccati, mentre l'inflazione aumenta in modo sensibile), l'Assemblea Permanente dei Diritti dell'Uomo estende la sua rete nel paese e non lascia passare settimana senza denunciare violazioni, gli universitari vogliono elezioni dei rappresentanti e un funzionamento autonomo dell'università, i gruppi politici osano far sentire la loro voce. Inoltre, viene portata alla luce del sole una serie di scandali che compromettono membri del governo, le discussioni nell'esercito diventano pubbliche, le rivendicazioni dei comitati civici regionali, sorti da assemblee di notabili su scala dipartimentale, si fanno più consistenti e provocano scioperi per dipartimento. Il regime sembra dunque indebolito, pur restando attaccato al potere e senza che si possa chiaramente vedere quale forza potrebbe metterlo in pericolo, se non una frazione dell'esercito che intervenisse con un colpo di stato, ciò che, in ogni caso, non cambierebbe nulla nella natura del regime.

Le elezioni del luglio 1978 vengono dunque annunciate nel novembre 1977. Allo stesso tempo Banzer dichiara che non si candiderà. Ci si chiede ancora perché. È probabile che la spiegazione sia legata a ragioni interne all'esercito e che sia molto semplice: Banzer è rimasto lungamente al potere, un'altra equipe vuole succedergli ed è maggioritaria in seno all'esercito. È a questo punto che interviene la decisione governativa che condurrà le mogli dei minatori a mettersi in sciopero. È tradizionale in Bolivia - meglio, era tradizionale - decretare, a Natale, un'amnistia politica. Ogni anno, dall'inizio del governo Banzer, era stata decretata un'amnistia truccata che faceva apparire falsi prigionieri, che liberava delinquenti comuni; oppure alcuni venivano arrestati poco prima di Natale per poi poterli liberare, ecc..., in altre parole un'amnistia di pura forma, di propaganda. Ora, nel 1977, era stata molto ben condotta, sia sul piano nazionale, sia su quello internazionale, la campagna pro-amnistia: cominciata all'inizio di settembre, si era conclusa il 10 dicembre con Conferenze Stampa in 11 capitali d'Europa e d'America. Ma il governo non cedette a questa pressione e, mentre amnistiava un numero di persone certamente più sostanzioso che negli anni precedenti, faceva pubblicare sui giornali una lista di 348 ciudadinos qualificati delinquenti politici ai quali interdiceva il rientro in Bolivia. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. In un contesto di liberalizzazione - molto relativa - del regime, questa misura venne accolta come un affronto. Il giornale Presencia e numerose radio divennero a lungo l'eco della frustrazione generale e del risentimento generato da questa misura che venne qualificata come farsa. Divenne così pubblica una sorta di unanimità di opposizione. Ma nessuna organizzazione - erano state tutte minate dalla repressione e cominciavano appena a tornare a vivere - sembrava decisa e capace di prendere la testa di una risposta; è a questo punto che le 4 mogli dei minatori, contro il parere di molti, iniziarono il loro sciopero della fame.

Le miniere di stagno, in Bolivia, sono come una sorta di campo trincerato controllato dall'esercito e dalla polizia, dove la gente che fa la ricchezza del paese lavora per salari di miseria in condizioni sub-umane. Nelle miniere si brucia la propria vita; dopo qualche anno di miniera, se non è capitato qualche incidente, si prende sicuramente la silicosi. Inoltre, la storia dei minatori e punteggiata di massacri. Vale a dire familiarità con la morte: morte quotidiana, una morte che incombe continuamente. Il grado di politicizzazione è molto elevato: i minatori sono sempre stati all'avanguardia del movimento operaio boliviano, dagli anni '40. Anche le donne, da qualche anno, si sono organizzate: hanno costituito comitati di amas de casa nelle principali miniere. Questi comitati sono nati dalla necessità: bisogna pure organizzarsi quando i mariti sono imprigionati, in fuga o in esilio, tanto per fare i passi necessari presso le autorità, quanto per far fronte alle necessità quotidiane. Quando decidono lo sciopero della fame, che è del resto una forma di lotta corrente in Bolivia, le 4 donne sono costrette: "Visto che ci lasciano morire di fame", dicono, "noi e i nostri bambini moriremo lottando".

