Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 6 nr. 51
ottobre 1976


Rivista Anarchica Online

Aborto libero per non morire
di Andrea Papi

In netta contrapposizione alla posizione tradizionalista - imperniata sul dogma divino e sostenuta dalla Chiesa - ed a quella istituzionale - laica ma non per questo meno autoritaria - gli anarchici ritengono che l'individuo sia la cellula prima della composizione sociale e che per logica conseguenza nessun vincolo di alcun tipo debba impedire alla donna la libertà di abortire.

Aborto! Da un po' di tempo questa parola, dalla sonorità quasi profetica e leggermente apocalittica, sta terrorizzando preti, borghesi conservatori, benpensanti, riformatori di varia specie. Essa viene pronunciata come una minaccia durante le manifestazioni delle femministe, semina scompiglio tra i funzionari del potere e gli innumerevoli donabbondio di cui è composta la nostra società; sconvolge in definitiva il buonsenso dei benpensanti. Ma qual è la ragione reale di tanto terror-panico? Forse l'apparente iconoclastìa che si cela dietro i panegirici tendenti a giustificare le pratiche abortive?

Cerchiamo di ridimensionarne l'effetto dirompente, attraverso la ricerca del suo reale significato. Il nostro sforzo non tenderà ad una teorizzazione che serva ad indicare la strada maestra, ma si muoverà più semplicemente sul piano dell'analisi, alla ricerca di una conoscenza chiara, che ci permetta di capire, senza ideologismi di sorta, quale scelta sia possibile fare al fine di rimanere coerenti con l'idea, con il progetto anarchico che ci sta a cuore. Lungi dalle nostre intenzioni ogni immorale tentativo di strumentalizzare il problema, in particolare un problema come l'aborto che tante implicazioni ha sul piano sociale, politico e, soprattutto, etico.

Dal nostro punto di vista il problema dell'aborto è sostanzialmente un problema di vita, di concezione della vita stessa e tutta la problematica che si è scatenata intorno ad esso ha precise implicazioni e derivazioni di carattere filosofico-ideologico. La matrice di tale problematica sta tutta nel valore che si vuole attribuire all'esistenza individuale di ogni singolo essere umano, perché è l'individuo la cellula prima che permette la complessa composizione dell'intero nucleo sociale. Concepire altrimenti, cioè come esclusivo fatto politico, il movimento di idee e di prese di posizione che stanno ruotando intorno alle scelte che caratterizzano le pratiche abortive, vuol dire relegare il problema nei meandri viscidi dei corridoi in cui si discute, si prendono accordi sotterranei tra professionisti della politica, a fini esclusivi di potere, in cui tutto è visto solo come strumento di conservazione e con la logica del comando.

Donna oggetto o donna soggetto?

Dal nostro punto di vista, i modi di avvicinarsi alla realtà della donna che si trova di fronte alla necessità di abortire sono sostanzialmente tre, cioè: 1) tradizionalista, secondo gli schemi classici della più bieca tradizione cattolica, apostolica, romana; 2) istituzionale, secondo una logica tipicamente democratica e riformista; 3) libertaria, che considera le reali esigenze della donna.

Ma cerchiamo di analizzare a fondo queste tre posizioni, di sviscerarne il significato, per riuscire a comprendere cosa esse in realtà esprimono.

La posizione che ho definito tradizionalista è direttamente legata a tutta l'impostazione classica del clericalismo cristiano-cattolico. Parte da una deduzione metafisica alla quale condiziona e subordina tutta la realtà esistente. Il suo presupposto è l'esistenza indiscutibile dell'essere supremo, dio, dal quale tutto dipende e che tutto può decidere. La suprema volontà e l'onnipotenza dell'essere assoluto, dio, è il punto di riferimento teorico che determina le scelte pratiche cui si debbono adeguare gli esseri umani. La realtà dell'esistenza individuale dipende dunque esclusivamente dalla volontà divina, per cui la vita, qualunque essa sia, esiste solo in funzione della esigenza extraterrena, cioè totalmente astratta, dell'essere divino. La vita di conseguenza è sacra, ma non per gli umani che risiedono sulla terra, bensì per il divino che risiede in cielo, di cui siamo gli umili dipendenti.

Dal momento che la volontà determinante è quella di dio, la nostra volontà di esseri terreni non può esercitare scelta; la nostra potenzialità di comprensione non può, per sua natura, comprendere il divino, la cui volontà e le cui decisioni annullano totalmente le nostre e non siamo neppure in grado di esercitare la benché minima critica nei confronti delle scelte di dio. Tutto ciò che può sembrare casuale è, invece, esercizio cosciente della volontà dell'essere supremo, che non può assolutamente essere messo in discussione, ma deve essere accettato con devozione, rispetto e, soprattutto, cieca fede in lui.

