Rivista Anarchica Online
Contratti
di L.L.-E.Z.
A riscaldare questo tiepido e nebbioso autunno non sono solo i 350 mila ospedalieri che hanno
riaperto la vertenza chiusa ufficialmente dalle confederazioni il primo ottobre. Infatti sono in
scadenza anche i contratti dei metalmeccanici, degli edili e dei chimici: quasi quattro milioni di
lavoratori, a cui si aggiungono le preannunciate agitazioni dei quasi tre milioni di dipendenti
pubblici. La partita si gioca quindi sui grandi numeri.
I dipendenti pubblici partono da condizioni sicuramente più arretrate - a livello salariale - dei
dipendenti dell'industria. Responsabile principale di questa situazione è la struttura della scala
mobile che nel pubblico impiego si chiama "indennità integrativa speciale". Fino al 1975 il
punto di contingenza è ammontato a 400 lire, livello poi aumentato negli anni successivi fino a
quelli degli altri settori (2.389 lire) dal luglio di quest'anno. Comunque il conteggio della scala
mobile ha periodicità semestrale anziché trimestrale e viene stabilito in relazione ai due terzi
della retribuzione e non sull'intero stipendio come avviene nell'industria.
In questo modo i pubblici dipendenti (con esclusione di quelli dell'ENEL) hanno avuto in questi
ultimi due anni un aumento salariale medio pari alla metà di quello dell'industria. Va tenuto
conto inoltre che le fasce medio-basse dei pubblici dipendenti hanno retribuzioni sensibilmente
inferiori a quelle dei lavoratori dell'industria: basti citare il caso degli ospedalieri, che avevano
fino ad ottobre retribuzioni minime lorde di poco superiori alle 150 mila lire fino a circa 300
mila lire per il personale più specializzato.
Sul versante dell'industria la piattaforma sindacale dei metalmeccanici sembra riscuotere
tiepidissimi consensi. Nelle assemblee fino ad oggi tenutesi i sindacalisti della F.L.M. non sono
stati attaccati perché c'è stato un considerevole disimpegno: in pratica erano presenti solo i
fedelissimi delle confederazioni. Certo la F.L.M. non si è ancora presentata nelle grandi
fabbriche di Milano ma l'inizio non promette certo bene. Per ora prevale la tendenza a
disertare, viste le difficoltà di poter intervenire fattivamente, stante il rigido controllo degli
apparati sindacali. Comunque fare delle previsioni è ancora azzardato considerato che le
assemblee fin qui tenutesi hanno interessato solo il 30% del milione e mezzo di lavoratori che
compongono la categoria.
La bozza di piattaforma approvata dal consiglio generale della F.L.M. si caratterizza per
questioni riguardanti l'orario di lavoro, gli aumenti salariali, la riparametrazione, la riforma
degli scatti di anzianità. Le riduzioni di orario dovrebbero portare a 38 ore la settimana
lavorativa per quasi tutta la categoria e a 36 ore per i lavoratori turnisti nel sud e per gli addetti
ai cicli continui nella siderurgia e nella metallurgia non ferrosa.
Gli aumenti salariali dovrebbero assommare a 30 mila lire ripartite in tre anni: una cifra uguale
per tutti nel gennaio prossimo e una cifra scaglionata secondo i parametri professionali. Inoltre
le categorie professionali saranno sette con un ventaglio salariale che prevede un rapporto tra
minimo e massimo di 100/200. Gli scatti di anzianità dovrebbero essere 5 conteggiati al 5%
sulla paga base per operai e impiegati, ma solo per i nuovi assunti, per gli altri continuerà il
regime precedente che prevede per gli operai quattro scatti all'1,5% sulla sola paga base e per
gli impiegati 12 scatti al 5% su paga base e contingenza.
Nella stessa logica si muovono le piattaforme degli edili e dei chimici, pur presentando
differenze marginali legate alla diversità di categoria.
Si può subito constatare come le richieste sindacali tendano, più che altro, a conservare il
salario reale e non certo a un suo aumento sostanziale; per di più la riparametrazione
comporterà aumenti più rilevanti per le categorie superiori a danno di quelle inferiori,
ristabilendo una "gerarchia professionale" che le lotte dell'autunno '69 avevano fortemente
ridimensionato.
Per quanto concerne le riduzioni di orario è bene precisare che con molta probabilità queste
non si tradurranno automaticamente in un aumento del costo del lavoro, come va strillando la
Confindustria, perché permetteranno una utilizzazione maggiore e più razionale degli impianti
(aumento dei turni) che non comporterà alcun costo aggiuntivo grazie all'espansione della
produttività.
Le richieste sindacali si muovono quindi all'interno di una dinamica produttiva tesa a ridare
efficienza alle strutture produttive, ciononostante queste si scontrano, in parte, con le
compatibilità indicate nel piano Pandolfi.
