Rivista Anarchica Online
Mai 68
a cura della Redazione
Il maggio '68 è una data, un evento, un'esplosione, una rivolta a cui facciamo sempre
riferimento, quasi fosse divenuto il termine di paragone per valutare le cose che facciamo
oggi. Certo in quel breve lasso di tempo furono scompigliate le tradizioni, si reinventò (o si
credette di reinventare) la vita e la politica. Dopo anni di asfissiante pace sociale la rivolta
degli studenti di Nanterre si allargò a macchia d'olio mettendo in crisi certezze,
consuetudini, valori. Tutto veniva rimesso in discussione: ore e ore di assemblee, di
collettivi, di seminari, di scontri con la polizia. La rivoluzione sembrava alle porte, bastava
allungare la mano e l'avremmo fatta nostra. Quante illusioni, ma anche quante nuove
certezze. Oggi, dopo dieci anni, caduti i miti, cadute le certezze, rimane solo il sapore un po' acre
del dubbio. La fantasia ha lasciato il posto alla tristezza, la "voglia di cambiare" alla
"voglia di arrangiarsi". Forse non è neanche tanto vero che il '68 fu così mitico come ce lo
rappresentiamo nei ricordi, ma il gusto della rivolta è stato comunque dolcissimo, anche se
ci ha lasciato la bocca amara. Cos'è stato, dunque, il '68? Non siamo andati alla ricerca del tempo perduto; abbiamo invece voluto registrare
impressioni, valutazioni, critiche, analisi da chi ha vissuto quel periodo e anche da chi non
lo ha vissuto per cercare di capire il passato (anche se prossimo) e vedere se, in questo
modo, possiamo meglio comprendere il presente.
Quel maggio a Parigi...
Cosa è rimasto e cosa si è dissolto di quel mitico maggio parigino? Quali forme di lotta
si sono sviluppate in dieci anni? Il movimento ha trovato una direttiva o si è disperso in
mille rivoli personalistici? Queste e cento altre domande ci affollano la mente mentre
scendiamo alla Gare de Lyon, mentre attraversiamo Rue Gay de Lussac, teatro di scontri
e di barricate, mentre telefoniamo ai compagni e ci diamo appuntamento in un circolo
del quartiere latino.
Incontriamo quattro compagni che vissero direttamente e che furono tra i protagonisti
della rivolta studentesca ed operaia: Jean-Pierre Duteuil, Christian Lagant, Jean-Jacques Label e Claude Orsoni.
Da quali esperienze politiche provenivate quando siete "approdati" sulle barricate del
maggio '68? La rivolta è stata preceduta da fatti rivendicativi oppure è stata una
fiammata improvvisa e indispensabile?
Jean-Jacques - Io ho sempre avuto tendenze libertarie pur non avendo mai fatto parte di
gruppi anarchici né di nessun'altra organizzazione per precisa scelta, a differenza degli altri
tre compagni qui presenti. Ho conosciuto giovanissimo Christian tramite un amico comune
(André Breton) al tempo in cui Noir et Rouge era ancora ciclostilato e avevo forti simpatie
per l'anarchismo ma, come molti giovani, credevo che anche l'anarchismo facesse parte
della politica e il mondo della politica fosse un universo molto lontano da noi, riservato a
persone "speciali". Ho cominciato a militare durante la guerra di Algeria ed è stata
un'esperienza importante perché all'epoca gli anarchici erano veramente la minoranza della
minoranza, erano l'Ultra sinistra. Per me è impossibile parlare obiettivamente del maggio
perchè è stata l'esperienza più importante della mia vita anche se non so spiegare
razionalmente il perché. Di fatto ha cambiato completamente la mia concezione della vita,
del mondo, del lavoro, ha cambiato i miei rapporti personali e sociali con gli altri. Negli
anni '65 '67 ero in una crisi profonda di identità: ero quel che si dice un artista ma ero
incapace di svolgere questo ruolo e mi sentivo molto male. La mia rivolta era ancora
molto individuale e non mi rendevo conto che questa impossibilità di accettare un ruolo
sociale esisteva per moltissimi altri giovani di altre categorie sociali: studenti o operai.
Credo che sia stata una sorpresa per tutti ritrovarsi nel maggio, in un movimento enorme
che trascendeva completamente dalla nostra individualità, che non dirigevamo in nessun
modo ma al cui interno ci si realizzava individualmente come mai era successo prima. In
quel momento ci siamo resi conto che noi non eravamo dei "devianti" individuali, e che
l'unione di tutte le nostre devianze costituiva una volontà collettiva di rottura totale col
sistema.
