Rivista Anarchica Online
L'interpretazione di Nettlau
a cura di Mirko Roberti
La storiografia dell'anarchismo-2 Secondo lo storico tedesco, alcune manifestazioni dell'idea anarchica si possono rintracciare fin
nei tempi antichi e in alcune sette religiose medievali - La contrastante superficialità
dell'approccio di Zoccoli alla genesi dell'anarchismo - Le valutazioni dell'Eltzbacher e di Sergent
e Harmel
Prosegue, con questa seconda puntata, la pubblicazione del breve saggio che il nostro collaboratore
Mirko Roberti dedica all'esame delle tesi di alcuni significativi storiografi dell'anarchismo. Nella
prima puntata, dopo una premessa di ordine generale, sono stati presi in considerazione James Joll,
Leo Valiani e George Woodcock. È questa la volta di Sergent e Harmel, Zoccoli, Eltzbacher e Nettlau.
Sul prossimo numero la conclusione del saggio.
Un'interpretazione per certi versi analoga a quella di Woodcock si può ritrovare nel lavoro di Sergent
e Harmel (14), dove la peculiarità dell'anarchismo è vista nel legame organico con la terra, base naturale
della società umana.
L'origine dell'anarchia moderna si rintraccia nella contrapposizione alla formazione degli stati assolutistici
che riassumono più di qualsiasi altra istituzione il principio e la pratica dell'autorità. È nel secolo dei lumi
però che l'anarchismo acquista una più netta fisionomia perché solo allora, a causa dell'opera
dissacralizzatrice della cultura illuminista, lo Stato viene sentito come dominazione artificiale ed estranea.
Per superare questa alienazione che divide la vita sociale da quella politica, incapace quest'ultima di
rappresentare e di esprimere i bisogni della prima, nascono non a caso, proprio in questo secolo, delle
utopie che si caratterizzano non per il loro carattere progressivo ma bensì regressivo, cioè per un ritorno
a forme sociali capaci di esprimere quel perduto rapporto fra uomo, natura e società che l'epoca moderna
ha distrutto in nome di una civiltà fatua e inutile. La concezione politico-sociale che meglio esprime
questa nostalgia per la società agricola del passato portando alle estreme conseguenze l'istanza mistica
per questo ritorno alla natura, pur all'interno di un quadro fortemente influenzato dal razionalismo, è
l'idea anarchica che rappresenta così "la rivolta dell'antica civiltà della terra contro la dominazione del
diritto romano".
Una prima conferma a questa impostazione di fondo è data per gli autori dai caratteri ideologici e sociali
della tendenza libertaria della Rivoluzione francese, tendenze che individuano nelle correnti rappresentate
dagli "Enragés". Gli arrabbiati esprimono infatti, a giudizio di Sergent e Harmel, non tanto i bisogni del
proletariato moderno, ma quelli più vaghi degli artigiani, di certi strati sociali del popolino e delle masse
rurali che, per il processo di accentramento economico e politico proprio dell'era moderna, si trovano
ai margini della nuova civiltà industriale. Dove però gli autori vedono una conferma più esplicita di
questa interpretazione è nell'assenza del pensiero di Proudhon e Bakunin. La coesistenza della tendenza
mistica con quella della ragione, già messa in luce come abbiamo visto da Joll, è qui analizzata con
un'ottica che pone l'accento però sulla predominanza della prima componente come manifestazione
esplicita del carattere fortemente contadino dell'ideologia proudhoniana e bakuninista. La prima si
delinea nel progetto di ricostruzione economica che Proudhon concepì nell'idea di un organismo sociale
capace di conservare la piccola proprietà come emanazione diretta e funzionale al lavoro individuale o
associato in piccoli gruppi; la seconda invece si prefigura non per il suo carattere costruttivo ma per
l'istanza fortemente panteistica che pervade la concezione del ritorno alla natura come nostalgia
implicitamente dissolutrice di ogni autorità storicamente costituita. La differenza fra queste due pur
sostanziali concezioni si rivela rispetto alla pratica e alla strategia che discendono da esse: mutualista e
ricostruttiva la prima, rivoluzionaria e distruttiva la seconda (15).
