Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 8 nr. 66
maggio 1978


Rivista Anarchica Online

L'obiezione non è più una virtù
di Maurizio Tonetto

Il rifiuto cosciente e motivato dell'esercito e della leva obbligatoria ha assunto, nei diversi momenti storici, una fisionomia culturale e forme di lotta differenti e di diverse efficacia, che andavano dalla renitenza e dalla diserzione di massa (oltre un milione di processi dinanzi alle corti marziali durante il primo conflitto mondiale) all'insubordinazione violenta e alla contestazione organizzata all'interno della struttura militare, fenomeni che non di rado hanno coinvolto solo singoli individui o ristretti gruppi di militanti, ma che tuttavia si giovavano del solidale legame con una precisa realtà sociale esterna.

Denominatore comune a queste pratiche di lotta anti-istituzionale era l'ambito extra-legale in cui venivano a collocarsi, fatto che naturalmente esponeva il soggetto o il gruppo che ne era protagonista alla durissima repressione dell'apparato giuridico interno alla stessa istituzione militare. Pertanto, la definitiva approvazione, nel 1972, di una legge dello Stato che riconosceva il "diritto" all'obiezione, del rifiuto cioè di prestare un servizio armato, per tutti (in teoria) i giovani interessati alla leva costituiva una svolta di un certo interesse; da quella data, infatti, dichiararsi "obiettori" all'esercito non portava più nelle galere militari (come avveniva in precedenza e come avviene ancor oggi, seppur in misura assai ridotta, per chi rifiuta anche il servizio civile sostitutivo previsto) ma lasciava al soggetto autore della dichiarazione la porta aperta ad una soluzione intermedia tra l'obbligo del servizio militare e il carcere. Soluzione che conservava intatto, per evidenti motivi, lo stesso carattere di obbligatorietà del servizio armato, e che nonostante questo veniva "spacciata" per sostitutiva. In realtà, a giudizio di chi scrive, è sembrato che dietro l'approvazione della legge fosse da vedersi, più che un effettivo cedimento a pressioni dell'opinione pubblica progressista di allora o alle iniziative di lotta messe in piedi dai compagni antimilitaristi, la volontà del sistema di potere di riassorbire certe spinte contestatrici al suo interno, con un'opera di razionalizzazione tipica, in modo tale da limitarne quanto più possibile la pericolosità sociale (derivante in massima parte solo dal valore potenzialmente contagioso d'esempio, quasi martirizzato, e non già da un reale danno all'organizzazione militare) e, nello stesso tempo, dipingersi con la sempre efficace vernice della "comprensione" e della tolleranza verso i nemici dei "sacri valori eterni".

Quanto appena detto è utile per capire i fatti successivi all'approvazione della legge-bidone sul servizio civile, la quale tra l'altro contempla per i soggetti interessati notevolissime limitazioni della libertà di pensiero ed azione, che di fatto riaffermano l'illusorietà di quell'aggettivo "civile". Equiparati "ad ogni effetto civile, penale, amministrativo, disciplinare" al militare di leva (art.11), costretti perciò in una posizione di costante ricattabilità da parte delle gerarchie militari e, come non bastasse, delle stesse dirigenze interne all'ente in cui si opera (i responsabili dell'ente vengono a ricoprire funzione di comandanti di corpo!), è naturale si scontino i medesimi limiti che rendono difficile la vita di caserma, sotto il profilo penale, al soldato di leva, nello svolgimento di un'attività che nelle intenzioni delle "menti che avevano pensato la legge non poteva e non doveva essere altro che di tipo assistenziale, e comunque tutta interna alla logica dell'istituzione.

