Rivista Anarchica Online
La parola ai reduci
a cura della Redazione
Il '68 ha prodotto anche un nuovo personaggio: il leader studentesco. Capace di
galvanizzare le assemblee, di vomitare fiumi di parole, di giocare sui termini, questa
figura, oggi un po' appannata, ha esercitato un ruolo non indifferente nel clima di
effervescenza della rivolta giovanile, nella riscoperta di una nuova politica e di una
nuova vita. Il nostro giudizio politico su questi "compagni" non può che essere negativo, ma ciò non
toglie che la loro testimonianza sia un elemento utile per la migliore comprensione di
quell'evento. Ad Andrea Valcarenghi, Luigi Bobbio, Aldo Ricci e Paolo Flores d'Arcais,
ognuno rappresentante di una realtà diversa, abbiamo posto le seguenti domande:
1) Qual è stato, a tuo parere, l'aspetto più qualificante del '68?
2) Alla luce dell'esperienza di questi ultimi anni non pensi che la ventata antiautoritaria e
libertaria espressa nelle prime fasi del '68 sia stata soffocata proprio dai mini-partiti che
pretendevano rappresentare e organizzare una realtà più complessa e articolata?
3) Quali sono le differenze tra il movimento del '68 e quello attuale?
Andrea Valcarenghi
Swami Deva Maijd (per le burocrazie Andrea Valcarenghi), 1964 iscritto al PSIUP, 1966
partecipa ad Onda Verde, '67 '68 alla Statale di Milano dà vita con un collettivo di base al
periodico "Gli studenti alla città" stroncato al secondo numero dalla burocrazia delMS.
1971 partecipa alla fondazione di "Re Nudo" a cui tuttoggi collabora. 1978 promuove e si
occupa principalmente del settore libri di "Re Nudo".
1) Il "fare politica" in prima persona, rifiutando la delega e gli apparati.
2) La politica è tornata immediatamente dopo il '68 ad essere pratica separata ed alienata,
parallelamente al riformarsi delle nuove burocrazie. La base teorica che ha permesso la
restaurazione all'interno del movimento è stato il leninismo nelle sue varianti staliniste
favorita dall'illusione del miraggio maoista.
3) Consentitemi di rimandare al mio "Non contate su di noi" pubblicato da poco
dall'arcana. Mi è del resto difficile rispondere in dieci righe a questa domanda. Vorrei
aggiungere invece che ancora una volta la base teorica che sta permettendo la
restaurazione dieci anni dopo è ancora quella leninista sia pure nella nuova variante
"autonoma".
Se non vogliamo trovarci nell'88 ad essere colti di sorpresa dovremmo portare alle
estreme conseguenze la critica al marxismo e all'anarchismo così come si sono sviluppati
nella pratica e nell'ideologia e tornare alla radice dell'uomo che non è la struttura ma
l'uomo stesso. È la storia che continua a schiaffeggiarci insegnandoci che qualsiasi
comunista di "buone intenzioni teoriche" nel momento in cui diventa parte del potere e
della burocrazia si trasforma in mostro. E questo è successo e succede non solo nel
macrocosmo degli stati a socialismo realizzato, ma nel microcosmo anche e soprattutto
della pratica politica di ogni militante. Sia prima che dopo, quindi, della presa del potere, e
cioè, di essersi fatto prendere dal potere. Per questo oggi ho deciso di partire dall'uomo e
dal mutamento immediato e radicale del microcosmo. Qui e ora, nel presente e rifiutando
l'eterno riferirsi al passato e al futuro. Sapremo noi marxiani libertari, anarco-proletari (e
così via) sfuggire all'ennesimo miraggio delle nuove ideologie (o religioni) a lavorare per la
trasformazione radicale dell'individuo, nel sociale e non nel Tibet?
Luigi Bobbio
Luigi Bobbio, 34 anni. Prende parte nel '67-'68 al movimento studentesco nell'Università
di Torino (Palazzo Campana). Nel 1969, durante le lotte alla Fiat Mirafiori, partecipa alla
formazione di Lotta Continua, in cui milita fino al 1976.