Se vi è però una sostanziale identità di vedute fra Woodcock e Sergent e Harmel riguardo alla
concezione "naturalistica" della società che a loro giudizio è propria dell'anarchismo, diversa invece si
presenta l'impostazione degli ultimi due rispetto alla struttura del lavoro. Sergent e Harmel, che
concludono il primo volume con la fine dell'Internazionale antiautoritaria fondato a Saint-Imier nel 1872
(16), non dividono infatti, nella loro analisi, il pensiero dei vari autori dall'azione complessiva del
movimento. La loro ricostruzione secondo i termini cronologici dello svolgimento storico sebbene a
volte documentata in modo troppo "libero" (17) risulta a nostro giudizio più corretta ai fini di una
comprensione del rapporto organico fra pensiero e azione. L'analisi del 1848 in Francia e in Europa
segue questa traccia dimostrando l'assoluta interazione fra contesto storico e riflessione teorica non solo
in Proudhon e Bakunin - come già precedentemente era stata fatta per Godwin e la Rivoluzione francese
- ma anche in autori poco noti come Dejacque e Coeurderoy anticipatori dell'anarchismo
socialrivoluzionario.
Non condividiamo invece il giudizio degli autori sul mancato sviluppo teorico dell'anarchismo dopo il
1872. Secondo Sergent e Harmel infatti da allora non è stato "acquisito niente di essenziale" perché
erano già state fissate le idee maestre a cui il movimento si attenne poi nel corso della sua storia. Così
l'atto di nascita sul piano dell'azione "ufficiale" e differenziata del movimento anarchico internazionale
(Saint-Imier 1872) è anche, in un certo senso, l'atto di morte del suo pensiero, cioè la conclusione della
parabola teorica iniziata da Godwin. Paradossalmente viene qui però, ancora una volta, messo in luce
proprio uno dei caratteri storici fondamentali del movimento libertario, vale a dire l'immodificabilità dei
suoi obiettivi e del loro perseguimento.
Una valutazione storica dell'anarchismo da un punto di vista etico, filosofico e dottrinale si può
rintracciare nei lavori di Paul Eltzbacher e Ettore Zoccoli. Sebbene siano stati scritti all'inizio di questo
secolo e quindi siano comprensivi solo dell'anarchismo ottocentesco, questi lavori, presentano
nondimeno ancora un interesse scientifico, soprattutto quello dello Zoccoli, per la ricchezza e la serietà
della documentazione anche se nel libro di quest'ultimo la valutazione etica dell'anarchismo condiziona
e predomina pesantemente quella storica. Nella prefazione del volume lo stesso Zoccoli avverte che non
intende fare una storia delle dottrine e dell'azione anarchica, se non per quel tanto che può essere utile
ai fini di "una valutazione etica" (18). Questa particolare angolatura pervade tutto il lavoro tanto da
esprimere, a volte, un vero e proprio rifiuto aprioristico verso la pur minima parvenza morale della
dottrina libertaria. A suo giudizio, infatti, la natura dell'anarchismo si caratterizza per il rifiuto e la critica
totale di ogni "ordinamento sociale e politico presente". Al di là delle molteplici tendenze che vanno dal
comunismo all'individualismo solo in apparenza tanto divergenti vi è un'unità di fondo che si rintraccia
sul terreno della assoluta negatività sia etica "la dottrina anarchica costituisce la più importante
deviazione etica che abbia mai turbato il mondo", che scientifica "la dottrina anarchica (...) si presenta
prima di tutto come interamente sfornita di qualsiasi base scientifica".
La preminenza della valutazione etica rispetto alla ricostruzione storica risulta subito evidente
nell'approccio assolutamente superficiale di Zoccoli alla genesi dell'anarchismo. Zoccoli infatti
sottovaluta l'humus culturale dell'illuminismo precludendosi così la possibilità di capire consapevolmente
la radice teorica del persistente antistoricismo anarchico (anche se nel confronto con il marxismo ne
coglierà il fenomeno in tutta la sua dimensione) (19). Conseguentemente non è il caso, a suo giudizio,
di valutare le idee anarchiche di Godwin e di altri numerosi pensatori perché "non sono che un riflesso
estetico e dilettantistico del loro pensiero".
Nei confronti degli autori considerati autenticamente anarchici e cioè Stirner, Proudhon, Bakunin,
Kropotkin e Tucker, egli opera rispettivamente una ripartizione sistematica fra critica metafisica,
economica, politica, sociologica e individualistica. Il pensiero anarchico trova il suo momento di unità
quindi non tanto nella formulazione di un progetto di ricostruzione sociale, quanto nella negazione di
quello presente. La giusta individuazione dell'aspetto preminente e caratterizzante del pensiero di questi
teorici, risulta perciò incompiuta rispetto ad una valutazione globale della loro dottrina. Ciò nonostante
l'esposizione di Zoccoli rimane rigorosa e ben documentata, anche se parzialmente inficiata da questo
pregiudizio di fondo.
