Rivista Anarchica Online
Passata è la tempesta odo Lama far festa
di E. Cipriano
Per esorcizzarlo l'hanno paragonato al mitico "autunno caldo" del '69, la "voce del padrone" (non
la casa discografica) ha gonfiato notevolmente le cose per creare un clima psicologicamente
sfavorevole: "lavoratori state chiedendo troppo, il sistema può saltare". I sindacati non sono più
impreparati come nel '69, hanno imparato fin troppo bene la lezione: la "linea dell'E.U.R." dietro
la spinta delle rivendicazioni extra-sindacali è stata modificata. Più nelle enunciazioni che nei fatti,
è vero, ma tutto serve, o può servire, pur di riprendere il controllo della base.
Certo i sindacalisti stanno facendo del loro meglio, ma qualcosa o qualcuno gli sfugge sempre. È
difficile controllare la rabbia, l'insubordinazione, lo sberleffo, bisogna che il risentimento si sfoghi.
Un mese, due mesi, forse tre, cortei, assemblee, "compagni organizziamoci", tutto viene criticato,
la macchina sindacale incassa i colpi, ma continua a funzionare, a progettare. Alla fine, dopo aver
picchiato inutilmente contro un muro di gomma, dopo che abbiamo misurato palmo a palmo la
nostra impotenza (la cosa sicuramente più scoraggiante), ecco risplendente della sua efficienza
riapparire il dirigente sindacale "compagni l'accordo si può fare... certo non è come si sperava,
ma le compatibilità...".
Tu gridi il tuo no, ma ti accorgi che sei di nuovo solo, sei tornato ad essere "l'anarchico incazzato"
di prima, di sempre, quello che non è mai contento. Eppure non è passato molto tempo da quando
i sindacalisti erano stati fischiati e zittiti, quando sembrava che tutti fossero d'accordo "stavolta
non accettiamo compromessi", e invece....
La storia continua a ripetersi con una puntualità esasperante e dopo ogni fiammata bisogna
ripartire sempre da zero. Ma lasciarsi prendere dallo scetticismo serve a poco, tuttalpiù ci
preserva dalle disillusioni; l'importante è esserci, accendere più micce possibile, lanciare il sasso e
tenere alta la mano senza nasconderla. Dopo gli spazi si restringeranno, dopo ci sarà il riflusso,
tutto dopo, oggi però possiamo e dobbiamo agire.
La conflittualità che si va esprimendo in questi mesi (e che ci vede presenti, anche se siamo una
minoranza della minoranza) è senza dubbio rilevante perché contrasta le linee di tendenza espresse
nel "piano Pandolfi". La politica dei sacrifici non è passata come i sindacati avrebbero voluto e la
controprova si ha oggi. Il dissenso cresce, si sviluppa perché l'erosione inflazionistica delle buste
paga smuove anche i più incerti. Il protrarsi della crisi economica ha portato i suoi effetti
innescando una indisponibilità alle parole d'ordine della classe dirigente, che non ha saputo trovare
altro che la solita vecchia ricetta: far pagare alle classi inferiori il costo della ripresa.
Nelle pagine che seguono prendiamo in esame il "piano Pandolfi", qui ci interessa rilevare che la
ricetta proposta vuole permettere un incremento del surplus (attraverso il contenimento del costo
del lavoro) per avviare un processo di investimenti privati e pubblici, tali da ridare efficienza e
competitività al sistema produttivo. Dei due momenti - sacrifici e ripresa - solo il primo è certo
mentre il secondo è oltremodo aleatorio, anche perché non si tiene nel debito conto la scarsa
propensione agli investimenti da parte delle imprese private. Maggiori investimenti saranno fatti
dalle imprese pubbliche, ma tutti sappiamo l'enorme divario esistente tra saggio di investimenti e
posti di lavoro nel settore pubblico e non è il caso di dilungarsi, anche perché questa logica non ci
interessa. Non siamo sensibili ai richiami del potere, siamo dei refrattari.
In questo particolare momento anche la resistenza passiva può avere un significato e una portata
notevole, tutto sta nelle modalità con cui questa si esprimerà. Il "non ci sto" può essere un
benefico virus capace di contagiare molti sfruttati. Questo non vuol dire l'abbandono di qualsiasi
progetto organizzativo, si tratta più che altro di una questione di tempi, determinata dall'attuale
atteggiamento psicologico degli sfruttati. Si è sviluppata una generale diffidenza verso i grandi
programmi, le parole d'ordine, le strategie vincenti perché per troppi anni i "rivoluzionari di
professione" della nuova sinistra hanno fatto grandi esercizi verbali privi di benché minimo
riscontro nella realtà quotidiana. Questione di tempi che non sta a significare tatticismi od altre
amenità del genere: si vuole riportare l'attenzione sulle esigenze che grosse fasce di lavoratori
vanno esprimendo. Nemmeno si tratta di seguire l'onda, ma di capire in una realtà così composita
quali sono le linee emergenti del processo di emancipazione delle classi inferiori, ma soprattutto se
queste attualmente esistono. Serio interrogativo, questo, perché quasi sempre siamo portati a dare
e a darci una risposta demagogica e sloganistica. Invece per non tradire noi stessi - e soprattutto
quelli a cui ci rivolgiamo - dobbiamo avere la correttezza morale di accompagnare all'azione e alle
lotte quotidiane, l'attenta riflessione. Autoingannarci non serve a nulla, non vogliamo l'illusione
della rivoluzione, vogliamo lavorare per la sua realizzazione.
|