Rivista Anarchica Online
Lo Stato padrone
di Emilio Cipriano
Nascita e sviluppo delle imprese pubbliche in Italia. La crisi economica e la statizzazione
dell'economia negli anni del fascismo - La situazione dell'industria pubblica
oggi in Italia - Le partecipazioni statali come centri di potere e di corruzione clientelare - I managers di
Stato:
una nuova classe di sfruttatori.
Gli scandali EGAM-FASSIO, dell'ENI, le lotte di potere per il controllo
di imprese pubbliche e semi-pubbliche
e tutti gli innumerevoli scandali legati agli enti minori hanno portato su tutti i giornali i rappresentanti
più
squalificati dell'industria statale. Da alcuni mesi quotidiani e periodici imbastiscono processi, formulano
soluzioni,
criticano o cercano di tamponare le malefatte dei managers pubblici, recitando ognuno la
propria parte. Gli scandali susseguitisi in questi ultimi tempi sono però solo la parte
più appariscente di un sistema fatto di
corruzione, clientelismo, inefficienza, di ruberie compiute quasi sempre a man salva; la parte nascosta,
quella che
non viene portata alla ribalta della cronaca, è ancora più marcia, l'impunità
goduta per lunghi anni dai "padroni"
pubblici li ha portati a commettere frodi, falsi e altre amenità di questo genere senza la sia pur
minima prudenza
ed era inevitabile che presto o tardi qualcuno utilizzaste questi fatti contro di loro. Non è solo
l'aspetto scandalistico che preoccupa le forze politiche ma anche le dimensioni raggiunte dal settore
pubblico, la sua ingovernabilità e la sua cronica diseconomicità. Questi elementi hanno
contribuito a deteriorare
l'intera struttura economica nazionale. L'industria di Stato, nata all'insegna di un superamento delle
incapacità
dell'imprenditoria privata, ha ben presto mostrato mali e deficienze forse maggiori, anche se di segno
diverso.
Resta comunque il fatto che l'estendersi dello Stato nell'economia è ormai un fenomeno
irreversibile e che si sta
sviluppando anche in tutti gli altri Paesi tardo-capitalisti. Vediamo ora di analizzare brevemente la storia
e la
struttura delle imprese pubbliche.
La nascita e lo sviluppo dell'impresa pubblica in Italia
L'intervento pubblico nell'attività economica cominciò in Italia sul finire del secolo
scorso. Gli interventi furono
comunque modesti o limitati a ben delimitati settori: municipalizzazioni, assicurazioni e servizi pubblici.
L'unico
grande intervento fu la nazionalizzazione delle ferrovie nel 1907. Fino agli anni venti le linee di sviluppo
economico sono comunque nettamente caratterizzate da una filosofia liberista attenuata da un forte
protezionismo. In pratica l'intervento statale si risolve nel "proteggere" l'impresa privata dalla concorrenza
estera.
È dopo la prima guerra mondiale che lo Stato deve intervenire a più riprese con azioni
di salvataggio a favore di
industrie in crisi (Ilva e Ansaldo) per la mancanza di commesse di guerra e delle banche che le avevano
finanziate.
(Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano e Banca Italiana di Sconto). Successivamente, per
fronteggiare
l'acuirsi della crisi e per poter permettere ai depositanti della Banca Italiana di Sconto - la più
dissestata - un
parziale recupero dei loro soldi, venne costituita nel 1922 una "Sezione Speciale Autonoma del
Consorzio per
sovvenzioni sui valori industriali", finanziata dalla Banca D'Italia. La Sezione Speciale, con una parte
delle attività
della fallita Ansaldo costituì una nuova Ansaldo, mentre le rimanenti attività passarono
direttamente sotto il
controllo statale. L'anno successivo la Sezione Speciale effettuò un'operazione analoga con
il Banco di Roma e fino al 1926 - anno
in cui fu soppressa - continuò ad acquisire le attività detenute dalle banche impegnate
nel settore industriale. Fu
quindi costituito l'Istituto di Liquidazioni che assorbì tutte le attività della Sezione
Speciale. Questo Istituto, in
teoria, avrebbe dovuto trasferire a privati le sue attività, ma la situazione economica strettamente
difficile consentì
di effettuare il programma solo in minima parte. Parallelamente alle azioni di salvataggio lo Stato
italiano sviluppò, per ragioni di carattere politico, imprese di
proprietà pubblica. Nascono così l'A.I.P.A., Aziende Italiane Petroli Albanesi, e
l'A.G.I.P. La situazione
economica, già critica, si aggravò ulteriormente a causa delle ripercussioni a livello
nazionale della crisi mondiale
seguita al 1929. Lo stretto collegamento banche-industrie acuì la crisi dal momento che le banche
non erano più
in grado di finanziare il settore produttivo. Il credito a medio termine delle aziende fu allora sottratto agli
istituti
di credito ordinario e questa funzione venne affidata all'IMI - Istituto Mobiliare Italiano - costituito nel
1931. Queste misure si mostrano comunque insufficienti e nel 1933 venne creato l'I.R.I. - Istituto
per la Ricostruzione
Industriale - con lo scopo di disimpegnare in via definitiva le banche dall'industria. Il Credito Italiano, la
Banca
Commerciale Italiana e il Banco di Roma passarono sotto il controllo dell'IRI, così come tutte
le loro attività
agricole, industriali e immobiliari. L'IRI fu suddiviso in due sezioni: una di smobilizzi, con
il compito di trasferire
a privati le attività pervenutegli, e una di finanziamenti, per integrare l'opera
dell'I.M.I. nelle operazioni di credito
all'industria. Delle due sezioni la prima fu quella che assunse maggiore importanza, arrivando a
controllare
(nonostante l'opera di riprivatizzazione di diverse imprese che fece incassare all'ente all'incirca 400
miliardi),
imprese e beni valutabili intorno ai 1000 miliardi di lire attuali. Mentre la seconda venne soppressa nel
1936 con
il trasferimento della sue attività all'IMI. Nel 1937, a causa delle sempre crescenti
difficoltà incontrate nella riprivatizzazione delle imprese e della volontà
politica del governo fascista, l'IRI viene trasformato in una organizzazione permanente, di gestione e di
acquisizione di imprese, e gli viene attribuito un "fondo di dotazione" di un miliardo di lire
(dell'epoca). Dopo la seconda guerra mondiale l'industria di Stato fu oggetto di un veemente
dibattito: da un lato i
rappresentanti degli imprenditori ne chiedevano la soppressione o una drastica riduzione, mentre le
sinistre erano
favorevoli al suo mantenimento. Prevalse quest'ultima linea, ed anzi l'IRI e gli altri enti pubblici iniziarono
un
programma di ampliamento e di potenziamento delle proprie strutture. Nel 1947 veniva costituito
il F.I.M. (Fondo per il finanziamento dell'Industria Meccanica) per effettuare
operazioni di salvataggio nei confronti di imprese private che si trovavano in gravi difficoltà
essendo loro venute
a mancare le commesse belliche (Breda, Reggiane, Isotta Fraschini). La storia si ripeteva. Il F.I.M. ben
presto si
trovò nell'impossibilità di riconvertire le aziende nelle quali era intervenuto e nel 1962
queste vennero trasferite
in un nuovo ente di gestione: l'EFIM - Ente partecipazione e Finanziamento Industria Manifatturiera
-. In quello stesso anno avviene la nazionalizzazione del settore elettrico con la conseguente
costituzione
dell'ENEL. Da rilevare che, dal dopoguerra ad oggi, queste è stata l'unica nazionalizzazione,
mentre l'espansione
dell'impresa pubblica è avvenuta, nella sua quasi totalità, attraverso la formula della
partecipazione azionaria. Nel
frattempo era stato costituito (nel 1956) il Ministero delle Partecipazioni Statali, con lo scopo - teorico
- di
organizzare e di dare un indirizzo politico ed economico omogeneo a tutto il settore. Ben presto
però, il Ministero
si rivelò più uno strumento in mano ai dirigenti delle imprese pubbliche che non un
organo di coordinamento e
di controllo. Le imprese pubbliche in questi anni hanno continuato vertiginosamente la loro
espansione e proliferazione,
divenendo una delle componenti più importanti dell'intero sistema economico italiano.
