Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 8 nr. 67
giugno 1978


Rivista Anarchica Online

Yuri Orlov e il neurocomunismo
di Yuri Orlov (trad. Chersi)

Yuri Fedorovich Orlov, membro della sezione sovietica di "Amnesty International" promotore di un gruppo di controllo per l'applicazione degli accordi di Helsinky sui diritti civili, si è visto confermare in appello (nel mese di luglio) la condanna a 7 anni di lavori forzati e 5 di confino inflittagli in prima istanza dal tribunale di Mosca in maggio. Uscirà, sempre che gli sia data la possibilità di sopravvivere, nel 1993.
Orlov non è un anarchico: dalla lettura del suo saggio "È possibile un socialismo non-autoritario?" (apparso in Francese sul n.8 della rivista internazionale di ricerche anarchiche "Interrogations") emerge una concezione genericamente socialista ed anti-autoritaria in merito alla quale potremmo esprimere perplessità e critiche. Ma non è questo l'aspetto principale che vogliamo mettere in risalto: sotto la cappa di piombo di un regime dittatoriale com'è quello che opprime la Russia da secoli (la dittatura del partito comunista si salda anche storicamente con quella degli zar, a parte la breve parentesi rivoluzionaria dal '17 al '18), il solo fatto di riuscire ad esprimere una qualche forma di dissenso che si caratterizzi in senso espressamente antiautoritario è di per se stesso positivo. Tra gli esponenti del dissenso interno sovietico di cui si abbia conoscenza, Orlov è a nostro avviso uno dei più significativi: anche per questo pubblichiamo in queste pagine la traduzione di ampi stralci del suo articolo succitato.

Definizione di socialismo totalitario

È possibile un socialismo di tipo non-totalitario? Per un gran numero di intellettuali occidentali (e per un piccolo numero di sovietici) la domanda è inconsistente: questa possibilità è un assioma. Ma quest'assioma non è che una delle ipotesi. Per quanto riguarda i fatti, senza respingere le ipotesi del "socialismo dal volto umano", questi hanno per il momento semplicemente fornito la prova convincente della possibilità e della stabilità incontestabile del socialismo totalitario.

Come è noto, la formulazione e lo studio serio di simili problemi nell'Unione Sovietica socialista sono considerati del tutto sconvenienti: ci si può prendere per questo fino a 7 anni di regime duro in un campo di concentramento - o un trattamento speciale in un ospedale psichiatrico. E questo può essere considerato un caso nel quadro del socialismo?

L'impiego di siringhe o di altri strumenti del genere per la modifica dei cervelli disposti all'uso della critica, le lunghe condanne ai campi di lavoro correttivi, la sottrazione dei fanciulli dai membri di comunità religiose indipendenti sono forse le appendici naturali del socialismo nella stessa misura che, ad esempio, la famosa "mancanza del gusto del domani", data dall'assenza della concorrenza commerciale? In realtà, io ho davanti agli occhi la mancanza di gusto di questa maggioranza silenziosa che ha perfettamente compreso che ogni critica non prevista su qualsiasi cosa è una pericolosa sopravvivenza borghese!

Ma sarebbe assurdo credere che i rapporti tra la maggioranza dei cittadini e lo Stato possano essere ridotti ad una semplice formula di coercizione. Il socialismo totalitario si caratterizza nei seguenti tratti distintivi:

1) Monopolio totale dell'iniziativa economica.

2) Il "possesso" di quest'iniziativa non è accordato per tutta la vita e non è trasmettibile in via ereditaria.

3) Monopolio totale dell'iniziativa politica, con l'identica osservazione del punto precedente.

4) Creazione di un apparato di repressione ideologica totale.

5) Esistenza di una concezione o di un mito dello stato unico.

6) Compensazione della mancanza di libertà economica, politica e spirituale con dei diritti e dei privilegi specifici.

Gli ultimi quattro punti di quest'elenco sono caratteristici dei regimi totalitari nel loro insieme. I primi due appartengono a quel socialismo di tipo totalitario che viene considerato, qui in U.R.S.S., come il vero socialismo.

