Rivista Anarchica Online
Contro quale regime?
di P.F.
Del comportamento settario e disonesto dei radicali in occasione della
marcia anti-militarista si parla in altra parte
della rivista. Noi, concordando appieno con il comunicato-stampa emesso dai compagni là
presenti per motivare
il loro abbandono della marcia stessa, non abbiamo nulla in particolare da aggiungere sulla fattispecie.
Ma, alla
luce anche di quest'esperienza, val forse la pena riprendere un attimo il discorso più generale sul
Partito Radicale,
sui suoi obiettivi ed i suoi metodi, sulla sua funzione - proseguendo così la nostra analisi
intrapresa sullo scorso
numero (cfr. l'articolo "Riformisti extraparlamentari"). Il Partito Radicale, nonostante
che imposti tutte le sue battaglie sulla parola d'ordine della "lotta contro il
regime", è più che mai un vero "partito di regime". Intendiamoci subito sul termine
"regime": se infatti ad esso
si vuol dare il significato restrittivo di "regime democristiano" (come molti sono soliti fare), allora avremo
torto
noi, dal momento che indubbiamente i radicali stanno conducendo - e non da oggi - una lotta serrata
contro il
partito di maggioranza relativa, il suo malgoverno, la sua strategia asservita al Vaticano, i suoi scandali
e la sua
corruzione. Ma a nostro avviso con il termine "regime" si deve intendere più in generale la
struttura di Potere,
tutti i canali (istituzionali o meno) attraverso cui questo potere si esercita. I Radicali, in questo senso, pur
essendo
decisamente ai margini del Potere, ne costituiscono un valido supporto, un elemento importante e forse
addirittura
indispensabile. Si pensi al significato del prossimo referendum sull'aborto e degli altri sette (codice
militare, tribunali militari,
codice Rocco, ecc.) da loro lanciati. Tutti questi referendum hanno lo scopo dichiarato di abrogare leggi
palesemente "illiberali" preparando così il terreno al Parlamento (e, in un certo senso,
costringendolo) per una
nuova regolamentazione - più "liberale", auspicando i promotori dei referendum - delle materie
in questione. Si
tratta, dunque, di iniziative perfettamente riformiste, inserite nella logica di un regime - come il nostro
- a
democrazia parlamentare. Ma non è questo l'aspetto che qui ci preme sottolineare. Il fatto
è che i radicali presentano le loro campagne di raccolta-firme ed in genere la loro
pubblicità per i loro
referendum come momenti essenziali di... lotta contro il regime. Non sappiamo se per stupidità
o malafede, i vari
Spadaccia, Pannella, ecc. continuano infatti a parlare delle lotte riformiste da loro proposte come di lotte
dirette,
contro il regime, per la costruzione di una nuova società "veramente costituzionale, laica,
libertaria, socialista"
e... chi più ne ha più ne metta. Il che, se è certo vero per l'aspetto "costituzionale
e laico" della faccenda, non
lo è più (e come lo potrebbe essere?) per quanto riguarda una società "socialista"
(nel vero senso del termine)
né tantomeno "libertaria" - e su questo equivoco pasticciaccio dei radicali abbiamo già
avuto occasione di dire
la nostra. I referendum altro non sono che uno strumento di mobilitazione dell'opinione pubblica
all'interno della logica
e delle istituzioni dell'attuale regime. I referendum, infatti, pur non costituendo direttamente una delega
di potere,
lo sono indirettamente - ed in modo più pericoloso delle normali consultazioni elettorali (politiche
ed
amministrative). Intorno alle operazioni "referendum", infatti, il regime riesce a mobilitare una fetta
significativa
della popolazione, stimolando la generale partecipazione alla consultazione "diretta", riacquistando - ed
è questo
che ci preme sottolineare - quella "legittimazione", quella credibilità popolare che gli è
essenziale per il suo
perpetuarsi. In altri termini, indipendentemente dai temi sottoposti a referendum e dai risultati delle
relative
consultazioni, è proprio il Potere ad uscire sempre rafforzato dalla bagarre che
accompagna - oramai ne abbiamo
diretta esperienza - tutte le iniziative referendumiste. A questo nostro lineare e coerente
atteggiamento rivoluzionario i radicali oppongono tradizionalmente la
"concretezza" della loro azione, accusandoci di "non far niente" e di anteporre la nostra
astratta coerenza alle
loro lotte... contro il regime. Quando poi la discussione si accende, ci piove regolarmente
addosso l'accusa di
"insensibilità" di fronte alle sofferenze della "povera gente", che non vuole saperne delle nostre
chiacchiere e che
invece parteciperebbe numerosa alle loro iniziative referendumiste. Evidentemente, noi ed i radicali
parliamo due
lingue troppo diverse - in altri termini, la nostra prospettiva rivoluzionaria e la loro "politica" riformista
sono
davvero inconciliabili. Il nostro astensionismo, infatti, non ha niente a che vedere con il
qualunquismo ed è invece una logica
conseguenza della nostra fede nell'azione diretta degli sfruttati contro gli sfruttatori ed il
loro Stato. Il nostro
astensionismo, dunque, postula la diretta partecipazione di tutti gli interessati alla lotta contro ogni regime
di
oppressione e di sfruttamento. La loro lotta, invece, a base di referendum, non fa che rafforzare questo
sistema
democratico, (quasi) costituzionale, anti-fascista, ecc., contribuendo a migliorarne alcuni aspetti (il che,
lo
ripetiamo, non ci dispiace in sè) ma perpetuandone l'esistenza. Volenti o nolenti, dunque, i
radicali non fanno
che applicare (o meglio far applicare) quel vecchio adagio che costituisce la vera essenza di qualsiasi
concezione
riformista: cambiare qualcosa affinché non cambi nulla.
P. F.
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