1) L'aspetto principale dei nuovi movimenti che sorgono alla fine degli anni '60 è quello di
riproporre il problema della rivoluzione nei paesi dell'Occidente capitalistico, in una
situazione in cui sembrava essersi affermato il mito dello sviluppo capitalistico senza crisi e
dell'integrazione della classe operaia. Sollecitato dalle lotte rivoluzionarie dei popoli del
Terzo Mondo, il '68 riapre, in modo diretto, le contraddizioni all'interno delle stesse
metropoli imperialiste, attraverso soggetti sociali che si pongono in modo antagonistico
rispetto al sistema. Ma la maggiore novità sta nel fatto che i protagonisti di questo
processo di rottura sono soggetti sociali diversi dalla classe operaia tradizionale: da una
parte gli studenti, dall'altra (soprattutto in Italia) gli operai senza mestiere delle grandi
fabbriche. Entrambi si collocano oggettivamente al di fuori di quella tradizione del
movimento operaio che si era consolidata attraverso la Terza Internazionale (da Lenin, a
Stalin, a Togliatti) e sono portatori di interessi ed esigenze in aperta contraddizione con
essa (p.es. il rifiuto del lavoro capitalistico, l'egualitarismo).
2) L'interpretazione che voi proponete mi sembra semplicistica e un po' fuorviante. I
contenuti libertari e antiautoritari che erano stati alla base del '68, non potevano da soli
costituire la forza del movimento negli anni successivi. In realtà la rottura provocata dal
'68 aveva innescato processi di trasformazione che andavano ben al di là dei ristretti strati
sociali che l'avevano promossa (investendo il movimento sindacale, le istituzioni e, più in
generale, gli stessi rapporti di potere). Oggettivamente c'era la necessità di gestire le
conseguenze che quello scossone aveva generato e questo comportava organizzazione,
tattica, linea politica. Sottrarsi a questo compito avrebbe significato lasciar disperdere i
contenuti strategici del '68 o regalare quell'immensa forza ai partiti riformisti. I gruppi
della nuova sinistra sono nati per rispondere a questo bisogno. Certamente lo hanno fatto
male, in modo inadeguato, riproducendo chiusure, settarismi, dogmatismi. Ritengo molto
utile cercare di capire perché partendo da una esigenza giusta (e in larga misura
inevitabile) si sia giunti a commettere gravi errori di stile, di lavoro, e di linea politica (e
per far questo bisognerebbe ripercorrere il cammino delle organizzazioni che sono molto
diverse fra di loro e non possono essere etichettate in blocco come "minipartiti"). Non
serve, invece, cercare di eludere il problema sostenendo (come spesso oggi viene fatto)
che lo "spirito" del '68 doveva essere preservato tale e quale, perché questo, oltre a essere
storicamente impossibile, tende ad alimentare l'idea di un Sessantotto mitico che, in quella
forma, non è mai esistito.
3) Il '68 si è sviluppato in un momento di generale espansione della lotta di classe sia sul
piano internazionale, sia in Italia. Gli studenti del '68 andavano davanti alle fabbriche non
perché fossero ideologicamente convinti della centralità operaia (qualcuno anche), ma
perché "sentivano" che la lotta avrebbe potuto estendersi alle fabbriche, che c'erano le
condizioni per un allargamento dello scontro (che infatti c'è stato).
Il movimento del '77 nasce invece in un quadro internazionale chiuso e in un periodo in cui
la borghesia ha ripreso in pieno la sua offensiva contro una classe operaia notevolmente
indebolita. I nuovi movimenti riprendono, così, i temi libertari del '68, ma in una situazione
di maggiore isolamento e cioè senza avere la prospettiva di generalizzarli. Ne consegue
una maggiore radicalità (il che è positivo, pensiamo solo al femminismo), ma anche la
tendenza all'autodistruzione delle azioni armate oppure al ripiegamento su se stessi,
all'intimismo, alla chiusura nel personale. Così il giusto rifiuto per un certo tipo di politica,
finisce per trasformarsi in rassegnazione; l'esigenza positiva di mettere l'accento sul
personale, finisce per portare con sé una pericolosa rinuncia alle trasformazioni collettive.
