Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 8 nr. 66
maggio 1978


Rivista Anarchica Online

Lettera da maquando
di Gabriele R.

Qualche anno fa avrei detto che al vuoto quotidiano che la società ci imponeva, bisognava contrapporre l'azione rivoluzionaria, l'organizzazione della lotta, ecc.. Oggi non posso più dire così perché so che mentirei a me stesso.

Mi trovo in una situazione strana, di rifiuto del sistema, ma anche di rifiuto di tutte quelle strutture e forme di lotta, di tutti quei comportamenti e ruoli che queste forme richiedono, che fino a ieri consideravo un valido strumento da contrapporre al potere, e che ora mi sembrano un coltello di burro che tutti brandiscono come un'arma micidiale, con sicurezza e determinazione.

Mi accorgo, però, che rifiutare e basta serve solo a scusare la propria paura, la propria stanchezza, la propria rabbia impotente. Se mi fermassi qui questa lettera-intervento sarebbe solo uno sfogo, un gesto di stizza, un calcio al castello di certezze di zucchero che ci affanniamo a costruire tra i nostri occhi e la realtà.

Servirebbe solo a far aumentare l'incazzatura, la disperazione o la certezza di essere sulla strada giusta a braccetto coi fantasmi delle masse o più semplicemente del nostro simulacro di rivoluzionari che ci portiamo appresso come un burattino stanco. Sempre pronto, però, a far salti e a gridare forte per coprire il nostro rantolo di zombies disperati senza più una tomba di ideologia in cui rifugiarci, senza più un cimitero di rivoluzionari che voglia accogliere la stanchezza nella nostra delusione. E questa è la cosa peggiore: accorgersi che la rivoluzione non è gioia. O forse è il rivoluzionario che non riesce ad essere felice fino a quando non vince il gioco.

Ma in fin dei conti, rifiutare tutto è utile.

Getti via tutti i giocattoli, fai il broncio per un po', "stai male", cerchi di fuggire dopo aver allacciato le bretelle al calorifero. Forse questo è uno dei punti. Se io dicessi a me stesso: "Pianta tutto e comincia da zero a costruirti ciò che ritieni utile, bello pulito, valido per la tua esistenza, usando l'unico mezzo che hai a disposizione cioè te stesso" mi risponderei subito che è impossibile, che sarebbe una fuga dalla realtà, che prima o poi mi scontrerei ancora con il sistema che non tollera i diversi, che non è possibile creare dal nulla. Ecco, ho attaccato le bretelle al calorifero per avere la SICUREZZA di poter tornare indietro casomai decidessi di rincorrere l'utopia che mi sta davanti. Fino a quando a forza di fare lo jo-jo le bretelle si rompono. Allora sì che "stai male" veramente, non hai più neanche la sicurezza di poter tornare indietro, se un disadattato, un disperato sociale o più semplicemente un cadavere vivente che ha conservato l'aspetto esteriore, di compagno rivoluzionario, ma che è morto dentro. Oppure ti siedi come un Pinocchio scemo sul mucchio delle tue certezze andate a male e pensi. Magari sei triste, depresso, angosciato, "vai in crisi" e non ti accorgi che stai pensando, o meglio stai rivedendo (finalmente) i tuoi calcoli rivoluzionari, per accorgerti che la formula magica comprata a caro prezzo da qualche ciarlatano dal viso di furetto o dalla barba di saggio, è quella miseranda del bicarbonato. Serve solo a far ruttare. Ma il Pinocchio rivoluzionario non ha neanche mangiato rincorrendo la carota della sua militanza-panacea e adesso si è trasformato in un somaro. E questo è giusto ed è bene che sia così.

Dal basso vedi finalmente il culo della gente. Prima quando eri un intellettuale-palloncino vedevi tutto, capivi tutto, sapevi tutto, ma per quanto ti sbracciassi ed urlassi in manifestazioni interminabili, in assemblee interminabili, in masturbazioni interminabili, nessuno ti sentiva né capiva i tuoi gesti né alla gente interessavano i gesti di uno che era salito troppo in alto.

Ma neanche questa è verità, perché sarebbe come dire che per sapere di che colore è la merda bisogna caderci dentro. È solo veleno. Troppe volte è meglio sputare fiele sugli altri per non litigare con se stessi. E "stranamente" credo che spogliare se stessi come carciofi con le mani gonfie per le spine, sia l'unico modo di capire gli altri.

Bene, allora sei lì, seduto e disperato, dopo aver gettato libri e modelli alle ortiche e rivedi tutte le tue azioni, le analizzi, le smonti, le rimonti, hai la possibilità di rivedere in moviola tutte le cazzate, le scadenze, le azioni esemplari, i gesti, gli atteggiamenti, i ruoli che hai rivestito, le situazioni che hai recitato, mimando il modello di gesso che ti eri pazientemente costruito indossando e svestendo gli abiti che la moda "revolution estate-inverno" dell'anno ti imponeva. O più semplicemente rivedi te stesso con le tue debolezze, i tuoi errori, i tuoi dubbi, i punti basilari sciolti come pappa, la tua stanchezza. La realtà vera è questa, non la prima ironica ed irreale. Nessuno è così definitivo nei suoi errori da assorbire tutte le storture, le deficienze, gli sbagli commessi da tutti quanti. Sarebbe troppo bello se esistesse un modello preciso di rivoluzionario sbagliato da distruggere, da bruciare sulla pubblica piazza. Troppo bello e troppo comodo avere una strega da mettere al rogo ogni volta che frugando nelle tasche della coscienza si trovano le cambiali firmate a se stessi e mai pagate. Invece ognuno ha qualcosa che gli morde il culo e lo manda in crisi soprattutto ora che sta crollando il sogno e sotto c'è un re, nudo e sgraziato. E ognuno di noi scopre che qualche particolare di quel re assomiglia in modo impressionante a una parte di se stesso. E mentre qualcuno corre a ricostruire il castello per nascondere il re, qualche altro Pinocchio scemo preferisce sedersi a cercare di capire come mai il re del bel-castello-rivoluzione è un incrocio tra un Andreotti superdotato, un bambino con il moccio alternativo e un ragioniere tutto occhiali che ha appena violentato la madre. "Ma come? un castello così bello, così forte, così alternativo, con un re così mostruoso? E il re siamo noi". Così preoccupati ad attaccare bretelle-sicurezza a caloriferi-certezza da esserci invischiati in una ragnatela di postille e distinguo. E l'unica mosca stronza che c'è caduta dentro siamo sempre e solo noi.