Christian - Io a quel tempo avevo quarant'anni, lavoravo in una tipografia come correttore
di bozze e militavo in un piccolo gruppo anarchico che si chiamava Noir et Rouge
operante da circa dieci anni e che pubblicava un suo giornale.
Bisogna dire che l'inverno '67 '68 era stato particolarmente disastroso per tutta la sinistra,
sembrava che la pace sociale non dovesse finire mai, che non ci fosse alcuna prospettiva
per i rivoluzionari. Era l'epoca in cui i giornali borghesi scrivevano: "La Francia si annoia",
la polizia da anni non reprimeva più, era senza lavoro, perché non c'era niente da
reprimere. Nelle poche manifestazioni precedenti il maggio '68 tutte le parole d'ordine
erano di importazione tedesca, si parlava di Rudy Deutche, dei movimenti antiautoritari
tedeschi.
Per questo io, come tutti gli altri compagni, non mi aspettavo minimamente quello che
doveva succedere.
Jean-Pierre - Io ho cominciato a militare cinque o sei anni prima del maggio '68 nel
movimento antinucleare. Ho poi conosciuto le idee anarchiche e sono entrato a far parte
del movimento. Direi che per me sia la guerra di Algeria che il movimento contro la guerra
nel Vietnam non sono stati determinanti perché la mia formazione politica mi portava a
non essere d'accordo con i movimenti nazionalisti.
All'epoca ero studente a Nanterre e, per puro caso fortunato, all'università di Nanterre vi
erano diversi altri compagni anarchici (all'epoca era rarissimo trovare in una stessa
situazione più di un anarchico) e così è stato possibile formare nel 1965 un gruppo
anarchico locale formato da studenti e lavoratori e portare avanti un'attività non solo a
livello di idee ma anche di lotte.
Per me quindi il maggio non è stato che la logica conseguenza dell'attività che già facevo
prima a Nanterre anche se poi, durante il maggio si è verificata una grossa rottura a livello
personale.
Jean-Jacques - Per quanto mi riguarda ho cominciato a capire che qualcosa si stava
preparando con i fatti di Nanterre. A quel tempo lavoravo con il Living Theatre e
leggevamo sui giornali che i compagni anarchici a Nanterre facevano "casino". Non li
conoscevamo ancora ma eravamo già molto vicino a loro, allo spirito con cui si
muovevano. Quando poi nel '67 sono stato a Nanterre e li ho conosciuti, ci siamo scontrati
inizialmente, perché bisogna dire che vedevano con diffidenza tutti coloro che non erano
studenti come loro. D'altra parte Nanterre era un punto di riferimento non solo per la
Francia.
Un altro sintomo è stato il movimento contro la guerra nel Vietnam e la manifestazione
che si è tenuta a Berlino nel febbraio 1968 che praticamente era già una specie di mini-movimento 22 marzo nel senso che c'erano trotzkisti, maoisti, anarchici che dimenticavano
di litigare tra di loro per combattere contro la polizia.
E poi la lotta dei lavoratori della Saviem (fabbrica di camion della Renault), con scontri
con la polizia molto violenti, ci ha fatto percepire che la violenza stava generalizzandosi.
Claude - Io a quel tempo non militavo ed ero una persona qualunque. Facevo il professore
in una facoltà e vivevo in una specie di incoscienza, al di fuori della realtà e degli
avvenimenti. Dovevo poi scoprire, anche durante il maggio, che le persone nella mia stessa
situazione erano molte. Anche durante le manifestazioni più dure non ci rendevamo conto
che altre ne sarebbero seguite, non percepivamo più ogni momento come parte di un
processo. Li vivevamo e basta. Di giorno in giorno vedevamo quello che era successo
precedentemente e che non avevamo compreso o scelto e ci trovavamo nell'impossibilità di
prevedere gli sviluppi dei giorni successivi.
Quindi uno degli aspetti più positivi era proprio la spontaneità della gente, una spontaneità
cieca, si era "posseduti" dal movimento.
Credo però che gli aspetti più importanti si siano evidenziati negli anni successivi al '68.
