Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 8 nr. 65
aprile 1978


Rivista Anarchica Online

Mai 68
a cura della Redazione

Il maggio '68 è una data, un evento, un'esplosione, una rivolta a cui facciamo sempre riferimento, quasi fosse divenuto il termine di paragone per valutare le cose che facciamo oggi.
Certo in quel breve lasso di tempo furono scompigliate le tradizioni, si reinventò (o si credette di reinventare) la vita e la politica. Dopo anni di asfissiante pace sociale la rivolta degli studenti di Nanterre si allargò a macchia d'olio mettendo in crisi certezze, consuetudini, valori. Tutto veniva rimesso in discussione: ore e ore di assemblee, di collettivi, di seminari, di scontri con la polizia. La rivoluzione sembrava alle porte, bastava allungare la mano e l'avremmo fatta nostra. Quante illusioni, ma anche quante nuove certezze.
Oggi, dopo dieci anni, caduti i miti, cadute le certezze, rimane solo il sapore un po' acre del dubbio. La fantasia ha lasciato il posto alla tristezza, la "voglia di cambiare" alla "voglia di arrangiarsi". Forse non è neanche tanto vero che il '68 fu così mitico come ce lo rappresentiamo nei ricordi, ma il gusto della rivolta è stato comunque dolcissimo, anche se ci ha lasciato la bocca amara.
Cos'è stato, dunque, il '68?
Non siamo andati alla ricerca del tempo perduto; abbiamo invece voluto registrare impressioni, valutazioni, critiche, analisi da chi ha vissuto quel periodo e anche da chi non lo ha vissuto per cercare di capire il passato (anche se prossimo) e vedere se, in questo modo, possiamo meglio comprendere il presente.

Quel maggio a Parigi...

Cosa è rimasto e cosa si è dissolto di quel mitico maggio parigino? Quali forme di lotta si sono sviluppate in dieci anni? Il movimento ha trovato una direttiva o si è disperso in mille rivoli personalistici? Queste e cento altre domande ci affollano la mente mentre scendiamo alla Gare de Lyon, mentre attraversiamo Rue Gay de Lussac, teatro di scontri e di barricate, mentre telefoniamo ai compagni e ci diamo appuntamento in un circolo del quartiere latino.

Incontriamo quattro compagni che vissero direttamente e che furono tra i protagonisti della rivolta studentesca ed operaia: Jean-Pierre Duteuil, Christian Lagant, Jean-Jacques Label e Claude Orsoni.

Da quali esperienze politiche provenivate quando siete "approdati" sulle barricate del maggio '68? La rivolta è stata preceduta da fatti rivendicativi oppure è stata una fiammata improvvisa e indispensabile?

Jean-Jacques - Io ho sempre avuto tendenze libertarie pur non avendo mai fatto parte di gruppi anarchici né di nessun'altra organizzazione per precisa scelta, a differenza degli altri tre compagni qui presenti. Ho conosciuto giovanissimo Christian tramite un amico comune (André Breton) al tempo in cui Noir et Rouge era ancora ciclostilato e avevo forti simpatie per l'anarchismo ma, come molti giovani, credevo che anche l'anarchismo facesse parte della politica e il mondo della politica fosse un universo molto lontano da noi, riservato a persone "speciali". Ho cominciato a militare durante la guerra di Algeria ed è stata un'esperienza importante perché all'epoca gli anarchici erano veramente la minoranza della minoranza, erano l'Ultra sinistra. Per me è impossibile parlare obiettivamente del maggio perchè è stata l'esperienza più importante della mia vita anche se non so spiegare razionalmente il perché. Di fatto ha cambiato completamente la mia concezione della vita, del mondo, del lavoro, ha cambiato i miei rapporti personali e sociali con gli altri. Negli anni '65 '67 ero in una crisi profonda di identità: ero quel che si dice un artista ma ero incapace di svolgere questo ruolo e mi sentivo molto male. La mia rivolta era ancora molto individuale e non mi rendevo conto che questa impossibilità di accettare un ruolo sociale esisteva per moltissimi altri giovani di altre categorie sociali: studenti o operai. Credo che sia stata una sorpresa per tutti ritrovarsi nel maggio, in un movimento enorme che trascendeva completamente dalla nostra individualità, che non dirigevamo in nessun modo ma al cui interno ci si realizzava individualmente come mai era successo prima. In quel momento ci siamo resi conto che noi non eravamo dei "devianti" individuali, e che l'unione di tutte le nostre devianze costituiva una volontà collettiva di rottura totale col sistema.