Aldo Ricci
Aldo Ricci è stato uno dei protagonisti della facoltà di sociologia di Trento - durante i
"caldi anni" - dove si è laureato. In seguito ha condotto una ricerca sociologica e
fotografica negli Stati Uniti. È uscito in questi giorni presso la SugarCo il suo ultimo libro:
I Giovani non sono piante. Un'inchiesta sul "movimento" dei giovani partita da Trento nel
1968 ed approdata - via Cuba, Berkeley, Pechino, Hollywood - al Convegno di Bologna
del 1977.
1) Il '68 è stato il tentativo di innestare lo straordinario con il collettivo: Marx con
Nietzsche. Prima, in occidente, l'esplorazione dello straordinario era un fatto privato,
individuale, patrimonio esclusivo di un'élite: l'avanguardia. Nietzsche ne è la massima
riflessione. Zarathustra da una parte ed il gregge, la massa dall'altra. Noi siamo andati
oltre. Il '68 è stata un'esperienza che ha consentito di realizzare una fusione (esaltante?) tra
questi due poli. Per questo è stato un momento importante, il nostro momento, ma anche
un'epoca come tante altre, come un 18, un 48 o un 78.... I modelli erano addirittura Cuba
e la Cina, ma in fondo fu una grande rappresentazione che consentì a moltissimi se non a
tutti di sentirsi importanti, protagonisti almeno di un grande gioco liberatorio. Tutto il
resto è ideologia che ci hanno messo sopra perché nulla spaventa più i detentori del potere
di una liber/azione collettiva anche soltanto ludica.
2) Sono perfettamente d'accordo non solo per il riflusso seguito al '68 ma sopra a tutto per
l'attuale impasse del movimento oggi. Crisi dovuta essenzialmente a chi - sia nell'ambito
dei mini-partiti che in quello delle organizzazioni extraparlamentari - si è illuso e continua
imperterrito a pretendere di interpretare, s/piegare, cambiare questa società (comunque
brandello del sistema occidentale) con una metodologia marxista-leninista semplificata fino
al manicheismo religioso ed ormai disadatta anche ai contesti del III o IV mondo.
3) Troppe per enumerarle tutte. La principale è la seguente. Nel '68 tutta la leadership del
movimento studentesco italiano era cattolica. Quando i parlamentini studenteschi furono
spazzati via dalla contestazione l'elemento marxista e quello cattolico - fino ad allora
separati nell'UGI (sinistra) ed INTESA (cattolici) - si fusero e la componente cattolico-marxista egemonizzò ferocemente il movimento studentesco, costringendo ai margini le
istanze laiche che pure c'erano ed erano forti. Oggi queste istanze si esprimono
prepotentemente nella così/detta ala creativa che oltre ad essere quantitativamente
maggioritaria è qualitativamente l'unica credibile alternativa alle frange militanti, armate &
deliranti di cui le B.R. detengono il primato pubblicitar-spettacolare. Non dimentichiamo
che Curcio è uscito proprio da Trento dove la matrice cattolico-marxista fu sempre
fortissima e condizionante, per nulla estranea alle scelte pratiche che Curcio ha fatto
successivamente. Mixage cattolico-marxista - è inutile negarlo, e, soprattutto, è inutile lo
neghino i comunisti - di cui le B.R. sono l'appendice naturale.
Oggi questo connubio dio-marx è sempre presente ma non è più egemonico in un
"movimento" che se presenta in/credibili sfaccettature trova comunque un comun
denominatore nella dissacrazione progressiva di ogni forma di dogmatismo. Così il Grande
Raduno di Bologna del '77 è riuscito a squarciare il sinistro sipario del revival monista-leninista anacronisticamente calato su uno scenario troppo spettacolare per r/esistervi a
lungo.
Oggi, anche se già due lustri ci separano dalla mitica annata, il '68 è sempre al centro del
di/battito. Se ne continua a parlare, a discutere, a scrivere percorrendo e ripercorrendo
tutta la tastiera dei toni possibili ed in/immaginabili.
