Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 40
giugno 1975


Rivista Anarchica Online

Tempo di crisi
di L.L.

Crisi economica e crisi DC, unitamente all'avanzata comunista, stanno creando nuovi equilibri nelle strutture di potere. Lo smaccato collaborazionismo dei sindacati. Nuovi spazi per un'azione rivoluzionaria?

Il perdurare della crisi economica, alla riapertura delle aziende, sta facendo sentire i suoi effetti. La parentesi estiva aveva momentaneamente accantonato tutti quei problemi che oggi si ripresentano in tutta la loro drammaticità. Gli elementi principali sono presto elencati: inflazione, stagnazione della produzione e degli investimenti, cassa integrazione, licenziamenti.
A questa crisi, ormai cronica e strutturale, che si protrae con alti e bassi dal 1969, come stanno rispondendo le forze in campo? Prima di esaminare le iniziative adottate o progettate da imprenditori, sindacati e classe politica, è necessario un rapido esame della situazione politica creatasi dopo le elezioni amministrative del 15 giugno.
L'elemento di maggior clamore, assieme alla formazione delle giunte di sinistra, è la crisi della DC. In termini matematici e percentuali la Democrazia Cristiana non ha avuto quel tracollo che molti si auguravano, ha subito si una consistente fuga di voti ma ha recuperato a destra (soprattutto dal P.L.I. e dal P.S.D.I.) quasi quanto aveva perduto a sinistra? Quindi il pericolo, apparentemente, è esterno - il P.C.I. - e non interno.
Va precisato però che la DC ha perso il suo primato in molti, moltissimi comuni e questo l'ha privata, in misura sensibile, di quel potere locale che è il fertile humus su cui prospera il potere centrale.
Così, all'indomani delle elezioni, i notabili democristiani hanno capito che il loro predominio è destinato tra breve a finire, ed è subentrato il panico. Panico manifestatosi appieno all'ultimo Consiglio Nazionale, caratterizzato da faide interne che hanno portato il partito al limite del collasso. Situazione curiosa, i più preoccupati per la crisi della DC sono i partiti di sinistra che puntano ad un suo ridimensionamento ma che non ritengono auspicabile un suo repentino tracollo. Fenomeno questo che innescherebbe processi difficilmente controllabili e che genererebbe reazioni sia in campo nazionale sia negli "alleati occidentali". Quello che infatti i comunisti temono è un improbabile intervento U.S.A. qualora un "governo rosso" assumesse il controllo del Paese. Non a caso si parla di un prossimo viaggio negli Stati Uniti di Sergio Segre - il "ministro degli esteri" del PCI - per tranquillizzare la Casa Bianca sulla "ragionevolezza" dei comunisti italiani.
Comunque il PCI al governo, o nell'area di governo, ci vuole andare perché, come dice Amendola: "vogliamo prenderci le responsabilità che ci spettano" e perché "per superare la crisi è necessaria l'entrata del PCI nell'area di governo".
La crisi, come accennavamo prima, è veramente grave. I disoccupati superano il milione e duecentomila, destinati tra breve ad aumentare di altre trecentomila unità a cui si aggiungeranno i lavoratori in cassa integrazione. Inoltre questo autunno non vedrà quella ripresa produttiva da molti auspicata, mentre il pacchetto anticongiunturale approvato verso la metà di agosto non sortirà effetti sensibili così come non ne hanno sortito i precedenti. Ma, fatto ancora più sintomatico, la classe dirigente "con questa inerzia - sono sempre parole di Amendola - rischia di perdere l'occasione storica offerta dalla classe operaia attraverso l'atteggiamento responsabile dei sindacati che hanno espresso la loro volontà di lottare per la riconversione produttiva e di accettare le priorità".
Quindi nemmeno le dichiarazioni di disponibilità dei sindacati nell'accettare ulteriori aggravi a carico dei lavoratori (che già stanno sopportando quasi per intero l'onere della crisi) riesce a far uscire la situazione economica dall'impasse nella quale si trova.
Siamo arrivati al paradosso. I cosiddetti rappresentanti dei lavoratori (cioè gli sfruttati) vogliono aiutare i padroni (cioè gli sfruttatori) a perpetuare la loro funzione, vogliono rimetterli in condizione di poter continuare a sfruttare. A tutto questo i lavoratori non riescono a dare una risposta adeguata. L'abitudine alla delega li ha disabituati a decidere e ad agire in prima persona e i casi di autogestione delle aziende in crisi sono sempre attuati come momento strumentale di pressione, più che come modo alternativo di produrre.
Qui si apre un discorso che ci interessa da vicino. Dobbiamo - e la crisi ci dà lo spazio per farlo - ricostruire la nostra presenza rivoluzionaria tra ai lavoratori per risvegliare in loro quello spirito libertario pur sempre presente, anche se addormentato da oltre mezzo secolo di fascismo prima e di riformismo poi. Nel momento in cui si assottigliano i margini di profitto e quindi di manovra, il sindacalismo riformista si presenta ai lavoratori nella sua vera veste. Un'occasione che non dobbiamo perdere per sviluppare un processo di alternativa libertaria nel movimento dei lavoratori.

L. L.