Christian - Io a quel tempo avevo quarant'anni, lavoravo in una tipografia come correttore di bozze e militavo in un piccolo gruppo anarchico che si chiamava Noir et Rouge operante da circa dieci anni e che pubblicava un suo giornale.

Bisogna dire che l'inverno '67 '68 era stato particolarmente disastroso per tutta la sinistra, sembrava che la pace sociale non dovesse finire mai, che non ci fosse alcuna prospettiva per i rivoluzionari. Era l'epoca in cui i giornali borghesi scrivevano: "La Francia si annoia", la polizia da anni non reprimeva più, era senza lavoro, perché non c'era niente da reprimere. Nelle poche manifestazioni precedenti il maggio '68 tutte le parole d'ordine erano di importazione tedesca, si parlava di Rudy Deutche, dei movimenti antiautoritari tedeschi.

Per questo io, come tutti gli altri compagni, non mi aspettavo minimamente quello che doveva succedere.

Jean-Pierre - Io ho cominciato a militare cinque o sei anni prima del maggio '68 nel movimento antinucleare. Ho poi conosciuto le idee anarchiche e sono entrato a far parte del movimento. Direi che per me sia la guerra di Algeria che il movimento contro la guerra nel Vietnam non sono stati determinanti perché la mia formazione politica mi portava a non essere d'accordo con i movimenti nazionalisti.

All'epoca ero studente a Nanterre e, per puro caso fortunato, all'università di Nanterre vi erano diversi altri compagni anarchici (all'epoca era rarissimo trovare in una stessa situazione più di un anarchico) e così è stato possibile formare nel 1965 un gruppo anarchico locale formato da studenti e lavoratori e portare avanti un'attività non solo a livello di idee ma anche di lotte.

Per me quindi il maggio non è stato che la logica conseguenza dell'attività che già facevo prima a Nanterre anche se poi, durante il maggio si è verificata una grossa rottura a livello personale.

Jean-Jacques - Per quanto mi riguarda ho cominciato a capire che qualcosa si stava preparando con i fatti di Nanterre. A quel tempo lavoravo con il Living Theatre e leggevamo sui giornali che i compagni anarchici a Nanterre facevano "casino". Non li conoscevamo ancora ma eravamo già molto vicino a loro, allo spirito con cui si muovevano. Quando poi nel '67 sono stato a Nanterre e li ho conosciuti, ci siamo scontrati inizialmente, perché bisogna dire che vedevano con diffidenza tutti coloro che non erano studenti come loro. D'altra parte Nanterre era un punto di riferimento non solo per la Francia.

Un altro sintomo è stato il movimento contro la guerra nel Vietnam e la manifestazione che si è tenuta a Berlino nel febbraio 1968 che praticamente era già una specie di mini-movimento 22 marzo nel senso che c'erano trotzkisti, maoisti, anarchici che dimenticavano di litigare tra di loro per combattere contro la polizia.

E poi la lotta dei lavoratori della Saviem (fabbrica di camion della Renault), con scontri con la polizia molto violenti, ci ha fatto percepire che la violenza stava generalizzandosi.

Claude - Io a quel tempo non militavo ed ero una persona qualunque. Facevo il professore in una facoltà e vivevo in una specie di incoscienza, al di fuori della realtà e degli avvenimenti. Dovevo poi scoprire, anche durante il maggio, che le persone nella mia stessa situazione erano molte. Anche durante le manifestazioni più dure non ci rendevamo conto che altre ne sarebbero seguite, non percepivamo più ogni momento come parte di un processo. Li vivevamo e basta. Di giorno in giorno vedevamo quello che era successo precedentemente e che non avevamo compreso o scelto e ci trovavamo nell'impossibilità di prevedere gli sviluppi dei giorni successivi.

Quindi uno degli aspetti più positivi era proprio la spontaneità della gente, una spontaneità cieca, si era "posseduti" dal movimento.