Approntando uno strumento legislativo così limitante e limitato nell'interpretazione complessiva del significato del servizio civile (non a caso!) il potere politico, e non meno quello militare!, si sono garantiti dal rischio di coltivarsi la serpe in seno, di lasciare cioè lo spazio per la crescita e la diffusione di un servizio sostitutivo caratterizzato in senso antiautoritario, non tanto sul piano delle motivazioni ideali (in un primo tempo respinte dalla commissione inquirente che vaglia le domande e le informazioni raccolte dai carabinieri, poi accettate in sordina) quanto piuttosto nel concreto impegno politico di tutti i giorni. La sola scelta di usufruire dell'opportunità lasciata dalla "legge Marcora" non è affatto momento di contestazione del militarismo, essendo anche risaputo che in molti casi a determinarla sono meri opportunismi e convenienze personali; perché questa "scelta" diventi invece autentica e vissuta opposizione a quel formidabile strumento oppressivo che è l'ideologia militarista (presente non solo dentro la caserma ma in tutte le strutture organizzate in modo gerarchico ed autoritario) è necessario che l'obiettore in servizio civile strappi al potere e utilizzi al massimo grado il maggior numero di spazi praticabili nella particolare realtà sociale in cui viene a trovarsi, con il solo ausilio di una corretta prassi libertaria, cioè in primo luogo attraverso l'azione diretta a fianco degli sfruttati.

Il compromesso "civile"

La realtà attuale del servizio civile in Italia, praticato dai giovani che si avvalgono della legge sull'obiezione di coscienza, risulta condizionata dalle costanti "storiche" che hanno accompagnato questo fenomeno nel corso di cinque anni di esistenza; la sua gestione "ideologica" da parte dell'organizzazione statale (che ha così ricomposto al suo interno il primitivo valore di rottura, sterilizzandone il carattere di eversività), cui peraltro si contrappone l'amministrazione pratica del servizio civile ancora in mano agli obiettori organizzati in collettivi, ha contribuito a mantenere entro limiti accettabili, per le gerarchie dell'esercito, la diffusione dal punto di vista numerico (nessuna pubblicizzazione, lunghe attese prima del riconoscimento, gli stessi punitivi otto mesi in più, selezione politica degli enti da convenzionare ad opera del Ministero della Difesa, ecc.). L'ambito strettamente individuale, spesso neppure caratterizzato da una precisa informazione critica, in cui si sviluppa ancor oggi, forse più che nel passato, la scelta di obiezione ha fatto sì che a quest'ultima sia rimasto appiccicato il marchio di "atto profetico" di testimonianza, di gesto astrattamente contestativo nei confronti di una struttura oppressiva che ha il suo punto di forza proprio in un'opposta organizzazione di massa del consenso. La natura stessa del servizio che l'autorità statale cerca di imporre quale prestazione pressoché gratuita allo Stato, in termini di forza-lavoro, ha messo in evidenza la parzialità delle posizioni che tendono a presentare il servizio civile, in ogni caso, come "alternativo" a quello militare; è vero, invece, che esso rappresenta un momento di compromesso con la delega del potere politico e che la misura di questo "scendere a patti" si compie sul metro della qualità e dell'effettiva incidenza sulla realtà sociale del lavoro svolto durante i venti mesi di durata del servizio civile.

Mancando questa volontà, lo stesso diventa solo una delle soluzioni lasciate dal sistema di governo per l'assolvimento degli obblighi di leva; ne segue che il suo valore di pratica sovversiva viene ad essere, né più né meno, paragonabile a quello di un "imboscamento" negli uffici dei comandi militari o nelle cucine di caserma, cioè di un servizio militare non armato!

Se vogliamo quindi arrivare ad un primo chiarimento sul valore di questa forma "legale" di opposizione all'istituto del comando armato (che è stata a lungo criticata, anche con asprezza, da molti compagni che forse ne vedevano unicamente l'aspetto di "contratto"), dobbiamo esaminare nel concreto le possibilità che essa lascia al militare libertario d'impostare un'azione diretta alla definitiva soppressione degli apparati coercitivi delle libertà individuali, modellati sull'esempio dell'esercito.

Al servizio degli Enti locali?