Piano Pandolfi
La proposta governativa per riequilibrare le sorti dell'economia nota come "Piano Pandolfi" non è
un vero e proprio modello di programmazione, è soprattutto un documento politico-economico
con una "filosofia" definita, e se non presenta quelle caratteristiche peculiari di un piano è perché
vuole essere aperto ai contributi della maggioranza parlamentare e dei sindacati. Non a caso sul
"Piano Pandolfi" si sono appuntate le critiche, le osservazioni, i consigli degli "esperti" del
cosiddetto arco costituzionale. Cionondimeno il piano ha una sua fisionomia precisa nelle
indicazioni e nel modello proposto.
I novanta punti del "Piano Pandolfi" sono facilmente riassumibili. La prima parte del documento è
riservata alle condizioni favorevoli, attualmente presenti, per la realizzazione di un intervento di
risanamento e cioè un cambio stabile della lira, la bilancia dei pagamenti in attivo e una larga
maggioranza parlamentare che permette maggiore rilevanza all'azione governativa. Da queste
constatazioni si passa all'analisi delle cause che hanno determinato la crisi attuale e viene ammesso
quello che ormai non è più possibile nascondere: "La finanza pubblica diventa fattore primario di
degradazione del sistema". Si riconosce cioè che gli aumenti del costo delle materie prime e del
petrolio sono solo una causa della crisi economica, ma che il posto centrale e più rilevante è
occupato dal deficit del settore pubblico, quello che nel 1974 sulle pagine di questa rivista
avevamo chiamato "il caro-stato". Se non interverranno dei correttivi il disavanzo del settore
pubblico allargato passerà dal 12,5% del prodotto interno lordo, registrato nel 1977, al 18,2% nel
1979 cioè una cifra aggirantesi sui 43-44 mila miliardi.
Inoltre la composizione della spesa pubblica vede attribuiti agli investimenti solo il 3,5% che nel
1979 conseguirebbero un incremento microscopico dello 0,2%, mentre il disavanzo delle spese
correnti si raddoppierebbe.
Le alternative sono quindi o una ripresa dell'inflazione, determinata da un incremento della base
monetaria per coprire il disavanzo pubblico, o una riduzione del credito interno da destinare al
settore privato, accrescendo la quota prelevata dal settore pubblico con il conseguente ulteriore
indebolimento delle imprese private, oppure una consistente riduzione del deficit del settore
pubblico, premessa per un riequilibrio della situazione economica.
Il piano Pandolfi propende per quest'ultima soluzione accompagnandola ad una riflessione sul
costo del lavoro come elemento destabilizzante dell'economia. In pratica, constatato che il
disavanzo del settore pubblico è determinato quasi esclusivamente dalle spese correnti (salari,
stipendi, interessi passivi, ecc.), il "buon Pandolfi" chiede che siano, in pratica, bloccati i salari
medi dei dipendenti pubblici e che gli aumenti non siano superiori al tasso di inflazione. Ma non si
ferma qui. Nel settore privato bisogna mantenere un "rapporto compatibile" tra costo del lavoro e
produttività e consentire la mobilità della manodopera tra reparto e reparto e tra azienda e
azienda. Tutto questo dovrebbe consentire una maggiore occupazione, prevista nella misura di
500-600 mila unità, soprattutto nel mezzogiorno. Anche la struttura della scala mobile andrebbe
riformata perché questa, pur preservando il potere reale degli stipendi lascia esposto all'erosione
inflazionista il risparmio. È infatti notorio che con uno stipendio di 300 mila lire al mese è
possibile accantonare svariati milioni all'anno. È evidente che il "buon Pandolfi" si preoccupa di
altri risparmi che non sono certo quelli degli operai.
Gli obiettivi di risanamento e di ripresa proposti dal piano poggiano sulla realizzazione di tre
condizioni:
- la riduzione nel triennio 1979-1981 del disavanzo del settore pubblico allargato con
contemporaneo aumento degli investimenti pubblici cioè riducendo il disavanzo delle spese
correnti (stipendi)
- blocco generale dei salari reali da conseguirsi mediante la corresponsione di aumenti che,
insieme ai recuperi della scala mobile, non siano superiori al saggio di inflazione. Ristrutturazione
del salario che dovrà tendere alla eliminazione progressiva degli scatti automatici e
contemporaneamente riqualificazione della "professionalità".
- modalità più flessibili di utilizzo della mano d'opera impiegata. Cioè più mobilità per evitare che
la rigidità degli schemi contrattuali non permetta l'aumento della produzione e l'allargamento delle
strutture produttive.
Come richieste di sacrifici non c'è male. Tutte a carico dei lavoratori. Taglio delle spese per i
dipendenti pubblici, compressione salariale generalizzata, salvo i meritevoli per professionalità,
possibilità di assunzione e licenziamento secondo le esigenze della produzione.
Non a caso la "messa a punto del piano di azioni programmatiche si gioverà dell'apporto
consultivo di un ristretto gruppo tecnico triangolare, formato da rappresentanti degli
imprenditori, dei sindacati, dell'amministrazione". Tutti insieme appassionatamente.
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