Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 39
maggio 1975


Rivista Anarchica Online

Lo Stato padrone
di Emilio Cipriano

Nascita e sviluppo delle imprese pubbliche in Italia.
La crisi economica e la statizzazione dell'economia negli anni del fascismo - La situazione dell'industria pubblica oggi in Italia - Le partecipazioni statali come centri di potere e di corruzione clientelare - I managers di Stato: una nuova classe di sfruttatori.

Gli scandali EGAM-FASSIO, dell'ENI, le lotte di potere per il controllo di imprese pubbliche e semi-pubbliche e tutti gli innumerevoli scandali legati agli enti minori hanno portato su tutti i giornali i rappresentanti più squalificati dell'industria statale. Da alcuni mesi quotidiani e periodici imbastiscono processi, formulano soluzioni, criticano o cercano di tamponare le malefatte dei managers pubblici, recitando ognuno la propria parte.
Gli scandali susseguitisi in questi ultimi tempi sono però solo la parte più appariscente di un sistema fatto di corruzione, clientelismo, inefficienza, di ruberie compiute quasi sempre a man salva; la parte nascosta, quella che non viene portata alla ribalta della cronaca, è ancora più marcia, l'impunità goduta per lunghi anni dai "padroni" pubblici li ha portati a commettere frodi, falsi e altre amenità di questo genere senza la sia pur minima prudenza ed era inevitabile che presto o tardi qualcuno utilizzaste questi fatti contro di loro.
Non è solo l'aspetto scandalistico che preoccupa le forze politiche ma anche le dimensioni raggiunte dal settore pubblico, la sua ingovernabilità e la sua cronica diseconomicità. Questi elementi hanno contribuito a deteriorare l'intera struttura economica nazionale. L'industria di Stato, nata all'insegna di un superamento delle incapacità dell'imprenditoria privata, ha ben presto mostrato mali e deficienze forse maggiori, anche se di segno diverso. Resta comunque il fatto che l'estendersi dello Stato nell'economia è ormai un fenomeno irreversibile e che si sta sviluppando anche in tutti gli altri Paesi tardo-capitalisti. Vediamo ora di analizzare brevemente la storia e la struttura delle imprese pubbliche.

