Rivista Anarchica Online
Tutti uniti, tutti insieme... ma questo non è
il PCI?
di Claudia V.
Il ruolo dell'organizzazione interclassista. La funzione dei "partiti di massa" nel processo di
costruzione dello Stato democratico - Attraverso quali canali
viene mediata la "volontà popolare" - Il clientelismo della DC contrapposto all'efficientismo del
PCI - Come si
è evoluta in questo dopoguerra la struttura organizzativa comunista
Uno degli aspetti più importanti della scalata al potere del PCI
è la formazione della propria egemonia non solo
all'interno delle istituzioni dello Stato, ma anche e soprattutto nella società civile: accanto alla
strategia di politica
interna ed estera che va dalle riforme di struttura ai rapporti diplomatici con le altre forze politiche, il
partito ha
sviluppato in modo particolare un certo tipo di rapporto con la propria base e con la comunità
sociale in genere.
Uno dei livelli di formazione di questa egemonia è rappresentato dal rapporto tra la struttura del
partito e la
società, in altre parole dal modo di organizzare il legame tra queste due realtà. Per
il particolare modo di organizzare la propria struttura in rapporto alla base sociale il PCI viene definito
un
partito di massa. Storicamente i partiti di massa si sono formati parallelamente al processo di
industrializzazione,
con la funzione principale di integrare nel sistema politico già esistente le forze economiche e
sociali che
tendevano ad opporsi alla classe dominante. In Italia il processo di industrializzazione ha caratteri
particolari: alla
fine dell'800 esso si svolge contemporaneamente a quello di unificazione nazionale, avviene cioè
all'interno di
un regime di monarchia militare e non si lega, come in altri paesi, ad una rivoluzione sociale di tipo
liberale. La classe dominante durante il processo di unificazione è formata da una coalizione
tra l'aristocrazia fondiaria
e i rappresentanti del mondo degli affari: commercio, banche, industrie ecc.; il sistema politico verte
intorno al
Parlamento al quale hanno accesso solo i rappresentanti di questa coalizione; la selezione dei
rappresentanti
infatti avviene secondo il censo; il diritto di voto alle elezioni spetta solo a chi dispone di un certo grado
di
ricchezza. Questo sistema è esclusivamente espressione del potere dell'aristocrazia e della
borghesia conservatrice
e ha il compito di premere sulle decisioni della monarchia: il suffragio ristretto garantisce un rapporto
diretto tra
Parlamento e classe dominante: i partiti quindi hanno una struttura sostanzialmente oligarchica volta a
mantenere
la connessione tra queste forze. L'unificazione nazionale e l'affermazione politica di questa classe,
viene però ostacolata dallo sviluppo di due
tendenze opposte: la cosiddetta subcultura cattolica e quella socialista. Per capire il ruolo svolto da queste
forze
si deve tener conto del fatto che esse sono realtà economiche sociali e culturali ed è
quindi fondamentale il loro
tipo di organizzazione, il loro modo di "gestirsi". Le due subculture sono dunque associazioni e
organizzazioni "parallele" a quelle capitalistiche: in quella
socialista troviamo i primi sindacati delle regioni industriali del Nord, le Camere del Lavoro e nelle
regioni agrarie
le leghe dei contadini, le società di mutuo soccorso e le cooperative; in quella cattolica (oltre alle
organizzazioni
clericali tradizionali) troviamo le scuole (che sono in gran parte di proprietà della Chiesa), le reti
di leghe bianche,
le società di credito agricolo ed ancora le cooperative. I partiti di massa, che trasformeranno
al momento della loro formazione il sistema politico dell'aristocrazia e della
borghesia conservatrice, nascono da una tendenza organizzativa presente in queste due subculture, la
tendenza
autoritaria. Infatti, specialmente per quanto riguarda le associazioni socialiste, esiste un rapporto tra le
forze che
spingono per un'organizzazione verticistica e autoritaria delle associazioni stesse, che formano la
subcultura, e
la pressione ad organizzare e dare espressione politica (e potere) a queste tendenze attraverso la
costituzione del
partito. Al contrario, sempre nell'ambito socialista, le forze che premono per gestire, o meglio,
autogestirsi in
modo egualitario, rifiutano di formare un apparato di partito e agiscono in una prospettiva rivoluzionaria.
