Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 6 nr. 48
maggio 1976


Rivista Anarchica Online

Ideologia dominante e formazione del consenso
di Claudia V.

Dalla controinformazione alla controcultura
La controinformazione come strumento del movimento rivoluzionario per contrastare l'egemonia dell'informazione di stato - Il fenomeno di trasformazione della controinformazione in controcultura - I contenuti e le forme di espressione della controcultura ed il problema del rapporto mezzi-fini.

La controinformazione è stata ed è uno strumento fondamentale nelle lotte degli sfruttati per l'emancipazione e soprattutto in questi ultimi otto anni essa ha costituito un punto di riferimento importante per il movimento rivoluzionario. Nell'arco di questi otto anni la controinformazione ha però mutato aspetto orientandosi verso forme che attualmente sembrano andare oltre il suo significato originario di 'informazione-alternativa': vorremmo qui delineare una breve storia per coglierne gli aspetti più significativi e indicarne i problemi principali oggi.

Il primo e più immediato carattere della controinformazione è sempre stato quello utilitario: l' 'informazione-alternativa' (l'informazione strappata agli 'occultamenti di stato') è nata per rispondere alle esigenze del movimento rivoluzionario di spezzare l'egemonia dell'informazione degli apparati di stato e far circolare dati e notizie essenziali per una azione di difesa contro la repressione.

Infatti, se si può indicare una data di inizio della controinformazione (come fenomeno di ampia diffusione) questa può essere fissata con le bombe di Piazza Fontana e la strage di stato: è in questo periodo e con le successive azioni di repressione nei confronti del movimento rivoluzionario che sono proliferati materiali e gruppi di controinformazione.

È necessario soffermarci su questo primo momento della controinformazione per esaminarlo meglio nelle sue componenti.

Innanzitutto è da considerare il rapporto tra movimento rivoluzionario e le lotte degli sfruttati: tutti sanno che la strage di stato è nata con lo scopo di ridurre alla immobilità le lotte proletarie passando attraverso la repressione violenta dei militanti più attivi facendo fare loro la parte del capro espiatorio delle tensioni sociali giustificando così le misure politiche più conservatrici.

Ciò ha portato il movimento rivoluzionario al rischio dell'isolamento e alla necessità di impegnarsi in una lotta prevalentemente difensiva. Il primo aspetto della controinformazione è stato dunque quello difensivo e il rapporto movimento-sfruttati si è orientato a senso unico; i compagni colpiti dalla repressione hanno mirato a diffondere la 'conoscenza dei fatti' tra gli sfruttati e il movimento si è così posto, inevitabilmente, come protagonista, come soggetto principale di tutta l'attività di controinformazione.

Un secondo aspetto della controinformazione, legato al precedente, è che essa non si è mai confusa, né nella pratica, né nelle sue teorizzazioni, con le generiche campagne per la cosiddetta 'libertà di stampa': la controinformazione è nata e si è sviluppata all'interno del movimento, delle sue organizzazioni, assumendo quindi, nel modo di essere condotta, i caratteri che improntano l'attività e la formazione delle organizzazioni rivoluzionarie: problemi, caratteri e forme della controinformazione e della sua gestione si sono sempre legati con quelli organizzativi e più generali dei metodi e mezzi di lotta. È perciò che essa, configurandosi come un momento delle lotte, oltre che un loro strumento, non si è mai identificata, ripetiamo, con le campagne di liberalizzazione degli apparati di stato (tra i quali appunto quelli relativi all'informazione): per i movimenti rivoluzionari la controinformazione è sempre stata antiistituzionale, come antiistituzionale e antiautoritaria è la lotta rivoluzionaria (di cui la 'liberalizzazione delle istituzioni' può essere un effetto, ma non un obiettivo).

Questa osservazione ci offre lo spunto per rilevare un terzo e fondamentale aspetto della controinformazione: il modo di impostare le notizie.