La teorizzazione sopra brevemente esposta è alla base della più bieca concezione autoritaria che la storia abbia conosciuto: quella clericale, che relega l'individuo al ruolo di semplice esecutore in una realtà extrasensoriale totalmente astratta, cioè dio. Naturalmente in terra la volontà divina si esprime nei confronti di noi "poveri mortali" attraverso la chiesa, che, secondo la chiesa stessa, avrebbe ricevuto da dio, in persona, il potere di decidere e imporre la sua autorità, poiché rappresenta il potere dell'essere supremo tra gli esseri umani.

E la chiesa, coerente con la concezione che ne giustifica il potere morale e materiale, ha espresso chiaramente la sua scelta nei confronti dell'aborto: ha detto no. E, dal nostro punto di vista, non poteva comportarsi diversamente perché abortire, secondo la sua logica, vuol dire intromettersi nel disegno divino, intralciare l'esecuzione di un piano stabilito da colui che non può essere discusso, disobbedire all'autorità suprema. No all'aborto dunque, perché si urterebbe la irascibile suscettibilità di dio.

La posizione che ho definito istituzionale, invece, poggia i suoi cardini su una concezione solo all'apparenza contrapposta. Essa si basa sull'ambiguità tipica di tutti i riformismi; mentre mostra un volto che sembra volere trasformare veramente alla radice le cose, in realtà lascia immodificati i principi del sistema che dice di abbattere. Ma vediamo di sviscerarne la sostanzialità.

Il punto di partenza è l'istituzione, concepita come apparato organizzativo che ha il compito precipuo di salvaguardare i diritti di tutti i cittadini ad essa sottoposti. L'istituzione è il centro materiale attorno a cui ruotano tutte le decisioni e le scelte che determinano quotidianamente la vita sociale. La filosofia che ne convalida l'esistenza, non tende alla soluzione metafisica, ma dirige la sua speculazione nel campo del concreto. Non vuole superare la materialità, anzi combatte tutte le fughe teoretiche che tendono ad identificare l'istituzione come lo strumento di un'entità metafisica. E proprio qui risiede la sua differenziazione dalla chiesa, perché mentre quest'ultima è il mezzo che interpreta e media tra le cose terrene e la volontà assoluta di dio, l'istituzione si esaurisce in sé stessa, trova la sua giustificazione e il suo scopo esistenziale nel suo stesso esistere. Non ha bisogno insomma di una realtà ultraterrena, perché perfettamente autosufficiente su questa terra.

Ma se da una parte l'istituzione entra in conflitto con la chiesa perché rifiuta dio, dall'altra parte conserva il ruolo fisico che ha sempre caratterizzato la sua apparente antagonista: il potere di decidere, di determinare. Non decide più per il cielo, ma agisce sulla terra e per la terra. Non è più interprete di un essere avulso dalla realtà naturale, ma soltanto di se stessa, perché unica realtà esistente. In sostanza l'autorità è scesa dal regno inaccessibile della pura speculazione metafisica e astratta, nel regno accessibile della totale concretezza e materialità; dio è divenuto corpo terreno ed ha cessato di essere puro spirito.

Ci sovviene la critica esemplare che con lucidità Stirner muove a Feuerbach, quando nella sua opera fondamentale "L'Unico e la sua proprietà" afferma: "Strappando al cielo questo tanto desiderato e mai raggiunto ideale cristiano per situarlo in noi, Feuerbach non fa che aggrapparsi disperatamente al cristianesimo, non per liquidarlo, ma per farsene totalmente proprietario: da questo sforzo dipende la vita o la morte dello spirito cristiano ridotto all'ultima convulsione". Ed in realtà Stirner ha ragione; dio è un fantasma nel cielo, di cui subiamo indirettamente l'autorità, trasportandolo sulla terra, la sua autorità entra a far parte di noi, la subiamo direttamente e sarà molto più difficile liberarcene. Potremmo dire che Stirner, a livello filosofico, ha previsto i tempi, dimostrando come l'operazione riformista di materializzare la morale autoritaria sia un'operazione che intralcia enormemente la liberazione dal giogo del potere e rafforza sotto tutti i punti di vista l'autorità. C'è in questa analisi tutta l'essenza della critica anarchica all'autoritarismo marxista.

Abbiamo visto come l'istituzione si libera del divino per divenire essa stessa dio, mantenendo gli stessi caratteri dell'autorità extraterrena. In questa visione l'individuo viene concepito nella sua materialità, ma viene relegato al ruolo di subordinato al novello essere supremo, l'istituzione. La volontà individuale si annulla perciò nella volontà istituzionale, che ha tutto il potere di decidere per il singolo essere umano. Di conseguenza la decisione dell'istituzione rispetterà le proprie esigenze e non quelle dell'individuo le cui possibilità di scelta vengono annichilite dalla autorità del dio terreno.