La dialettica interna al movimento organizzato degli obiettori registra da tempo la presenza contemporanea di due tendenze, in antagonismo, che s'identificano nei distinti modi di intendere la militanza durante il periodo del servizio civile; sempre maggiori consensi guadagna la linea che ha individuato la centralità dell'impegno nel tessuto sociale in quelle realtà che offrono le occasioni di un intervento stimolante sui temi della disoccupazione e dell'emarginazione in senso generale, della salute pubblica e la prevenzione sanitaria, ecc. e che ha per contro relegato assolutamente ai margini dell'attività, nella sua intera estensione, l'iniziativa contro l'ideologia militarista (che gli anarchici han da sempre riconosciuto essere presente in tutte le situazioni autoritarie), che nei fatti si riduce alla sola protesta contro la militarizzazione dell'addetto al servizio civile contemplata dalla legge, fatto che comporta l'esposizione continua dell'obiettore, che intendesse svolgere lavoro antimilitarista, alla repressione degli stessi codici militari applicati contro i soldati che lottano dentro la caserma.

Per questa prima categoria di "obiettori" l'antimilitarismo è quindi solo autodifesa da norme penali che, del resto, ben di rado vengono applicate a danno di chi rinuncia in partenza alla mobilitazione contro lo stesso apparato che le ha volute e si incarica di farle rispettare! L'interesse è invece rivolto in maniera esclusiva alle contraddizioni presenti nell'organizzazione sociale e in teoria si esalta un "processo di trasformazione complessiva" che dovrebbe muoversi in armonia con una visione "socialista" della futura società, non meglio definita ma che senza dubbio non è quella antistatalista. Difatti la dinamica politica all'interno della Lega, cui aderiscono molti addetti in servizio civile, ci dà con tutta evidenza il senso dell'orientamento più generale, che è quello di un progressivo, ma veloce, distacco dai già celebrati, in un passato affatto lontano, organismi e realtà "di base" o di movimento (cui si sarebbero davvero potute proporre e sviluppare con successo ipotesi d'intervento antiautoritario nel sociale) per andare a collocarsi sempre più, e in tempi proporzionalmente stretti, nell'area politica controllata dalla logica autoritaria delle istituzioni del governo locale, con una preferenza verso i comuni amministrati da giunte di sinistra, e dei sindacati confederali.

Numerose proposte in questo senso vengono avanzate dai collettivi regionali degli addetti al servizio civile e dagli stessi enti che intendono convenzionarsi con il Ministero; senza commenti se ne fornisce un piccolo e significativo campionario: "collegamento regionale tra le forze di polizia che lottano per la sindacalizzazione", "organizzazione di un centro culturale per militanti sindacali", "intervento nelle Unità di Servizio Sanitario Locale", "gestione sperimentale (?) dei Centri d'Incontro comunali nei quartieri cittadini", e via così. Non ci si deve meravigliare, dopo tutto, di fronte a proposte che arrivano a chiedere "la pianificazione del servizio civile regionale (previsto da una nuova legge che non è stata ancora approvata) con il Sindacato e l'Ente Regione" - si cambia padrone! - o venendo a sapere che obiettivo qualificante rimane "l'estensione delle richieste di obiettori da parte degli Enti Locali"!

Queste indicazioni non sono nient'altro che la scontata conseguenza di una precisa scelta di campo che ha avuto il suo atto iniziale nella disinvolta e repentina liquidazione (opportunista) delle originali tematiche legate alla lotta contro l'istituzione militare, che aveva visto l'impegno diretto e militante dei primi gruppi di obiettori antimilitaristi, anche negli anni immediatamente successivi all'approvazione della legge. Oggi è rilevante il numero di "obiettori" che, nei fatti, appoggia la linea della subordinazione della questione militare al mutamento dei rapporti di potere fra le forze politiche, rimandando l'analisi del ruolo di gendarme proprio dei corpi armati ad una data imprecisata, e comunque "dopo la caduta dell'ordine sociale borghese che li legittima"! Nel frattempo ci si nasconde dietro dichiarazioni ottimiste circa un presunto processo organico di democratizzazione della struttura militare che, in verità, più che degli atti di fede hanno il valore di esorcismi; nella più benigna delle ipotesi si arriva a caldeggiare la costituzione di "autonomi gruppi di specifico intervento antimilitarista" che canalizzerebbero l'attivismo affatto forzoso degli eventuali (ma ce ne saranno ancora in giro?) obiettori antimilitaristi.

