Rivista Anarchica Online
Mamma, asilo e stato
di Andrea Papi
Secondo la concezione dello stato, i bimbi che non hanno ancora l'età per frequentare le scuole
elementari hanno bisogno quasi esclusivamente della mamma. L'impostazione educativa loro
assegnata si incentra sull'amore, in particolare quello della madre. Prima dei sei anni, dunque,
l'essere umano "statalizzato" riceve essenzialmente l'amore materno, spesso morboso e
possessivo, all'interno della struttura gerarchica famiglia. Ne consegue che nelle strutture
assistenziali statali per l'infanzia il bambino vive un rapporto pedagogico a senso unico, con adulti
che riproducono i caratteri fondamentali della madre, cioè solo figure femminili. A tutt'oggi nelle
scuole dell'infanzia gestite dallo stato non possono essere assunte figure maschili nel ruolo di
insegnanti, a conferma che l'amore materno è onnicomprensivo per il bambino di età inferiore ai
sei anni.
Eppure da qualche decennio la pedagogia mondiale più avanzata ha superato questa concezione
mammesca e, almeno in teoria, ha ridato al bambino una dignità umana. Prima dei sei anni non
siamo più relegati al ruolo di accumulatori d'amore, ma siamo esseri umani completi fin dai primi
istanti di vita. Siamo forniti di cervello e di tutte le potenzialità tipiche dell'adulto; abbiamo organi
sensitivi efficienti e la possibilità concreta di comunicare (il pianto è un tipico esempio di
messaggio per comunicare i propri bisogni). In particolare la pedagogia tradizionale ha sempre
considerato la vita in età inferiore ai tre anni come qualcosa di solo vegetale. In tal modo il
compito fondamentale dell'adulto nei confronti del bambino era quello di aiutarlo a soddisfare
esclusivamente i suoi bisogni fisiologici (di qui la concezione materna per cui soltanto l'amore
della madre può generare la dedizione necessaria a far crescere nel modo dovuto il bimbo-pianta).
Lo stesso Bakunin ebbe l'intuizione di fondo che il bimbo è un essere umano fin dal suo nascere.
Questa intuizione è particolarmente significativa se si pensa che il nostro Michele non era
certamente profondo in materia di pedagogia dell'infanzia e che espresse questo concetto nel
1871, in polemica con Mazzini: "Per ottenere lo scopo che l'educazione mazziniana si propone,
bisogna effettuare questa separazione in età molto giovane, un anno dopo la nascita o appena
svezzati. Poiché è precisamente in questa età che i bambini sono più ricettivi e più
impressionabili, ed è attraverso le mille impressioni della vita che li circonda che si formano in
essi i primi elementi delle loro future idee." (Bakunin: 'Opere Complete' Vol. II, Edizioni della
rivista Anarchismo, Catania 1976, pag. 120).
Il ruolo della Chiesa
In Italia abbiamo una situazione sociologica culturale negativa. La presenza plurimillenaria della
chiesa cattolica, apostolica e romana, che opprime da secoli oscurando la scienza e la libertà di
pensiero e di sperimentazione, favorisce il rifiuto di pedagogie non scolastiche e innovative e
rende difficile la rottura col clima tradizionalistico che impera nel campo dell'educazione. Così,
oppressa dal plumbeo grigiore culturale ecclesiastico, l'educazione si è sclerotizzata su posizioni
reazionarie e conservatrici. L'amore della mamma, rappresentata sempre come una madonna con
gesù bambino in braccio, è il simbolo della protezione e del controllo supremo di dio sui piccoli. Il
bambino cresce all'interno della famiglia, prima cellula istituzionale, dove vive dei rapporti di
subordinazione rispetto al padre, da cui tradizionalmente riceve i comandi, come pure rispetto alla
madre, che tradizionalmente controlla la sua situazione psicologica e recupera con l'affetto le
manifestazioni di ribellione che possono sorgere nei figli. Verso i sei anni di età lo stato rende
completo l'intervento familiare attraverso la scuola dell'obbligo. La famiglia assicura il perpetuarsi
delle tradizioni e lo stato, per mezzo delle proprie scuole, imposta e controlla direttamente
l'istruzione e la formazione culturale degli esseri umani, per farne dei sudditi consenzienti al
perpetuarsi delle strutture di sfruttamento e di oppressione.