Mi propongo di dimostrare in questo articolo che i primi due fattori hanno un legame molto stretto anche se non univoco con gli altri. Non credo che possano esistere rapporti univoci nella società umana. Tuttavia, è evidente che il totalitarismo, diventato socialista, diviene più stabile e più irreversibile. Da questo punto di vista (solamente da questo punto di vista!) i regimi totalitari che abbiano mantenuto l'iniziativa privata capitalista sono meno pericolosi dei regimi totalitari socialisti a cui, come si dice, "appartiene l'avvenire".

Io sono convinto - ed è questo il tema del mio articolo - che l'accentramento nelle mani dello Stato di tutta l'economia, compreso il diritto esclusivo di pianificazione centralizzata, è incompatibile a lungo termine con l'esercizio delle libertà democratiche ed intellettuali, anche se in un breve periodo è possibile farla convivere. Se questo è vero, allora per conservare alla società un "volto umano" occorre tenersi a rispettosa distanza da una riforma come la nazionalizzazione completa di tutti i mezzi di produzione: essa sposa troppo perfettamente la struttura totalitaria, si intreccia troppo facilmente in quella perché si possa impedire a lungo la loro unione: ogni congiuntura favorevole tende alla formazione di una simbiosi stabile.

Cerchiamo di valutare le possibili alternative al socialismo totalitario.

La società potrebbe prestarsi ad un'analisi delle sue strutture costitutive. Cerchiamo qui di tener conto solamente dei seguenti parametri: grado di concentrazione della proprietà; grado di centralizzazione dell'iniziativa economica; diritto di successione della proprietà e dell'iniziativa; parte di profitto che va al proprietario per suo uso personale.

Tenendoci su un'approssimazione molto generale, si può dire che il capitalismo occidentale contemporaneo si caratterizza per un'iniziativa economica relativamente decentrata, una ripartizione ancor più decentrata della proprietà, l'attribuzione di una parte relativamente scarsa del profitto ai proprietari per loro uso personale. L'esistenza di un buon numero di proprietari, fra cui figurano sia lo Stato che i comuni, è un fattore importante. Gran parte della proprietà si trasmette per eredità, il che porta al mantenimento dell'iniziativa all'interno delle medesime famiglie.

Il socialismo totalitario al potere in U.R.S.S. non dev'essere confuso col "socialismo schiavista" dell'epoca staliniana, quando i prigionieri-schiavi fornivano circa un quarto della manodopera industriale. In caso di isolamento totale dal mondo esterno, il "socialismo schiavista" è un regime di grande stabilità.

Il socialismo contemporaneo in U.R.S.S. è legato ad una completa monopolizzazione dell'iniziativa economica. Il proprietario collettivo di quest'iniziativa - il vertice dell'apparato statale - è un proprietario temporaneo cui viene, per così dire, "affidato" il diritto di gestire la proprietà. Il proprietario formale della proprietà, dei mezzi di produzione, del sottosuolo, ecc., è "la società nel suo insieme", che ne è anche l'erede unico. Quest'ultimo fattore potrebbe essere in grado di attenuare l'arbitrio dei veri padroni dei mezzi di produzione, ma soltanto nel caso in cui le libertà politiche possano essere pienamente esercitate: sindacati indipendenti, parlamento sulla base di elezioni vere, ecc.. Saremmo in questo caso in presenza di un socialismo democratico a economia centralizzata, la cui vitalità a lungo termine io contesto.

Nella variante sovietica, la parte di profitto che va al proprietario collettivo - il vertice dell'apparato statale - è destinato agli usi personali dei suoi membri, potrebbe essere considerata relativamente scarsa; anche se le entrate dell'élite si collocano senza alcun dubbio ad un livello trenta volte superiore al minimo. Somme veramente enormi s'incanalano altrove: per il mantenimento di tutta la piramide gerarchica, sostegno del regime vigente ed in particolare per il mantenimento dell'immenso apparato di repressione e di educazione ideologica.