È chiaro a questo punto che l'istituzione non negherà l'aborto in quanto tale, perché non è l'interprete di scelte al di sopra di essa, non si intromette in un disegno che non dipende da lei, non intralcia l'esecuzione di un piano stabilito da chi non può essere discusso. L'istituzione deve rendere conto soltanto a se stessa ed è l'unica interprete della propria volontà; quindi concederà l'aborto soltanto se lo vuole e lo desidera, se non intralcia i suoi programmi, non tenendo in minima considerazione l'esigenza e la volontà della donna direttamente interessata.

Il metodo libertario

Ed ora cerchiamo di analizzare e comprendere la posizione che, dal nostro punto di vista, si contrappone realmente a tutte le impostazioni autoritarie e che ho definito libertaria.

Tale posizione, al contrario delle due precedenti, non è il risultato di una deduzione, cioè non parte da una concezione generale fissa alla quale deve adeguarsi la realtà su cui opera. È invece il risultato di un'analisi che parte dagli elementi semplici di cui è composta la società, intesa come insieme di esseri umani che si trovano associati.

L'individuo è il punto di partenza, la cellula prima della composizione sociale. Esso viene considerato nella sua realtà totale, come essere umano che ha volontà propria e capacità di scelta. Ciò presuppone che gli individui abbiano la potenzialità di giungere ad accordarsi, di esercitare collettivamente le proprie volontà. Ed è il loro insieme che determina il tessuto connettivo su cui si basa l'organizzazione della società. Ma ciò non è possibile, perché questa potenzialità e possibilità teorica si scontra con le due realtà enucleate precedentemente, la chiesa e l'istituzione, cioè le due manifestazioni dell'autorità. Di qui nasce il conflitto tra i bisogni reali della gente ed i bisogni del potere, si manifesti esso sia come forma economica, sia come forma politica. Ed è questa la ragione per cui sia la chiesa, sia l'istituzione non possono che manifestarsi sotto forme totalmente autoritarie, incapaci di esercitare il loro volere se non con la forza e la prepotenza.

L'individuo quindi si trova a vivere un conflitto permanente con l'autorità, sotto qualsiasi maniera essa si manifesti e (l'esperienza storica lo dimostra) non può cercare conciliazione, se non a proprio svantaggio ed a vantaggio dell'autorità che non può che condizionarlo. Senza istituzione e chiesa gli esseri umani sarebbero perfettamente in grado, attraverso l'esercizio volontario del libero accordo, di concretizzare la propria volontà e la propria capacità di scelta, senza essere minimamente subordinati a nessun dio, sia esso metafisico o concreto.

L'individuo dunque può scegliere, fa parte della sua natura riuscire a comprendere le proprie esigenze e cercare il modo migliore per soddisfarle, ha in sé la capacità e l'intelligenza necessarie per discernere ciò che per lui è bene e ciò che va contro di lui. Questo, secondo noi, è il presupposto fondamentale di ogni scelta libertaria, la base stessa del metodo che vuole realizzare la libertà. Soltanto in questo modo si ha la possibilità concreta di superare dio, di fare a meno dell'autorità. Il rifiuto di dio deve essere totale, perché non è possibile in alcun modo conciliare la libertà con la repressione della libertà; o si sceglie la via che porta a renderla operante, oppure si accetta di non poterla realizzare.

Secondo la visuale sopraesposta, l'aborto è possibile soltanto se la donna ha la concreta possibilità di decidere totalmente di sé e del proprio corpo, soltanto se le è lasciata tutta la responsabilità della propria scelta. È la donna in stato interessante che è coinvolta in prima persona e direttamente interessata, per cui solo a lei spetta il diritto e il potere di decidere cosa fare. Solamente in questo modo l'aborto potrà essere esercitato secondo libertà, cioè secondo reali esigenze umane, senza intromissioni del potere e senza astratte imposizioni teologiche.

Gli anarchici di fronte al problema aborto

Gli anarchici non possono che essere a favore dell'aborto come libera scelta della donna che si trova nella necessità di abortire, in quanto tutta la loro vita e le loro azioni sono finalizzate alla ricerca ed all'ottenimento della libertà più completa possibile. In questo sono concordi con tutti i gruppi che, come i radicali e i diversi movimenti femministi, lottano per ottenere di poter praticare liberamente l'aborto.

Dove invece gli anarchici sono totalmente discordi con questi gruppi, è nel metodo propugnato per riuscire a realizzare le pratiche abortive liberamente. Vediamo di analizzare le ragioni di questo disaccordo.

