Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 8 nr. 65
aprile 1978


Rivista Anarchica Online

Noi, gli altri e il 1984
di L. L.

Se c'è un aspetto particolarmente irritante in tutta la "vicenda Moro", questo è rappresentato dalla faccia di merda degli stalinisti anni-quaranta che sputano veleno sui loro figli delle B.R.. Con una tracotanza rivestita di disquisizioni politico-sociologiche i "reduci" della lotta armata partigiana lanciano anatemi e scomuniche contro chi oggi pratica la lotta armata.

È sintomatico che proprio dal settore stalinista della resistenza vengano mossi gli attacchi più violenti per accentuare ad ogni costo le differenze. Il parallelo, infatti, è fin troppo facile, fin troppo evidente perché non si cerchi di prevenirlo con torrenti di invettive e di accuse contro chi oggi ripropone la stessa strategia. Certo ci sono delle grosse differenze tra la lotta armata di ieri e quella attuale, ma le più significative riguardano più i contesti storico-sociali che la logica interna e l'ideologia.

Allora il regime fascista era in una crisi profonda, aveva i giorni contati e aveva perso quella capacità di mobilitazione che l'aveva caratterizzato negli anni trenta; oggi il regime democristiano-comunista, pur con tutte le sue carenze e contraddizioni, è capace di coinvolgere le masse su quella che viene definita "la difesa dell'ordine repubblicano", tanto che la guerriglia delle B.R. non riesce a trovare adesione se non in ristrette frange della sinistra rivoluzionaria.

È un luogo comune, ma pur sempre vero, che la storia la scrivono i vincitori e quelli che i fascisti di allora definivano "i criminali dei G.A.P." sono oggi divenuti i "fulgidi eroi della resistenza", e l'attentato di Via Rasella (che portò all'eccidio delle Fosse Ardeatine) una pietra miliare della nostra storia post-resistenziale. L'attentato di Via Fani, invece, viene oggi presentato come un'azione criminale. La storia è scritta dai vincitori: Trombadori, allora attentatore e consapevole delle ritorsioni che sarebbero seguite al suo gesto, è oggi giudice implacabile, quanto goffo ed isterico, dei suoi nipotini della "nuova resistenza".

Nulla vieta di supporre che se, in via ipotetica, le B.R. divenissero classe dominante, la storia verrebbe reinterpretata, i ruoli si capovolgerebbero e l'attentato di Via Fani sarebbe ricordato come un momento glorioso della lotta contro il regime dello "stato imperialista delle multinazionali". Questa è naturalmente una ipotesi, poiché è chiaro che allo stato attuale l'aspirazione dei brigatisti a divenire "nuovi padroni" è destinata a non realizzarsi data la loro ancor esigua forza militare e l'ancor più scarso seguito di massa.

Accantonato quindi il problema di un cambio di regime (che data l'ideologia delle B.R., sarebbe ancora più autoritario di quello attuale) resta da considerare il tipo di risposta che il potere, in tutte le sue componenti, ha saputo dare a questo attacco diretto ad uno dei suoi membri più in vista. Sarà bene precisare subito che non c'è stata quella dura repressione poliziesca che molti piagnoni lamentano. Certo Roma è stata invasa da poliziotti, posti di blocco in continuazione, perquisizioni e fermi, ma in definitiva più una grande messinscena che una vera repressione. D'altro canto cosa ci aspettavamo da uno stato cui è stata dichiarata guerra? Uno scappellotto e un bonario rimprovero? Siamo seri, non si può pensare di fare la rivoluzione o di condurre lotte illegali senza che il nemico ci reprima e più duramente di quanto non faccia oggi.

L'aspetto più drammatico di tutta la vicenda consiste nel fatto che non è tanto la repressione poliziesca a colpire rivoluzionari, quanto il consenso degli sfruttati al regime di sfruttamento. È la gente comune, quella che prende il tram al mattino, che guarda la televisione alla sera, cioè la maggioranza, che soffoca le minoranze ribelli con l'emarginazione, con l'indifferenza, con l'esclusione. Questa è la repressione vera e più dura, alla quale non si sfugge, contro la quale non possiamo fare le "campagne antirepressione".

I promotori di questa crociata antirivoluzionaria sono i sindacati, i partiti di sinistra, cioè quelle forze che con un lungo e paziente lavoro sono riuscite a conquistarsi la fiducia della gente coadiuvati dalla propaganda martellante e astuta dei mass-media che agiscono più sull'emotività che sulla ragione. Quindi, quelli che sono pur sempre gli interlocutori dei rivoluzionari ci hanno, di fatto, ricacciato in una società parallela nella quale viviamo consumando cibi, vestiti, amicizie, amori che crediamo essere diversi e che invece sono maledettamente uguali ai loro. Grosso dramma questo. Essere sostanzialmente non capiti e separati dalla gente con la quale, in fondo, abbiamo in comune le stesse debolezze, lo stesso conformismo, la stessa paura del nuovo, anche se di segno diverso.

Rompere questo cerchio asfissiante è sempre più difficile, ma è anche sempre più impellente. Se le linee di tendenza non vengono quanto meno ostacolate nel giro di pochi anni ci ritroveremo in una società altamente repressiva perché la stragrande maggioranza delle persone saranno asservite in modo partecipato, pronte a reprimere il diverso, il rivoluzionario che turba l'ordine nuovo instaurato da P.C.I. e sindacati.

Evitare il problema scegliendo la lotta armata può essere una soluzione personale, forse più gratificante, ma che in sostanza mostra un completo disinteresse per la gente e che porta a posizioni elitarie incondivisibili da qualsiasi anarchico. Certo la filosofia del "vivere un giorno da leoni" è affascinante, ma la rivoluzione è un'altra cosa.