Un'ulteriore sistematica divisione fra agitatori, idee e fatti è così riassunta dall'autore: "da una parte le
critiche astratte oltre le quali sono erette le costruzioni teoriche, e dall'altra l'azione". Tra questi due poli,
cioè i teorici (da lui definiti agitatori) e i fatti vi è la mediazione continua delle idee le quali costituiscono
le fonti della propaganda "in funzione della massa anonima degli aderenti". Questo schema gerarchico
usato dallo Zoccoli risulta però aprioristico rispetto all'effettiva realtà storica dell'anarchismo; il rapporto
organico e orizzontale fra pensiero e azione non è rilevato minimamente dall'autore che si ostina a vedere
così nel movimento anarchico una implicita e informale organizzazione partitica che non esiste nella
realtà. Allo stesso modo si pone la sua valutazione nei confronti della natura ideologica dell'anarchismo
che nella logicità del suo schema dovrebbe partire dall'individualismo di Stirner (critica metafisica) per
approdare al comunismo di Kropotkin (critica sociologica). Esso però, per ammissione dello stesso
Zoccoli, è messo in crisi di fronte alla presenza di Tucker, teorico dell'individualismo e contemporaneo
del comunista Kropotkin: "mentre potevamo esserci persuasi, perlomeno, d'aver raggiunto un piano
concreto per apprestarci alla discussione teorica, l'agitatore Tucker ci risospinge al punto onde ci
eravamo mossi con lo Stirner: all'individuo". Così, per Zoccoli, la soluzione del problema sociale non
trova nell'anarchismo uno sviluppo lineare e uno sbocco logico perché i due poli estremi, sia dal punto
di vista cronologico che ideologico - cioè l'individualismo e il comunismo - non solo sono "immobili (ma)
ciò che è peggio, controvertibili" e quindi la valutazione scientifica si trova imprigionata in un "circolo
senza uscite". Il pluralismo come sistema interagente fra le diverse tendenze non rientra pertanto nello
schema aprioristico dello Zoccoli, schema che conferma ancora una volta l'inadattabilità dei suoi criteri
valutativi fondati su una logica gerarchica e quindi inutili per comprendere quella egualitaria
dell'anarchismo.
La ripartizione sistematica dello Zoccoli fra agitatori, idee e fatti se da una parte è inadatta a
comprendere aspetti fondamentali dell'anarchismo, come appunto il rapporto organico fra pensiero e
azione oppure il fondamentale pluralismo ideologico, dall'altra offre alcuni vantaggi "didattici" ad
esempio quello relativo ad una facile consultazione per argomenti delle idee comuni dell'anarchismo.
Assunte a criteri valutativi alcune questioni fondamentali come il diritto, il dovere, la famiglia, la
religione ecc., l'autore propone ancora una volta un bilancio sostanzialmente dottrinale ed etico del
libertarismo. Analogamente per le idee vi è una ripartizione sistematica dei fatti divisi per affinità come,
per esempio, quelli relativi a congressi, strutture organizzative, lotta pacifica e violenta ecc.... La
ricostruzione storica è qui continuamente spezzettata per far posto ad un'implicita tipologia dei caratteri
fondamentali dell'anarchismo. In definitiva l'immagine che di esso ci dà Zoccoli alla fine del lavoro
conferma quelle esposte nelle premesse, e cioè quelle di una condanna etica e filosofica e così la
ricostruzione storica non ha attenuato minimamente le dimensioni.
