Rivista Anarchica Online
Educazione e rivoluzione nel pensiero anarchico
di Mirko Roberti
Un discorso sul problema "educazione", in tutte le sue implicazioni e prospettive, passa, come è
noto, attraverso il concetto stesso di uomo come significato e fine. Questa ovvia premessa è tanto
più importante quanto questo discorso viene visto ed analizzato da un punto di vista anarchico, da
un punto di vista cioè che rappresenta l'alternativa più radicale e antitetica a tutte le forme di
società apparse finora nella storia. Si capisce subito dunque come questo tema si delinei
immediatamente come una riflessione allo stesso tempo sociologica e antropologica. Si tratta
infatti di verificare sia la visione "filosofica" inerente al concetto dell'"uomo nuovo" nella "nuova
società", sia le tecniche propositive che tendono a rendere concreta questa prospettiva.
Un primo nodo, che si presenta pure come vero problema metodologico, investe per intero il
discorso del rapporto educazione-anarchismo. È un dilemma che si è posto fin dagli albori del
movimento anarchico e che tutt'ora non ha trovato, a nostro avviso, un'adeguata risposta. Ridotto
in poche parole si può così formulare: sarà la rivoluzione che creerà le premesse per
l'emancipazione umana, o sarà questa che porterà allo sbocco inevitabile della rottura
rivoluzionaria? In altri termini, si deve prima educare la coscienza individuale e collettiva verso il
libero e consapevole riconoscimento della superiorità umana e civile della società anarchica, per
cui la rottura rivoluzionaria si presenti come punto finale di una più o meno lunga maturazione
culturale o, al contrario, tutto questo si pone dopo tale rottura? Il dilemma, perché di dilemma
bisogna parlare viene posto qui in modo perentorio ed estremistico, anche se siamo avvertiti che
la realtà del problema non si staglia e forse non si è mai stagliata in modo così netto e antitetico.
Ma poiché sussiste, come dicevamo, una questione teorica tutt'ora irrisolta, crediamo sia
necessario tentare di far chiarezza estremizzando i termini del problema.
Partiamo intanto dalla prima visione, secondo cui prima bisogna fare l'uomo nuovo e dopo verrà
la rivoluzione. Essa comporta una visione sostanzialmente individualistica, non tanto perché la
maturazione e l'emancipazione umana, civile, politica, sociale, ecc., non può che avvenire
soprattutto attraverso vie e forme di progressiva autocoscienza individuale, quanto perché tutto
ciò inerisce ad una concezione antropologica dove il peso autoritario che schiaccia l'uomo
presente viene visto come peso che sta dentro l'uomo stesso, per la precisione dentro ogni uomo.
In questo senso la disuguaglianza, le classi, il potere, lo Stato, lo sfruttamento, vale a dire tutte le
delizie che hanno occupato e occupano l'essere umano da qualche millennio, sono concepite e
considerate come determinanti storiche di qualcosa che esiste anteriormente, sono valutate cioè
come manifestazioni antropologiche che sussistono in quanto sussiste un certo uomo come tipo
riproduttivo che attraversa per intero la scala sociale di ogni nazione, continente e razza.
È questa, grosso modo, la concezione propria del filone educazionista dell'anarchismo che
iniziando da Godwin arriva senza soluzione di continuità fino ai giorni nostri coinvolgendo, pur
con diverse sfumature, gli animatori, appunto, della tendenza individualista. Il fondamento teorico
che accomuna tutti gli educazionisti è il profondo convincimento illuministico, e oggi
neoilluministico, circa il nesso conseguenziale che unisce il doppio rapporto fra la coppia
antinomica natura e storia e quella armonica, per non dire sinonima, fra ragione ed etica. Se
partiamo infatti dalla contrapposizione fra natura e storia dove con il primo termine (natura),
s'intende il campo originario dell'uomo e con il secondo (storia) quello dell'ingiustizia, del potere e
dell'alienazione, è facile comprendere come sia tipico dell'educazionismo concepire la
trasformazione sociale - al fine di ridare all'uomo la libertà originariamente perduta - secondo
modalità principalmente volontaristiche. La logicità di questo discorso si fonda, in effetti, sulla
semplice considerazione che la natura umana è fonte spontanea e ricettacolo primitivo della libertà
e dell'uguaglianza per cui lo sviluppo della loro costruzione diventa possibile, in un certo senso, a
qualsiasi livello storico dell'umanità. In altri termini la libertà e l'uguaglianza non scaturiscono
necessariamente da precise condizioni attraverso le quali il processo storico si dà, ma possono
essere concepite e poi poste indipendentemente o, se vogliamo, contro di esso. Di qui,
evidentemente, la forte, fortissima carica etica che sorregge l'intero progetto educazionista; una
carica etica non solo intesa nel senso ideologico più pieno del termine (responsabilità, coscienza,
solidarietà, rigore morale, ecc.), ma anche nel senso teorico più proprio dal momento che il punto
più alto di riferimento, per non dire di identificazione dell'eticha educazionista, è il valore supremo
assegnato alla ragione.