Analizziamone brevemente
le sue componenti.
Analisi del settore pubblico
Molteplici sono gli assetti e le linee operative che hanno assunto le imprese pubbliche; accanto alle
tradizionali
aziende autonome e aziende municipalizzate agiscono gli enti di gestione controllati dal Ministero delle
Partecipazioni Statali. Il tutto forma un quadro composito e, nella maggioranza dei casi, ingovernabile
da parte
del potere centrale. Per dare un'idea delle dimensioni dell'imprenditoria pubblica elenchiamo alcuni dati.
Le
imprese pubbliche avevano realizzato, alla fine del 1972, un fatturato totale di 11.308,3 miliardi di lire,
con un
prodotto lordo di 5.404,4 miliardi di lire che equivale al 13,8p.c. del totale nazionale. Gli investimenti
fissi sono
3.256 miliardi di lire (quasi il 40p.c. del totale nazionale) mentre il numero dei dipendenti è di
1.091.900, cioè
il 13,2p.c. delle forze occupate nel Paese; le spese per il personale sono di 4.941,5 miliardi di lire che
rappresentano sul totale nazionale il 22,6p.c. Come si può facilmente desumere lo Stato
è il più grosso "padrone" in Italia, quello dotato di maggiori mezzi
finanziari e che controlla la più grossa percentuale di lavoratori. I dati sopra riportati assumono
un significato
ancora maggiore se si considera l'evoluzione comparata del settore pubblico e di quello privato.
Limitandoci ad
esaminare il solo settore industriale negli anni che vanno dal 1967 al 1972 rileviamo che il numero dei
dipendenti
ha subito un aumento del 10p.c. nel settore privato, mentre quello pubblico è aumentato del
34p.c.; le spese per
il personale sono aumentate del 79p.c. nell'industria privata e del 209p.c. in quella pubblica; gli
investimenti fissi
lordi registrano un aumento dell'81p.c. nel settore privato, mentre nell'area pubblica del 287p.c. Non
solo il più grosso padrone quindi, ma anche quello che si espande con maggiore rapidità.
Vediamo ora le
maggiori imprese di questo settore. Le "Aziende Autonome" rappresentano (come precedentemente
indicato) la prima forma, in senso storico,
dell'intervento pubblico. I settori sono molteplici, dai Monopoli, che fanno capo all'Amministrazione
Generale
dello Stato, alle Ferrovie e all'ANAS (Ministero dei Trasporti) dalle Poste e Telegrafi ai Servizi di
navigazione,
ecc. Per fatturato le Aziende Autonome raggiungono livelli di tutto rispetto (nel 1972 circa 1.360
miliardi) e
gestiscono immobilizzazioni tecniche per 3.756 miliardi, superiori a quelle di "colossi" come la
Montedison
(3.209 miliardi) e la FIAT (1.925 e miliardi). Ciò nonostante esse sono caratterizzate da una
bassissima
produttività in termini di valore aggiunto, tanto che il loro contributo alla formazione del P.N.L.