Sta di fatto che il '68 è morto!
Non solo perché lo dico io ma soprattutto perché sta scritto su un muro di quel prototipo
di Gulag modello, già noto con il nome di Bologna. Quella scritta, ormai graffite s/torico,
epigrafe del mio libro e di altri, probabilmente epitaffio sacro & profano, anche tombale se
posta all'apice dell'estrema dimora di qualche celebre Tanghero bolognese, dice:
Il '68 è morto, viva il '78!
Paolo Flores d'Arcais
Nato nel 1944, Paolo Flores d'Arcais si iscrive al P.C.I. nel 1963 e ricopre incarichi di
direzione nel settore studentesco. Nel 1967 viene espulso per frazionismo. Nel 1968 si
dimette dalla IV Internazionale trotzkista. È uno degli animatori del movimento degli
studenti, sia a Roma che in incontri nazionali. Partecipa al maggio di Parigi. Oggi milita
nel PSI.
1) L'ambiguità. Che è cosa diversa dalla compresenza e/o scontro fra due linee. Ogni
contenuto critico in cui il movimento si esprimeva, conteneva due aspetti, in realtà
inconciliabili. Ma di questa inconciliabilità ci si è accorti solo in seguito. La critica della
cultura accademica e "baronale" era svolta per alcuni in nome di una cultura "critica", cioè
sia di un accorgimento culturale che di una apertura della cultura alle tematiche politiche.
Per altri, in nome del rifiuto della cultura tout court perché separata, e quindi borghese.
Per i primi era richiesta di più cultura e più qualificata, per gli altri volontà di distruzione
di ogni sapere che non fosse quello "proletario" (che non è mai stato positivamente
definito). La critica del burocratismo della sinistra per un verso significava critica della
"mancanza" di democrazia, quindi radicale antistalinismo. Per un altro era invece critica
della democrazia in sé, come manipolazione comunque borghese, quindi strumento del
nemico di classe. E gli esempi si potrebbero moltiplicare.
2) Sì. Quanto alla realtà più "complessa e articolata", è un'espressione che non significa
nulla. La realtà del movimento del '68 non era complessa e articolata ma ambivalente. Non
credo che i mini-partiti abbiano soffocato la spinta libertaria e antiautoritaria perché hanno
voluto l'organizzazione. Non credo cioè che lo spontaneismo, la condizione magmatica,
mai formalizzata, potesse costituire un'alternativa. Credo invece che per molti
antiautoritarismo non significasse "più democrazia" cioè più formalismo e più garanzie per
i singoli, come avrebbe dovuto essere. I mini-partiti hanno voluto l'organizzazione, e senza
organizzazione non ci può essere democrazia. Ma l'hanno voluta leninista, ponendo l'unità
quale valore supremo. Il loro preteso libertarismo si è rovesciato in pratica totalitaria,
proprio in virtù dello spregio verso il "garantismo". Così si è passati da un "peronismo"
assembleare, fondato sul potere carismatico di chi domina le assemblee, al leninismo di
apparato. Seguendo il filo rosso dell'intolleranza verso possibili minoranze organizzate.
3) Quello attuale è lo sviluppo, univoco e in forme degenerate, di uno dei due lati,
incompatibili, di quello del '68. Il lato antidemocratico, intollerante, violento, stalinista. E
che può far valere legittimamente la sua discendenza dal '68, poiché vuole realizzare nella
pratica lo slogan "lo Stato borghese si abbatte e non si cambia". Senza però dire con quale
altra forma istituzionale di convivenza intenda sostituire lo Stato "borghese", e se per
borghese debba intendersi l'insieme di meccanismi di garanzia e di (parziale ma pur
esistente) controllo democratico, o non piuttosto il fatto che tali meccanismi siano
insufficienti e da potenziare. Nel qual caso, come è ovvio, lo slogan andrebbe rovesciato:
lo Stato borghese si cambia e non si abbatte. Che è, a mio modo di vedere l'unica
posizione rivoluzionaria che non porti in sé lo stalinismo o altre forme di totalitarismo.
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