Uno
dei caratteri fondamentali del partito di massa è dunque comprensibile considerando il modo in
cui esso si è
formato: il Partito Socialista fondato nel 1892 e il Partito Popolare, che raccoglie i democratici cristiani,
fondato
nel 1919, si formano come organizzazioni politiche autoritarie delle tendenze associative, autoritarie,
delle
rispettive subculture. Il termine partiti "di massa" indica ad un tempo la nuova struttura e
la nuova funzione
introdotta appunto da queste organizzazioni: esse, rispetto ai partiti originari dei notabili legati ad una
cerchia
ristretta di forze economiche, sono in rapporto con organizzazioni sociali diffuse e numerose; non solo:
la loro
forza consiste nel presentarsi come organizzatori e "possessori" della volontà delle masse, nella
capacità di gestire
la "delega del popolo". Il principio su cui ruota il loro potere e in funzione del quale è costruita
la struttura del
partito è che la "volontà popolare" può essere delegata e rappresentata da
organismi di mediazione: la funzione
di queste istituzioni di massa è dunque di "mediare" questa volontà, ossia, nella
realtà, di svuotare le lotte degli
sfruttati della loro portata rivoluzionaria e integrarle nel sistema e contemporaneamente di conservare il
proprio
potere sfruttando appunto la "volontà popolare". Il sistema dei partiti, per rafforzarsi, preme
per una progressiva democratizzazione politica e sociale (per es. il
suffragio universale) ed è quindi il punto d'appoggio, tra i più importanti, del sistema
capitalista e in particolare
della borghesia progressista che spinge appunto per uno sviluppo "necessariamente parallelo della
borghesia
industriale e del proletariato organizzato". Ma la formazione vera e propria dei partiti di massa si
realizza in Italia nel secondo dopoguerra (parallelamente
al consolidarsi della democrazia rappresentativa e alla ripresa del processo di industrializzazione) nelle
due forme
più importanti: la DC e il PCI. Entrambe le organizzazioni si trovano di fronte al medesimo
problema per
l'affermazione del proprio potere come partiti di massa e cioè il rapporto con il livello di sviluppo
economico,
il sistema politico e la situazione sociale. Alcune scelte sono dettate dalla differente collocazione dei
due partiti all'interno del sistema politico ed alla loro
natura particolare: la DC è il partito al governo e raccoglie quasi tutte le forza di tradizione
cattolica, il PCI è
bloccato all'opposizione, ostacolato negli anni '50 dalla guerra fredda e raccoglie le forze di sinistra
sviluppatesi
soprattutto durante la resistenza. Tenendo presenti questi fattori, vi sono però delle differenze
di orientamento
(soprattutto per quanto riguarda il PCI) che non sono strettamente vincolate alla specifica situazione
politica ma
rientrano in una strategia (del resto abbastanza recente) che è rivolta ad una realtà
economica e sociale
completamente nuova e diversa.
