Rivista Anarchica Online
La cultura di massa
di Claudia V.
Un'arma al servizio dei nuovi padroni. Le radici psico-sociali del consumismo - Come la cultura di
massa, agendo in funzione di bisogni individuali,
giunge di fatto a negare l'individualità e la stessa libertà di pensare - Il rapporto tra
immaginario e realtà - Al di
là della falsa evasione, la cultura di massa non provoca che conformismo, integrazione,
subordinazione ai valori
delle classi dominanti.
Il fenomeno di cultura di massa non è recente: esso è
legato al primo mezzo di "comunicazione di massa", la
stampa, che tra la fine del sec. XVII e l'inizio del XVIII in Inghilterra, nel pieno sviluppo della
società borghese,
si costituì come strumento di informazione e formazione di opinione per un vasto pubblico. I
romanzi di
appendice inglesi della fine dell'ottocento dimostrano di avere già una delle caratteristiche della
cultura di massa:
si tratta infatti di una produzione letteraria che consapevolmente crea, "serve" e controlla un
mercato. La natura
commerciale di questa cultura si è mantenuta intatta fino ai nostri giorni: il fatto di essere
determinata soprattutto
dalla legge del mercato, la distingue nettamente dalle altre forme di cultura e spiega anche perché
fin dai suoi
primi passi essa ha utilizzato le tecniche della pubblicità industriale. Per comprendere quindi il
linguaggio della
cultura di massa è necessario partire dall'analisi delle tecniche di persuasione in funzione del
consumo. Ogni produzione di massa destinata al consumo tende, ovviamente, ad ottenere il massimo
dei consumi. A questo
scopo i tecnici dei mass-media agiscono in due sensi: da una parte mirano ad unificare, a rendere
omogenei i gusti
e le scelte del consumatore, facendo leva sulla psicologia dell'"uomo medio", dall'altra riportano tutti
contenuti,
i "messaggi" trasmessi ad un medesimo comune denominatore, all'interno cioè di uno stesso
schema o criteri di
valutazione: è il momento in cui prevale il modo in cui viene trasmesso il contenuto sul contenuto
stesso, e
proprio questo "modo" di comunicare determina le caratteristiche dell'ideologia legata ai
mass-media. Ma vediamo intanto come i mass-media si rivolgono al consumatore. Scopo della
pubblicità è convogliare le nostre abitudini inconsce, le nostre preferenze di consumatori,
i nostri
meccanismi mentali ricorrendo a metodi presi a prestito dalla psichiatria e dalle scienze sociali. La
pubblicità
viene utilizzata al fine di agire sul consumatore a sua insaputa, così che i fili che lo fanno
muovere sono spesso,
in un certo senso "occulti", nascosti. Al momento dell'acquisto infatti il consumatore agisce di solito
obbedendo
a impulsi emotivi, stimolato senza rendersene conto da immagini e stimoli grafici che nel suo
subcosciente si
trovano associati al prodotto: è infatti alla zona non razionale, inconsapevole della psicologia del
consumatore
che la pubblicità si rivolge. Ma, più precisamente, su quali fattori essa può far
leva? A che tipo di uomo parla? Tutti gli studiosi di pubbliche relazioni, coloro cioè che
mettono le scienze sociali a profitto dell'industria,
concordano nell'affermare che la vendita di beni di consumo dipende in gran parte dalla capacità
di sfruttare il
senso di colpa, la paura, l'ansietà, l'ostilità, la tensione "segreta" dell'individuo. Si
è scoperto che questo individuo,
potenziale consumatore, è continuamente minato nella sua sicurezza emotiva, in una condizione
di continua
instabilità: l'oggetto che egli si dispone a comperare, molto spesso inutile, vale più che
per il suo uso pratico, per
la possibilità che esso offre di placare l'incertezza, di dare l'impressione della sicurezza. Ad
esempio, più del
30p.c. dei prodotti alimentari che la casalinga compera nei grandi magazzini è superfluo, ma la
presenza del cibo
