Rivista Anarchica Online
Per una pedagogia libertaria
di Stefania Orio
"Pedagogia" è letteralmente tutto ciò che si occupa dei problemi educativi dei bambini, del come
educare i bambini. Da quando però nella vita dei bambini si è inserita una componente obbligata,
la scuola, i pedagogisti hanno incominciato ad occuparsi della scuola, indipendentemente dall'età
di coloro che la frequentavano: ci sono così pedagogisti che si occupano dell'Università, delle 150
ore, dei corsi aziendali di riqualificazione o di superspecializzazione, di corsi per i genitori, per i
professori, per i maestri....
La pedagogia entra nelle nostre case attraverso la televisione, dove luminari di questa scienza
danno consigli sul come comportarci con i nostri figli, o ci sottopongono filmati molto emotivi,
dove vengono illustrate famiglie modello, bambini zuccherosi, maestri esemplari.
Di fronte al dilagare di questa scienza dobbiamo affinare il nostro spirito critico: riflettendo, come
hanno fatto alcuni compagni di Novara, sul significato e sulle risposte che un libertario dovrebbe
dare a questi problemi, e documentandoci su alcune risposte che all'interno del movimento sono
già state date.
Il movimento, per la verità, non ha espresso, né poteva farlo, cose molto originali in uno dei
settori pedagogici: quello della metodologia e della didattica: l'autore che viene orgogliosamente
sbandierato come modello, Ferrer, è, certamente, un innovatore, ma non dissimile
nell'impostazione del metodo e nei principi informatori (responsabilizzazione, coeducazione,
integrazione del lavoro manuale con quello intellettuale, laicità) dai giovani pedagogisti che come
una ventata nuova contribuirono a fare della sua epoca un'epoca abbastanza originale e feconda, a
produrre un movimento di idee e di iniziative che lentamente avrebbe distrutto la vecchia Scuola,
il Banco, le bacchettate dell'insegnante e l'apprendimento a memoria del catechismo e
dell'alfabeto.
L'apporto originale dei pensatori libertari alla pedagogia va a nostro avviso ricercato altrove, alle
origini stesse del loro pensiero, nelle domande fondamentali che essi si pongono di fronte all'uomo
ed alla società: intanto, l'uomo ha bisogno di essere educato? L'educazione è davvero fonte di
progresso? Di fronte a questa domanda, che vede gli ideologi marxisti, soprattutto dopo Lenin e
la Rivoluzione di ottobre, rigidamente schierati nella profonda convinzione che l'uomo in sé vada
diretto, guidato, illuminato, perché da solo potrebbe combinare ben poco, i pensatori anarchici
rispondono con perplessità, disaccordi che talora, come nel caso di Bakunin, sono anche dentro di
loro, affiorano dalle loro affermazioni contraddittorie. La coscienza della suprema dignità umana
sembra negare ogni diritto di cittadinanza all'affermazione che l'uomo possa educarsi da solo.
D'altro canto, il mito della scienza, l'importanza che, fedeli al loro secolo, i primi anarchici le
attribuiscono come capace di risolvere i problemi della fatica rendevano essenziale e quasi mitico
il bisogno e la richiesta dell'istruzione popolare, l'illusione che la scienza risolverà i problemi
fondamentali della rivoluzione: la riduzione del lavoro, l'aumento dei prodotti agricoli e della
ricchezza, la possibilità di convivenza pacifica fra tutti gli uomini e tutte le nazioni.
Su queste esigenze contrastanti si innestano i discorsi di Stirner, di Kropotkin, di Cafiero, di
Malatesta, fino a giungere alla sintesi, mirabile per chiarezza e semplicità, di I. Puente, che ne fece
il nucleo centrale di un opuscolo distribuito alla vigilia e durante la rivoluzione spagnola e che fu
diffuso fra milioni di operai e contadini.
E tuttavia il dibattito non può dirsi concluso, i suoi poli restano aperti: come si pone un anarchico
di fronte all'istruzione pubblica, all'istruzione di Stato? Come affronta e come risolve il problema
della formazione dei bambini, dei figli? Come risolve il contrasto fra il suo desiderio di opporsi
all'autoritarismo e l'esistenza in una società dove, se egli non interviene costantemente sui figli,
lascia il campo aperto a forme sottili e insidiose di indottrinamento, quali i mass-media, le
abitudini della maggioranza, i miti del consumismo, del benessere, della competizione? Come si
comporta di fronte alle disparità di cultura e di conoscenza dei suoi membri? Non sono certo
piccole difficoltà. Non sono, soprattutto, problemi di interesse privato. Ci sembra così opportuno
riaprire il discorso, offrendo alcuni punti alla riflessione.
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