La controinformazione, sempre all'interno di un discorso di verità sui fatti, ha sempre mirato a dare una conoscenza di questi in modo tale da metterne in evidenza la logica che li guida, e, più in generale e almeno per quanto riguarda gli anarchici, ha tentato di spiegare la strategia del potere, il suo disegno non solo a breve termine, politico, ma quello più generale, storico: ad es. ogni caso di repressione è stato l'occasione per svolgere una analisi generale sulla natura repressiva degli apparati di stato e, più oltre, sui legami strutturali e le leggi di funzionamento e di collegamento di una istituzione con l'altra, visti nella loro attualità e nella loro continuità storica in rapporto allo sfruttamento.

L'analisi storica è stata ed è dunque una dimensione della controinformazione, la quale non è pertanto solamente conoscenza dei fatti, ma anche formazione della coscienza rivoluzionaria e per quanto riguarda gli anarchici inevitabilmente si riconduce ai temi della propaganda sociale sempre svolta dagli anarchici per riproporre costantemente, nelle diverse situazioni di lotta, le soluzioni ideologiche libertarie che sono frutto dell'esperienza delle lotte e del pensiero rivoluzionario degli sfruttati stessi.

Questa prima fase della controinformazione (che del resto non può concludersi) ha dunque avuto queste caratteristiche: è stata improntata ad una azione prevalentemente di autodifesa, ha avuto come scopo non solo la conoscenza della verità dei fatti, in senso politico e immediato, ma ha mirato soprattutto alla conoscenza storica, alla diffusione di un'analisi delle strategie del potere a partire dalle sue concrete manifestazioni. Infine, si è orientata prevalentemente a senso unico come un insieme di contenuti ideologici (anche se tratti di volta in volta dalle singole realtà di sfruttamento) per la diffusione dei quali l'iniziativa è stata presa dal movimento rivoluzionario in direzione degli sfruttati.

Ma il tentativo di spezzare l'egemonia dell'informazione di stato non si è fermato qui: in diverse situazioni e con diversi mezzi, la controinformazione si è trasformata in controcultura; è bene quindi vedere più da vicino come funziona l'egemonia dell'informazione e quali siano le proposte della controinformazione trasformatasi (per alcuni militanti) in controcultura.

Ruoli e forme dell'ideologia dell'informazione

Il problema dell'ideologia dominante oggi si inserisce in quelli che sono stati definiti i 'Problemi Terzi' emersi intorno alla metà del XX sec.: la Terza Rivoluzione Industriale (elettronica, nucleare) i Terzi Poteri (burocratici, tecnici, organizzativi). la Terza Cultura, nata dalla stampa, dal cinema, dalla televisione.

Dopo la II Guerra Mondiale la sociologia americana ha battezzato la Terza Cultura col termine mass-media, ossia cultura di massa: cioè prodotta secondo le norme della fabbricazione di massa industriale, divulgata mediante le tecniche di divulgazione di massa, rivolta ad una massa sociale, cioè a un gigantesco agglomerato di individui colto al di fuori delle strutture sociale (classi, famiglia ecc.).

Quindi il termine 'massa' privilegia uno dei modi in cui può essere valutata la vita sociale, in considerazione del tipo di rapporto che la cultura trasmessa ha con il 'pubblico', i canali e i mezzi di diffusione di questa cultura sono diversi da quelli del passato (in cui ogni classe sociale aveva il proprio ambito di formazione di cultura e propri mezzi di trasmissione) e sono oggi quelli del rapporto dell'industria-stato con l'intera collettività sociale intesa come massa.

Una cultura è un complesso di norme, simboli, miti e immagini che penetrano l'individuo nella sua intimità, ne strutturano gli istinti, ne orientano le emozioni e la personalità.

Tale penetrazione si attua secondo rapporti mentali di proiezione e di identificazione polarizzati sui simboli, sui miti e le immagini della cultura come sulle personalità mitiche o reali che ne incarnano i valori (gli antenati, gli eroi, gli dei, lo stato ecc.).