Credo però che gli aspetti più importanti si siano evidenziati negli anni successivi al '68. Uno di questi aspetti è stato che la gente ha dovuto scegliere di stare da una parte o dall'altra tra due posizioni tra cui non vi sono compromessi possibili; e questa scelta di campo è sintomo certamente di un movimento sociale. Un altro aspetto importante è che col maggio francese si è avviato un processo evolutivo dello Stato. Infatti se durante il maggio una gran parte del movimento era cieco, anche lo stato e i suoi apparati repressivi lo erano ed è da quel momento che lo stato ha capito che non doveva tollerare la manifestazione o le barricate. Si può dire che da allora lo stato arcaico ha cominciato ad organizzarsi in tutta l'Europa divenendo sempre più organizzato e repressivo.

Alla luce della vostra esperienza di lotta nel maggio '68, quali sono stati a vostro avviso gli aspetti più qualificanti e significativi di questo movimento?

Jean-Jacques - A mio avviso uno degli aspetti più importanti è stato l'abbattimento delle barriere tra i diversi gruppi sociali poiché io credo che il capitalismo moderno può continuare a funzionare più o meno in stato di crisi permanente sociale, culturale, personale, economica, solo se i gruppi sociali e gli individui restano separati. Per me quindi il maggio non è stato tanto importante per le ideologie, i discorsi, i segni spettacolari quanto per le piccole cose difficilmente visibili che poi si sono trasformate in funzionamento sociale e questa riunificazione di vari gruppi sociali permette la circolazione di idee attraverso il corpo sociale. Questo fenomeno, per coloro che hanno vissuto il periodo antecedente al maggio, è stato molto importante e storicamente nuovo. Vorrei solo aggiungere una cosa sui sintomi del maggio. In America, in Inghilterra, in Olanda, in Giappone, in Germania ci sono stati negli anni precedenti dei movimenti giovanili: c'era una nuova musica, dei nuovi modi di vivere, una nuova cultura che molto spesso nasceva nella piccola borghesia ma anche nei giovani operai. C'era ovunque nei giovani di qualunque classe sociale un forte desiderio di cambiare la vita.

Christian - Non sono d'accordo su tutto quello che hai detto. È vero, ed è la cosa che più mi ha stupito, che durante il maggio per la prima volta la gente ha cominciato a parlare, a discutere e che al quartiere latino non c'erano solo gli studenti ma c'era gente di tutte le età e diverse classi sociali che cercavano di capirsi e di capire. Ma non credo si possa sostenere che le barriere sono state abbattute. C'è stata una comunicazione che prima non esisteva ma non c'è stata rottura delle divisioni sociali, linguaggi diversi, culture diverse. Quello che invece a mio parere è stato più significativo sono le idee seminate allora e che oggi continuano a vivere: il problema della donna, i diversi tipi di sfruttamento, l'ecologia, le lotte marginali, la sessualità. È nato col '68 un nuovo modo di concepire la vita e, per noi, militanti, il problema di una militanza più rispondente ai tempi.

Jean-Pierre - L'insegnamento importante del '68 è che la gente faccia quello che ha voglia di fare senza lasciarsi condizionare da considerazioni strategiche. Un altro, è che la storia non aiuta la comprensione degli avvenimenti sociali che non si possono mai prevedere e si possono analizzare solo a posteriori. Il maggio quindi mi ha portato a una diversa concezione della storia, a una rottura completa col marxismo e con le concezioni marxisteggianti di certo anarchismo. La seconda cosa molto importante per me è che il movimento di rivolta è morto solo nei suoi aspetti spettacolari ma ha continuato a vivere nella coscienza della gente.

Jean-Jacques - Vorrei aggiungere che nel maggio si è compreso un fatto importante: le cose veramente valide nella vita e nella storia sono quelle che accadono al di fuori dei partiti, dei sindacati, delle istituzioni. Inoltre voglio ribadire che i movimenti di massa sfuggono alla ragione, alla spiegazione razionale che comunque è sempre riduttrice e non può cogliere l'essenza delle esperienze vissute. Il maggio e stato anche un momento di isteria collettiva. Moltissimi giovani sono stati per due settimane o due mesi "gauchistes" per poi rifluire nel grigiore della mediocrità. È un problema inspiegabile quello della psicologia di massa, ma che bisogna tenere presente perché così come nel maggio migliaia e migliaia di giovani sono stati attirati magneticamente dalla rivoluzione, così avrebbero potuto esserlo dal nazismo, dal fascismo.