Non ci interessa, nell'ambito di questo articolo, affrontare la questione se le istituzioni oggi
applicano questa strategia educativa in modo da renderla funzionale a se stessa. A noi interessa
mettere in evidenza attraverso quali meccanismi, quali progetti, si forma l'integrazione degli esseri
umani all'interno del sistema di cose presente: ci sembra di poter affermare che questo
meccanismo è rimasto intatto nella sua sostanza.
Nell'organizzazione della società italiana si sta affermando in modo sempre più deciso una
gestione tecnocratica del potere. I tecnici ad alto livello della pedagogia istituzionale si sono
accorti che la strutturazione tradizionale ha in sé delle grosse falle e non riesce a stare al passo coi
tempi. La falla più grossa riguarda proprio la prima infanzia, dal momento che le istituzioni non
avevano il minimo controllo diretto su questa età delicata, di cui solo ultimamente ci si è accorti
che ha un'importanza fondamentale nella formazione del carattere. Per queste ragioni le
amministrazioni di sinistra che, data la loro conformazione, sono interessate alla gestione
tecnoburocratica della società più delle forze politiche reazionarie e conservatrici, hanno aperto
una lotta con la pedagogia ecclesiastica, al fine di imporre le scuole della infanzia e gli asili nido
come intervento prescolare delle istituzioni locali. In tal modo il controllo dell'essere umano, da
parte dell'organizzazione statale, è esteso fino alla prima età dell'infanzia. Al momento attuale
questo modello strategico educativo e questo progetto sono lontani dall'essere realizzati in tutto il
paese. Le scuole dell'infanzia sono quasi inesistenti nelle regioni del sud, ci sono con grossissime
carenze nel centro Italia, cominciano ad essere presenti in modo sostanzioso nelle regioni del
nord. In una sola regione, l'Emilia Romagna, hanno cominciato ad assumere il carattere di vero e
proprio servizio sociale, dove l'instaurazione di asili nido e scuole dell'infanzia sta avvenendo a
livello di quasi tutti i medi e piccoli comuni.
Un'esperienza unica
Da più di quattro anni e mezzo lavoro come insegnante di asilo nido presso il comune di Forlì,
città della Romagna. La mia esperienza di lavoro in questo periodo di tempo si è svolta in due asili
diversi dello stesso comune. Quando nel '74 iniziai questo tipo di lavoro ero veramente unico: il
primo uomo in Italia che svolgesse un lavoro pedagogico quotidiano con bambini di età inferiore
ai tre anni in una struttura pubblica. Come ho spiegato all'inizio, perché il lettore comprenda la
situazione, ancora oggi lo stato non assume personale insegnante maschile nelle proprie scuole
dell'infanzia, perché è ancora considerato un mestiere per le donne. Di qui l'importanza della mia
presenza in un asilo. In base alla mia esperienza pluriennale nell'ambito della pedagogia della
prima infanzia, cercherò di analizzare quale rapporto c'è all'interno delle strutture pubbliche.