è stato nel 1972
del solo 1,8p.c., mentre elevato è il numero dei dipendenti che raggiungevano, nello stesso anno,
le 423.400
unità. Il settore più consistente è però quello delle Partecipazioni
Statali, suddiviso in due diversi enti di gestione, veri
e propri feudi economici, ognuno dei quali legato da interessi clientelari ai rappresentanti dei partiti di
governo
e alla Democrazia Cristiana in particolare. Il più importante di questi enti è senza
dubbio l'IRI che agisce in diversi campi attraverso delle "finanziarie di
settore": S.T.E.T. per la telefonia e le trasmissioni; Finmeccanica per l'industria meccanica in genere;
Finmare per
le imprese di navigazione; Finsider per l'industria siderurgica; Fincantieri per i cantieri navali; Italstat per
le
costruzioni edili e stradali. L'IRI controlla inoltre due finanziarie con partecipazioni non settoriali, ma
composite:
la S.M.E. (Società Meridionale Finanziaria) che ha interesse nel settore agricolo e alimentare,
immobiliare,
turistico e cartario; la S.P.A. (Società Partecipazioni Azionarie) con interessi in numerosissimi
settori. Inoltre l'IRI
detiene direttamente la maggioranza del capitale del Credito Italiano, della Banca Commerciale Italiana,
del
Banco di Roma, della Mediobanca e di altre banche minori. Sono pure controllate dall'IRI l'Alitalia, la
RAI e le
Autostrade. Il fatturato ammontava, per il 1973, a 6.022,2 miliardi di lire, mentre i dipendenti erano
circa 473.200; gli
investimenti effettuati nello stesso anno sono stati di 1.817,1 miliardi e il "fondo di dotazione"
(cioè i capitali
stanziati dallo Stato) è di 1.805,4 miliardi. Subito dopo l'IRI viene, per importanza l'ENI
(Ente Nazionale Idrocarburi) che opera (tramite le sue finanziarie
che controllano oltre 200 imprese di settore: Agip Snam, Anic, Agip Nucleare, Nuovo Pignone,
Lanerossi, Snam
Progetti, Saipem, Sofid) nella ricerca, lavorazione e distribuzione degli idrocarburi; nella chimica, nella
meccanica, nei tessuti e nelle confezioni. Il fatturato lordo consolidato è stato nel 1973 di
3.057,6 miliardi e il valore aggiunto di 1.408,3 miliardi; i
dipendenti erano, in quell'anno, 81.200, mentre le immobilizzazioni tecniche ammontavano a ben 4.696
miliardi
di lire. Il fondo di dotazione è di 1.078,9 miliardi. Il gruppo EFIM agisce nel settore
meccanico, del vetro, della carta, dell'alluminio, alimentare, della gomma e
turistico, tramite cinque finanziarie capogruppo: la Finanziaria Ernesto Breda, la Breda Ferroviaria, la
Insud, la
M.C.S. e la Sopal e controlla più di 100 aziende. Il fatturato consolidato nel 1972 ammontava
a 203,6 miliardi
di lire, l'occupazione alla fine dell'anno seguente era di 28.500 addetti (e destinata probabilmente a salire
a oltre
50.000 alla fine del 1975). L'ente sta effettuando investimenti (biennio 1974-75) per 305,1 miliardi. Le
dotazioni
stanziate ammontano 389 miliardi. L'EGAM (Ente di Gestione per le Aziende Minerarie e
Metallurgiche) opera soprattutto nel settore minerario,
della metallurgia ferrosa, della meccanica tessile, e degli acciai speciali, tramite le capogruppo: Nazionale
Cogne,
A.M.M.I. e Sicea. Il fatturato nel 1974 è stato di 665 miliardi. Il fondo di dotazione è
fissato in 330 miliardi. Al Ministero delle Partecipazioni Statali fanno capo inoltre una serie di enti
minori. Ricordiamo tra gli altri
l'E.A.G.A.T. (Ente Autonomo di Gestione delle Acque Termali), l'Ente di gestione per il Cinema, l'A.T.I.