Una valutazione sostanzialmente dottrinale e filosofica prevede anche il lavoro di Eltzbacher sebbene
quest'ultimo non sia assillato dall'urgenza di una condanna etica, come nel caso dello Zoccoli, quanto
dal definire scientificamente l'anarchismo. La sua analisi tenta un'interpretazione globale di esso limitata
però al solo ambito teorico. In tal senso l'autore si propone di presentare sia le proprietà comuni delle
dottrine considerate come anarchiche, sia le loro particolarità. Il criterio di questa valutazione discende
dal confronto fra il complesso di questa teoria e i problemi generali del diritto dello Stato e della
proprietà (20). Secondo l'autore, infatti, solo questo paragone stabilisce scientificamente il carattere
anarchico di una dottrina e pertanto le teorie di Godwin, Proudhon, Stirner, Bakunin, Kropotkin, Tucker
e Tolstoi, considerate comprensive di tutti i generi e le speci dell'anarchismo teorico, sono analizzate
solo in funzione di questo riscontro. Inoltre l'autore tenta di individuare sia l'essenza di ogni teoria,
attraverso una definizione di base, sia l'aspetto costruttivo di essa, attraverso una definizione del suo
progetto positivo.
Ne risulta, con questo schema, che per Godwin la legge suprema dell'uomo è il bene universale, per
Proudhon la giustizia, per Stirner e Tucker l'interesse individuale, per Tolstoi l'onore, per Bakunin e
Kropotkin l'evoluzione progressiva dell'umanità. Pertanto rispetto ad una definizione di base queste sette
dottrine non hanno nulla in comune: Bakunin e Kropotkin concepiscono come legge suprema di ogni
azione umana soltanto una legge naturale, Proudhon e Tolstoi come un dovere inteso come scopo
assoluto - per il primo la giustizia per il secondo l'amore - infine per Godwin, Stirner e Tucker la legge
suprema di ogni azione umana è la felicità, altruistica per il primo, egoistica per gli ultimi due.
Rispetto al diritto Eltzbacher procede invece con questa schematizzazione: Godwin ripudia il diritto in
modo assoluto, Proudhon lo ammette solo come libero contratto trilaterale, Stirner lo respinge senza
restrizione di tempo nè di luogo, Kropotkin, Bakunin e Tucker lo concepiscono con modalità diverse
nella futura società, Tolstoi infine lo nega ma non in modo assoluto, - in nome dell'onore. Così per
Eltzbacher una parte di questi autori esclude il diritto per il prossimo avvenire, mentre le altre lo
affermano: per Godwin la norma che lo sostituirà sarà il bene di tutti, per Stirner il bene individuale, per
Tolstoi l'onore; al contrario, invece, per Tucker nella società futura vi saranno, come oggi, delle leggi
(diritto come espressione di una volontà dichiarata) e delle consuetudini (diritto come forma spontanea)
secondo Bakunin e Kropotkin, vigeranno in un avvenire prossimo soltanto le consuetudini, secondo
Proudhon, infine, non dovrà sussistere che una sola norma giuridica, quella cioè che prescrive che
un'obbligazione contratta deve essere adempiuta.
Legando in una visione tutta particolare il problema della proprietà con quello del diritto, Eltzbacher
conclude che rispetto ad essa solo Bakunin, Kropotkin e Tucker la ammettono nella futura società,
mentre per motivi diversi Godwin, Stirner, Proudhon e Tolstoi la negano. La discutibilità di questa tesi
si basa sul significato tutto particolare che l'autore dà al termine proprietà, significato, come abbiamo
detto, strettamente legato alla funzione positiva o meno del diritto. A suo giudizio, infatti, per Proudhon
la proprietà sarà sostituita da una ripartizione dei beni determinata da relazioni giuridiche volontarie, per
Godwin, Stirner e Tolstoi da una ripartizione non regolata da alcune relazioni giuridiche, mentre al
contrario, per Tucker, Bakunin e Kropotkin la proprietà susciterà rispetto veramente per il primo tanto
per gli individui che per la comunità, per il secondo sarà limitata ai soli oggetti di ciascuno individuali,
per il terzo, infine, sarà assolutamente comune e incondizionata.
Per quanto riguarda il progetto di ricostruzione sociale Eltzbacher distingue le dottrine riformistiche di
Godwin e Proudhon da quelle rivoluzionarie dei rimanenti autori a loro volta suddivise fra quelle
resistenti alla violenza (Tucker e Tolstoi) da quelli invece che la ammettono e si possono perciò definire
insurrezionali (Stirner, Bakunin e Kropotkin). Solo su un punto - ed è interessante sottolinearlo - queste
dottrine per Eltzbacher si trovano tutte concordi: nel voler la distruzione assoluta ed incondizionata dello
Stato. Riguardo alla futura ricostruzione sociale l'autore distingue le teorie che non ammettono che
nessuna relazione giuridica deve essere sostituita ad esso, e pertanto si possono definire spontaneistiche,
da quelle invece che, per motivi diversi, la concepiscono, e che pertanto vanno definite federalistiche;
nel primo gruppo l'autore include Godwin, Stirner e Tolstoi; nel secondo Proudhon, Bakunin, Kropotkin
e Tucker.
