Rivista Anarchica Online
Anarchismo e pedagogia
di S. O.
>Nel suo libro "Ideologie libertarie e formazione umana", Tina Tomasi inizia giustamente con il
proporre la lettura di due autori, il Tolstoj e Il Rousseau, che pur non appartenendo in senso
stretto alla tradizione anarchica, propongono in germe tutti i problemi poi affrontati
necessariamente da coloro che, volendo intervenire radicalmente nell'ordinamento sociale,
dovevano necessariamente interrogarsi sull'individuo umano e sui suoi rapporti con la società vista
sia come aggregazione di individui che come luogo in cui avveniva l'educazione e si davano
rapporti di potere. L'autorità va sempre abolita, anche nell'atto educativo? Quali giustificazioni
trovano i pregiudizi correnti sull'"autorità" della scienza e della cultura? La scuola e la famiglia
come momenti di formazione del bambino non hanno più ragione di esistere una volta abolito il
potere oppure dovranno permanere come istituzioni rinnovate ma valide anche nella società
nuova? Il Rousseau risponde a queste domande in particolare nell'"Emilio": l'educazione del
bambino è opera della natura, nessuna autorità può sostituire o migliorare ciò che la natura fa
spontaneamente. Gli interventi autoritari dell'educatore che vuole inculcare una scienza di cui
l'allievo non sente necessità o un'educazione e morale al di fuori dei bisogni immediati del
bambino, non fanno altro che danneggiare irreparabilmente le possibilità che il bambino possiede
di divenire un essere morale e libero. "Non si deve pretendere nulla dai fanciulli per ubbidienza,
ne segue che non possono imparare nulla di cui non sentano il vantaggio attuale e presente, sia
di diletto, sia di utilità. Un bambino non è davvero desideroso di perfezionare lo strumento con
il quale lo si tortura ma fate che tale strumento serva ai suoi piaceri e ben presto vi si
applicherà a vostro malgrado".
Il Tolstoj nella sua tenuta di Jasnaja Poljana mette in pratica questo principio offrendo inoltre ai
bambini la grande possibilità di esprimere con mezzi adeguati le emozioni che essi provano, sino a
giungere ad una vera produzione artistica.
Il principio di educare senza autorità è dibattuto all'interno delle opere di parecchi anarchici. In
un'opera giovanile: "Organizzazione anarchica e lotta armata", Bakunin sostiene l'opportunità di
conservare all'interno della scuola un'autorità che non diventi autoritarismo.
"Il bambino e l'adolescente, finché non sarà maggiorenne, non sarà libero che virtualmente, non
in pratica e la scuola deve prepararlo e avviarlo per gradi alla libertà. Non potendo autogestirsi
liberamente, deve essere condotto, guidato, protetto, governato con autorità (...) ma questa
autorità deve essere compenetrata di rispetto per la dignità umana ed anche con la sacrosanta
libertà dei ragazzi, per cui ogni violenza, ogni punizione avvilente sarà bandita". Bakunin non
torna più su questo argomento e la supposizione che in periodo più maturo abbia rivisto le sue
posizioni rimane una nostra ipotesi.
Malatesta è molto più problematico nei confronti della questione: gli uomini oggi sono stati
convinti della propria inferiorità e di conseguenza non solo non si liberano spontaneamente, ma
cercano dei capi. Che fare? Per Malatesta il primo passo è al di fuori della pedagogia: è nel
comportamento coraggioso e coerente della minoranza.
"Alcuni di noi restarono convinti che l'aspirazione alla libertà integrale è sempre stata la causa
di ogni progresso individuale e sociale. Essi compresero che l'anarchia sarebbe venuta
gradualmente, a misura che gli uomini arrivavano a concepirla e a desiderarla, ma che non
sarebbe venuta mai se mancasse la spinta di una minoranza più o meno cosciente che agisce in
modo da preparare l'ambiente necessario (...) per esempio, se in un'organizzazione si lascia
addosso a pochi tutto il lavoro e tutte le responsabilità, se si subisce quello che fanno i pochi
senza tentare di far meglio, quei pochi finiscono, anche se non lo vogliono, col sostituire la
propria volontà a quella della collettività, perché quando una collettività ha un bisogno ed i suoi
membri non sanno organizzarsi per provvedervi sorge un'autorità, che provvede a quel bisogno
servendosi delle forze di tutti e dirigendole a sua voglia".