Lotta esemplare diciamo noi, per cominciare. Lotta per quelli che si è convenuto chiamare i diritti umani: in questo caso diritto al lavoro, diritto sindacale, amnistia, ai quali va aggiunta una rivendicazione antimilitarista: l'esercito deve abbandonare le miniere. Lotta globale, dunque, contro la dittatura militare, ma a partire da rivendicazioni molto concrete che riscuotono un largo consenso nel paese. La forma di azione si accorda al tipo di richieste. Alla violenza del regime si oppone la nonviolenza e poiché la dittatura impedisce di vivere si offre spettacolarmente la propria vita per ottenere quel minimo di libertà senza la quale la vita non è più possibile. Gli attori, infine, sono attori sociali e non politici nel senso che nessuno dei gruppi in lotta aspira al potere politico. Alle 4 mogli dei minatori succedono rappresentanti dei Diritti dell'Uomo, preti, donne, parenti di prigionieri o esiliati, studenti soprattutto (diverse centinaia entrarono di colpo nello sciopero a Sucre): certamente i sindacati, in particolare quelli dei minatori e dei partiti politici, appoggiarono lo sciopero, ma non ne fissarono i contenuti e mai lo controllarono. Ciascuno poteva unirsi al movimento e ciascuno poteva riconoscervisi, a maggior ragione in quanto non si trattava di un'azione pianificata, ma di un movimento che trovava, nella lotta quotidiana, la sua propria dinamica. Movimento essenzialmente libertario, dunque, poiché mirava innanzitutto all'allargamento degli spazi di libertà, spontaneo nel senso che l'organizzazione minima si costruiva nel corso della lotta, e apolitico, o al di fuori dal campo politico partigiano, poiché non mirava alla conquista del potere, ma era solo lotta contro il potere.

La vittoria è spettacolare. Il 18 gennaio, il governo accetta di decretare l'amnistia generale e di riassumere tutti i minatori licenziati; poco dopo l'accordo, che aveva messo fine allo sciopero, il governo annuncia il ritorno alla libertà sindacale. Il fatto è che durante la lotta, gli stati maggiori sindacali sono usciti dalla clandestinità e il sistema di controllo messo in opera dal governo è stato battuto. Sul piano politico il governo, che si credeva moribondo, rimane, benché indebolito. Il fatto è che nessuna opposizione politica è ancora in grado di rimpiazzarlo. E questo è logico, perché la lotta che si è appena svolta ha contribuito semplicemente a liberare uno spazio nel quale progressivamente le forze di opposizione, tanto sindacali che politiche, potranno ricostituirsi. In altri termini, le conseguenze politiche dello sciopero si faranno sentire solo più tardi, in particolare al momento delle elezioni del luglio 1978, vinte da un fronte di opposizione che ha potuto nascere favorito dal ritorno degli esiliati. Nell'immediato, le conseguenze sono soprattutto di ordine sociale - si respira infine - e di ordine morale: si è vinto.

Novembre 1978

Le elezioni vinte dall'opposizione malgrado l'inganno istituzionalizzato da parte del partito al potere, sono state annullate da un colpo di stato, messo in atto da irriducibili di destra appoggiati dall'aviazione. Il generale Pereda è al potere alla testa di un governo civile-militare. Annuncia elezioni per il 1980. Paradossalmente, il suo governo ha mantenuto le conquiste dello sciopero della fame; ha addirittura soppresso alcune misure repressive ancora in vigore, come la legge di sicurezza dello stato.

In un'atmosfera di crisi economica, le richieste sociali sono sempre più pressanti e formulate, questa volta, da organizzazioni sindacali e politiche in piena ristrutturazione. Nei prossimi mesi non mancheranno sicuramente di verificarsi scontri. Sul piano politico la situazione è molto complessa: tanto l'opposizione quanto il fronte di governo sono divisi. Inoltre due giochi si sovrappongono, quello, abituale, del colpo di stato, e quello delle future elezioni. Rimane il fatto che lo sciopero della fame avrà permesso, con le libertà ritrovate (attualmente non ci sono prigionieri politici nelle prigioni boliviane), l'apertura del gioco politico.