Rivista Anarchica Online
Agitare prima dell'USI
di P. F.
Il secondo attivo di base dei lavoratori per l'U.S.I. (Genova, 25-26 novembre), al quale hanno
preso parte circa 250 compagni, ha costituito un momento di riflessione generale sull'attuale
situazione della presenza libertaria nelle lotte dei lavoratori, sulla sua incidenza, sulle sue
potenzialità. A sette mesi dal primo attivo di base, che a Roma (22-23 aprile) aveva raccolto un
numero maggiore di compagni in una atmosfera di ben maggiore ottimismo, si è innanzitutto
sottoposto a verifica il bilancio del lavoro organizzativo di cui appunto a Roma erano state gettate
le basi: le due direttrici organizzative allora individuate - quella "territoriale" è quella "categoriale"
- sono state in varia misura percorse, soprattutto in alcune regioni e da alcune categorie.
Assemblee di lavoratori, incontri regionali, riunioni di settore si sono tenute numerose in questi
ultimi mesi, con una frequenza ed una capillarità sconosciute - in campo libertario - da almeno
20/25 anni. In genere, però, la partecipazione è stata scarsa, nettamente inferiore alle attese dei
promotori, e soprattutto in minima parte estesa al di là degli immediati "dintorni" nel movimento
anarchico.
A Genova si è avuta una conferma delle grandi difficoltà che ostacolano non solo il progetto di
ricostituzione dell'U.S.I., quanto soprattutto il radicarsi di una presenza consistente, costante ed
incisiva di gruppi di lavoratori libertari (e ancor più di singoli compagni) nei loro stessi posti di
lavoro. Parliamoci chiaro, compagni - ha detto un insegnante toscano dalla tribuna - è assurdo
pensare di rilanciare l'U.S.I. mentre non esistono ancora realtà locali che abbiano davvero una
loro consistenza. E sullo stesso tasto hanno insistito molti degli intervenuti.
Vi è stato però anche chi ha praticamente ribaltato la questione, sostenendo che sono proprio i
ritardi nel processo ricostitutivo del sindacato di massa libertario ad essere di impaccio ad un
diffuso rilancio della prassi anarcosindacalista. È questa una tesi che, seppure presentata - come è
avvenuto a Genova - in una forma ben più elaborata e articolata, non può nascondere la sua
inconsistenza ed anche, al limite, la sua pericolosità. Nessuno sostiene che sia necessario attendere
che gran parte del proletariato abbracci la causa anarcosindacalista prima di gettare le fondamenta
di un'organizzazione di massa libertaria: ciò significherebbe semplicemente "mettersi a ruota" degli
avvenimenti, rinunciando ad essere protagonisti attivi della lotta rivoluzionaria. Ma non è neppure
rifiutando di guardare la realtà per quello che essa realmente è che si può pensare di fare passi in
avanti.
E la realtà non lascia, non può lasciare spazio a soverchie illusioni. Gran parte della tradizionale
classe operaia si è fatta stato, e non da oggi, grazie ai partiti di sinistra, alle organizzazioni
sindacali ed anche ai partitini neo-riformisti all'immediata sinistra del P.C.I.. Più in generale, quasi
tutto l'ambiente delle lotte sociali e sindacali è reso praticamente "inagibile" per i rivoluzionari, che
normalmente si trovano isolati, calunniati, "criminalizzati" appena la loro azione inizia a
minacciare il monopolio della triplice confederale. Nemmeno le ricorrenti smagliature in questo
"tessuto del consenso" garantito in prima persona da C.G.I.L.-C.I.S.L.-U.I.L. e da P.C.I. e P.S.I.
(uniti nella lotta anti-rivoluzionaria,... nonostante la risibile diatriba ideologica!) autorizzano
ottimismi eccessivi: certo, non tutto è tranquillo e "normalizzato": dalla recente lotta nazionale
autonoma degli ospedalieri giù giù fino a singole situazioni di reparto vi è un costante pullulare di
malcontento, di protesta ed anche di lotta contro le disuguaglianze, le ingiustizie sociali, i privilegi
di classe. All'attivo di base di Genova se n'è avuta eco, così come si è discussa la presenza
libertaria nelle lotte in corso ed in quelle previste a breve scadenza per le categorie interessate ai
rinnovi contrattuali.
Contro i sindacati riformisti oppure solo contro la gestione delle lotte (contrattuali e non) da parte
dei vertici confederali? Anche su questo "dilemma" sono emerse posizioni contrastanti tra i
convenuti: accanto a chi considera i sindacati confederali pienamente integrati nelle strutture
statali e quindi "nemici di classe" a tutti gli effetti, vi è stato anche chi ha operato un distinguo tra
quei sindacati (o meglio, tra la loro base sindacale) ed i loro "vertici", giudicando possibile ed
anche utile una "opposizione sindacale" al loro interno.
Nel complesso, dunque, molta vivacità ma anche non poca confusione. Tra gli stessi lavoratori
presenti vi era chi nutriva dubbi sull'opportunità di definire e di strutturare come "sindacato" il
processo riorganizzativo in corso. Se solo osassi proporre ai miei compagni di lotta di aderire ad
un "altro" sindacato, sia pure l'U.S.I., mi caccerebbero via - mi ha detto una compagna di Napoli
impegnata nelle lotte degli ospedalieri. Non si tratta certo di una testimonianza isolata, ché la
possibilità stessa di organizzare efficacemente (in senso rivoluzionario) un sindacato libertario, alla
luce delle esperienze storiche degli ultimi decenni, è tutta da verificare. La profonda
trasformazione della "base sociale" del sindacalismo, il carattere sempre più integrato delle società
contemporanee (con la progressiva scomparsa dell'esasperato antagonismo, anche "culturale", tra
sfruttati e sfruttatori) grazie soprattutto al ruolo della sinistra riformista e dei mass-media, la
notevole capacità di recupero delle conquiste salariali ed anche normative strappate dai lavoratori,
sono alcune delle ragioni della crisi d'identità del sindacalismo rivoluzionario. Le drammatiche
vicende di involuzione burocratica e riformista vissute anche dalle più recenti esperienze
anarcosindacaliste (pensiamo alla "riformista" S.A.C. svedese, ma anche - soprattutto per l'aspetto
burocratico - alla storia passata ed anche recente della C.N.T. spagnola) debbono far riflettere. Il
che non può comunque trasformarsi in un alibi per "disertare" le lotte.
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