"Occorre organizzare la società senza autorità, intendendosi per autorità la facoltà di imporre
la propria voglia, e non già il fatto inevitabile e benefico che chi meglio intende una cosa possa
servir da guida in quella stessa cosa".
"D'altra parte la libertà che ci occorre non è quella assoluta, astratta metafisica, che si traduce
fatalmente in oppressione del debole, ma quella reale, possibile, che è la comunanza di
coscienza degli interessi, la solidarietà volontaria. Noi proclamiamo la massima FA QUEL CHE
VUOI perché riteniamo che in una società armonica senza governo e senza proprietà, ognuno
VORRÀ QUEL CHE DOVRÀ".
Se il problema dell'autorità in quanto tale trova in queste ultime affermazioni una linea reale di
soluzione resta ancora aperto quello del rapporto fra scienza e popolo, fra intellettuali e popolo.
Le posizioni degli anarchici sono spesso contraddittorie all'interno di uno stesso autore: solo
Cafiero rifiuta con ostinazione e coerenza ogni ingerenza intellettuale che non sorga direttamente
dall'azione, dal fatto. Bakunin è combattuto fra questa posizione ed una grande ammirazione per
coloro che sanno, da un lato ritiene il popolo abbastanza maturo per cavarsela da solo, dall'altro
spera nei giovani intellettuali che potrebbero mettersi "sulla via della Rivoluzione Sociale".
"Un operaio non ha bisogno di grande preparazione per diventare membro della sezione che
rappresenta il suo mestiere (...). Quello che ha bisogno di sapere è in primo luogo che si sfianca
lavorando e il suo lavoro arricchisce il suo padrone, in secondo luogo che da solo è impotente
contro il padrone e che deve associarsi con i suoi compagni. Deve poi sapere che l'unione degli
operai di una stessa fabbrica non basta, che bisogna che tutti gli operai siano uniti. Una volta
che sa questo egli è un membro fedele della sua sezione". E altrove: "quei buoni socialisti
borghesi ci gridano sempre: istruiamo il popolo e poi emancipiamolo. Noi diciamo per prima
cosa che si emancipi e si istruirà da sé". E ancora "gli sviluppi della solidarietà economica si
manifestano negli operai non mediante ragionamenti teorici, ma nell'esperienza tragica e viva
della lotta".
In altri passi però lo stesso Bakunin sembra ritenere necessaria non soltanto la conoscenza della
propria condizione, ma anche "un ideale comune, sviluppato storicamente dalle profondità dello
spirito popolare, un'idea generale del suo buon diritto".
"Se ci si ferma ad alcune verità senza approfondire le condizioni, le conseguenze lo spirito, e se
gli operai si accontentano di ripeterle sempre, corrono il rischio di trasformarle in parole vacue
e sterili, in luoghi comuni mal capiti. L'Internazionale potrà divenire strumento di
emancipazione solo quando, cessando di essere divisa in due gruppi, una minoranza di sapienti
manovratori e una maggioranza di strumenti vecchi, avrà fatto penetrare nella coscienza e nella
riflessione di ognuno dei suoi membri, la scienza, la filosofia e la politica del socialismo. Il
metodo scientifico positivo (...) divenuto proprietà dell'operaio intelligente si trasforma nelle sue
mani in un terribile strumento di ricerca, che fa presto giustizia di tutti i sofismi religiosi,
metafisici, giuridici, politici e falsamente scientifici".
Per Carlo Cafiero il maggior depositario della verità è il popolo, l'unica sorgente del pensiero è
l'azione. Nessuna autorità è concessa ai cosiddetti scienziati: "il popolo può difettare talora nella
forma, ma gli altri difettano sempre nel pensiero stesso. Il primo sotto una forma scorretta
esprime un giudizio molto più giusto che i secondi sotto una forma correttissima. Il pensiero più
esatto secondo la filosofia e la storia, può essere talvolta assolutamente falso (...) perché la
verità si trova non in ciò che è stato ma in ciò che avrebbe dovuto essere, non nel trionfo
materiale e palese, ma nel trionfo morale e nascosto. Come in tali casi riconosceremo la verità?