(Azienda Tabacchi Italiani) e la S.A.M.E. (Società per Azioni Milanese Editrice). La GEPI
(Società di Gestioni e Partecipazioni Industriali) fa capo alle Partecipazioni Statali e al Tesoro
che si
dividono il 50p.c. ciascuno del capitale tramite l'ENI-IRI-E.F.I.M. e l'I.M.I. È una "finanziaria
di salvataggio"
costituita nel 1971 per fronteggiare l'attuale crisi economica iniziatasi nel 1969. Il suo scopo dovrebbe
essere
quello di rilevare aziende in difficoltà e di riprivatizzarle dopo un periodo di risanamento. Il suo
fondo di
dotazione è stato stabilito in 156 miliardi. Le aziende che hanno richiesto l'intervento della GEPI
nel periodo
1971-73 sono state 279. Le richieste accolte sono state 75 e alla fine del 1973 le aziende controllate dalla
GEPI
erano 65 con 29.524 addetti. L'ENEL, nato per gestire le aziende elettriche nazionalizzate, dipende
dal Ministero dell'Industria e Commercio;
è l'unico ente a cui non sia stato conferito un fondo di dotazione all'atto della sua costituzione
(stanziato però
nel 1973 in 250 miliardi). Alla fine del 1972 erano state integrate nell'ente 1.146 aziende elettriche e
pagati oltre
1.900 miliardi di indennizzi. Gli impianti erano valutati in 8.058,4 miliardi di lire e l'energia elettrica
fatturata
ammontava a 89.143 miliardi di lire. L'I.M.I. (Istituto Immobiliare Italiano) dipende dal Ministero
del Tesoro e si occupa istituzionalmente del
finanziamento a medio e lungo termine. Ma la particolarità dell'ente sta nel non essere un
semplice erogatore di
credito bensì uno strumento di condizionamento del capitale pubblico sulle industrie private. I
finanziamenti in
essere al 31 marzo 1973 erano i seguenti: per investimenti 776 miliardi, per forniture all'estero 149
miliardi, per
crediti finanziari a Paesi esteri 24 miliardi. Come abbiamo visto l'intervento statale prende quasi
sempre le mosse da uno stato di crisi. Lo Stato interviene
con l'intenzione di "salvare" le imprese in dissesto e di restituirle ai privati passata la fase congiunturale.
Ma
queste intenzioni raramente si sono realizzate e da temporaneo curatore dei mali capitalistici lo Stato
è divenuto
esso stesso imprenditore. Quanta parte hanno giocato le condizioni oggettive e quanto invece una
determinata
volontà politica è difficile quantificare. Di sicuro tutti e due gli elementi erano presenti
e si sono influenzati
vicendevolmente. Una volta innescato il meccanismo, questo ha trovato una sua giustificazione e ha
creato una
sua "filosofia"; inoltre il processo di statalizzazione ha avuto un formidabile alleato nella "crisi strutturale"
dell'imprenditoria privata che tendeva e tende a restringersi sempre più, abbandonando l'area
della produzione
per arroccarsi nel capitalismo finanziario e speculativo.
Managers pubblici e classe politica.