Una cultura fornisce dei punti di appoggio alla vita pratica la quale a sua volta determina la formazione dei valori (esistono perciò diverse culture secondo i simboli di proiezione: la cultura nazionale, quella religiosa, umanistica ecc.).

La cultura di massa integra, contiene, controlla e censura (senza opporsi ad esse) le altre culture: si inserisce cioè in una realtà di culture diverse legate a situazioni di classe, assimilando (standardizzando) i diversi valori relativi a queste ultime e uniformandole.

Il rapporto ideologia-pubblico (o meglio: emittente-destinatario) è orientato secondo i principi del consumo: il consumo, e la produzione, di questa cultura non è legato ai bisogni vitali e sociali delle classi che formano i propri valori, ma in gran parte dalle esigenze industriali, innestandosi così nel meccanismo industriale di invenzione di falsi bisogni nelle masse per spingere ad un massimo consumo.

Il prodotto della cultura di massa infatti è un valore culturale che influenza l'orientamento e le scelte dell'individuo, ma è anche e soprattutto una merce: si ha così una situazione in cui i valori sociali e culturali tendono ad associarsi ai bisogni (e ai valori) del mercato.

L'industria culturale e lo Stato

L'industria culturale si sviluppa sotto tutti i regimi, sia nel quadro dello stato, che in quello dell'iniziativa privata.

Nei sistemi detti sociali, lo stato è il padrone assoluto, è censore, direttore, produttore della cultura.

Ma anche negli stati capitalisti l'iniziativa privata non è mai del tutto autonoma: in generale lo stato ha almeno il ruolo di censore. Dal punto di vista economico vi possono essere, negli stati capitalisti diversi padroni dell'industria culturale, nei diversi rami cui essa è interessata: la radiotelevisione, il cinema, la stampa, l'editoria libertaria.

Negli stati a 'capitalismo avanzato' (o meglio, in cui avviene il processo di formazione della tecnoburocrazia e di associazione dello stato all'industria) si nota la tendenza alla formazione di un monopolio dell'informazione retto congiuntamente dallo stato e dall'industria.

In generale poi, essendo la cultura industriale legata strettamente allo sviluppo tecnologico e come abbiamo detto, alle leggi di mercato, accade che spesso si verifica uno slittamento nei campi di produzione: per es. industrie produttrici di cervelli elettronici si interessano sempre più all'informazione producendo audiovisivi per la scuola agendo quindi direttamente sulla formazione dei valori culturali.

Questa convergenza dello stato con l'industria e, parallelamente, della tecnologia in ogni campo sociale, ha provocato un dilatarsi dello spazio dell'informazione (e della cultura): esso non è più delimitato entro specifiche situazioni e momenti di consumo, ma entra in ogni momento della vita quotidiana e tende a tramutare ogni campo sociale in un possibile mercato.

Un'ultima nota infine, sulla concentrazione industriale.

Sia negli stati socialisti che in quelli capitalisti ha luogo il fenomeno della concentrazione industriale. Anche l'industria culturale è organizzata sul modello dell'industria più concentrata tecnicamente ed economicamente.

A questa concentrazione tecnica corrisponde una concentrazione burocratica: un giornale, una stazione radio o televisiva, sono organizzati burocraticamente.

L'organizzazione burocratica filtra l'idea creatrice, la sottopone a esame prima che essa arrivi nelle mani di colui che decide: il produttore o il redattore capo. Questi decide in funzione di considerazioni anonime: il profitto eventuale del soggetto proposto (iniziativa privata), la sua opportunità politica (sistema di stato); quindi egli rimette il progetto nelle mani dei tecnici che lo sottopongono alle proprie manipolazioni.

Alcune considerazioni

La prima considerazione, di carattere generale, riguarda il ruolo sociale dell'informazione e della cultura di massa.