Le organizzazioni di base
Nell'immediato dopoguerra non esiste in Italia una cultura politica nazionale, ma continuano a
svilupparsi la
subcultura cattolica e quella socialista: esse giocano un ruolo importante nella fondazione del potere dei
due
partiti in quanto rappresentano il terreno sul quale essi formano il proprio elettorato e la base
dell'organizzazione. Il PCI, in particolare, essendo escluso dal governo ha una ragione di più
per coltivare questo campo d'azione e
imposta la propria politica più sulla costruzione a tempi lunghi dell'egemonia che sulla ricerca
della vittoria
elettorale, della maggioranza formale. Il modo di agganciarsi con la base è dunque diverso per
le due
organizzazioni e soprattutto è diverso il valore attribuito a questo rapporto: per il partito
comunista è infatti di
primaria importanza. Il primo elemento di confronto è il legame tra l'organizzazione del
partito e le associazioni economiche e sociali
della subcultura: il rapporto instaurato dalla DC è di tipo clientelare: le sue basi
sociali sono fornite dalle
associazioni dell'Azione Cattolica, dalle parrocchie, dai Comitati Civici (oltre agli organismi clericali
ereditati
dall'anteguerra): nell'insieme queste associazioni, appoggiate dalla borghesia e dalle forze "moderate" del
capitalismo, formano una realtà piuttosto potente e indipendente rispetto al partito, ne
costituiscono
un'organizzazione parallela. Il legame tra il partito e queste associazioni si realizza quindi
come scambio di favori
tra poteri equivalenti, nella politica di sottogoverno: la forza della DC sta infatti anche nella
possibilità di
distribuire incarichi di potere o di prestigio. La politica di sottogoverno condiziona anche un secondo
elemento
della struttura del partito e cioè il modo in cui esso forma i propri quadri e quelli
dell'amministrazione: la prassi
consiste nel fatto che il partito interviene nella distribuzione degli incarichi nei diversi settori statali, in
primo
luogo quello amministrativo: può collocare un "favorito" per controllare meglio la situazione, o
perché questi è
un uomo influente all'interno dell'organizzazione del partito stesso o perché e potente nella
subcultura che dà
la vita al partito di governo. A sua volta il partito forma i propri quadri secondo criteri di prestigio
raccogliendo
i membri del partito dai vertici delle associazioni "di base": il risultato è che il partito è
scopertamente chiuso
all'ascesa al potere e alla partecipazione politica per le persone che non facciano parte della classe
dominante,
la quale forma la base elettorale del partito ed è disposta a difenderlo solo in cambio di altro
potere. Il potere
della DC è legato allo sviluppo del capitalismo e a una struttura dello stato in cui le istituzioni
contrabbandano
prestigio e controllo sociale con i detentori dei mezzi di produzione: il clientelismo è anche
un'espressione politica
di un certo tipo di sviluppo economico. Partendo dal primo elemento di confronto, il rapporto tra
l'organizzazione del partito e le associazioni della
subcultura notiamo innanzitutto che il PCI, fin dall'immediato dopoguerra, si è posto il duplice
obiettivo di
integrare nella propria organizzazione le associazioni socialiste già esistenti e soprattutto di
crearne di nuove e
di stabilire così un rapporto diretto e organico con la base. La trasformazione della struttura
del partito dal tipo marxista-leninista (rigorosamente riservato ai militanti
ideologicizzati) al tipo attuale di massa è uno dei modi in cui si è concretizzato questo
rapporto: il PCI ha puntato
con impegno sistematico all'iscrizione in massa dei simpatizzanti e alla costituzione di organismi di base
in grado
di organizzare totalmente la vita dei propri iscritti. Gli organismi a cui è attribuita la funzione
di collegare organicamente il partito alla base sono le cellule e le
sezioni: questi nuclei hanno infatti il compito di fornire un'organizzazione non solo politica, ma anche
sociale e
culturale, mediante collegamenti con il sindacato, le cooperative, i centri culturali e
sportivi. Contemporaneamente all'intensificarsi di questa attività è accaduto
però, nell'evoluzione di queste cellule, un
cambiamento di rotta: è mutato cioè il loro orientamento sociale e ciò rappresenta
un fatto importante nei rapporti
tra il partito e la società. Nel '74 era principio diffuso (del resto rispondente ad una realtà
economica in gran parte
ancora contadina) che le organizzazioni di massa, le società operaie, le associazioni culturali e
ricreative
dovessero avere vita e funzione su base territoriale: il PCI impegnò così gli anni '50 nello
sforzo di organizzare
tante cellule quante sono le sezioni territoriali realizzando una presenza diffusa, capillare, nella
società. Intorno
agli anni '60 le cellule "territoriali" sono però entrate in crisi soprattutto per la trasformazione del
tipo di vita
legata al consumismo, il quale tende a disgregare la base culturale e sociale nella quale agivano queste
cellule.
