Rivista Anarchica Online
Autorità e libertà nel processo educativo
di A. A.
A qualsiasi esperienza pedagogica "alternativa" (sia nel senso di estranea all'assetto istituzionale
sia, all'interno di questo, condotta con metodologie didattiche diversificate da quelle tradizionali,
in ambedue i casi caratterizzata da una netta opposizione ideologica e politica nei confronti del
sistema scolastico vigente), viene spesso affibbiata, quando non è proclamata tale dagli autori
dell'esperienza stessa, indiscriminatamente l'etichetta di "antiautoritaria".
Il concetto di antiautoritarismo e la sua applicazione richiederebbero una seria e approfondita
analisi per il percorso sia teorico che scientifico e pratico finora da quello compiuto e il termine
dovrebbe essere usato in modo più attento e preciso. Ciò per non ingenerare e mantenere equivoci
e per non distorcere la percezione di situazioni educative trascorse o in atto.
Uno di questi equivoci nasce dalla trasposizione tout-court di quella che è a livello politico una
giusta e corretta uguaglianza (antiautoritarismo = opposizione a una autorità imposta) nel campo
della problematica e della pratica educativa e psicologica dove quella uguaglianza ha un senso
relativo e/o di sfondo. Vediamo perché.
Il concetto di autoritarismo, semplificando al massimo, descrive la conservazione a tutti i costi,
attraverso mezzi coercitivi, ideologici, di potere, violenti, di un'autorità funzionale e legale (1),
inizialmente approvata e riconosciuta da una parte e da tutta la collettività. Una forma di
antiautoritarismo è perciò quella che si oppone alla cultura borghese, la quale riconosce come
naturale e immutabile la soggezione, l'obbedienza del singolo all'autorità secolare dello stato.
In campo psicologico e pedagogico il significato del termine autorità, che può assumere anche
l'aspetto ora accennato di autoritarismo, ne acquista altri di senso del tutto opposto, se riferito ad
alcuni meccanismi relativi al rapporto educativo, interpersonale, sociale.
Si parli di processo di identificazione, di apprendimento imitativo, di adeguamento a un modello, a
seconda che si usi il linguaggio psicoanalitico, comportamentistico o altro, sta di fatto che la
formazione della personalità e degli atteggiamenti, durante il periodo dell'età evolutiva in forma
più accentuata (2), ma per tutto l'arco della nostra esistenza, è regolata in modo preponderante da
un meccanismo che non può non essere riferito a un principio di autorità. Dove per autorità si
intende l'accettazione senza costrizioni, a volte inconsapevole, della superiorità altrui, l'obbedienza
indotta senza il ricorso a qualsivoglia forma di violenza o di potere.
Di due forme di autorità scrive con chiarezza E. Fromm nel '41, nel suo Escape from freedom (3),
dove distingue nel rapporto superiorità-inferiorità fra autorità razionale e autorità inibitoria.
Esemplificando l'autore sostiene che "il rapporto tra insegnante e studente, e quello tra
proprietario e schiavo, si fondano entrambi sulla superiorità dei primi sui secondi. Gli interessi
dell'insegnante e dell'allievo sono orientati nella stessa direzione. L'insegnante è soddisfatto se
riesce a far progredire l'allievo; se non riesce, l'insuccesso è tanto dell'allievo quanto suo. Il
proprietario, invece, vuole sfruttare lo schiavo il più possibile; più ne ottiene, e più si sente
soddisfatto. Nello stesso tempo lo schiavo cerca di difendere come meglio può le sue aspirazioni a
un minimo di felicità. Questi interessi sono chiaramente antagonistici, perché quello che reca
vantaggio a uno, è dannoso all'altro. Nei due casi la superiorità ha una funzione diversa: nel
primo, è la condizione per aiutare la persona soggetta all'autorità; nel secondo è la condizione per
il suo sfruttamento.
Anche la dinamica dell'autorità è diversa nei due casi: più lo studente impara, e più si accorcia la
distanza tra lui e l'insegnante. Diventa sempre più come l'insegnante. In altre parole, il rapporto di
autorità tende a dissolversi. Ma quando la superiorità serve come base dello sfruttamento, la
distanza si accresce col passare del tempo.
La situazione psicologica è anch'essa diversa in queste due situazioni. Nella prima prevalgono i
sentimenti di amore, di ammirazione e di gratitudine. L'autorità è anche un esempio con cui ci si
vuole identificare parzialmente o totalmente. Nella seconda situazione sorgeranno risentimento o
ostilità contro lo sfruttatore, la subordinazione al quale è contraria al proprio interesse. Ma
spesso, come avviene nel caso dello schiavo, questo odio porterebbe solo a conflitti che farebbero
subire allo schiavo sofferenze maggiori, senza alcuna possibilità di uscirne. Perciò di solito si
manifesterà la tendenza a reprimere il sentimento di odio e talvolta persino a sostituirvi un
sentimento di cieca ammirazione. Quest'ultimo ha due funzioni: primo, quello di rimuovere il
penoso e pericoloso sentimento di odio; secondo, quella di attenuare il sentimento di umiliazione.