Da quanto abbiamo prima detto sulla cultura di massa emerge il fatto che l'ideologia oggi ha una funzione più rilevante rispetto al passato per tre ragioni: perché la sua produzione è una produzione legata al mercato (il prodotto culturale è una merce): perché si colloca (come nel caso delle scuole) nel punto di convergenza dell'industria e dello stato e si lega quindi al processo di rinnovamento delle forze sociali e culturali (nel caso specifico: della tecnoburocrazia e della relativa ideologia che essa produce come classe) e infine perché tale ideologia viene trasmessa con i mezzi tecnologici dell'informazione e rientra perciò nel problema più vasto della società tecnologica, della sua organizzazione e dei suoi valori (ogni società o epoca riceve un'impronta dal grado di livello tecnico raggiunto, dai mezzi tecnici in uso nel campo del lavoro e in quello della comunicazione e produzione culturale).

Non si dimentichi inoltre il ruolo storico dell'ideologia dominante (cioè il ruolo che essa ha sempre avuto) di formazione del consenso, tanto più essenziale oggi in quanto il sistema democratico, per conservarsi, ha bisogno del 'dibattito' e della persuasione.

Questa osservazione generale voleva porre in evidenza quanto sia importante oggi un discorso sulla informazione e sulla cultura, ma altre considerazioni si pongono e riguardano il meccanismo della manipolazione. Si è spesso sentito parlare della manipolazione ideologica dell'informazione in cui tale manipolazione veniva legata al tipo di mezzi usati: la televisione, il cinema ecc. Tutti questi mezzi di informazione adottano un linguaggio visivo molto potente i cui effetti sono poco conosciuti (e quindi tanto più efficaci a livello psicologico): su questa base si è spesso sentito dire che chiunque usi tali mezzi inevitabilmente cade in una manipolazione (e quindi in una forma di autoritarismo nei confronti di chi riceve l'informazione stessa). Si rende dunque necessario cercare di isolare i diversi fattori della manipolazione, sempre a partire dalla descrizione del funzionamento dell'egemonia della 'informazione': riteniamo infatti che, se è vero che è utile la conoscenza dei meccanismi e degli effetti psicologici dei mezzi di informazione forniti dalla tecnologia, le basi della manipolazione risiedono però oltre che nel linguaggio, nella organizzazione della cultura di massa, nella sua struttura (così come, in generale, è importante il discorso sulle forme e i contenuti dei messaggi ideologici, ma è altrettanto importante considerare l'organizzazione sociale che fa loro da sfondo).

Partiamo quindi con una considerazione sul tipo di comunicazione data dalla cultura di massa.

La cultura non è solo una serie di valori, ma nasce anche da un rapporto di comunicazione. In ogni rapporto di comunicazione abbiamo un emittente del messaggio (colui che invia o offre il messaggio, il discorso), un destinatario (colui che riceve il messaggio), il messaggio stesso (con le proprie forme e contenuti) è un canale di comunicazione.

Per quanto riguarda l'informazione monopolizzata si può osservare come esista una condizione di disuguaglianza rispetto al rapporto di comunicazione: il rapporto è a senso unico; l'unico emittente, produttore dei valori sono l'industria e lo stato.

In generale, è un fatto evidente, più una comunicazione è a senso unico, più essa è autoritaria: vi è un soggetto che parla e un altro che subisce.

Questa disuguaglianza nel rapporto di comunicazione ha un fondamento innanzitutto economico: il monopolio dei mezzi di comunicazione spetta ai capi dell'industria e dello stato; ed ha un fondamento nell'organizzazione del lavoro per la produzione dell'informazione.