Uno di questi aspetti è stato che la gente ha dovuto scegliere di stare da una parte o
dall'altra tra due posizioni tra cui non vi sono compromessi possibili; e questa scelta di
campo è sintomo certamente di un movimento sociale. Un altro aspetto importante è che
col maggio francese si è avviato un processo evolutivo dello Stato. Infatti se durante il
maggio una gran parte del movimento era cieco, anche lo stato e i suoi apparati repressivi
lo erano ed è da quel momento che lo stato ha capito che non doveva tollerare la
manifestazione o le barricate. Si può dire che da allora lo stato arcaico ha cominciato ad
organizzarsi in tutta l'Europa divenendo sempre più organizzato e repressivo.
Alla luce della vostra esperienza di lotta nel maggio '68, quali sono stati a vostro avviso
gli aspetti più qualificanti e significativi di questo movimento?
Jean-Jacques - A mio avviso uno degli aspetti più importanti è stato l'abbattimento delle
barriere tra i diversi gruppi sociali poiché io credo che il capitalismo moderno può
continuare a funzionare più o meno in stato di crisi permanente sociale, culturale,
personale, economica, solo se i gruppi sociali e gli individui restano separati. Per me
quindi il maggio non è stato tanto importante per le ideologie, i discorsi, i segni
spettacolari quanto per le piccole cose difficilmente visibili che poi si sono trasformate in
funzionamento sociale e questa riunificazione di vari gruppi sociali permette la
circolazione di idee attraverso il corpo sociale. Questo fenomeno, per coloro che hanno
vissuto il periodo antecedente al maggio, è stato molto importante e storicamente nuovo.
Vorrei solo aggiungere una cosa sui sintomi del maggio. In America, in Inghilterra, in
Olanda, in Giappone, in Germania ci sono stati negli anni precedenti dei movimenti
giovanili: c'era una nuova musica, dei nuovi modi di vivere, una nuova cultura che molto
spesso nasceva nella piccola borghesia ma anche nei giovani operai. C'era ovunque nei
giovani di qualunque classe sociale un forte desiderio di cambiare la vita.
Christian - Non sono d'accordo su tutto quello che hai detto. È vero, ed è la cosa che più
mi ha stupito, che durante il maggio per la prima volta la gente ha cominciato a parlare, a
discutere e che al quartiere latino non c'erano solo gli studenti ma c'era gente di tutte le età
e diverse classi sociali che cercavano di capirsi e di capire. Ma non credo si possa
sostenere che le barriere sono state abbattute. C'è stata una comunicazione che prima non
esisteva ma non c'è stata rottura delle divisioni sociali, linguaggi diversi, culture diverse.
Quello che invece a mio parere è stato più significativo sono le idee seminate allora e che
oggi continuano a vivere: il problema della donna, i diversi tipi di sfruttamento, l'ecologia,
le lotte marginali, la sessualità. È nato col '68 un nuovo modo di concepire la vita e, per
noi, militanti, il problema di una militanza più rispondente ai tempi.
Jean-Pierre - L'insegnamento importante del '68 è che la gente faccia quello che ha voglia
di fare senza lasciarsi condizionare da considerazioni strategiche. Un altro, è che la storia
non aiuta la comprensione degli avvenimenti sociali che non si possono mai prevedere e si
possono analizzare solo a posteriori. Il maggio quindi mi ha portato a una diversa
concezione della storia, a una rottura completa col marxismo e con le concezioni
marxisteggianti di certo anarchismo. La seconda cosa molto importante per me è che il
movimento di rivolta è morto solo nei suoi aspetti spettacolari ma ha continuato a vivere
nella coscienza della gente.
Jean-Jacques - Vorrei aggiungere che nel maggio si è compreso un fatto importante: le
cose veramente valide nella vita e nella storia sono quelle che accadono al di fuori dei
partiti, dei sindacati, delle istituzioni. Inoltre voglio ribadire che i movimenti di massa
sfuggono alla ragione, alla spiegazione razionale che comunque è sempre riduttrice e non
può cogliere l'essenza delle esperienze vissute. Il maggio e stato anche un momento di
isteria collettiva. Moltissimi giovani sono stati per due settimane o due mesi "gauchistes"
per poi rifluire nel grigiore della mediocrità. È un problema inspiegabile quello della
psicologia di massa, ma che bisogna tenere presente perché così come nel maggio migliaia
e migliaia di giovani sono stati attirati magneticamente dalla rivoluzione, così avrebbero
potuto esserlo dal nazismo, dal fascismo.