La nascita e lo sviluppo dell'impresa pubblica in Italia

L'intervento pubblico nell'attività economica cominciò in Italia sul finire del secolo scorso. Gli interventi furono comunque modesti o limitati a ben delimitati settori: municipalizzazioni, assicurazioni e servizi pubblici. L'unico grande intervento fu la nazionalizzazione delle ferrovie nel 1907. Fino agli anni venti le linee di sviluppo economico sono comunque nettamente caratterizzate da una filosofia liberista attenuata da un forte protezionismo. In pratica l'intervento statale si risolve nel "proteggere" l'impresa privata dalla concorrenza estera. È dopo la prima guerra mondiale che lo Stato deve intervenire a più riprese con azioni di salvataggio a favore di industrie in crisi (Ilva e Ansaldo) per la mancanza di commesse di guerra e delle banche che le avevano finanziate. (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banca Italiana di Sconto). Successivamente, per fronteggiare l'acuirsi della crisi e per poter permettere ai depositanti della Banca Italiana di Sconto - la più dissestata - un parziale recupero dei loro soldi, venne costituita nel 1922 una "Sezione Speciale Autonoma del Consorzio per sovvenzioni sui valori industriali", finanziata dalla Banca D'Italia. La Sezione Speciale, con una parte delle attività della fallita Ansaldo costituì una nuova Ansaldo, mentre le rimanenti attività passarono direttamente sotto il controllo statale.
L'anno successivo la Sezione Speciale effettuò un'operazione analoga con il Banco di Roma e fino al 1926 - anno in cui fu soppressa - continuò ad acquisire le attività detenute dalle banche impegnate nel settore industriale. Fu quindi costituito l'Istituto di Liquidazioni che assorbì tutte le attività della Sezione Speciale. Questo Istituto, in teoria, avrebbe dovuto trasferire a privati le sue attività, ma la situazione economica strettamente difficile consentì di effettuare il programma solo in minima parte.
Parallelamente alle azioni di salvataggio lo Stato italiano sviluppò, per ragioni di carattere politico, imprese di proprietà pubblica. Nascono così l'A.I.P.A., Aziende Italiane Petroli Albanesi, e l'A.G.I.P. La situazione economica, già critica, si aggravò ulteriormente a causa delle ripercussioni a livello nazionale della crisi mondiale seguita al 1929. Lo stretto collegamento banche-industrie acuì la crisi dal momento che le banche non erano più in grado di finanziare il settore produttivo. Il credito a medio termine delle aziende fu allora sottratto agli istituti di credito ordinario e questa funzione venne affidata all'IMI - Istituto Mobiliare Italiano - costituito nel 1931.
Queste misure si mostrano comunque insufficienti e nel 1933 venne creato l'I.R.I. - Istituto per la Ricostruzione Industriale - con lo scopo di disimpegnare in via definitiva le banche dall'industria. Il Credito Italiano, la Banca Commerciale Italiana e il Banco di Roma passarono sotto il controllo dell'IRI, così come tutte le loro attività agricole, industriali e immobiliari. L'IRI fu suddiviso in due sezioni: una di smobilizzi, con il compito di trasferire a privati le attività pervenutegli, e una di finanziamenti, per integrare l'opera dell'I.M.I. nelle operazioni di credito all'industria. Delle due sezioni la prima fu quella che assunse maggiore importanza, arrivando a controllare (nonostante l'opera di riprivatizzazione di diverse imprese che fece incassare all'ente all'incirca 400 miliardi), imprese e beni valutabili intorno ai 1000 miliardi di lire attuali. Mentre la seconda venne soppressa nel 1936 con il trasferimento della sue attività all'IMI.
Nel 1937, a causa delle sempre crescenti difficoltà incontrate nella riprivatizzazione delle imprese e della volontà politica del governo fascista, l'IRI viene trasformato in una organizzazione permanente, di gestione e di acquisizione di imprese, e gli viene attribuito un "fondo di dotazione" di un miliardo di lire (dell'epoca).
Dopo la seconda guerra mondiale l'industria di Stato fu oggetto di un veemente dibattito: da un lato i rappresentanti degli imprenditori ne chiedevano la soppressione o una drastica riduzione, mentre le sinistre erano favorevoli al suo mantenimento. Prevalse quest'ultima linea, ed anzi l'IRI e gli altri enti pubblici iniziarono un programma di ampliamento e di potenziamento delle proprie strutture.
Nel 1947 veniva costituito il F.I.M. (Fondo per il finanziamento dell'Industria Meccanica) per effettuare operazioni di salvataggio nei confronti di imprese private che si trovavano in gravi difficoltà essendo loro venute a mancare le commesse belliche (Breda, Reggiane, Isotta Fraschini). La storia si ripeteva. Il F.I.M. ben presto si trovò nell'impossibilità di riconvertire le aziende nelle quali era intervenuto e nel 1962 queste vennero trasferite in un nuovo ente di gestione: l'EFIM - Ente partecipazione e Finanziamento Industria Manifatturiera -.
In quello stesso anno avviene la nazionalizzazione del settore elettrico con la conseguente costituzione dell'ENEL. Da rilevare che, dal dopoguerra ad oggi, queste è stata l'unica nazionalizzazione, mentre l'espansione dell'impresa pubblica è avvenuta, nella sua quasi totalità, attraverso la formula della partecipazione azionaria. Nel frattempo era stato costituito (nel 1956) il Ministero delle Partecipazioni Statali, con lo scopo - teorico - di organizzare e di dare un indirizzo politico ed economico omogeneo a tutto il settore. Ben presto però, il Ministero si rivelò più uno strumento in mano ai dirigenti delle imprese pubbliche che non un organo di coordinamento e di controllo.
Le imprese pubbliche in questi anni hanno continuato vertiginosamente la loro espansione e proliferazione, divenendo una delle componenti più importanti dell'intero sistema economico italiano. Analizziamone brevemente le sue componenti.