Il consolidamento e l'estendersi dell'imprenditoria pubblica ha generato un salto qualitativo,
così accanto al
tradizionale (e mai abbandonato) intervento di salvataggio si è sviluppata una ricerca autonoma
di obiettivi
svincolati dalle necessità contingenti e legati a una strategia di capitalismo di Stato con
finalità sovente antitetica
al capitalismo privato. Gli obiettivi della politica di piano trovano nelle imprese di Stato uno strumento
fondamentale, nonostante il caos, il pragmatismo e la corruzione che in esso regnano. Le critiche
più acute al
settore sono rivolte proprio da coloro che vorrebbero vedere in queste imprese il principale esecutore e
propulsore
della programmazione economica. Comunque il compito più importante che le imprese
pubbliche sono chiamate ad assolvere non è di carattere
economico ma più specificamente politico. La stabilità del sistema è ottenuta
anche mantenendo ed accrescendo
la produttività ed il livello di occupazione, soprattutto nei momenti di crisi. La funzione anticiclica
svolta dalle
imprese pubbliche si colloca in questa logica. Inoltre il partito di maggioranza relativa, la Democrazia
Cristiana,
ha utilizzato l'enorme potenzialità di questo settore per consolidare il suo potere. La lottizzazione,
le
contraddizioni delle imprese pubbliche sono il riflesso, ingigantito, degli antagonismi e dei diversi interessi
esistenti in quel partito. Istituzionalmente i dirigenti delle imprese pubbliche dovrebbero essere gli
esecutori delle linee generali tracciate
dalla classe politica. Questa definizione è oggi più un'affermazione di principio che non
una realtà. In effetti
l'espansione del settore e la sua articolazione nella struttura economica ha portato alla formazione di una
classe
dirigenziale che gode di poteri uguali, se non superiori, a quelli dei politici. Così da una situazione
di sudditanza
si è passati a un rapporto di interdipendenza e i dirigenti dell'impresa pubblica tendono a
costituirsi in gruppi di
pressione capaci di influenzare le decisioni dei politici, mentre questi ultimi trovano molto conveniente
"vendere"
il proprio appoggio ai "feudatari" dell'industria. L'incontro tra questi due gruppi sociali affini porta
l'impresa pubblica ad essere un formidabile strumento di potere
legato al perseguimento di obiettivi corporativi, per consolidare situazioni di privilegio garantite, oltre che
nei fatti,
anche dalle leggi. I managers pubblici, comunque, dipendono ancora (ma in sempre più esigua
misura e per
quanto?) dal favore dei politici perché sono, in ultima istanza, i partiti e soprattutto le correnti
della DC che
presiedono alla loro nomina anche se è in atto un sempre più forte processo di
autonomizzazione che molto
presto darà i suoi frutti. Già oggi lo constatiamo dalla cronaca, per rimuovere un
presidente di un ente sono
necessari, ma non sempre sufficienti, numerosi e gravi scandali.
Impresa pubblica e impresa privata a confronto negli anni '70.
Tracciare una linea di demarcazione tra imprese a capitale pubblico e privato è quantomai
difficile; la
penetrazione dello Stato nell'economia è avvenuta con continuità costante. Le
partecipazioni statali, lasciando
inalterato l'assetto formale delle imprese, hanno modificato nell'essenza il concetto stesso di capitalismo.
Le
distorsioni create dall'intervento pubblico in un sistema ancora nominalmente capitalistico e
concorrenziale
stanno producendo i loro effetti. La continua erosione dell'area privata pone già seri interrogativi,
poiché
nonostante tutto le piccole e medie imprese (tutte a capitale privato) sono ancora una componente
essenziale e,
per il momento, non sopprimibile della struttura economica nazionale. Il gigantismo non coordinato delle
imprese
pubbliche che comincia a preoccupare gli stessi fautori e artefici del capitalismo statale; Aldo Moro, nel
suo
programma di governo, ha esplicitamente detto che "le difficoltà del momento non saranno prese
come occasione
per creare nuovi ingiustificati processi di concentrazione e, in ogni caso, non dovranno condurre ad un
ulteriore
allargamento della sfera pubblica nell'economia". L'ingovernabilità del settore pubblico
è ormai giunta a livelli pericolosi per la continuità stessa del sistema che
si basa, e vuole basarsi, su un'economia mista. Deprimere ulteriormente il settore privato significherebbe
innestare
processi che i nostri attuali governi non giudicano desiderabili e inoltre è necessario per il potere
riorganizzare
e dare efficienza all'impresa pubblica ed eliminare le lotte tra i vari dirigenti pubblici. Una
ristrutturazione e una ripartizione dei compiti tra settore pubblico e settore privato vedrà
l'affermazione di
una nuova gestione dell'economia che, superando attriti controproducenti per la classe dominante,
segnerà l'avvio
di una collaborazione funzionale per il perpetuamento dello sfruttamento.
Emilio Cipriano
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