Rivista Anarchica Online
Noi, gli altri e il 1984
di L. L.
Se c'è un aspetto particolarmente irritante in tutta la "vicenda Moro", questo è
rappresentato dalla faccia di merda degli stalinisti anni-quaranta che sputano veleno sui
loro figli delle B.R.. Con una tracotanza rivestita di disquisizioni politico-sociologiche i
"reduci" della lotta armata partigiana lanciano anatemi e scomuniche contro chi oggi
pratica la lotta armata.
È sintomatico che proprio dal settore stalinista della resistenza vengano mossi gli attacchi
più violenti per accentuare ad ogni costo le differenze. Il parallelo, infatti, è fin troppo
facile, fin troppo evidente perché non si cerchi di prevenirlo con torrenti di invettive e di
accuse contro chi oggi ripropone la stessa strategia. Certo ci sono delle grosse differenze
tra la lotta armata di ieri e quella attuale, ma le più significative riguardano più i contesti
storico-sociali che la logica interna e l'ideologia.
Allora il regime fascista era in una crisi profonda, aveva i giorni contati e aveva perso
quella capacità di mobilitazione che l'aveva caratterizzato negli anni trenta; oggi il regime
democristiano-comunista, pur con tutte le sue carenze e contraddizioni, è capace di
coinvolgere le masse su quella che viene definita "la difesa dell'ordine repubblicano", tanto
che la guerriglia delle B.R. non riesce a trovare adesione se non in ristrette frange della
sinistra rivoluzionaria.
È un luogo comune, ma pur sempre vero, che la storia la scrivono i vincitori e quelli che i
fascisti di allora definivano "i criminali dei G.A.P." sono oggi divenuti i "fulgidi eroi della
resistenza", e l'attentato di Via Rasella (che portò all'eccidio delle Fosse Ardeatine) una
pietra miliare della nostra storia post-resistenziale. L'attentato di Via Fani, invece, viene
oggi presentato come un'azione criminale. La storia è scritta dai vincitori: Trombadori,
allora attentatore e consapevole delle ritorsioni che sarebbero seguite al suo gesto, è oggi
giudice implacabile, quanto goffo ed isterico, dei suoi nipotini della "nuova resistenza".
Nulla vieta di supporre che se, in via ipotetica, le B.R. divenissero classe dominante, la
storia verrebbe reinterpretata, i ruoli si capovolgerebbero e l'attentato di Via Fani sarebbe
ricordato come un momento glorioso della lotta contro il regime dello "stato imperialista
delle multinazionali". Questa è naturalmente una ipotesi, poiché è chiaro che allo stato
attuale l'aspirazione dei brigatisti a divenire "nuovi padroni" è destinata a non realizzarsi
data la loro ancor esigua forza militare e l'ancor più scarso seguito di massa.
Accantonato quindi il problema di un cambio di regime (che data l'ideologia delle B.R.,
sarebbe ancora più autoritario di quello attuale) resta da considerare il tipo di risposta che
il potere, in tutte le sue componenti, ha saputo dare a questo attacco diretto ad uno dei
suoi membri più in vista. Sarà bene precisare subito che non c'è stata quella dura
repressione poliziesca che molti piagnoni lamentano. Certo Roma è stata invasa da
poliziotti, posti di blocco in continuazione, perquisizioni e fermi, ma in definitiva più una
grande messinscena che una vera repressione. D'altro canto cosa ci aspettavamo da uno
stato cui è stata dichiarata guerra? Uno scappellotto e un bonario rimprovero? Siamo seri,
non si può pensare di fare la rivoluzione o di condurre lotte illegali senza che il nemico ci
reprima e più duramente di quanto non faccia oggi.
L'aspetto più drammatico di tutta la vicenda consiste nel fatto che non è tanto la
repressione poliziesca a colpire rivoluzionari, quanto il consenso degli sfruttati al regime di
sfruttamento. È la gente comune, quella che prende il tram al mattino, che guarda la
televisione alla sera, cioè la maggioranza, che soffoca le minoranze ribelli con
l'emarginazione, con l'indifferenza, con l'esclusione. Questa è la repressione vera e più
dura, alla quale non si sfugge, contro la quale non possiamo fare le "campagne
antirepressione".
I promotori di questa crociata antirivoluzionaria sono i sindacati, i partiti di sinistra, cioè
quelle forze che con un lungo e paziente lavoro sono riuscite a conquistarsi la fiducia della
gente coadiuvati dalla propaganda martellante e astuta dei mass-media che agiscono più
sull'emotività che sulla ragione. Quindi, quelli che sono pur sempre gli interlocutori dei
rivoluzionari ci hanno, di fatto, ricacciato in una società parallela nella quale viviamo
consumando cibi, vestiti, amicizie, amori che crediamo essere diversi e che invece sono
maledettamente uguali ai loro. Grosso dramma questo. Essere sostanzialmente non capiti e
separati dalla gente con la quale, in fondo, abbiamo in comune le stesse debolezze, lo
stesso conformismo, la stessa paura del nuovo, anche se di segno diverso.
Rompere questo cerchio asfissiante è sempre più difficile, ma è anche sempre più
impellente. Se le linee di tendenza non vengono quanto meno ostacolate nel giro di pochi
anni ci ritroveremo in una società altamente repressiva perché la stragrande maggioranza
delle persone saranno asservite in modo partecipato, pronte a reprimere il diverso, il
rivoluzionario che turba l'ordine nuovo instaurato da P.C.I. e sindacati.
Evitare il problema scegliendo la lotta armata può essere una soluzione personale, forse
più gratificante, ma che in sostanza mostra un completo disinteresse per la gente e che
porta a posizioni elitarie incondivisibili da qualsiasi anarchico. Certo la filosofia del "vivere
un giorno da leoni" è affascinante, ma la rivoluzione è un'altra cosa.
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