Strutture di questo tipo costano molto alle amministrazioni, perché sono totalmente improduttive
dal punto di vista del profitto, in compenso pare che rendano molto sul piano del consenso
politico. Le quote che gli utenti versano mensilmente non sono assolutamente in grado di coprire i
costi che, nella quasi totalità vengono pagati dall'ente cui sono sottoposti. Le quote dei genitori
coprono i costi di gestione mensile ordinaria del singolo asilo; l'amministrazione invece si assume
l'onere di pagare gli stipendi dei dipendenti (insegnanti, bambinaie, cuoche, ecc.), come pure il
riscaldamento e il telefono, le manutenzioni straordinarie. Non è un caso che la regione sta
tentando di impostare una legge quadro che prevede, oltre la regolamentazione dell'organico,
l'aumento delle quote, in modo che le amministrazioni siano esonerate da costi non indifferenti,
come possono essere il riscaldamento ed il telefono. Le strutture portanti, gli spazi architettonici,
l'assunzione del personale, la dislocazione nei quartieri cittadini, vengono stabiliti
dall'amministrazione, la quale dunque imposta e gestisce il tutto direttamente. I genitori e i
cittadini in generale sono chiamati a definire, per mezzo di organi interni di gestione, cosiddetta
sociale, quella che invece è soltanto la gestione ordinaria; in questo modo l'ente pubblico si
assicura la partecipazione consensuale a strutture impostate e dirette dall'alto, come pure il
controllo costante su queste strutture.
La fabbrica del consenso
In questo clima vengono inseriti i bambini nelle scuole dell'infanzia e negli asili nido. Secondo la
definizione stessa di chi li ha impostati servono di ausilio alla famiglia, sia nell'opera di assistenza
sociale, sia in quella educativa. Mentre i genitori, durante le ore di lavoro, possono sentirsi
tranquilli perché i propri figli sono adeguatamente assistiti, all'interno degli asili il bambino vive i
primi processi di socializzazione in un ambiente collettivo strutturato per lui dagli adulti. Impara
così a vivere nel sociale fin da piccolo, forse nel tentativo di armonizzare il ghetto familiare con
quello più vasto della struttura sociale complessa esterna. L'opera di integrazione è così ultimata,
almeno negli intenti dei tecnocrati che la stanno impostando. Quali saranno i risultati di questa
impostazione pedagogica, concepita per organizzare il controllo istituzionale fin sui nostri primi
mesi di vita, non è possibile per ora definirli. Per trarre conclusioni che siano rispondenti alla
realtà è necessario attendere. I bambini che ora frequentano le scuole dell'infanzia diverranno
adulti; solo allora il potere potrà verificare la giustezza dei propri intenti. Allora vedremo se le
scuole dell'infanzia verranno affossate oppure potenziate secondo una pianificazione educativa
come avviene per le scuole dell'obbligo.
Per ciò che riguarda il discorso strettamente educativo, a mio avviso, c'è ben poco da segnalare. Il
rapporto tra operatori e bambini è di fatto basato sul controllo, vuoi perchéil personale non è
quantitativamente sufficiente per svolgere un'opera di intervento qualificato, oppure perché non
abbiamo gli strumenti e le conoscenze adatte, sta di fatto che si esercitano forme di controllo
abbastanza capillare sulla crescita dei singoli bambini. Si cerca di favorire al massimo le
potenzialità insite in tutti gli esseri umani che non siano afflitti da handicap congeniti; si dà molta
importanza al disegno come forma espressiva spontanea; si cerca di curare lo sviluppo più
corretto possibile del linguaggio; in altre parole l'intervento è indirizzato a far crescere il bambino
sano di mente e di corpo, forse nella speranza che, da adulto, sarà un cittadino efficiente, disposto
a lavorare il più serenamente possibile e consenziente alla costruzione e alla conservazione di
queste strutture sociali autoritarie.
In una società che si sta organizzando pian piano secondo modelli di tipo tecnoburocratico, il
problema di fondo per chi esercita il comando, non è più quello di piegare e avvilire gli esseri
umani, per succhiare loro tutto ciò che è possibile ai fini del profitto, ma quello di far crescere
cittadini capaci, consenzienti e in forma. Per i nuovi padroni è controproducente infiacchire il
popolo attraverso la fame, la miseria, la disperazione, perché al nuovo potere servono le qualità
umane dell'intelligenza. Del resto la nostra volontà viene infiacchita ogni giorno di più dal
martellamento dei mass-media, dai cibi sempre più alterati, dall'inquinamento progressivo dell'aria
e dell'acqua. Siamo sempre di più sommersi dai computer e dalla plastica.
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