Rivista Anarchica Online
Dal carcere di Favignana
di Un detenuto (di passaggio dal carcere di Cuneo)
Cari compagni,
mi trovo qui a Cuneo momentaneamente, perché vengo dalla Favignana.
Se fosse per me, in quel lager non ci ritornerei: lì si sta troppo male, ora poi che hanno trasferito le celle
in tante tombe penso che sia la disperazione di tutti. Se tra noi c'è qualcuno che soffre di esaurimento
nervoso, quello di sicuro si impicca. Prima che facessero queste tombe si stava un po' meglio: dove mi
trovavo io eravamo in venti disposti in tre cameroncini (due da tre e uno da cinque), il resto erano in
celle singole. Nella maggior parte delle celle singole non c'era nessuna finestra, l'aria passava per il
cancello che si affacciava in cortile. La mia cella era così composta da un letto, un armadietto, un tavolo
ed uno sgabello: il letto e l'armadietto erano fissati per terra. Appena si entrava nella cella a sinistra c'era
un divisorio che separava il gabinetto e il lavandino: c'era tanta umidità che ogni tanto venivano giù dei
pezzi di calcinaccio, la cella era larga due metri per quattro di lunghezza, era alta sette metri, sopra vi
passava la guardia: in tante celle singole e in un cameroncino da tre, c'era una specie di finestrella fatta
a botola, ogni tanto la guardia che si trovava nella cinta alzava la botola e guardava dentro per vedere
se tutto era in ordine: l'unico conforto che avevo era la televisione.
Come dissi, appena arrivati si stava un po' meglio, ci davano sei ore di aria; poi alla spesa si poteva
comprare quello che si voleva. Ma poi dal giorno che arrivò il generale Alberto Dalla Chiesa è cambiato
tutto: era venuto solamente per fare un'inchiesta su quella guardia che - si diceva - avrebbe progettato
di far fuggire tre miei compagni che poi invece non erano fuggiti, ma si erano nascosti dentro il carcere.
Da quel giorno molte cose sono cambiate, l'aria l'hanno diminuita a tre ore, un'ora e mezza alla mattina
ed un'ora e mezza al pomeriggio. All'aria ci aprono dieci alla volta, vengono in venti guardie e uno alla
volta ci fanno uscire dalle celle, chiudono il cancello e se ne vanno: nel passeggio restiamo solo noi, le
guardie restano dietro un cancello ad aspettare che finiamo l'aria, dopodiché aprono gli altri dieci. Così
pure il pomeriggio.
Alle quattro passa la conta e battono i cancelli visto che nella mia cella finestre non ne esistono e fino
all'indomani mattina non si parla più. Solo quando eravamo tutti nel cortile restavano due guardie
all'interno, ma la maggior parte erano delle carogne. Se gli chiedevi un favore ti rispondevano che non
erano i tuoi servi, non facevano che provocarci: alla spesa se ordinavi dello scatolame, piselli, pelati,
tonno, ecc., te lo mettevano in un contenitore di plastica, più di una bombola non potevi acquistare e
dovevi dare la bombola vuota; del resto come carne e pesce potevi acquistarne a volontà, però quando
ti portavano il conto ti venivano le vertigini: qualsiasi cosa tu comprassi costava il doppio che fuori,
anche se il vitto faceva schifo come del resto ha sempre fatto.
Se ti chiamavano per andare in matricola o dal dottore, che peraltro veniva quando si ricordava, eri
scortato da cinque guardie e nel tragitto venivi provocato, poi non ne parliamo. Al sabato, quando ci
spettava la doccia, ci aprivano a tre alla volta, naturalmente loro erano in dieci e come al solito nel
tragitto era tutta una provocazione: sapendo che tra noi c'era qualche politico, si mettevano a cantare
faccetta nera e ci insultavano. Naturalmente sia all'andata che al ritorno venivamo perquisiti, le docce
facevano schifo per la sporcizia, le piastrelle erano nere dalla rogna che avevano. Al massimo restavamo
sotto la doccia cinque minuti, mentre eri sotto la doccia ti facevano degli scherzi stupidi, se l'acqua era
calda te la mettevano fredda e intanto stavano lì a guardarti per tutto il tempo che restavi sotto la doccia.
Due volte alla settimana ci facevano la perquisizione alle celle e non vi dico quanti dispetti ci facevano.