Jean-Pierre - A me sembra che esista a livello assolutamente inconscio una specie di memoria collettiva in tutti i movimenti di rivolta, prova ne sia che le barricate erette nel maggio '68 sono state fatte proprio negli stessi punti dov'erano state costruite durante la Comune, durante la liberazione di Parigi, ecc.. Bisogna anche dire che questi fenomeni sono certamente molto più complessi di quanto non possano apparire e sono difficilmente comprensibili. Non a caso molto spesso i progetti rivoluzionari sorpassano notevolmente la pratica quotidiana mentre a volte, come nel maggio, la pratica quotidiana di gente cieca sorpassa e di molto qualsiasi progetto rivoluzionario.

Quali sono state a vostro avviso le cause del riflusso del movimento del '68?

Jean-Pierre - Io penso che non vi sia stato nessun riflusso. Il fatto che a giugno-luglio sia terminata la fase spettacolare non significa affatto né una crisi né una sconfitta, salvo che si voglia sovrastimare quello che è accaduto in maggio, salvo che si pensi al maggio come a un movimento rivoluzionario, cosa completamente assurda perché quel movimento era interclassista. Ciò che è accaduto nel maggio è stata una rottura a livello di progetto politico tra diverse categorie sociali. Di collettivo esisteva soltanto la volontà di rivolta, il desiderio di cambiare una quantità di cose mentre dopo il '68 abbiamo visto una serie di progetti corrispondenti ad altrettante categorie sociali. Se quindi noi consideriamo il '68 solo come una peripezia interessante, come una prova che dei momenti rivoluzionari sono ancora possibili, lo smitizziamo e ci rendiamo conto che è stato solo un momento in cui si sono concentrate aspirazioni, desideri, idee.

Jean-Jacques - Ma nel maggio vi è anche stato il più grande sciopero generale nella storia del capitalismo moderno...

Christian - È vero, ma bisogna smitizzare un poco anche questo perché gli operai nelle fabbriche non scioperavano per precisa scelta politica di classe, o meglio, non tutti. Molti lo facevano per imitare gli studenti, per fare del cinema. È possibile che in seguito vi sia stata una presa di coscienza profonda, ma non bisogna sottovalutare l'aspetto lucido e sognatore che ha caratterizzato tutto il maggio.

Claude - Sono d'accordo con te sulla necessità di fare chiarezza anche sullo sciopero generale. Bisogna dire che prima è scesa in sciopero una minoranza al di fuori e contro le parole d'ordine dei sindacati e quindi lo sciopero è divenuto generale solo quando i sindacati lo hanno voluto. Ma la cosa importante è che quei lavoratori che in quel periodo avevano vissuto e scoperto relazioni, rapporti umani e di cooperazione qualitativamente diversi e inimmaginabili prima del maggio, anche dopo si sforzano di praticare un nuovo modo di vivere.

Jean-Jacques - Tornando alle cause della fine del movimento direi che non vi è stata una caduta ma una trasformazione che ha portato da una fase concentrata di lotta a una fase diffusa.

Questo mi sembra un può voler deformare la realtà. È vero o no che alla fine di giugno la lotta era già un ricordo, tutto era svanito. Come è stato possibile?

Christian - È verissimo, come è vero che nei mesi di settembre-ottobre e per diversi anni tutta la sinistra ha continuato a versare lacrime sulla fine del maggio come sulla fine di una illusione. Perché di fatto il maggio è stato anche un sogno per coloro che l'hanno fatto e quando questo sogno si è scontrato con la realtà (l'intervento delle istituzioni partitiche e sindacali da un lato e dall'altro il rendersi conto che continuava ad esistere una media borghesia reazionaria e gollista che ha dato vita a una manifestazione enorme) per molti la soluzione è stata quella di andarsene in vacanza, lasciando vincere lo stato e le istituzioni, dimostrando in questo modo quanto in realtà il movimento fosse fragile. La gran massa della gente si è recata a votare e questa è stata la rivincita delle elezioni sulle barricate, sulla presa di coscienza che si era avuta.

Jean-Jacques - Non si considererà mai abbastanza il ruolo giocato dal P.C.F. in quella occasione, un ruolo di partito d'ordine, di partito della normalizzazione.

Quali sono le differenze tra il movimento di dieci anni fa e quello attuale?