Analisi del settore pubblico

Molteplici sono gli assetti e le linee operative che hanno assunto le imprese pubbliche; accanto alle tradizionali aziende autonome e aziende municipalizzate agiscono gli enti di gestione controllati dal Ministero delle Partecipazioni Statali. Il tutto forma un quadro composito e, nella maggioranza dei casi, ingovernabile da parte del potere centrale. Per dare un'idea delle dimensioni dell'imprenditoria pubblica elenchiamo alcuni dati. Le imprese pubbliche avevano realizzato, alla fine del 1972, un fatturato totale di 11.308,3 miliardi di lire, con un prodotto lordo di 5.404,4 miliardi di lire che equivale al 13,8p.c. del totale nazionale. Gli investimenti fissi sono 3.256 miliardi di lire (quasi il 40p.c. del totale nazionale) mentre il numero dei dipendenti è di 1.091.900, cioè il 13,2p.c. delle forze occupate nel Paese; le spese per il personale sono di 4.941,5 miliardi di lire che rappresentano sul totale nazionale il 22,6p.c.
Come si può facilmente desumere lo Stato è il più grosso "padrone" in Italia, quello dotato di maggiori mezzi finanziari e che controlla la più grossa percentuale di lavoratori. I dati sopra riportati assumono un significato ancora maggiore se si considera l'evoluzione comparata del settore pubblico e di quello privato. Limitandoci ad esaminare il solo settore industriale negli anni che vanno dal 1967 al 1972 rileviamo che il numero dei dipendenti ha subito un aumento del 10p.c. nel settore privato, mentre quello pubblico è aumentato del 34p.c.; le spese per il personale sono aumentate del 79p.c. nell'industria privata e del 209p.c. in quella pubblica; gli investimenti fissi lordi registrano un aumento dell'81p.c. nel settore privato, mentre nell'area pubblica del 287p.c.
Non solo il più grosso padrone quindi, ma anche quello che si espande con maggiore rapidità. Vediamo ora le maggiori imprese di questo settore.
Le "Aziende Autonome" rappresentano (come precedentemente indicato) la prima forma, in senso storico, dell'intervento pubblico. I settori sono molteplici, dai Monopoli, che fanno capo all'Amministrazione Generale dello Stato, alle Ferrovie e all'ANAS (Ministero dei Trasporti) dalle Poste e Telegrafi ai Servizi di navigazione, ecc. Per fatturato le Aziende Autonome raggiungono livelli di tutto rispetto (nel 1972 circa 1.360 miliardi) e gestiscono immobilizzazioni tecniche per 3.756 miliardi, superiori a quelle di "colossi" come la Montedison (3.209 miliardi) e la FIAT (1.925 e miliardi). Ciò nonostante esse sono caratterizzate da una bassissima produttività in termini di valore aggiunto, tanto che il loro contributo alla formazione del P.N.L. è stato nel 1972 del solo 1,8p.c., mentre elevato è il numero dei dipendenti che raggiungevano, nello stesso anno, le 423.400 unità.
Il settore più consistente è però quello delle Partecipazioni Statali, suddiviso in due diversi enti di gestione, veri e propri feudi economici, ognuno dei quali legato da interessi clientelari ai rappresentanti dei partiti di governo e alla Democrazia Cristiana in particolare.
Il più importante di questi enti è senza dubbio l'IRI che agisce in diversi campi attraverso delle "finanziarie di settore": S.T.E.T. per la telefonia e le trasmissioni; Finmeccanica per l'industria meccanica in genere; Finmare per le imprese di navigazione; Finsider per l'industria siderurgica; Fincantieri per i cantieri navali; Italstat per le costruzioni edili e stradali. L'IRI controlla inoltre due finanziarie con partecipazioni non settoriali, ma composite: la S.M.E. (Società Meridionale Finanziaria) che ha interesse nel settore agricolo e alimentare, immobiliare, turistico e cartario; la S.P.A. (Società Partecipazioni Azionarie) con interessi in numerosissimi settori. Inoltre l'IRI detiene direttamente la maggioranza del capitale del Credito Italiano, della Banca Commerciale Italiana, del Banco di Roma, della Mediobanca e di altre banche minori. Sono pure controllate dall'IRI l'Alitalia, la RAI e le Autostrade.
Il fatturato ammontava, per il 1973, a 6.022,2 miliardi di lire, mentre i dipendenti erano circa 473.200; gli investimenti effettuati nello stesso anno sono stati di 1.817,1 miliardi e il "fondo di dotazione" (cioè i capitali stanziati dallo Stato) è di 1.805,4 miliardi.