Quale potrebbe essere la struttura di un socialismo intermedio di tipo moderato? Se le mie considerazioni sul carattere illusorio del socialismo democratico ad economia monopolizzata sono convincenti, bisogna ammettere che questa struttura dovrà innanzitutto caratterizzarsi per un certo decentramento, una cessazione del monopolio della proprietà non ereditaria (cioè temporanea) e dell'iniziativa, l'attribuzione di una parte di profitto più o meno univocamente regolamentato (e di scarsa consistenza) a vantaggio personale dei proprietari temporanei dell'iniziativa. Ritorneremo ancora su questa variante, ma esamineremo innanzitutto da più vicino le caratteristiche del socialismo totalitario.

Burocratizzazione dell'economia

La monopolizzazione dell'economia portata all'estremo tende ad una colossale burocratizzazione della gestione, con tutte le conseguenze che ne derivano per l'individuo. Benché questo non sia ancora il totalitarismo e che il totalitarismo non sia semplicemente l'esercizio del potere burocratico, non si può negare che una tale burocratizzazione universale non serva da base ideale al totalitarismo. Ma qual è il reale rapporto tra questi due fenomeni e quale ne è il meccanismo?

Il significato abitualmente attribuito alla parola "burocrazia" è quello di macchina amministrativa e cartacea, giunta all'indifferenza verso la gente. Ciò è vero: tutta questa enorme macchina amministrativa, regolamentativa, contabile, di elaborazione statistica, di pianificazione, che spreca immense economie, possiede una propria tensione interiore estremamente elevata e finisce spesso per funzionare per conto suo, con cose immaginarie create da essa stessa come oggetto. Ma purtroppo è questo il coefficiente naturale di rendimento di simili macchine. Ciò dipende dalle dimensioni del sistema e si può affermare con sicurezza che l'economia nazionalizzata di un paese enorme è oggi troppo grande per costituire una dimensione di pianificazione ottimale. Cionondimeno, la burocrazia svolge, nelle condizioni che le sono assegnate, il suo lavoro indispensabile. Essa non è solamente inevitabile, ma è indispensabile. Se avessimo a che fare solamente con questa marea di impiegati di gradi diversi, potremmo aspettarci che i graduali progressi della cultura e il progressivo addolcimento dei costumi riducano al minimo la non libertà spirituale. In effetti un processo siffatto ha luogo in campo burocratico, non senza aver subito l'influenza sociale ed etica dei dissidenti sovietici. Ma si scontra con la resistenza eccezionalmente forte della direzione del Partito e, di conseguenza, dell'apparato di repressione ideologico. I detentori plenipotenziari dell'iniziativa non vogliono perdere i loro privilegi - ma si tratta solo di questo!

La pianificazione centralizzata e l'assenza di mercato libero creano tutto un complesso di problemi che l'apparato burocratico non solo non è in grado di risolvere, ma, anzi, ne crea di nuovi esso stesso. In particolare questo sistema, da sé e al di fuori dei trattamenti d'urto che gli applica di tanto in tanto l'apparato superiore del Partito, non è in grado di assimilare efficacemente le nuove scoperte scientifiche e tecniche. Questo problema è fin troppo noto e potrei citare un numero infinito di esempi. I responsabili effettivi della produzione, legati dal piano, da severe limitazioni di spesa, privi del diritto di iniziativa economica, senza poter disporre delle possibilità materiali necessarie a questo fine, sanno che ogni nuova iniziativa in materia di produzione passa per la via delle pratiche complicate "fino al vertice". Un nuovo progetto di qualche peso non può in genere essere inserito altro che nei piani dei quinquenni successivi. Le più piccole modifiche ad un progetto, se comportano nuove spese, fanno uscire il piano dal quadro che gli è già stato assegnato e portano a degli aggiornamenti d'esecuzione. Tutte queste pratiche ed il rischio di "perdita di fiducia" che proviene in caso di insuccesso non incoraggiano certo i responsabili a livello esecutivo a tentarli. Essi si sforzano di "far mostra di iniziativa" lungo i sentieri battuti, optando per dei cambiamenti quantitativi piuttosto che qualitativi della produzione. Non sono, naturalmente, i proprietari dell'iniziativa, ma dei burocrati. Con qualche riserva, gli stessi passi percorrono i responsabili della ricerca scientifica. Bisogna ammettere che la centralizzazione dell'economia produce le sue leggi.