Jean-Pierre - A me sembra che esista a livello assolutamente inconscio una specie di
memoria collettiva in tutti i movimenti di rivolta, prova ne sia che le barricate erette nel
maggio '68 sono state fatte proprio negli stessi punti dov'erano state costruite durante la
Comune, durante la liberazione di Parigi, ecc.. Bisogna anche dire che questi fenomeni
sono certamente molto più complessi di quanto non possano apparire e sono difficilmente
comprensibili. Non a caso molto spesso i progetti rivoluzionari sorpassano notevolmente
la pratica quotidiana mentre a volte, come nel maggio, la pratica quotidiana di gente cieca
sorpassa e di molto qualsiasi progetto rivoluzionario.
Quali sono state a vostro avviso le cause del riflusso del movimento del '68?
Jean-Pierre - Io penso che non vi sia stato nessun riflusso. Il fatto che a giugno-luglio sia
terminata la fase spettacolare non significa affatto né una crisi né una sconfitta, salvo che si
voglia sovrastimare quello che è accaduto in maggio, salvo che si pensi al maggio come a
un movimento rivoluzionario, cosa completamente assurda perché quel movimento era
interclassista. Ciò che è accaduto nel maggio è stata una rottura a livello di progetto
politico tra diverse categorie sociali. Di collettivo esisteva soltanto la volontà di rivolta, il
desiderio di cambiare una quantità di cose mentre dopo il '68 abbiamo visto una serie di
progetti corrispondenti ad altrettante categorie sociali. Se quindi noi consideriamo il '68
solo come una peripezia interessante, come una prova che dei momenti rivoluzionari sono
ancora possibili, lo smitizziamo e ci rendiamo conto che è stato solo un momento in cui si
sono concentrate aspirazioni, desideri, idee.
Jean-Jacques - Ma nel maggio vi è anche stato il più grande sciopero generale nella storia
del capitalismo moderno...
Christian - È vero, ma bisogna smitizzare un poco anche questo perché gli operai nelle
fabbriche non scioperavano per precisa scelta politica di classe, o meglio, non tutti. Molti
lo facevano per imitare gli studenti, per fare del cinema. È possibile che in seguito vi sia
stata una presa di coscienza profonda, ma non bisogna sottovalutare l'aspetto lucido e
sognatore che ha caratterizzato tutto il maggio.
Claude - Sono d'accordo con te sulla necessità di fare chiarezza anche sullo sciopero
generale. Bisogna dire che prima è scesa in sciopero una minoranza al di fuori e contro le
parole d'ordine dei sindacati e quindi lo sciopero è divenuto generale solo quando i
sindacati lo hanno voluto. Ma la cosa importante è che quei lavoratori che in quel periodo
avevano vissuto e scoperto relazioni, rapporti umani e di cooperazione qualitativamente
diversi e inimmaginabili prima del maggio, anche dopo si sforzano di praticare un nuovo
modo di vivere.
Jean-Jacques - Tornando alle cause della fine del movimento direi che non vi è stata una
caduta ma una trasformazione che ha portato da una fase concentrata di lotta a una fase
diffusa.
Questo mi sembra un può voler deformare la realtà. È vero o no che alla fine di giugno
la lotta era già un ricordo, tutto era svanito. Come è stato possibile?
Christian - È verissimo, come è vero che nei mesi di settembre-ottobre e per diversi anni
tutta la sinistra ha continuato a versare lacrime sulla fine del maggio come sulla fine di una
illusione. Perché di fatto il maggio è stato anche un sogno per coloro che l'hanno fatto e
quando questo sogno si è scontrato con la realtà (l'intervento delle istituzioni partitiche e
sindacali da un lato e dall'altro il rendersi conto che continuava ad esistere una media
borghesia reazionaria e gollista che ha dato vita a una manifestazione enorme) per molti la
soluzione è stata quella di andarsene in vacanza, lasciando vincere lo stato e le istituzioni,
dimostrando in questo modo quanto in realtà il movimento fosse fragile. La gran massa
della gente si è recata a votare e questa è stata la rivincita delle elezioni sulle barricate,
sulla presa di coscienza che si era avuta.
Jean-Jacques - Non si considererà mai abbastanza il ruolo giocato dal P.C.F. in quella
occasione, un ruolo di partito d'ordine, di partito della normalizzazione.
Quali sono le differenze tra il movimento di dieci anni fa e quello attuale?