È a questo punto che interviene il cambiamento di rotta: le cellule non si orientano più
secondo criteri territoriali,
ma piuttosto "produttivi", cioè tendono a raccogliere i simpatizzanti secondo associazioni di
interesse e per
categorie professionali: si sviluppa in questo modo una delle caratteristiche distintive del PCI rispetto alla
Democrazia Cristiana: il professionalismo. Mentre per la Democrazia Cristiana il legame con
l'elettorato è rappresentato dal clientelismo, per il partito
comunista il legame è il professionalismo, a diversi livelli: esso impronta la formazione dei quadri
dalla base al
vertice. L'attività politica non è concepita come spartizione del potere in base al prestigio
dei diversi settori di
potere, ma è piuttosto una spartizione del potere secondo il ruolo svolto dagli iscritti nei vari
settori della
produzione e anzi proprio in rapporto ad essa; specialmente per quanto riguarda le amministrazioni locali,
le sole
con le quali il partito è in stretto contatto, non c'è stata distribuzione di cariche, ma
piuttosto un reclutamento
di tecnici e burocrati nelle file del partito. Questo rispetto per le regole "meritocratiche" delle
organizzazioni
tecnoburocratiche, già abbastanza forti per opporsi al sottogoverno DC, ha contribuito a creare
un clima di fiducia
e di stima nei confronti del PCI, per la sua "serietà", facendo pendere la bilancia dei professionisti
in favore del
partito comunista. A questo si deve aggiungere l'impronta di efficienza che il PCI ha dato
all'amministrazione del partito: il risultato
è stato che riuscendo ad assimilare la subcultura socialista alla propria struttura, creando
organismi propri,
congiungendo amministrazione locale e attività di partito il PCI è diventato molto
più forte nelle zone non
proletarie della nazione, nelle quali però ha gestito il potere locale ed è riuscito nello
stesso tempo ad aprirsi una
nuova via al potere. L'importanza del professionalismo sembra superare infatti i limiti della semplice
azione di opposizione al partito
di governo corrotto e disgregato: è possibile infatti che esso tenda a diventare un legame tra il
partito e la
tecnoburocrazia, non dissimile dal clientelismo che ha caratterizzato il rapporto tra la DC e il
capitalismo. Nel convegno tenuto a Torino nel '73 sul tema "Scienza e organizzazione del lavoro"
gli ideologi del PCI hanno
preparato un materiale di base per uno studio sui seguenti temi: l'organizzazione del lavoro in rapporto
allo
sviluppo tecnologico e scientifico; il tipo di partecipazione operaia alla lotta politica in rapporto
all'organizzazione della produzione ed infine l'inserimento di questi temi all'interno della strategia della
via
italiana al socialismo. Una delle proposte centrali di queste elaborazioni è di fondare un
nuovo tipo di rapporto tra l'organizzazione del
lavoro quale è determinato dallo sviluppo tecnologico e l'organizzazione del partito: questo
rapporto risulterebbe
integrando il principio della democrazia di base all'interno dell'attuale organizzazione del partito. La
democrazia
di base viene intesa infatti come una struttura che ha il pregio di essere fondata e di agire in diretto
rapporto con
le categorie professionali: le cellule ed i vari comitati costituiscono in questo senso l'espressione politica
dei
lavoratori inseriti nei rispettivi livelli di produzione. Un altro aspetto importante di questa democrazia
di base è quello cosiddetto sociale: una delle conquiste
politiche e ideologiche del movimento operaio viene infatti indicata nel superamento delle lotte
esclusivamente
salariali, rivendicative, corporative ecc. in direzione di un tipo di lotta appunto sociale,
cioè tale da "fondare un
certo tipo di rapporto tra sindacato e lavoratori, tra lavoratori e società" "lo scopo (di queste lotte)
è creare una
contro-organizzazione di base che unisca la produzione alla vita sociale"; il termine "lotta sociale" indica
dunque
un progetto di struttura alternativa e totale, legata al partito, espressione politica della nuova
organizzazione del
lavoro. In questo disegno generale fa la sua comparsa un terzo elemento: il nuovo tipo di rapporto con
gli
intellettuali e in particolare con tecnici e tecnocrati. La democrazia diretta viene considerata l'unica base
attraverso la quale la classe operaia può realizzare la sua "funzione egemone nei confronti degli