Ma che dire della ricerca spaziale, dei razzi, delle testate atomiche, ecc.? Malgrado la burocratizzazione, malgrado l'irresponsabilità che regna sui luoghi di lavoro, si deve ammettere che l'economia si sviluppa in modo relativamente dinamico, con un tasso di sviluppo che non è forse inferiore a quello dell'epoca pre-rivoluzionaria, che era del 5,72% all'anno dal 1885. Come mai?

È proprio qui che si evidenziano le correlazioni essenziali. Il super-accentramento dell'economia è automaticamente legato ad una super-burocratizzazione, accompagnata ad una certa indolenza dei dirigenti a livello esecutivo. Ciò è parzialmente compensato tuttavia dalla possibilità di intervento del detentore centrale dell'iniziativa. Questo proprietario collettivo è in questo modo non solo interessato alla preservazione dei suoi privilegi di effettivo proprietario, ma vede anche l'importanza del suo ruolo nel sistema, e vede giusto. Il cerchio, di conseguenza, si rinchiude.

Ecco perché io sono convinto che l'unione di una economia monopolizzata nelle mani dello Stato con la democrazia sia estremamente difficile. La democrazia, diciamo i Soviet, potrebbero sostituire l'apparato esistente nel suo ruolo di gestore, di dirigente dinamico e di sorvegliante? Come avverrebbe tutto questo in maniera concreta? Forse che, ad esempio, la decisione sull'incremento di una produzione verrebbe presa a maggioranza di voti in un Soviet, o attraverso un referendum? Chi prenderebbe le decisioni fondamentali che esigono un'immediata presa di posizione? A cosa mirerebbe la liquidazione dell'apparato di repressione ideologica, in una situazione in cui non se ne avrebbe più bisogno? Se venisse mantenuta la struttura di una pianificazione centrale rigida, quale sarebbe il meccanismo della presa di decisione in materia di modificazione qualitativa e non solo quantitativa della produzione? Che competenza potrebbero reclamare dei Soviet popolari in materia di progresso scientifico e tecnologico?

Scontrandosi con questi problemi pratici, la democrazia si troverebbe davanti ad una scelta: prendere una decisione saggia riguardo al decentramento dell'iniziativa economica, rinunciando ad occuparsi di problemi scientifici complessi in materia di produzione e riservandosi alla loro competenza solo i problemi che fanno riferimento agli interessi dei lavoratori; o ritornare alla dittatura centralizzata dei tecnocrati con tutte le conseguenze che ne seguono, cioè a procedere in pratica all'auto-liquidazione della democrazia. Ma l'idea della pianificazione centralizzata vale un simile sacrificio?

Perché mantenere un simile colosso che la democrazia non è proprio in grado di digerire e che non è tollerabile altro che allo stomaco di ferro di un regime totalitario?

Il sistema socialista totalitario

Così, la socializzazione dell'economia contemporanea non significa altro che il trasferimento di tutta l'iniziativa nelle mani dei soli proprietari, certo non ereditari, ma supermonopolizzatori. Ne risulta un gran numero di conseguenze, non tutte negative. Ma sotto certi aspetti, in particolare sul piano psicologico, ciò significa un ritorno all'assolutismo feudale. Insieme a tutto il resto del sistema totalitario ciò suggerisce in modo sgradevole il possibile avvio di una evoluzione in senso inverso, di una regressione. Non è forse un caso che i paesi scarsissimamente sviluppati, saltando la fase del capitalismo (è questo il culmine dell'evoluzione?), arrivano direttamente al socialismo. È vero che l'uomo porta ancora in sé moltissime possibilità a noi sconosciute e c'è da aspettarsi che il capitalismo occidentale - incontestabilmente "un capitalismo dal volto umano" - non costituisca il vertice assoluto del nostro sviluppo.