stipato nel frigorifero rappresenta psicologicamente una garanzia di stabilità, di sicurezza. Gli
studiosi hanno
inoltre scoperto che sia uomini che donne hanno un gran bisogno di essere rassicurati sessualmente:
l'efficacia
del sesso come richiamo pubblicitario non è stata una scoperta dei persuasori in
profondità, ma dal richiamo
sfacciato si è passati all'uso di stimoli che non si riferiscono direttamente alla sessualità,
ma che sembrano
"esorcizzare" l'ansia legata ad essa. Non si vende quindi un oggetto per le sue qualità reali, ma
per le forze
psicologiche alle quali esso rimanda: i fabbricanti di cosmetici non vendono lanolina, ma speranza, non
si
comprano più arance, ma vitalità, non automobili, ma prestigio. La ricerca del prestigio,
della stima e della
considerazione sociale è infatti un'altra fonte a cui attinge la pubblicità ed è
spesso legata ad un altro fattore: la
soddisfazione del senso di potenza: il fascino che esercita sul consumatore qualsiasi prodotto che sembri
offrire
un aumento della potenza personale rappresenta un prezioso campo di sfruttamento. L'industria di
utensili per
il giardinaggio a sua volta ha visto raddoppiare le vendite quando scoprì che per molte persone
dedicarsi a questo
passatempo equivale a soddisfare un impulso creativo: l'industria fece quindi leva sull'associazione
psicologica
tra i beni venduti e la creatività. Non si contano poi gli slogan pubblicitari che fanno riferimento
più o meno
esplicito ai legami affettivi: la psichiatria freudiana, secondo la quale molti adulti cercherebbero
inconsciamente
le piacevoli sensazioni orali provate durante il periodo dell'allattamento e nei primi anni dell'infanzia
aprì nuovi
orizzonti ai maghi della pubblicità. Sfruttando questo desiderio di "ritorno alla culla" le industrie
di bibite, gomma
da masticare e dolci già negli anni cinquanta in America aveva un giro di 65 miliardi di dollari.
Insicurezza,
quindi, che investe soprattutto la sessualità, ricerca di una affermazione di se stessi attraverso la
competitività,
l'infantilismo, il desiderio di potenza come risposta alla frustrazione e ai desideri creativi inappagati.
Questo è il
quadro sommario della psicologia dell'uomo medio a cui si rivolge la pubblicità: la persuasione
occulta non sfrutta
però, come alcuni vorrebbero far credere, gli istinti innati, naturali dell'uomo, ma parla a un
individuo quale è
prodotto da una struttura sociale, autoritaria e repressiva, di cui l'ansia e lo squilibrio sono i segni
più evidenti.
Ma per vedere più a fondo il rapporto tra questa "psicologia dell'uomo medio" e la persuasione
sono necessarie
altre considerazioni ed, infine, legarsi al discorso della cultura di massa vera e propria. I persuasori occulti
hanno
recentemente constatato che il consenso, la disponibilità dell'individuo ad accettare i messaggi
dei mass-media
deve essere continuamente rinnovato e confermato: in altre parole esiste una resistenza individuale a
questa
operazione di adattamento artificiosa e il persuasore occulto è costretto sempre a rinvigorire le
proprie fonti.
Queste "fonti" sono le istituzioni sociali: sono esse il puntello della formazione dell'individuo represso,
è la vita
sociale autoritaria che prepara il terreno al condizionamento finale: il problema dei mass-media
può trovare una
spiegazione solo considerando le origini dell'adattamento psicologico nella società stessa. Nel
rapporto tra
l'individuo e la società, la cultura di massa agisce soprattutto (come del resto la
pubblicità) in funzione dei bisogni
individuali: fornisce immagini e modelli per la vita privata: propone miti di
autorealizzazione ed eroi, un'ideologia
e consigli pratici che sono diretti principalmente alla sfera affettiva, infantile dell'individuo, è
diretta all'uomo-bambino. Soprattutto essa provvede alla soddisfazione di desideri, repressi nella
realtà quotidiana, per procura.