Subito dopo l'IRI viene, per importanza l'ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) che opera (tramite le sue finanziarie che controllano oltre 200 imprese di settore: Agip Snam, Anic, Agip Nucleare, Nuovo Pignone, Lanerossi, Snam Progetti, Saipem, Sofid) nella ricerca, lavorazione e distribuzione degli idrocarburi; nella chimica, nella meccanica, nei tessuti e nelle confezioni.
Il fatturato lordo consolidato è stato nel 1973 di 3.057,6 miliardi e il valore aggiunto di 1.408,3 miliardi; i dipendenti erano, in quell'anno, 81.200, mentre le immobilizzazioni tecniche ammontavano a ben 4.696 miliardi di lire. Il fondo di dotazione è di 1.078,9 miliardi.
Il gruppo EFIM agisce nel settore meccanico, del vetro, della carta, dell'alluminio, alimentare, della gomma e turistico, tramite cinque finanziarie capogruppo: la Finanziaria Ernesto Breda, la Breda Ferroviaria, la Insud, la M.C.S. e la Sopal e controlla più di 100 aziende. Il fatturato consolidato nel 1972 ammontava a 203,6 miliardi di lire, l'occupazione alla fine dell'anno seguente era di 28.500 addetti (e destinata probabilmente a salire a oltre 50.000 alla fine del 1975). L'ente sta effettuando investimenti (biennio 1974-75) per 305,1 miliardi. Le dotazioni stanziate ammontano 389 miliardi.
L'EGAM (Ente di Gestione per le Aziende Minerarie e Metallurgiche) opera soprattutto nel settore minerario, della metallurgia ferrosa, della meccanica tessile, e degli acciai speciali, tramite le capogruppo: Nazionale Cogne, A.M.M.I. e Sicea. Il fatturato nel 1974 è stato di 665 miliardi. Il fondo di dotazione è fissato in 330 miliardi.
Al Ministero delle Partecipazioni Statali fanno capo inoltre una serie di enti minori. Ricordiamo tra gli altri l'E.A.G.A.T. (Ente Autonomo di Gestione delle Acque Termali), l'Ente di gestione per il Cinema, l'A.T.I. (Azienda Tabacchi Italiani) e la S.A.M.E. (Società per Azioni Milanese Editrice).
La GEPI (Società di Gestioni e Partecipazioni Industriali) fa capo alle Partecipazioni Statali e al Tesoro che si dividono il 50p.c. ciascuno del capitale tramite l'ENI-IRI-E.F.I.M. e l'I.M.I. È una "finanziaria di salvataggio" costituita nel 1971 per fronteggiare l'attuale crisi economica iniziatasi nel 1969. Il suo scopo dovrebbe essere quello di rilevare aziende in difficoltà e di riprivatizzarle dopo un periodo di risanamento. Il suo fondo di dotazione è stato stabilito in 156 miliardi. Le aziende che hanno richiesto l'intervento della GEPI nel periodo 1971-73 sono state 279. Le richieste accolte sono state 75 e alla fine del 1973 le aziende controllate dalla GEPI erano 65 con 29.524 addetti.
L'ENEL, nato per gestire le aziende elettriche nazionalizzate, dipende dal Ministero dell'Industria e Commercio; è l'unico ente a cui non sia stato conferito un fondo di dotazione all'atto della sua costituzione (stanziato però nel 1973 in 250 miliardi). Alla fine del 1972 erano state integrate nell'ente 1.146 aziende elettriche e pagati oltre 1.900 miliardi di indennizzi. Gli impianti erano valutati in 8.058,4 miliardi di lire e l'energia elettrica fatturata ammontava a 89.143 miliardi di lire.
L'I.M.I. (Istituto Immobiliare Italiano) dipende dal Ministero del Tesoro e si occupa istituzionalmente del finanziamento a medio e lungo termine. Ma la particolarità dell'ente sta nel non essere un semplice erogatore di credito bensì uno strumento di condizionamento del capitale pubblico sulle industrie private. I finanziamenti in essere al 31 marzo 1973 erano i seguenti: per investimenti 776 miliardi, per forniture all'estero 149 miliardi, per crediti finanziari a Paesi esteri 24 miliardi.
Come abbiamo visto l'intervento statale prende quasi sempre le mosse da uno stato di crisi. Lo Stato interviene con l'intenzione di "salvare" le imprese in dissesto e di restituirle ai privati passata la fase congiunturale. Ma queste intenzioni raramente si sono realizzate e da temporaneo curatore dei mali capitalistici lo Stato è divenuto esso stesso imprenditore. Quanta parte hanno giocato le condizioni oggettive e quanto invece una determinata volontà politica è difficile quantificare. Di sicuro tutti e due gli elementi erano presenti e si sono influenzati vicendevolmente. Una volta innescato il meccanismo, questo ha trovato una sua giustificazione e ha creato una sua "filosofia"; inoltre il processo di statalizzazione ha avuto un formidabile alleato nella "crisi strutturale" dell'imprenditoria privata che tendeva e tende a restringersi sempre più, abbandonando l'area della produzione per arroccarsi nel capitalismo finanziario e speculativo.