Le difficoltà pratiche

A chiusura del quadro d'insieme, affrontato nelle sue grandi linee per ragioni di spazio, si imporrebbe un'analisi dettagliata delle singole esperienze che si collocano nel solco di questa prima impostazione ideale del servizio civile, per verificarne non solo la misura di una loro immediata utilità sociale, che senza dubbio anche in particolari attività puramente assistenziali può essere non irrilevante (dandosene però un giudizio su parametri umanitari), quanto piuttosto il grado di innovazione profonda che esse portano nella realtà che le ha viste operanti.

Bene, il dato comune alla maggior parte di esse, a giudizio di chi scrive, è l'incapacità di costruire un'efficace alternativa alla gestione delegata degli organismi istituzionali; difficoltà che nasce proprio dai limiti fatalmente imposti a chi si deve "muovere" rispettando gli schemi rigidi, quasi fisiologici, delle strutture già definite (nelle loro funzioni, nei criteri di gestione,...). Incapacità che, del resto, porta l'obiettore ad essere un elemento che "distribuisce" oppure organizza il servizio alla comunità, ma non ha in pratica influenza sulla determinazione della sua "qualità sociale"; la ricercata funzione di controllo attivo viene di norma limitata dalla gestione burocratica che non può a lungo tollerare l'addetto che ne contesti l'esistenza o, quanto meno, l'oggettivo compito di freno. Il richiamo alla disciplina e ad un maggior rispetto dei tempi e della volontà dei politici che governano l'ente diventa perciò il segno che caratterizza il periodo di servizio civile di quegli obiettori che non rinunciano ad esercitare il diritto di critica nei confronti dell'operato dell'istituto e tentano invece di crearsi uno spazio interno per costruire un personale discorso di opposizione. All'estremo si arriva all'atto di denuncia inoltrato alla superiore autorità del Ministero della Difesa di quanti "tengono condotta incompatibile con le finalità dell'ente cui sono assegnati" (art.6), formula assai vaga e di elastica interpretazione ma che prevede il decadimento dal "beneficio" (!) di usufruire del servizio civile. Ci sono ancora situazioni che vedono la discriminazione di un singolo obiettore antiautoritario giustificata dalla "richiesta di una disponibilità diversa da quella che lei, per le sue convinzioni ideologiche, è in grado di garantire"!

Un impegno possibile

A questo punto, ci si può giustamente chiedere se la pratica dei s.c. offra più qualche possibile sbocco che non sia il riformismo socialdemocratico della politica istituzionale della sinistra: la risposta credo possa essere discretamente positiva e mi riporto all'altra linea di tendenza presente tra gli obiettori, che ha però una sempre minor applicazione pratica e riscuote i consensi della modesta frazione di compagni che si riconoscono in una concezione dell'iniziativa antimilitarista simile o riconducibile a quella anarchica.

Questa ipotesi di lavoro considera inaccettabile il rinvio della lotta contro il militarismo, intesa non certo riduttivamente come sola contestazione della leva obbligatoria, ma al contrario sottolinea l'opportunità favorevole, per il concorrere di cause che ne facilitano la traduzione in pratica, di fare del servizio civile un periodo di intervento militante diretto, continuo, politico per sua stessa natura, contro i pericoli della militarizzazione del territorio, dell'uso funzionale dei corpi armati in senso socialresponsabile dell'ordine pubblico, contro i progetti avanzati di sviluppo massivo del nucleare, ecc. Impegno che non si pone affatto in conflitto con una parallela attività nel sociale che privilegi il rapporto con quelle realtà extraistituzionali, magari perché non ancora possedute dal Potere, dove si ritenga possibile lo sviluppo di un'iniziativa che tenda al superamento radicale degli ostacoli che si frappongono alla più libera espressione del diritto alla libertà, che è di ogni essere umano.

Elementi più precisi di valutazione e ulteriori indicazioni critiche potranno venire, ancora, da un confronto diretto delle diverse esperienze di lavoro interessanti gli obiettori antimilitaristi in servizio civile che si rifanno al metodo antiautoritario nella prassi quotidiana, ed è davvero auspicabile una quanto più prossima continuazione dell'analisi iniziata con queste note.