Alla scorta del sentimento e del pensiero popolare, divenuto nostro seguendo i corsi dell'unico
professore di filosofia rivoluzionaria: il popolo".
Kropotkin sottolinea invece l'assoluta importanza di un'educazione integrale che unisca ai
vantaggi della coscienza popolare quelli della riflessione scientifica attualmente privilegio della
classe borghese: "fate che le vostre officine e le vostre fabbriche non siano più luoghi maledetti
dove uomini, donne e fanciulli entrano se spinti dalla fame; ma siano laboratori razionali dove
l'uomo oltre a trovare un lavoro che convenga al suo gusto possa sperimentare le sue capacità
di scoprire e di creare".
Se il laboratorio è la fonte delle scoperte scientifiche la scuola è il luogo dove tali scoperte
avvengono grazie al lavoro ed alla sperimentazione: "in quasi tutte le scuole tutto viene insegnato
in modo astratto, ma facciamo in modo che il fanciullo scopra le regole astratte partendo dal
lavoro manuale e nulla sarà vietato alla sua comprensione". È evidente che per Kropotkin la
scuola deve soltanto mutare ma non può essere abolita. Di parere analogo sembra talora
Malatesta:
"Distruggere le istituzioni? Certamente, se si tratta di istituzioni repressive. Polizia, esercito,
carcere, magistratura, non esercitano che una funzione parassitaria. Ma vi sono altre istituzioni
che, bene o male riescono ad assicurare la vita all'umanità; e queste non si possono utilmente
distruggere se non sostituendole con qualche cosa di meglio. Lo scambio dei prodotti, la
distribuzione degli alimenti, le ferrovie, le poste, le scuole e gli ospedali sono stati organizzati in
modo da servire gli interessi capitalisti, ma rispondono agli interessi reali della popolazione.
Non possiamo disorganizzarli se non organizzandoli in modo migliore". Su questa linea
senz'altro si sono mossi quegli anarchici che si sono inseriti nel filone delle cosidette scuole
rinnovate. Il più famoso è Francisco Ferrer che partecipò attivamente a tale movimento fondando
anche scuole che corrispondessero ai principi auspicati dai "nuovi pedagogisti": educazione nella
natura, integralità dell'educazione, con presenza dei due sessi nella stessa classe, disciplina
raggiunta attraverso la riflessione, ricerca attiva per arrivare alla scoperta delle verità scientifiche.
Secondo alcuni autori queste esperienze hanno scarso significato. Sostiene Cafiero: "non è la
nuova educazione che genererà il nuovo interesse, ma il nuovo interesse genererà la nuova
educazione. Non ci è voluto niente di morale, niente di educativo per far passare l'uomo
dall'antropofagia alla schiavitù, nessuno sviluppo morale né educazione per farlo transitare
dalla schiavitù alla servitù e da questa al salariato. Non è dunque un processo educativo che si
richiede, ma la rivoluzione".
Allo stesso modo Malatesta si chiede come educare i bambini nella società futura e si risponde:
"non lo sappiamo. I genitori, i pedagogisti e tutti coloro che si interessano alle sorti delle nuove
generazioni si riuniranno e s'accorderanno o si divideranno su diverse opinioni, mettendo in
pratica i metodi che crederanno i migliori; e con la pratica quel metodo che davvero è il
migliore finirà col trionfare".
I principali temi proposti nel periodo della rivoluzione francese sono stati dunque dibattuti in seno
al movimento anarchico, anche se sono rari gli anarchici che hanno scritto direttamente di
pedagogia. Non sono state fornite soluzioni unitarie, il che del resto è comune a tutti i movimenti
di pensiero che hanno affrontato il problema dall'ottocento in poi. Il dibattito è aperto e l'idea che
non esista una "pedagogia anarchica" è forse lo stimolo migliore a non adagiarci su verità
precostituite e a ricercare incessantemente nuove soluzioni.
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