Come abbiamo visto l'organizzazione burocratica fa sì che anche nel campo dell'informazione si ritrovi l'organizzazione gerarchica delle competenze (vi è il produttore che decide ed altri che eseguono), la specializzazione oltre che la gerarchia delle funzioni (colui che fa il progetto di un lavoro e di un'informazione non è lo stesso che poi lo realizza manualmente: tra chi propone l'idea e chi la esegue esiste anche qui il rapporto tra lavoro manuale e lavoro intellettuale).

Poiché il prodotto culturale è un valore, gli effetti di questa divisione dei ruoli si ritrovano direttamente nel messaggio che risulta così manipolato.

La manipolazione quindi si fonda sulla divisione tra l'emittente e il destinatario, tra chi decide sull'informazione e chi esegue e in più, per quanto riguarda soprattutto i prodotti artistici, tra chi ha il ruolo dell'ideatore e chi funge invece da filtro, da rielaboratore dell'idea stessa.

La controcultura

Ritorniamo dunque al discorso, cui accennavamo all'inizio, della trasformazione della controinformazione e diciamo subito che questo mutamento (o meglio, questo fenomeno che a volte si è sviluppato parallelamente alla controinformazione) è rilevabile solo se si tiene presente un materiale molto eterogeneo.

Noi ci riferiremo, poiché è il campo che più ci interessa come anarchici, ai diversi materiali di controcultura dei gruppi spontanei di tendenza libertaria (o meglio, ai fenomeni che presentano orientamenti libertari).

Un primo fatto salta agli occhi: un qualsiasi materiale prodotto da questi gruppi, sia esso una pubblicazione affine alla stampa underground o una manifestazione di piazza, uno spettacolo informale o un'azione coordinata di propaganda, sempre si nota la tendenza a realizzare una comunicazione come scambio, come partecipazione collettiva.

Il carattere eterogeneo di questo materiale deriva infatti dal fatto che esso viene prodotto proprio in vista di una comunicazione collettiva: gli spettacoli si aprono sempre più alla partecipazione del pubblico, occasioni di incontro privato tendono a trasformarsi in spettacoli pubblici, le manifestazioni di piazza tendono ad allargarsi dalla semplice protesta alla elaborazione di valori (dallo slogan agli spettacoli), dai mezzi di informazione si tende a passare ai mezzi di creazione dei valori, cioè ai mezzi artistici.

È facile imbattersi in pubblicazioni a numero unico che spesso servono semplicemente a dar voce più ampia a gruppi che possono non configurarsi come nuclei di militanza costante, ma che sentono la necessità di inserirsi in un dibattito più vasto: nelle riviste a cui queste correnti in alcuni casi fanno capo (ad es. Re Nudo) in dibattiti totalmente aperti.

I contenuti e le forme di espressione sono perciò poco omogenei, ma ci sembra utile sottolineare questo: che questa forma di comunicazione come scambio non nasce semplicemente dall'esigenza di realizzare una comunicazione diretta ed egualitaria (il riferimento cioè non è la comunicazione a sé stante), ma questa stessa comunicazione si riconduce all'esigenza più generale della non-delega sia in campo politico che ideologico, all'azione diretta e collettiva, all'esigenza di ricercare forme organizzative e rapporti interpersonali che abbiano un fondamento libertario.

Che esista questa nevessità di fondo ci sembra confermato da due fatti: dall'attuarsi oggi di un timido avvicinamento di questi gruppi alle lotte più strettamente politiche e, in particolare, alle lotte autonome che teorizzano l'azione diretta. In secondo luogo dal fatto che i temi della controcultura tendono sempre più a colpire l'egemonia dell'informazione in ciò che ne costituisce un importante fondamento: l'organizzazione del lavoro.