Dall'analisi dell'Eltzbacher una considerazione emerge chiara e palese, e cioè quella relativa alla
strutturale multiformità e pluralità dell'anarchismo che, a nostro avviso, costituisce uno dei suoi caratteri
fondamentali e ineliminabili. In questo senso risulta evidente la differenza che intercorre fra quest'ultimo
e lo Zoccoli che pur, in una visione più vasta ed articolata, si muove nello stesso piano vale a dire tentare
di valutare l'anarchismo con un criterio sistematico e intenzionalmente scientifico.
Per Nettlau si possono rintracciare alcune manifestazioni dell'idea anarchica sia nei tempi antichi, sia in
alcune sette religiose del medioevo, sia infine, nell'epoca moderna. Egli fa così una implicita distinzione
fra le manifestazioni puramente teoriche e quelle di carattere pratico coinvolgenti individui, gruppi e
masse. La genesi dell'anarchismo non va pertanto rintracciata nell'avvento della "questione sociale" nata
dal passaggio dalla società agricolo-artigianale alla società industriale, ma si ricostruisce nella più
generale lotta che oppone la coscienza della libertà a quella dell'autorità. In questo senso, egli precisa,
una storia dell'idea anarchica è inseparabile dalla storia di tutte "le evoluzioni progressive e dalle
aspirazioni verso la libertà" (21).
Questo discutibile tentativo di assegnare un significato anarchico ad ogni manifestazione contro il potere
prescindendo, in un certo senso, dal contesto storico in cui scaturisce questa azione, conduce Nettlau
a formulare da una parte con estrema genericità le origini del movimento (22), dall'altra per conseguenza
a vederlo come funzione storica e universale della libertà sempre presente nella storia umana.
Due sono le conseguenze intrecciate, pertanto, di questa interpretazione di fondo (23). La prima è
relativa al rapporto fra storia dell'anarchismo e storia generale e si precisa nel tentativo di individuare
in quest'ultima una costante presenza della prima, costante che si manifesta e si ripete in diversi modi
(24); la seconda invece, inversamente proporzionale all'antecedente, è relativa al rapporto fra anarchismo
e lotta di classe, intesa qui specificamente come lotta anarcosindacalista. Vi è da parte del Nettlau,
infatti, una sottovalutazione di questo rapporto nel senso che presentando l'anarchismo come tensione
generale dello spirito umano verso la libertà, il mezzo storico preciso del rapporto relativo alla lotta della
classe operaia, in quanto lotta determinata da un contrasto storico particolare, risulta secondario e
contingente (25).
Con questa interpretazione Nettlau però d'altra parte pone implicitamente le basi per una comprensione
corretta del pluralismo ideologico dell'anarchismo che, in questo movimento capace di esprimere in
modo multiforme le diverse manifestazioni storiche della libertà e dell'uguaglianza, risulta irriducibile ad
una unica e definitiva identificazione con una classe o con un gruppo sociale preciso. Tale impostazione
comporta una lettura dell'anarchismo come movimento libero rispetto a qualsiasi determinato soggetto
storico e quindi, in quanto tale, capace di radicarsi in ogni paese secondo i tempi e i modi del contesto
storico particolare. È in questo senso che va spiegata la ricostruzione storica del Nettlau che in alcuni
punti può apparire priva di un filo conduttore unico e lineare. L'eccessiva ricchezza di nomi date e fatti,
a volte veramente accavallati senza respiro, se da una parte è dovuta alla forzate impostazione
riassuntiva del lavoro (26), dall'altra conferma quanto dicevamo: una intenzionale renitenza dell'autore
a individuare nel complessivo svolgimento storico un'unica causa ed un unico "filone" dominanti che ne
spieghino per intero, esaustivamente, la logica del suo sviluppo.
Se si può parlare di un filo conduttore continuo nel lavoro del Nettlau esso riguarda la ricostruzione del
passaggio dal mutualismo proudhoniano al comunismo di Kropotkin, evoluzione non lineare che
dimostra l'intreccio fra pensiero, azione e contesto storico particolare come componenti interagenti di
un unico processo, dall'autore giustamente ben evidenziato (27).
