Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 8 nr. 70
novembre 1978 - dicembre 1978


Rivista Anarchica Online

Una fredda sera a Novara
a cura della Redazione

C'è silenzio nella sala comunale di questa cittadina piemontese: eppure di fronte a me siedono una settantina di persone. Mi guardano un po' allibite: sono venuta per "tenere una conferenza" di pedagogia e farmi ascoltare: mi avevano preparato un bel tavolino davanti alle loro sedie: una sedia, per me, dietro il tavolino: non succede così anche a scuola? Gli scolari, zitti nei banchi, la maestra, loquace, in cattedra?

Non sono né nota né famosa: che cosa li ha fatti uscire in una sera di pioggia per tornare a scuola? Perché hanno fiducia più nella mia mente di povera donna che nelle loro settanta menti, tenute zitte in ascolto? Settanta non è più di uno? Loro tacciono. Eppure alcune sere prima, preparando il dibattito, alcune idee erano venute fuori:

- Io penso - ha detto un compagno - che l'insegnamento e la scuola, così come sono fatti oggi, servano a reprimere e a condizionare, ad imporre l'autorità, mentre noi anarchici crediamo che esista un modo di vivere, e quindi anche un modo di far scuola, antiautoritario.

- Però, siccome il comportamento adulto dipende dai primi anni di vita - soggiunge un altro - noi non siamo abituati all'autogestione... siamo anarchici per modo di dire... fra la nostra realtà e i sogni della nostra testa c'è un abisso.

- Lo colmiamo solo se abbiamo il coraggio di metterci in gioco - dice una ragazza - C'è in noi questo coraggio?

La sua proposta scatena reazioni spaventate: mica dobbiamo metterci a fare dell'autocoscienza: figuratevi se salta fuori una confessione collettiva? Questo non va: invece Stefania potrebbe esporre quel libro della Tomasi...

- Ma come, - ribatto io - uscire con il freddo dell'inverno piemontese per sentire una che legge un libro e lo riassume? Ma allora tanto vale leggerselo a casa, magari al calduccio del letto! Se facciamo una cosa così, l'essenziale è discutere.

- E va bè, discutiamo. Io per esempio penso che questo problema dell'autoritarismo, diciamo che lo voglio combattere a scuola, ma poi ce lo ritroviamo uguale nei nostri gruppi. C'è sempre il capo o il capetto, e non si sa cosa fare.

- C'è anche che gli altri non hanno idee.

- O quelli che ce le hanno finiscono con il litigare con lui e per andarsene.

- Però nei gruppi questa cosa si discute.

- Io, più che nei gruppi, il problema pedagogico me lo trovo in famiglia: io sono studente, cioè mi mantengono i miei. In cambio io devo dare delle "soddisfazioni", essere quello che loro vorrebbero che fossi, studiare...

- Ma se non ti piace puoi smettere.

- Mi piacerebbe, ma non in questo clima. Qui... i genitori riversano tutto su di te... tu ti senti in dovere... ma è una cosa che ti crei da solo, che loro non ti dicono mai esplicitamente.

- Ti hanno condizionato e tu poi pensi così.

- Ma io che ho dei figli mi chiedo: come si fa a non condizionare un bambino? Ogni tentativo va a finire nel nulla. Forse bisognerebbe chiuderlo in una stanza e non metterlo a contatto con nessuno. Se tu, genitore, ti basi sulla tua personalità, finirai lo stesso per condizionarlo.

- Soprattutto se non sei libero tu: non puoi rendere libera una persona se non sei libera tu stessa.

- Forse serve far sapere al bambino i tuoi condizionamenti.

- Forse anche non considerarsi "il" genitore: in fondo i bambini sono figli di tutti, se tutti li educassero un condizionamento annullerebbe l'altro...

Da questo incontro preliminare erano dunque usciti temi interessantissimi: il problema dell'autoritarismo (nella scuola, nei gruppi spontanei, in famiglia); il problema dei condizionamenti; la questione: "A chi spetta educare i bambini?"; il dibattito sull'utilità o meno dello studio. Questo gruppo, obbedendo a leggi naturali che già il Puente dimostrava di conoscere bene, dimostrava di essere praticamente "onniscente", cioè di poter raggiungere la conoscenza senz'altro aiuto che il proprio sforzo collettivo e l'impegno di dare a tutti i membri del gruppo uguale possibilità di comunicazione e di espressione.

Ora, nella sala silenziosa, questa capacità sembra annientata, distrutta: "siamo anarchici solo per finta" aveva detto un ragazzo nell'incontro preliminare, ed infatti eccoci qui, tutti zitti, più capaci di scagliarci contro un nemico esterno che di uccidere la riverenza verso quel tavolino piazzato davanti agli ascoltatori, di uccidere l'asservimento al mito dell'Autorità del Sapere che si annida in ciascuno di noi. Quando matureremo?