Buttavano tutto per aria e ogni tanto spariva qualcosa: a me è stato portato via uno specchietto
regalatomi da mia moglie, al mio vicino di cella è sparito un tagliaunghie, ad un altro hanno portato via
una busta di tabacco da pipa e ad altri ancora sono spariti pacchetti di sigarette. Quei morti di fame
quello che gli veniva in mano portavano via.
Ora penso che devono aver aperto i bracci che avevano chiuso per metterli a posto, hanno costruito delle
vere gabbie per bestie feroci. Io le ho viste andando alla doccia: hanno diviso il passaggio in tanti
cortiletti, cioè ogni due celle singole hanno messo due muri e una porta in ferro, così si può vedere solo
il tuo compagno che è vicino alla tua cella e nessun altro. In ogni cella c'è un cancello di ferro ed una
porta blindata in ferro, così appena ti aprono il cancello e la porta sei subito all'aria; naturalmente sopra
hanno messo una grata costruita con del tondino grosso come un dito mignolo a forma di rete, ma
bisognerebbe vedere per credere. Solamente quando passavo e vedevo quello che stavano facendo mi
veniva la pelle d'oca pensando che anch'io dovrò passare per quelle celle. Spero sempre di non ritornarci,
anche perché lì è troppo umido e non c'è nemmeno il riscaldamento.
Il giorno prima che io partissi, alla sera venne una guardia a chiedermi libretto perché mi dovevano
chiudere i conti: era la guardia che poi mi avrebbe picchiato: quella sera non volevo prender sonno, il
perché non lo so neanch'io, ma avevo un presentimento come se qualcuno mi volesse fare qualcosa.
Comunque mi preparai la roba nella borsa e nello scatolone e mi misi a letto. Naturalmente presi sonno,
mi svegliai sentendo la voce di una guardia, lì per lì la guardai: erano in quattro e presi un po' di paura,
ma poi mi tranquillizzai subito. Uno di loro mi disse "lo sai che se in partenza" io gli risposi di si,
aspettavo che se ne fossero andati per alzarmi e cominciare a prepararmi, ma loro di lì non si mossero,
dovevo anche fare i miei bisogni ma con quelli davanti non potevo far niente. Mi alzai e cominciai a
vestirmi, mi lavai i denti e la faccia, mi detti una pettinata alla buona, presi la borsa e lo scatolone e seguii
i miei aguzzini.
Già appena fuori mi provocarono, io li lasciavo dire, mi portarono nella sala-colloqui, appena dentro io
stavo appoggiando lo scatolone e la borsa sul tavolo quando uno di loro mi disse "No, vieni qui, che
saremo più comodi". Io non capii quello che loro avevano in mente, presi la mia roba e andai lì, stavano
tirando fuori la roba dallo scatolone, quando io chiesi ad uno di loro se per favore mi potesse trovare
un pezzo di spago. La guardia non aspettava che questo, mi disse "cosa credi che sono un calzolaio".
Io non risposi, questi mi venne vicino e mi ordinò con tono da infame di spogliarmi; io gli dissi "ma
guarda che quando mi stavo vestendo c'erano i tuoi colleghi, ma questi mi disse "spogliati!". Feci per
spogliarmi che subito mi arrivò una scarica di pugni, io non reagii perché mi avrebbero ammazzato di
botte. Due guardie, che erano lì dopo che questo mi dette la scarica di pugni, gli saltarono addosso e gli
dissero "adesso basta". Il bastardo che mi aveva messo le mani addosso li guardò, come per dire "cosa
fate?". Allora quelli lo lasciarono e lui cominciò di nuovo a provocarmi, mi diceva di tutto "sei un
guappo di cartone, reagisci e ricordati che se hai la sfortuna di venire ancora qua devi fare la pecora, se
no ti leverò la barba un pelo alla volta". Io lo guardavo fisso negli occhi come per dirgli che mi faceva
pena, poi mi portarono in un'altra stanza perché insieme a me doveva venire un altro compagno; a lui
però gli andò peggio, perché aveva reagito e così lo avevano riempito di botte. Aveva un graffio alle
orecchie e dei piccoli segni sul volto, perché quei gran figli di gran donna picchiavano sul corpo.
Spero di non ritornare più in quel lager, se no sono certo che impazzisco.
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