Se la persona che mi domina è così meravigliosa e perfetta, allora non debbo vergognarmi di
obbedirle. Non posso essere un suo eguale, perché è tanto più forte, saggia, migliore di me. Di
conseguenza, nel tipo di autorità inibitoria l'elemento dell'odio o della sopravvalutazione e
ammirazione irrazionali dell'autorità tenderà ad aumentare. Nel tipo razionale di autorità, tenderà
a diminuire nella misura in cui la persona soggetta all'autorità diventa più forte e quindi più simile
all'autorità" (4).
Naturalmente fra questi due tipi estremi di autorità - in realtà il più delle volte compresenti in un
medesimo rapporto - si trova una innumerevole serie di gradazioni. Quel che a noi interessa è che
in ogni caso fra i due concetti, autorità (autorità razionale) e autoritarismo (autorità inibitoria), vi
sia la possibilità di una differenziazione nettamente caratterizzata.
Anche Freud e la teoria psicoanalitica hanno attribuito al rapporto autoritario una importanza
fondamentale nella costituzione della personalità dell'individuo imputando, attraverso il processo
di identificazione, all'autorità parentale la genesi del Super-Io, cioè di quella componente psichica
a cui è demandata la formazione e il controllo dei nostri valori morali, etici, politici, ideologici....
Chi fra i primi, assieme a Bernfeld, Reich e altri, ha fatto propria questa consapevolezza teorica
per tentare di rigettare il principio di autorità, inteso in senso psicoanalitico, è Alexander Neill, di
cui accenno non tanto per la sua nota esperienza pedagogica - questa sì! - antiautoritaria, quanto
per la sua posizione nei confronti del concetto stesso. Neill contribuisce, infatti, a chiarire un altro
equivoco e a rinforzare quanto detto finora: che l'antiautoritarismo non sia affatto sinonimo di
permissivismo, e che non significhi nemmeno assenza o rifiuto di autorità nel senso psicologico e
educativo del termine. E una sua opera intitolata appunto Freedom, not License!, sostenendovi
questa concezione.
Questo ultimo termine, permissivismo, richiama, nell'ambito della ricerca psicologica, il bisogno di
chiarire un ulteriore... malinteso che si aggancia alla sfera politica.
Negli USA degli anni 40, Lewing e due suoi collaboratori fecero degli esperimenti che servirono -
e fanno testo tutt'oggi - a determinare gli "stili" di conduzione di un gruppo da parte di un leader.
Nel caso della prima esperienza, a cui sono seguite molte altre, vi erano tre gruppi formati da
ragazzi di dieci anni guidati da un adulto che proponeva periodicamente attività ricreative
indirizzate alla realizzazione di lavori in comune. Le medesime attività venivano proposte e
condotte con tre comportamenti diversi: autoritario, democratico, permissivo.
L'atmosfera di lavoro più producente e con minor presenza di aggressività risultava
dall'atteggiamento del leader definito democratico, confermando, manco a dirlo, indirettamente
l'efficacia e la validità del regime "democratico" statunitense, che era in procinto, a quell'epoca, di
esportare in Europa e ovunque ce ne fosse stato bisogno i valori di quel regime.
Non si può negare che quel tipo di ricerche - indipendentemente dalla strumentalizzazione politica
- sia illuminante rispetto alla precisazione teorica e pratica, da un punto di vista psicopedagogico,
del meccanismo regolato dal principio d'autorità. Quello che non può essere accettato è che
l'atteggiamento permissivo, individuato nelle ricerche citate, sia identificato, mantenendo la
prospettiva politica, con l'apposizione anarchica. È questo un equivoco che va chiarito e, quando
non proposto in buona fede, smascherato.
Innumerevoli esperienze pedagogiche di impronta anarchica, libertaria, antiautoritaria e altresì
studiosi e ricercatori più o meno illustri hanno fornito ormai da tempo un bagaglio di teorizzazioni
e di verifiche così ampio sul corretto e più appropriato modo non solo di intendere ma anche di
applicare il concetto di autorità e quindi di antiautoritarismo, che non dovrebbero esserci grosse
difficoltà a usarne adeguatamente per proseguire anche in ambito educativo nella realizzazione
della libertà dell'individuo.
1) Vedi per la specificazione di questi due aspetti, come di altre possibili connotazioni
sociologiche del termine, la voce AUTORITÀ in L. Gallino, Dizionario di Sociologia, UTET,
Torino, 1978, pp. 60-65.
2) cioè durante il periodo dell'educazione familiare e scolastica.
3) E. Fromm, Fuga dalla libertà, Comunità, Milano, 1973.
4) ibidem., p. 146.
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