Claude - Innanzitutto bisogna dire che tutti i gruppuscoli organizzati esistenti nel maggio hanno dimostrato di non essere assolutamente adeguati ad affrontare e ad intervenire fattivamente in un movimento di rivolta che pure aspettavano da anni, compreso il movimento anarchico ufficiale. Chi invece ha avuto un ruolo significativo sono stati i piccoli gruppi sconosciuti. Un altro fenomeno importante è che dopo il maggio molti compagni hanno cominciato a militare passando a grande velocità per una serie di gruppi per arrivare a concludere di non aver trovato quello che cercavano.

Jean-Pierre - Direi che la differenza tra il militante pre-sessantottesco e quello attuale consiste nel fatto che il primo era molto più ideologico, propagandava delle idee mentre ora il militante è piuttosto qualcuno che tenta di avere un rapporto tra le sue idee e una trasformazione sociale concreta, perché è dentro molto di più nelle lotte sociali.

Come osservatore esterno l'impressione che io ho del movimento anarchico francese è che vi sia una tendenza a sopravvivere, a pensare ai propri problemi personali, a fare le cose piacevoli ma che non vi sia attività all'interno delle situazioni sociali.

Jean-Pierre - Io penso che queste cose non si possono notare dall'esterno perché non danno frutti nell'immediato. Nella classe operaia, e in particolare nel settore dei servizi, è in corso un processo evolutivo molto importante; ci sono state lotte molto dure in questi ultimi anni (la Banque Nationale de Paris - le poste - gli agricoltori) che sono andate probabilmente molto più lontano di quanto non si possa immaginare. Ed è anche estremamente importante dire che i sindacati fanno molta più fatica ora ad arrestare tutte queste lotte che nascono al di fuori di loro di quanta non ne abbiano fatta per arrestare il maggio '68. Certo si tratta di lotte particolari, non collegate tra di loro, ma comunque sono significative perché dimostrano una crescita qualitativa della classe operaia.

Cosa è rimasto, in positivo o in negativo, di quelle lotte? C'è un patrimonio del maggio ancora presente nelle lotte attuali?

Jean-Pierre - Una cosa importante che è rimasta del maggio è la convinzione che non è inutile agitarsi. Inoltre dal maggio sono passati solo dieci anni e per i giovani o per coloro che non l'hanno vissuto è comunque una cosa sempre viva e presente non è ancora storia fredda e lontana. Oltre a questo i temi sviluppati nel maggio sono continuamente presenti anche all'interno delle burocrazie: nella CFDT il tema dell'autogestione, nel P.S. il tema "cambiare la vita". Ritroviamo il maggio in quel conflitto perpetuo tra il movimento che porta avanti dei temi e le forze sociali che tentano di recuperarli. Quello che c'è di nuovo rispetto al maggio '68 è la rapidità con cui il recupero viene effettuato. Ritroviamo dunque le parole d'ordine del '68 nelle istituzioni ed è chiaro che se sono obbligati a parlarne e a farle proprie è perché queste tematiche corrispondono a delle aspirazioni reali.

Jean-Jacques - Sono d'accordo con te, ma il maggio '68 è anche presente nelle istituzioni e negli apparati politici come un incubo, uno spettro da esorcizzare. Ad esempio alla CFDT (io sono stato costretto a rimanere nella CFDT per tre anni) sono ossessionati notte e giorno dal fantasma del maggio per cui a chiunque in una riunione sindacale faccia una proposta un po' meno che ragionevole si risponde "ma cosa credi, non siamo nel maggio '68!". E questa paura io credo sia pienamente giustificata da parte delle burocrazie varie perché se tornerà un altro maggio '68, si presenterà certamente sotto altre forme ma in ogni caso sarà l'esplosione di una quantità enorme di energie che oggi sono presenti ma ancora sotterranee.

Claude - Non credo che vi sia un patrimonio cosciente. Credo piuttosto che le persone che si ricordano del maggio e ci pensano siano un po' al di fuori della realtà presente e quindi se c'è si tratta di un patrimonio negativo. Per quanto riguarda le istituzioni è verissimo quello che è stato detto ma a livello di gente che lotta contro il potere non si fa per niente riferimento al maggio. L'immagine delle istituzioni del P.C.F., dei sindacati, evidenziatasi nel maggio, è rimasta ed è stata recepita dalla gente, anche quella che ignora tutto del '68, anche se è politicamente vergine. La paura della manipolazione e la diffidenza verso i leaders sono oggi sentimenti spontanei sviluppatisi grazie anche al '68. Può sembrare poco, ma è senza dubbio un elemento positivo.