intellettuali, non
strumentalizzandoli occasionalmente come sostegno tecnico e scientifico ad una politica decisa dal
sindacato
senza una loro partecipazione, ma invece chiedendo loro una partecipazione, anche se in forma
autonoma, alla
formazione delle decisioni e un contributo specifico alla definizione della strategia. È questo il
modo di renderli
protagonisti nell'elaborazione e nell'articolazione di una politica di riforme". Ai tecnocrati quindi si
propone non
un ruolo subordinato, di consultazione occasionale, ma una partecipazione stabile, l'unione della
funzione nel
campo del lavoro con il potere politico in un partito egemone nella società. A
sostegno degli intellettuali si afferma in altri punti, recuperando la "tradizione" leninista del partito, che
poiché
la lotta operaia "non può restare chiusa in fabbrica e deve invece connettersi direttamente con
la battaglia per la
riforma e la trasformazione dell'organizzazione dell'intera società non può essere
condotta avanti da una classe
operaia nella sua vecchia accezione, che non inglobi in sé, nella sua stessa definizione, la scienza
come forza
produttiva e che quindi non abbia dei rapporti molto precisi con tutta una serie di settori tecnici, di
ricercatori
e così via" poiché "... o questi gruppi professionali e sociali entrano nella classe operaia,
cioè fanno parte della
sua lotta, oppure la classe operaia da sola non ce la fa, cade nell'unilateralità e nel
corporativismo". Il quadro che emerge da questo convegno mostra quindi, anche se solo a livello di
proposta, un rapporto preciso
tra un tipo di organizzazione politica in grado di articolazione secondo la gerarchia delle professioni, e
cioè la
democrazia diretta, una dimensione sociale (e totalitaria) dell'egemonia e un ruolo di protagonista affidato
ai
tecnocrati, il tutto legato alla struttura del partito. Riportandoci, infine, ad un discorso generale sul
ruolo dei partiti e del sistema politico attuale è possibile che il
tipo di egemonia nella società civile così prospettata dal PCI sia anche una risposta alla
crisi delle istituzioni
politiche e forse la proposta per una nuova dimensione del partito. Una delle ragioni della perdita di
"autorità"
delle istituzioni politiche è il cambiamento avvenuto nella realtà economica e sociale:
abbiamo visto che il sistema
partitico è nato come espressione dei molteplici poteri e interessi sorti durante lo sviluppo e
l'affermazione del
capitalismo: la democrazia rappresentativa di massa, insieme con i partiti che ne sono i pilastri, è
l'espressione
politica di questa realtà. Oggi la formazione delle società multinazionali, svincolate
dalla volontà politica dei governi delle singole nazioni
e la concentrazione in queste società del potere di pianificazione economica e politica, oltre al
rafforzamento dei
cosiddetti gruppi di pressione (come ad es. il sindacato, i quali tendono a risolvere le questioni
economiche
attraverso un rapporto diretto anziché mediato) rende sempre più superflue le diverse
funzioni dell'istituzione-partito, e cioè la mediazione e il mantenimento dell'equilibrio fra i diversi
poteri, l'integrazione delle masse nel
sistema politico nazionale e i partiti stessi sembrano perdere la terra sotto i piedi con il mutare del
concetto di
delega e di rappresentanza della volontà popolare: un cambiamento, anche se parziale, della
struttura del partito
rispetto a questo concetto è quindi significativo per individuare in quale modo i partiti possono
trasformarsi da
strumento di potere del capitalismo a strumento di potere della tecnoburocrazia. Per i partiti è
quindi fondamentale il modo di rispondere alle esigenze della classe emergente e dei gruppi di
pressione, è importante il tipo di struttura politica che il partito offre come una possibile
organizzazione totale
della nuova realtà economica. Già negli anni '60 alcuni autori individuarono i nodi che
un partito attualmente
deve sciogliere per realizzare il proprio potere: esso dovrebbe riuscire ad aggregare su una base
sufficientemente
comune di interessi le diverse categorie di lavoratori, operai, impiegati, funzionari, liberi professionisti,
ecc. e ad
elaborare una strategia generale che non sia troppo ideologizzata e che sia totale: e questo sembra
già rientrare
in buona parte nella strategia del PCI.
Claudia V.
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