E intanto che sei lì, passa sempre qualche grillo parlante idiota a dirti che tu sei solo un rivoluzionario in crisi, che sei tu in crisi non la rivoluzione, ma che per colpa tua il carrozzone del circo rivoluzionario è fermo a una "svolta importante" ad aspettare te e i pirla come te che cagano dubbi anziché proposte concrete.

Che rabbia che mi fanno quelli tutti di un pezzo che mascherano così bene la propria incertezza da farti credere di avere il dubbio della certezza e non la certezza del dubbio. "No" dicono "la strada è giusta (è scientificamente provato) dobbiamo andare avanti tutti insieme" ("vieni qui che ti emancipo bel rivoluzionario deluso...".

Se dovessero continuare da soli, finirebbero in quattro o cinque Icari a pelarsi il culo con i raggi del sol dell'avvenire. Ma almeno ci andassero anima e corpo, no; il corpo lo lasciano qui, che tanto là non serve, e con la testa a cavallo di spranghe magiche volano via sui sentieri della rivoluzione. In realtà finiscono in qualche buio rione a lottare tra loro per la gioia di una corte dei miracoli che te la raccomando.

Ma gli anarchici non sono così. Gli anarchici forse sono come me. Combattuti tra la bellezza della libertà, con l'unica certezza di sentirne nascere il bisogno dal cuore della propria essenza di esseri liberi, tra il desiderio di viverla con gioia e la mostruosa realtà che ce la nega, facendocela però vedere, con le sue contraddizioni che stridono come sabbia tra i denti, come acqua rovesciata davanti al prigioniero che sta morendo di sete. O meglio combattuti tra questa sete impellente di libertà e la propria incapacità di soddisfarla, nonostante tutti gli sforzi, le lotte, le ore passate a discutere con gli occhi stanchi, le lacrime di rabbia per i morti, il dolore delle unghie della nostra volontà, della nostra buona fede, spezzate contro muri di incomprensione, di incomunicabilità o sotto le suole di un poliziotto. E così eccoci qua, ognuno lamentandosi come può (come sto male) davanti ai cocci di una rivoluzione andata in frantumi sul nascere, sbriciolata dal peso di parole d'ordine, di linee di condotta, di prassi di lotta, dai blateramenti che imbonitori più scaltri di noi hanno distribuito alla gente assieme all'illusione di aver trovato l'elisir per tutti i mali. Ma come ho detto tante righe fa, se mi fossi seduto a sproloquiare sui mali che affliggono il venerando Movimento avrei pisciato sul fuoco già spento. Ma forse attribuendo ad altri tutte quelle colpe, quei peccati, quei terribili errori, non ho fatto altro che dire a me stesso una pietosa bugia. Ho usato la terza persona plurale anziché la prima persona singolare: io.

Ebbene sì, io ho commesso tutti gli errori e le brutture sopra elencati, io ho creduto di arrivare alla liberazione degli altri senza aver prima liberato me stesso. Ho parlato a voi perché non ho avuto il coraggio di parlare fuori dai denti a me stesso. Ne mi consola il fatto che quasi tutti possono riconoscersi in qualcosa che ho detto e ne possono aggiungere altre ancora. Se fosse vero che mal comune è mezzo gaudio, questo non potrebbe essere che un orgasmo, allora.

Ma la mia ironia è solo tristezza. Abbiamo cercato ovunque Macondo e le sue rive feconde senza essere ancora abitanti degni di quel paese felice. Senza riuscire, a comunicare, non dico con gli altri, ma nemmeno con noi stessi. Ma poi comunicare che cosa? Le nostre menate, le nostre paure, i nostri errori? O le nostre proposte, le nostre esperienze, le nostre idee, le nostre gioie, i nostri gesti, le nostre emozioni?

"E la rivoluzione?" (coro barbuto e barboso dal fondo) "la grande la bella la vera rivoluzione sociale?"

Per me è il caso di lasciarla navigare alla fonda, intanto impariamo a nuotare, a costruirci le barche con cui navigare ora. Se è una vera rivoluzione sarà una nave nuova anche tra vent'anni, cento o domani. O preferiamo fare i naufraghi di noi stessi sognando il veliero affondato da tempo di una rivoluzione sbagliata, il '68, che per fortuna non è riuscita? Già, perché se andiamo a rivedere com'eravamo allora...

"Amore amore, fammi venire con la rivoluzione". Che bella una rivoluzione senza rivoluzionari.

Forse è il caso di cominciare da noi stessi, prima che Macondo il paese libero diventi Maquando il paese dei sognatori repressi.