Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 40
giugno 1975


Rivista Anarchica Online

Contro quale regime?
di P.F.

Del comportamento settario e disonesto dei radicali in occasione della marcia anti-militarista si parla in altra parte della rivista. Noi, concordando appieno con il comunicato-stampa emesso dai compagni là presenti per motivare il loro abbandono della marcia stessa, non abbiamo nulla in particolare da aggiungere sulla fattispecie. Ma, alla luce anche di quest'esperienza, val forse la pena riprendere un attimo il discorso più generale sul Partito Radicale, sui suoi obiettivi ed i suoi metodi, sulla sua funzione - proseguendo così la nostra analisi intrapresa sullo scorso numero (cfr. l'articolo "Riformisti extraparlamentari").
Il Partito Radicale, nonostante che imposti tutte le sue battaglie sulla parola d'ordine della "lotta contro il regime", è più che mai un vero "partito di regime". Intendiamoci subito sul termine "regime": se infatti ad esso si vuol dare il significato restrittivo di "regime democristiano" (come molti sono soliti fare), allora avremo torto noi, dal momento che indubbiamente i radicali stanno conducendo - e non da oggi - una lotta serrata contro il partito di maggioranza relativa, il suo malgoverno, la sua strategia asservita al Vaticano, i suoi scandali e la sua corruzione. Ma a nostro avviso con il termine "regime" si deve intendere più in generale la struttura di Potere, tutti i canali (istituzionali o meno) attraverso cui questo potere si esercita. I Radicali, in questo senso, pur essendo decisamente ai margini del Potere, ne costituiscono un valido supporto, un elemento importante e forse addirittura indispensabile.
Si pensi al significato del prossimo referendum sull'aborto e degli altri sette (codice militare, tribunali militari, codice Rocco, ecc.) da loro lanciati. Tutti questi referendum hanno lo scopo dichiarato di abrogare leggi palesemente "illiberali" preparando così il terreno al Parlamento (e, in un certo senso, costringendolo) per una nuova regolamentazione - più "liberale", auspicando i promotori dei referendum - delle materie in questione. Si tratta, dunque, di iniziative perfettamente riformiste, inserite nella logica di un regime - come il nostro - a democrazia parlamentare. Ma non è questo l'aspetto che qui ci preme sottolineare.
Il fatto è che i radicali presentano le loro campagne di raccolta-firme ed in genere la loro pubblicità per i loro referendum come momenti essenziali di... lotta contro il regime. Non sappiamo se per stupidità o malafede, i vari Spadaccia, Pannella, ecc. continuano infatti a parlare delle lotte riformiste da loro proposte come di lotte dirette, contro il regime, per la costruzione di una nuova società "veramente costituzionale, laica, libertaria, socialista" e... chi più ne ha più ne metta. Il che, se è certo vero per l'aspetto "costituzionale e laico" della faccenda, non lo è più (e come lo potrebbe essere?) per quanto riguarda una società "socialista" (nel vero senso del termine) né tantomeno "libertaria" - e su questo equivoco pasticciaccio dei radicali abbiamo già avuto occasione di dire la nostra.
I referendum altro non sono che uno strumento di mobilitazione dell'opinione pubblica all'interno della logica e delle istituzioni dell'attuale regime. I referendum, infatti, pur non costituendo direttamente una delega di potere, lo sono indirettamente - ed in modo più pericoloso delle normali consultazioni elettorali (politiche ed amministrative). Intorno alle operazioni "referendum", infatti, il regime riesce a mobilitare una fetta significativa della popolazione, stimolando la generale partecipazione alla consultazione "diretta", riacquistando - ed è questo che ci preme sottolineare - quella "legittimazione", quella credibilità popolare che gli è essenziale per il suo perpetuarsi. In altri termini, indipendentemente dai temi sottoposti a referendum e dai risultati delle relative consultazioni, è proprio il Potere ad uscire sempre rafforzato dalla bagarre che accompagna - oramai ne abbiamo diretta esperienza - tutte le iniziative referendumiste.
A questo nostro lineare e coerente atteggiamento rivoluzionario i radicali oppongono tradizionalmente la "concretezza" della loro azione, accusandoci di "non far niente" e di anteporre la nostra astratta coerenza alle loro lotte... contro il regime. Quando poi la discussione si accende, ci piove regolarmente addosso l'accusa di "insensibilità" di fronte alle sofferenze della "povera gente", che non vuole saperne delle nostre chiacchiere e che invece parteciperebbe numerosa alle loro iniziative referendumiste. Evidentemente, noi ed i radicali parliamo due lingue troppo diverse - in altri termini, la nostra prospettiva rivoluzionaria e la loro "politica" riformista sono davvero inconciliabili.
Il nostro astensionismo, infatti, non ha niente a che vedere con il qualunquismo ed è invece una logica conseguenza della nostra fede nell'azione diretta degli sfruttati contro gli sfruttatori ed il loro Stato. Il nostro astensionismo, dunque, postula la diretta partecipazione di tutti gli interessati alla lotta contro ogni regime di oppressione e di sfruttamento. La loro lotta, invece, a base di referendum, non fa che rafforzare questo sistema democratico, (quasi) costituzionale, anti-fascista, ecc., contribuendo a migliorarne alcuni aspetti (il che, lo ripetiamo, non ci dispiace in sè) ma perpetuandone l'esistenza. Volenti o nolenti, dunque, i radicali non fanno che applicare (o meglio far applicare) quel vecchio adagio che costituisce la vera essenza di qualsiasi concezione riformista: cambiare qualcosa affinché non cambi nulla.

P. F.