La logicità del discorso, però, si fonda sempre su un punto di vista soggettivo nel senso che tutta la
storia dell'anarchismo è ricostruita dal Nettlau senza una visione organica fra movimento libertario e
storia generale. Vi è, come abbiamo detto sopra, il tentativo di vedere in essa una costante presenza
anarchica, soprattutto nelle manifestazioni di pensiero antecedenti la Rivoluzione francese, ma non vi
è invece una spiegazione delle influenze reciproche fra di loro.
(2. - continua)
(14) A. SERGENT - C. HARMEL, Histoire de l'anarchie, Paris, 1949. Si veda a questo proposito le
giuste critiche di Leo Valiani nella recensione da lui fatta in "Movimento Operaio", Milano, Anno IV,
gennaio-febbraio 1952, n. 1, pp. 160-165.
(15) La diversità fra proudhoniani e bakuninisti è colta dagli autori nel rispettivo atteggiamento nei
confronti della Prima Internazionale: per i primi essa si presentava come un organismo di ricostruzione
sociale, per i secondi come uno strumento di rivoluzione. Ibid., p. 361.
(16) Inizialmente il lavoro doveva coprire tutta la storia dell'anarchismo fino ai giorni nostri. Cfr.
l'avvertimento dell'editore all'inizio del volume.
(17) Nella già citata recensione Leo Valiani a questo proposito ha parlato di "romanzo storico". Cfr. L.
Valiani, Recensioni..., p. 160.
(18) E. ZOCCOLI, L'anarchia. Gli agitatori, le idee, i fatti, Milano, s.d. (ma 1944), p.XXI.
(19) "Il marxismo, egli scrive giustamente, non suggeriva nessuna mutazione artificiale dell'ordinamento
economico attuale". In questo senso esso superava "la fase rivoluzionaria attiva e propulsiva, ereditata
e contaminata dagli anarchici, per equilibrarsi in un'oggettivazione della rivoluzione". Ibid., p. 453 e p.
454.
(20) P. ELTZBACHER, L'anarchismo, in "Volontà", Cosenza, Anno XX, n. 8-9, agosto-settembre
1967, pp. 510-511.
(21) M. NETTLAU, Breve storia dell'anarchismo, Cesena, 1964, p. 1.
(22) A suo giudizio Zenone e Carpocrate nei tempi antichi, Rabelais, La Boetie e Diderot nei tempi
moderni, e infine Owen, i fratelli Bauer e Feuerbach ed altri sia socialisti "utopistici" che teorici della
sinistra hegeliana, sono tutti anticipatori parziali dell'ideale libertario. Ibid., p. 1-33 e p. 57-63.
(23) Recentemente da più parti si è affermato che non esiste nella produzione storiografica del Nettlau
un disegno interpretativo conseguente, sistematico e logico. La sua, in altri termini, più che una storia
sarebbe una cronistoria sebbene ricchissima di dati di ogni genere. Una convincente risposta a queste
obiezioni si può trovare in M. ENCKELL, Max Nettlau e l'Italia, in A.A.V.V., Anarchismo e socialismo
in Italia (1872-1892), Roma, 1973, pp. 293-301.
(24) Secondo Nettlau l'anarchismo è manifestato in tre fondamentali modi: in Inghilterra, Germania,
Francia e Stati Uniti come parte dell'evoluzione umana progressiva; in Italia, Russia e Spagna si è
sviluppato naturalmente per la congenialità di quei paesi; in Danimarca, Svezia, Olanda e Austria per
imitazione e ricezione di altre esperienze. Ibid., p. 89, pp. 233-234 e pp. 238-239.
(25) Si veda a questo proposito il criterio adottato da Nettlau per valutare l'importanza
dell'anarcosindacalismo, criterio che si basa su una pura considerazione numerica e quantitativa della sua
forza. Ibidem, p. 232.
(26) Si tratta come è noto, della riduzione della sua monumentale storia dell'anarchismo per buona parte
ancora allo stato di manoscritto, depositata all'Istituto di storia sociale di Amsterdam.
Per tutto questo, cfr. l'introduzione di Giuseppe Rose al citato volume, pp. V-XIX.
(27) Si veda a questo proposito la contemporanea presenza nel 1880 circa del collettivismo in Spagna,
del comunismo in Italia, Francia e Svizzera, del mutualismo e del collettivismo negli Stati Uniti. Ibid.,
p.153.
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