I radicali, i diversi movimenti femministi, Democrazia Proletaria e tutti i movimenti che più o meno vogliono la liberalizzazione dell'aborto, hanno lanciato una campagna ben precisa a favore di un referendum che sancisca l'abrogazione delle leggi repressive che regolano l'aborto; inoltre, attraverso i loro rappresentanti in parlamento cercano di esercitare la massima pressione possibile, sia sul parlamento, sia sul governo, affinché si giunga a definire una legge che permetta la libertà delle pratiche abortive.

Per quanto riguarda il dibattito in parlamento al fine di ottenere una legge "buona" non possiamo che dissentire totalmente. Le leggi, per quanto non cattive esse siano, sono lo strumento principe col quale l'istituzione mantiene il dominio. Sanciscono i limiti entro cui una cosa può essere fatta e, soprattutto, questi limiti sono definiti secondo le esigenze e la volontà dei deliberanti, senza curarsi di rispettare i concreti bisogni di chi è realmente sottoposto alla legge. È dunque perlomeno ingenuo da parte di coloro che lottano perché una cosa diventi libera, credere di poter usare il parlamento come mezzo di emancipazione e la legge come strumento per praticare la libertà.

Un discorso a parte merita, secondo noi, l'uso di un'arma come il referendum dal momento che, anche in occasione di quello per l'ottenimento del divorzio, il movimento anarchico italiano non si è trovato unito e, dopo un lungo dibattito svoltosi sopratutto sul settimanale Umanità Nova, ha visto purtroppo molti compagni recarsi alle urne per scrivervi no.

Innanzitutto il referendum, come stabilito dalla costituzione, non è un modo col quale tutti i cittadini possono esprimere il proprio parere su una determinata questione. Esso si limita a chiedere se la tal legge, e solo quella, deve essere abrogata o deve restare. Non implica assolutamente un giudizio di valore e una scelta di fondo; quando le forze parlamentari e governative non riescono a giungere ad accordo, non sono in grado di stabilire fra loro compromessi soddisfacenti, il popolo viene chiamato ad esprimersi, col criterio della maggioranza e minoranza, a dire se una legge può rimanere, o deve essere sostituita e cambiata. In caso che la maggioranza popolare sia per l'abrogazione, la legge viene sostituita, ma con un'altra legge sempre stabilita dagli stessi che prima non erano giunti ad accordarsi, cioè le forze parlamentari. Tutto questo meccanismo potrà far spostare gli equilibri di potere, come si è verificato per il divorzio, ma non è assolutamente un mezzo che possa servire in alcun modo a combattere il potere. Inoltre accettando di partecipare a un referendum, si accetta, esplicitamente o implicitamente non ha importanza, la logica tipicamente riformista, quindi tendenzialmente conservatrice, che possano esistere leggi accettabili tatticamente, che siano minimamente in grado di risolvere dal punto di vista anarchico i problemi sociali. Tutto ciò è secondo noi soltanto assurdo, illogico, incoerente.

È la vecchia logica, il consumato tranello del potere di recuperare il malcontento e il dissenso attraverso il coinvolgimento delle masse in forme di partecipazione collettiva che non hanno nessuna capacità deliberativa. Si accetta la logica specifica dell'istituzione, che per esercitare la sua tirannia ha necessità del consenso di massa. Gli anarchici che accettano la logica del referendum, che lo vogliano o non, accettano tutta l'impostazione di quello che sopra ho definito modo istituzionale di risolvere il problema. Col referendum si delega in sostanza l'istituzione a risolvere i nostri problemi e, come precedentemente abbiamo visto, ciò non potrà mai avvenire.

Noi riteniamo invece che il problema debba essere visto secondo una logica e una mentalità rivoluzionaria. Cioè bisogna agire al di fuori dell'istituzione, praticare ciò che ci serve senza interpellare chi ha sempre deciso per noi, difendendo noi stessi le nostre conquiste. In particolare per l'aborto, siamo dell'idea che vada praticato senza preoccuparsi di rientrare o no nella legge, come del resto è stato fatto sino ad ora dai vari consultori e dalle varie cliniche che hanno sempre agito al di fuori della legalità. Deciderà il potere se fare una legge che sancisca questa pratica oppure se agire esclusivamente a livello repressivo, ma allora sapremo difenderci. Non possiamo offrirgli noi, su un piatto d'argento, la possibilità di imporci la sua logica in modo indolore, passando magari per democratico.

In particolare per quanto riguarda l'aborto questo compito rivoluzionario è estremamente facilitato, perché non c'è bisogno di sensibilizzare le masse al problema. Tre milioni di aborti l'anno, praticati illegalmente quasi alla luce del sole, coinvolgono una massa ben precisa di donne che ha scelto e non vuole subire il giogo dell'istituzione; vogliamo essere noi a convincerle che invece è loro dovere rientrare nella legalità?