In effetti ragione ed etica tendono a coincidere perché, a ben vedere, è solo attraverso l'esercizio e
la promozione di ciò che è ritenuto l'elemento universale del genere umano, la ragione, appunto,
che l'etica può trovare lo sviluppo necessario per determinarsi come pratica quotidiana sia
individuale che collettiva. Non occorre dire, ovviamente, che questo intreccio organico fra etica e
ragione non ha minimamente niente a che vedere con un certo tipo di etica intellettualistica.
Secondo gli educazionisti non è infatti all'intelligenza che bisogna fare appello, ma a quella
particolare forma di conoscenza umana che riconduce l'interpretazione della realtà secondo i
termini della ragionevolezza, della ragione fattasi pratica generalizzata di vita per tutti. Su questo
punto fermo si pone non solo la linea strategica del filone educazionista, ma anche il solidarismo
anarco-comunista (Malatesta, Kropotkin, Grave, Reclus) che non coincide, se non per singoli
aspetti, con essa.
Riassumendo si può dire dunque che il filone educazionista dell'anarchismo si presenta come
umanesimo anarchico, il cui centro di riflessione è dato dal soggetto uomo considerato sì nelle sue
determinazioni sociali, ma visto però come figura irriducibile ad esse. Operaio, contadino,
borghese sono espressioni storiche che dividono l'uomo dal suo simile: etica, natura, ragione sono
elementi invece disponibili ad unirlo. Il progetto educazionista non rifiuta la lotta sociale: la ritiene
tuttavia sterile qualora essa non sia indirizzata principalmente allo sviluppo dell'unità e
dell'universalità degli attributi umani.
A questo punto vediamo adesso di sintetizzare l'altra versione, che per pura comodità linguistica
definiamo qui come non-educazionista. È la versione, abbiamo detto, che afferma la priorità della
rivoluzione rispetto all'educazione. Anch'essa attraverso tutta la storia dell'anarchismo e del
momento che abbiamo dato con Godwin una paternità alla tendenza educazionista, vediamo ora di
trovarne una per il suo opposto. In questo caso pensiamo a Pisacane il quale affermava che non
saremo liberi quando saremo educati, ma educati quando saremo liberi. Il che vuol dire appunto
che bisogna prima scrollarsi di dosso il peso dell'autorità e dopo dare avvio all'emancipazione, allo
sviluppo di tutte le prerogative propriamente umane dell'uomo. Come si vede, questa concezione
ritiene che il peso autoritario stia principalmente fuori dall'uomo stesso, in sostanza come
qualcosa che gli è intrinsecamente estraneo. Da questo punto di vista tutti gli anarchici
(educazionisti e non) concordano sull'uguale concezione dell'originaria bontà della natura umana.
Se non che, mentre gli educazionisti ritengono che il problema del superamento degli elementi
autoritari insiti in essa sia da ricercare e risolversi in loco, i non educazionisti vanno a ricercare la
soluzione partendo dagli esiti storici, cioè dalle vicende che travagliano gli uomini come esseri
sociali, come persone considerate nel loro decisivo condizionamento spazio-temporale.
Semplificando si può dire che gli uni partono dall'individuo, gli altri dalla società. I non-educazionisti danno perciò un'importanza preponderante al fattore "ambiente", tanto che si può
definire la loro concezione pedagogica soprattutto come concezione ambientalistica. In questo
senso una pedagogia libertaria posta in essere nella società presente, sia sotto forma di liberi
esperimenti specifici, sia come pratica di lotta quotidiana (propaganda, esempio, costruzione di
strutture alternative, ecc.) è sempre vista come sostanziale ripiego rispetto alla linea prioritaria che
rimane quella strategica dell'insurrezione. In effetti, una concezione pedagogica estremistica
dell'ambientalismo non può che vedere come strutturalmente limitata ogni pratica educativa nella
società presente, dal momento che questa rappresenta il fattore massimo di ambiente negativo
complessivo. Anche i non-educazionisti si riconoscono in una posizione antistoricistica, ma il salto
rivoluzionario da loro proposto non passa attraverso un progetto culturale, bensì attraverso una
distruzione materiale delle coercizioni esterne operanti nella società di classe. Solo la lotta sociale,
intesa nel senso di lotta di parte contro un'altra parte, può considerarsi vera palestra pedagogica.
Ancora una volta se per gli educazionisti si tratta di pensare e di costruire gli strumenti positivi
dell'alternativa partendo da un presente sfavorevole, per i non-educazionisti si tratta di pensare e
costruire gli strumenti tesi alla negazione della società odierna. Se non che, una delle ragioni più
forti e convincenti della tesi non-educazionista (l'ambientalismo) evidenzia delle grosse
contraddizioni teoriche circa il nesso autonomia dell'individuo e delle masse, volontarismo e
conseguente salto rivoluzionario. Qualora infatti si parta dall'idea che l'uomo è sostanzialmente
frutto dell'ambiente, e che quindi basta modificare questo per modificare quello, si afferma
contemporaneamente l'assoluta non-autonomia dell'uomo stesso che può in una società libertaria
farsi libero, ma anche in una società autoritaria farsi volontario servo o volontario dittatore. Ecco
dunque che l'ambientalismo - cavallo di battaglia anche di gran parte della pedagogia progressista
- finisce paradossalmente col negare il fondamento teorico da cui era partito, vale a dire
l'affermazione della originaria bontà della natura umana e della sua originaria libertà e autonomia.