La nazionalizzazione elimina parzialmente questo senso di ingiustizia legato all'esistenza della proprietà altrui e del potere del denaro. In cambio, è vero, il potere si mostra come tale, potere allo stato puro, ma le moderne cognizioni della giustizia han fatto presto ad eliminare quest'obiezione. Sembra che numerose persone sopportino a fatica il fardello della libertà, la concorrenza che ne deriva necessariamente e la responsabilità personale del proprio destino. Essi vorrebbero scaricare questo fardello da qualche parte in alto, senza sempre comprendere il tremendo costo di simile trasferimento. Le circostanze della vita spirituale sono tali che, in un regime di libertà, l'attività politica viene stimolata dagli interessi economici. È un bene? È un male? Non lo so. Ma come la nazionalizzazione indebolisce al massimo l'attività economica, così si perde con essa l'interesse sia per il gioco politico sia per l'attività sociale. Di conseguenza, le masse danno carta bianca al potere centrale, su cui si lanciano giocatori poco numerosi, ma giocatori veri. Le considerazioni favorevoli - non solo materiali ma anche psicologiche - vengono create dall'estensione dell'influenza totalitaria su tutti gli aspetti della vita. Così il potere assoluto sull'economia, già solo per questo motivo, s'allarga naturalmente fino al potere politico e, riunendo la totalità dell'una e dell'altro, fino al campo spirituale. Non resta un solo spazio vuoto. Ormai esistono, portati al loro punto di massimo sviluppo, i mezzi per soffocare la ricezione e la diffusione dell'informazione indipendente e per ridurre la dissidenza se non altro per fame, impedendole l'accesso a certe schiere d'attività: non tutte le schiere di attività sono in realtà controllate e pianificate dallo Stato.

È vero, e la cosa dev'essere sottolineata, che attualmente in U.R.S.S. grazie alla diffusione delle radio a transistor, alla vitalità dell'ambiente "borghese" e all'aumento del numero delle missioni all'estero, cominciamo ad avere accesso alle informazioni non ufficiali. Gli eroici sforzi dei dissidenti hanno in questo campo un ruolo ancor più importante. Nei tempi staliniani la maggioranza dei cittadini viveva in un mondo assolutamente illusorio.

L'apparato repressivo agisce nel nostro sistema in accordo tanto stretto con l'apparato ideologico che è a volte difficile separare l'uno dall'altro; essi sono d'altronde così intrecciati a livello di quadri. Se ne potrebbe citare un infinito numero di esempi. A Kiev, il segretario dell'organizzazione del Partito dell'Unione degli scrittori trattenne in amichevole conversazione lo scrittore Mikola Rudenko, espulso da tempo da questa Unione e dal Partito; venne accertato che le quattro ore di conversazione senza importanza, avevano come scopo di permettere al K.G.B. di collocare un congegno d'ascolto nella camera dello scrittore. Ma la cattiva qualità del lavoro dovette tradirli (oh, santa irresponsabilità). Al suo ritorno Rudenko scopre il soffitto sfondato e trova un oggetto metallico in un buco che proviene dalla stanza superiore. Durante il suo ritorno la Milizia trattiene il suo taxi per un'altra ora con un pretesto futile; l'autista, terrorizzato, dimentica di chiedere a Rudenko il pagamento della corsa!

So che gli intellettuali occidentali si tranquillizzano spesso con la speranza che i tratti più ributtanti del totalitarismo sovietico non potranno radicarsi sul suolo europeo e l'idea che il popolo russo possieda una supposta particolare predisposizione per le forme di vita totalitaria. È una pericolosa illusione. Quando il totalitarismo è vittorioso, fa poi fiorire nella nazione quelle caratteristiche che esso desidera per prolungare la sua esistenza. Si potrebbe credere al particolarismo dei russi a questo riguardo se l'Europa occidentale non avesse conosciuto, e in un recentissimo passato, il nazismo ed il fascismo.