Claude - Innanzitutto bisogna dire che tutti i gruppuscoli organizzati esistenti nel maggio
hanno dimostrato di non essere assolutamente adeguati ad affrontare e ad intervenire
fattivamente in un movimento di rivolta che pure aspettavano da anni, compreso il
movimento anarchico ufficiale. Chi invece ha avuto un ruolo significativo sono stati i
piccoli gruppi sconosciuti. Un altro fenomeno importante è che dopo il maggio molti
compagni hanno cominciato a militare passando a grande velocità per una serie di gruppi
per arrivare a concludere di non aver trovato quello che cercavano.
Jean-Pierre - Direi che la differenza tra il militante pre-sessantottesco e quello attuale
consiste nel fatto che il primo era molto più ideologico, propagandava delle idee mentre
ora il militante è piuttosto qualcuno che tenta di avere un rapporto tra le sue idee e una
trasformazione sociale concreta, perché è dentro molto di più nelle lotte sociali.
Come osservatore esterno l'impressione che io ho del movimento anarchico francese è
che vi sia una tendenza a sopravvivere, a pensare ai propri problemi personali, a fare le
cose piacevoli ma che non vi sia attività all'interno delle situazioni sociali.
Jean-Pierre - Io penso che queste cose non si possono notare dall'esterno perché non
danno frutti nell'immediato. Nella classe operaia, e in particolare nel settore dei servizi, è
in corso un processo evolutivo molto importante; ci sono state lotte molto dure in questi
ultimi anni (la Banque Nationale de Paris - le poste - gli agricoltori) che sono andate
probabilmente molto più lontano di quanto non si possa immaginare. Ed è anche
estremamente importante dire che i sindacati fanno molta più fatica ora ad arrestare tutte
queste lotte che nascono al di fuori di loro di quanta non ne abbiano fatta per arrestare il
maggio '68. Certo si tratta di lotte particolari, non collegate tra di loro, ma comunque
sono significative perché dimostrano una crescita qualitativa della classe operaia.
Cosa è rimasto, in positivo o in negativo, di quelle lotte? C'è un patrimonio del maggio
ancora presente nelle lotte attuali?
Jean-Pierre - Una cosa importante che è rimasta del maggio è la convinzione che non è
inutile agitarsi. Inoltre dal maggio sono passati solo dieci anni e per i giovani o per coloro
che non l'hanno vissuto è comunque una cosa sempre viva e presente non è ancora storia
fredda e lontana. Oltre a questo i temi sviluppati nel maggio sono continuamente presenti
anche all'interno delle burocrazie: nella CFDT il tema dell'autogestione, nel P.S. il tema
"cambiare la vita". Ritroviamo il maggio in quel conflitto perpetuo tra il movimento che
porta avanti dei temi e le forze sociali che tentano di recuperarli. Quello che c'è di nuovo
rispetto al maggio '68 è la rapidità con cui il recupero viene effettuato. Ritroviamo dunque
le parole d'ordine del '68 nelle istituzioni ed è chiaro che se sono obbligati a parlarne e a
farle proprie è perché queste tematiche corrispondono a delle aspirazioni reali.
Jean-Jacques - Sono d'accordo con te, ma il maggio '68 è anche presente nelle istituzioni e
negli apparati politici come un incubo, uno spettro da esorcizzare. Ad esempio alla CFDT
(io sono stato costretto a rimanere nella CFDT per tre anni) sono ossessionati notte e
giorno dal fantasma del maggio per cui a chiunque in una riunione sindacale faccia una
proposta un po' meno che ragionevole si risponde "ma cosa credi, non siamo nel maggio
'68!". E questa paura io credo sia pienamente giustificata da parte delle burocrazie varie
perché se tornerà un altro maggio '68, si presenterà certamente sotto altre forme ma in
ogni caso sarà l'esplosione di una quantità enorme di energie che oggi sono presenti ma
ancora sotterranee.
Claude - Non credo che vi sia un patrimonio cosciente. Credo piuttosto che le persone che
si ricordano del maggio e ci pensano siano un po' al di fuori della realtà presente e quindi
se c'è si tratta di un patrimonio negativo. Per quanto riguarda le istituzioni è verissimo
quello che è stato detto ma a livello di gente che lotta contro il potere non si fa per niente
riferimento al maggio. L'immagine delle istituzioni del P.C.F., dei sindacati, evidenziatasi
nel maggio, è rimasta ed è stata recepita dalla gente, anche quella che ignora tutto del '68,
anche se è politicamente vergine. La paura della manipolazione e la diffidenza verso i
leaders sono oggi sentimenti spontanei sviluppatisi grazie anche al '68. Può sembrare
poco, ma è senza dubbio un elemento positivo.
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