Alle spalle delle azioni di boicottaggio (per fare un es.) di certi concerti o altre manifestazioni, esistono dibattiti molto ampi: a partire da un tema di base che è auello della riappropriazione della musica (come strumento di formazione di valori) la discussione arriva a toccare molti altri punti: il rapporto della cultura proletaria con la cultura manipolata, il rapporto tra i produttori e i consumatori dei valori sociali, il senso di una separazione tra lotta economica e lotta sociale (se cioè questa separazione sia positiva o negativa), il ruolo dell'artista che ne''industria svolge svolge un compito intellettuale e che spesso si presta alle mercificazioni di qualsiasi colore, il rapporto tra funzione manuale e funzione intellettuale, il modo di porsi di fronte alle iniziative istituzionali, il problema di come conquistare e gestire (e se conquistare e gestire) i mezzi di comunicazione, il problema di come organizzarsi.

Abbiamo voluto indicare tutti questi punti perchè sono quelli che effettivamente emergono dall'insieme delle azioni di controcultura (e comunque basta sfogliare una qualsiasi pubblicazione di controcultura per vedere come essi si ripresentino con costanza in ogni occasione). Due ci sembrano i problemi di fondo di questi dibattiti: il primo riguarda in generale il fatto che vengono affrontati i temi del tutto nuovi posti dalla società tecnologica e spesso le analisi non riescono a fondarsi su conoscenze sufficienti e questo ostacola la soluzione del secondo e più grosso problema che è quello del rapporto mezzi-fini.

C'è spesso confusione nei tentativi di distinguere ciò che si intende come strumento tecnico e ciò che invece va inteso come mezzo; inoltre vengono sperimentati metodi di lotta libertari, ma questi non vengono teorizzati a sufficienza, non vengono estrapolati dall'esperienza proprio come metodi storicamente validi.

C'è una spinta dunque a formulare principi libertari coerenti, ma allo stesso tempo esistono forze frenanti quali la paura di un irrigidimento dogmatico (e quindi una sopravvalutazione dell'esperienza pratica) o l'insufficienza di una coerente analisi storica che fornisca un metodo di interpretazione dell'esperienza pratica) o l'insufficienza di una coerente analisi storica che fornisca un metodo di interpretazione delle nuova realtà.

È come se a questo punto la controinformazione del movimento rivoluzionario, con la sua dimensione storica, dovesse incontrarsi con la controcultura dei gruppi spontanei per arrivare ad una maturazione e alla chiarezza su tutti i temi proposti.

Per il momento movimento rivoluzionario e gruppi spontanei si fronteggiano senza riuscire ad incontrarsi, pensiamo forse, per l'ignoranza che da entrambe le parti esiste nei confrinti dei reciproci discorsi.

Noi abbiamo voluto indicare alcune caratteristiche che ci sembranno positive della controcultura per invitare ad aprire una dialogo su questo tema e per concludere vorremmo precisare che, quando si è parlato di gruppi spontanei non si è specificato, e lo faremo ora, che questi gruppi nascono all'interno di una situazione di sfruttamento, che questi gruppi si formano nel cosiddetto proletariato giovanile. Non ci sembra un caso che il priblema della controcultura sia sorto proprio all'interno di questa parte del proletariato che si trova a vivere direttamente le contraddizioni proprie della società tecnologica e a viverle in termini di cultura: l'organizzazione tecnologica del lavoro, l'evidenziarsi della fondamentale disuguaglianza tra ruoli subordinati e ruoli decisionali, la mercificazione del proletariato all'interno della fabbrica e all'esterno nel ghetto del tempo libero, il problema della vita in generale sono tutti problemi che investono il proletariato di nuova formazione, i giovani proletari.

Il fatto che questi temi siano affrontati in termini culturali è segno che è in atto lo sforzo di crere un discorso globale (quello della 'riappropriazione della vita') che ha la possibilità di configurarsi come progetto rivoluzionario, di giungere cioè alle formulazioni del progetto rivoluzionario anarchico.

Diciamo 'possibilità', perchè i fattori di ostacolo sono molti: resta il fatto però che ogni qualvolta la lotta rivoluzionaria riesce a superare i confini rivendicativi e ad agganciare il discorso economico con quello sociale, ciò è segno di una avvenuta maturazione.