Managers pubblici e classe politica.

Il consolidamento e l'estendersi dell'imprenditoria pubblica ha generato un salto qualitativo, così accanto al tradizionale (e mai abbandonato) intervento di salvataggio si è sviluppata una ricerca autonoma di obiettivi svincolati dalle necessità contingenti e legati a una strategia di capitalismo di Stato con finalità sovente antitetica al capitalismo privato. Gli obiettivi della politica di piano trovano nelle imprese di Stato uno strumento fondamentale, nonostante il caos, il pragmatismo e la corruzione che in esso regnano. Le critiche più acute al settore sono rivolte proprio da coloro che vorrebbero vedere in queste imprese il principale esecutore e propulsore della programmazione economica.
Comunque il compito più importante che le imprese pubbliche sono chiamate ad assolvere non è di carattere economico ma più specificamente politico. La stabilità del sistema è ottenuta anche mantenendo ed accrescendo la produttività ed il livello di occupazione, soprattutto nei momenti di crisi. La funzione anticiclica svolta dalle imprese pubbliche si colloca in questa logica. Inoltre il partito di maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana, ha utilizzato l'enorme potenzialità di questo settore per consolidare il suo potere. La lottizzazione, le contraddizioni delle imprese pubbliche sono il riflesso, ingigantito, degli antagonismi e dei diversi interessi esistenti in quel partito.
Istituzionalmente i dirigenti delle imprese pubbliche dovrebbero essere gli esecutori delle linee generali tracciate dalla classe politica. Questa definizione è oggi più un'affermazione di principio che non una realtà. In effetti l'espansione del settore e la sua articolazione nella struttura economica ha portato alla formazione di una classe dirigenziale che gode di poteri uguali, se non superiori, a quelli dei politici. Così da una situazione di sudditanza si è passati a un rapporto di interdipendenza e i dirigenti dell'impresa pubblica tendono a costituirsi in gruppi di pressione capaci di influenzare le decisioni dei politici, mentre questi ultimi trovano molto conveniente "vendere" il proprio appoggio ai "feudatari" dell'industria.
L'incontro tra questi due gruppi sociali affini porta l'impresa pubblica ad essere un formidabile strumento di potere legato al perseguimento di obiettivi corporativi, per consolidare situazioni di privilegio garantite, oltre che nei fatti, anche dalle leggi. I managers pubblici, comunque, dipendono ancora (ma in sempre più esigua misura e per quanto?) dal favore dei politici perché sono, in ultima istanza, i partiti e soprattutto le correnti della DC che presiedono alla loro nomina anche se è in atto un sempre più forte processo di autonomizzazione che molto presto darà i suoi frutti. Già oggi lo constatiamo dalla cronaca, per rimuovere un presidente di un ente sono necessari, ma non sempre sufficienti, numerosi e gravi scandali.

Impresa pubblica e impresa privata a confronto negli anni '70.

Tracciare una linea di demarcazione tra imprese a capitale pubblico e privato è quantomai difficile; la penetrazione dello Stato nell'economia è avvenuta con continuità costante. Le partecipazioni statali, lasciando inalterato l'assetto formale delle imprese, hanno modificato nell'essenza il concetto stesso di capitalismo. Le distorsioni create dall'intervento pubblico in un sistema ancora nominalmente capitalistico e concorrenziale stanno producendo i loro effetti. La continua erosione dell'area privata pone già seri interrogativi, poiché nonostante tutto le piccole e medie imprese (tutte a capitale privato) sono ancora una componente essenziale e, per il momento, non sopprimibile della struttura economica nazionale. Il gigantismo non coordinato delle imprese pubbliche che comincia a preoccupare gli stessi fautori e artefici del capitalismo statale; Aldo Moro, nel suo programma di governo, ha esplicitamente detto che "le difficoltà del momento non saranno prese come occasione per creare nuovi ingiustificati processi di concentrazione e, in ogni caso, non dovranno condurre ad un ulteriore allargamento della sfera pubblica nell'economia".
L'ingovernabilità del settore pubblico è ormai giunta a livelli pericolosi per la continuità stessa del sistema che si basa, e vuole basarsi, su un'economia mista. Deprimere ulteriormente il settore privato significherebbe innestare processi che i nostri attuali governi non giudicano desiderabili e inoltre è necessario per il potere riorganizzare e dare efficienza all'impresa pubblica ed eliminare le lotte tra i vari dirigenti pubblici.
Una ristrutturazione e una ripartizione dei compiti tra settore pubblico e settore privato vedrà l'affermazione di una nuova gestione dell'economia che, superando attriti controproducenti per la classe dominante, segnerà l'avvio di una collaborazione funzionale per il perpetuamento dello sfruttamento.

Emilio Cipriano