A questo punto il salto rivoluzionario prodotto dalla volontà e quindi l'antitesi natura-storia
vengono profondamente alterati nel loro significato epistemologico.
Le due posizioni che molto schematicamente abbiamo delineato sopra si trovano in effetti
intrecciate, sfumate e compartecipi in ogni specifica tendenza ideologica dell'anarchismo.
Abbiamo voluto semplificarle ed estremizzarle perché ora riteniamo più agevole esporre alcuni
problemi storici ed ideologici tutt'ora aperti e irrisolti. Cominciamo innanzitutto dal significato
anarchico dell'educazione. Che cosa significa o che cosa dovrebbe significare, per un anarchico,
educare? Che cosa vuol dire educazione? Solo con questa domanda vengono al pettine una serie
di temi complessi e praticamente inesauribili, in quanto ineriscono al concetto stesso di
anarchismo/anarchia. Pensiamo infatti al significato fondamentale della libertà che qui, nel
momento dell'educazione, si dà come formazione, indirizzo, condizionamento, insomma come
modulo artificiale tutto "ideologico" se si pensa che qualunque cosa venga fatta o non fatta è una
scelta in tutti i casi sempre voluta dall'educatore (almeno fino ad una certa età). Le varie soluzioni
proposte palesano la problematicità del concetto "educazione" e della pratica educativa. Così
Francisco Ferrer, come ogni positivista (corrente che ha influenzato moltissimo una parte
cospicua dell'educazionismo anarchico), vedeva la soluzione nello sviluppo indefinito della
scienza, unico strumento in grado di dare quella conoscenza della realtà materiale per cui sia
possibile dominarla e perciò decondizionarsi da essa. Sebastien Faure e in parte anche Emil
Armand, sulla scia della critica stirneriana dell'alienazione, diffidavano invece della totale capacità
liberatoria dello strumento scientifico, pur non avversandolo, ritenendo che ogni educazione
positiva, intesa qui nel senso di formazione specifica della personalità secondo modelli prestabiliti,
anche se libertari od anarchici, fosse intrinsecamente antilibertaria ed antianarchica. Di qui il loro
concetto di educazione neutra, di educazione cioè come pura spontaneità che trovava e trova
delle serie obiezioni non facilmente rintuzzabili. L'istruzione scientifica per tutti fino ai suoi
massimi gradi e perciò l'integrazione del lavoro fra manuale ed intellettuale in ogni uomo e donna
è un punto irrinunciabile di tutto il pensiero anarchico, ma a partire da Proudhon in avanti tutto
ciò è stato visto in funzione della produzione presente per cui l'abolizione delle classi, come
effetto dell'abolizione della divisione gerarchica del lavoro, non riflette il progetto futuro del
superamento del lavoro salariato e comandato, bensì semplicemente la critica di quello odierno.
Ciò non toglie tuttavia che anche gli anarchici abbiano dato un'importanza al lavoro (soprattutto
Proudhon e Kropotkin), come specifico momento di formazione umana in senso educativo, che
presenta non pochi lati criticabili. Non si può infatti dimenticare l'influenza subita dall'anarchismo,
come tutto il movimento socialista, dall'"ideologia del lavoro", visto come fattore positivo di
emancipazione. Il problema della liberazione dal lavoro non ha avuto quindi, in ultima analisi,
nemmeno dal pensiero anarchico un'adeguata risposta.
In realtà i vari nodi del rapporto educazione-anarchismo - e qui sopra ne abbiamo esposti solo
alcuni - difficilmente oggi possono essere sciolti in via definitiva perché il soggetto specifico che si
chiama movimento anarchico dalla fine della Rivoluzione Spagnola non occupa più un posto
rilevante nel processo storico e perciò non può per ora determinare che in minima parte l'esito
complessivo degli eventi. Nel flusso continuo della storia, e perciò nel flusso continuo della lenta
ma inesorabile trasformazione antropologica, il modello societario proposto e sperimentato
dall'anarchismo (per quel tanto che è stato possibile in Ucraina e soprattutto in Catalogna), può
oggi rappresentare solo un'indicazione di massima, può essere visto cioè come un metodo
regolativo ma non certo come metodo costitutivo di una possibile società libertaria. Ne deriva la
difficoltà di pensare e di proporre metodi e obiettivi pedagogici che, a causa della mancanza di un
punto concreto di riferimento, diventano sempre più astratti e problematici (nel senso di non
risolvibili perché non verificabili). Certo, solo partendo e ritornando all'anarchismo, vale a dire
solo pensando e riflettendo attorno ai grandi temi della liberazione così come sono stati posti da
esso in esame si rende possibile un discorso sull'educazione intesa come strumento di sviluppo
dell'uomo libero, emancipato e completo. In tutti i casi il dilemma fondamentale dell'anarchismo
rimane ancora quello delineato sopra: prima la rivoluzione o prima l'educazione?
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