Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 8 nr. 68
estate 1978


Rivista Anarchica Online

Marx-leninismo e craxi-pellicanismo
di L. L.

Gli elementi del dibattito, nella tradizione culturale dominante, non c'erano. Così il clamore è stato ancora più vasto. Per di più, la critica veniva da sinistra e in nome dei valori del socialismo. Ci voleva un partito socialista in via di estinzione e parzialmente emarginato dal gioco politico perché venissero portate alla ribalta analisi che circolavano da cinquanta, cento anni solo tra gli anarchici e parzialmente, nella sinistra consiliare e situazionista.

Se quindi per noi è tutto molto déjà vu, per la maggioranza si è trattato di novità, piacevoli o irritanti a seconda della collocazione politica. Anche il diretto interessato, il P.C.I., ha mostrato la corda. I suoi intellettuali conoscevano Proudhon solo per quanto ne avevano scritto Marx o Engels e si sono trovati impreparati. Alle critiche sempre più pressanti hanno risposto con pietosissime argomentazioni. I dirigenti di Botteghe Oscure hanno dovuto fare ricorso alle solite argomentazioni: "momento delicato", "a chi giova", "l'emergenza non necessita di questi attacchi provocatori", e così via. Il repertorio noioso di chi non ha argomenti, di chi non è abituato a questo tipo di critica.

Tutta l'operazione socialista è stata condotta con intelligenza. In questa fase il P.C.I. è sicuramente più vulnerabile perchè, anche se ideologicamente non è cambiato, deve mostrarsi "diverso" per partecipare al governo: "conservatore e rivoluzionario", "leninista, ma democratico", "internazionalista, ma occidentale". Solo l'acquiescenza della controparte democristiana poteva permettere la pretestuosità di simili formulazioni. Aggiungiamoci l'obbedienza programmatica dei produttori di cultura e i conti tornano.

La base del P.C.I. poteva rischiare lo sbandamento. Dopo decenni di indottrinamento sul leninismo non si poteva fare una pubblica abiura sotto l'incalzare dei socialisti. Altro sarebbe stato se il P.C.I., motu proprio, avesse revisionato taluni fondamenti dottrinari, così invece si rischiava il collasso. La controffensiva si è articolata in due direzioni: da un lato Berlinguer ha riaffermato nel discorso di Genova la validità del leninismo, dall'altro gli "intellettuali organici" hanno rispolverato le critiche di Marx a Proudhon per screditarne le intuizioni e le analisi.

Certo, e noi siamo stati i primi ad indicarlo, il pensiero di Proudhon è composito e talora contraddittorio. Talune sue posizioni sono scopertamente conservatrici o addirittura reazionarie: basti pensare al suo antifemminismo e al suo atteggiamento sessuofobico. Ma tutto questo, se intacca e profondamente la figura complessiva di Proudhon, non sminuisce minimamente la sua lucida critica al socialismo di stato.

La struttura sociale ed economica dell'Unione Sovietica era stata prevista da Proudhon sessant'anni prima della rivoluzione d'ottobre. Quelle che vennero definite "deviazioni" erano invece componenti essenziali del modello: la formula era sbagliata e Proudhon (ma anche Bakunin, Machaiskij, Fabbri, Malatesta) ne colse tutte le incongruenze. Il fatto più sorprendente è che il dibattito non tende affatto ad esaurirsi, ma anzi si estende sempre più investendo aspetti nuovi. Luciano Pellicani, il teorico della new wave socialista, utilizza, quasi sistematicamente, i pensatori della tradizione anarchica per sviluppare e consolidare la cosiddetta "terza via tra capitalismo e collettivismo burocratico".

Logicamente il partito socialista non può che presentare una versione riformista dell'autogestione, il suo antileninismo è soprattutto una risposta dei valori della democrazia parlamentare, la critica al "centralismo democratico" vuole temperare il gigantismo dello stato, non certo sopprimere lo stato stesso.

Si tratta comunque di un fatto rilevante perché rompe il cerchio del silenzio e porta in ambiti più allargati idee ed analisi che fino ad oggi erano state ghettizzate: il "grande pubblico" viene a conoscenza di una problematica che il cattolicesimo e il marxismo volevano sepolta. L'offensiva socialista può segnare una battuta d'arresto del compromesso storico, e non è poca cosa se ci rendiamo conto che se viene ritardato il connubio tra il totalitarismo cattolico e il totalitarismo marxista il dissenso ancora delle carte da giocare.

È evidente che non faremo nostro quanto ha scritto Federico Stame sui Quaderni Piacentini: "... pur di evitare Pecchioli al Ministero degli Interni e Trombadori alla Pubblica Istruzione, tutto è lecito", né ci interessa partecipare ad "alleanze tattiche" come propugnano molti della cosiddetta "nuova sinistra". Il problema per noi anarchici sta in altri termini. Si tratta di intervenire in questo momento di dibattito culturale e politico come forza sociale che ha elaborato la più completa teoria sull'autogestione: delle lotte, della produzione, della vita. Nascondersi dietro alibi di comodo quali "ma noi l'avevamo già detto, e meglio" non serve a nulla, anzi lascia libero spazio alle traduzioni in chiave riformista delle acquisizioni libertarie.

Dobbiamo al contrario, sfruttare questa occasione, una delle più favorevoli da decenni a questa parte. Se sulla crisi del marxismo stanno prosperando nuove correnti di pensiero che attingono a piene mani dal pensiero anarchico e libertario, non si tratta di rincorrere i "frammenti rubati" ma di creare una presenza anche culturale per "rifondare a tutti i livelli una cultura libertaria attraverso uno sforzo di arricchimento ed aggiornamento dei grandi temi del pensiero anarchico, che sono poi i grandi temi della liberazione umana".