È una cultura che mira all'evasione, non solo episodica, casuale, ma che si fa norma, meccanismo
che la sostiene;
per questo la cultura di massa, sostitutivo di ogni altra esperienza intellettuale, addormenta
l'individualità, nega
l'esistenza di problemi o li risolve entro schemi prestabiliti. Questa riduzione ad un unico schema
è un elemento
importante della cultura di massa: oggi il settore dell'informazione della stampa, della radio, della
televisione e
quello culturale in genere (comprendente film, spettacoli, cronache ecc.) tendono ad unificare il loro
linguaggio:
nel settore della informazione tutto ciò che appartiene alla vita reale viene comunicato in un
modo che è stato
definito "romanzesco": soprattutto nella stampa il commento "ad impressione", la drammatizzazione degli
avvenimenti, la "vivacità" con cui viene resa una cronaca politica, da una parte copre un vero
e proprio vuoto di
informazione, dall'altra offre una dimensione "irreale". Al contrario, nel settore culturale predomina il
mito del
realismo: azioni, trame di film, inchieste giornalistiche, varietà musicali mirano a dare l'illusione
della realtà,
fingono di rispecchiarne i problemi e la dinamica. In altre parole, tutti i settori della cultura di massa sono
caratterizzati, in linea di tendenza, dal fatto che l'immaginario imita la realtà e la realtà
assume le tinte
dell'immaginario. Ma questa dimensione irreale può essere credibile (per il consumatore) solo
a patto che egli sia
disposto a proiettarsi in essa, ad immedesimarsi in questa realtà fittizia: così, come nel
consumismo l'oggetto viene
acquistato per il suo valore simbolico, e sulla forza dei simboli si imperniano le vendite, così nella
cultura di
massa, i valori che essa trasmette, sono meno importanti dell'identificazione dello spettatore in un mondo
artificioso; per questo motivo è spesso indifferente ciò che viene detto attraverso i
mass-media: l'ideologia che
passa attraverso i mezzi di comunicazione di massa non è nei contenuti, ma nel modo in cui
vengono espressi e
si radicano nello spettatore. Un'altra caratteristica, ormai nota, della cultura di massa, è
l'automazione dei suoi meccanismi, la ripetizione in
modo sempre uguale dei suoi contenuti: essa procede secondo un codice in cui ad ogni azione
corrisponde sempre
una reazione prevedibile; ad es. ogni spettatore di films gialli sa con assoluta certezza che si arriva alla
fine, la
tensione viene mantenuta solo artificialmente; lo spettatore sa di essere su un terreno sicuro per tutto il
tempo:
il senso di protezione, di sicurezza, gli permette di vivere il brivido senza "traumi"; o ancora, la divisione
in generi
degli spettacoli televisivi (commedie leggere, westerns, gialli ecc.) serve a prestabilire il modello a cui sa
di dover
aderire chi affronta lo spettacolo, prima ancora di interrogarsi di fronte a qualunque contenuto specifico
e questo
provoca in larga misura il fatto che poi questo contenuto sarà più o meno accettato senza
partecipazione della
coscienza. L'integrazione psicologica in modelli prestabiliti fa sì che questa cultura, oltre ad
essere d'evasione, proprio perché
passa attraverso una vera e propria "delega della coscienza" sia anche uno strumento di integrazione
all'insieme
delle norme sociali. E qui il discorso interessa soprattutto il rapporto tra la cultura di massa e la
società attuale,
il problema dell'a chi serve questa cultura. Il legame tra l'ideologia trasmessa dai mass-media e la morale
tradizionale può servire a chiarire questo punto: la cultura di massa infatti dà la sua
adesione alla quasi immutata
ideologia della prima società borghese, mentre la vita dei suoi consumatori e la stessa
realtà sociale è molto
cambiata. Essa utilizza i valori dell'autoritarismo ottocentesco per trasformarli in norme adatte alla nuova
situazione. Tornando alla pubblicità, per convincere a comperare, essa non si limita a proporre
i vantaggi del
nuovo bene, a mostrarne l'aspetto piacevole. Essa dimostra piuttosto che il nuovo bene è
indispensabile proprio
sul piano etico: si solletica il piacere, ma si mostra che l'oggetto permette di realizzare meglio un dovere;
in questo
modo scioglie la resistenza negando momentaneamente l'ansia e il senso di colpa che le nuove
possibilità possono
suscitare. Ad es. un'industria di elettrodomestici si rese conto che i consumatori di fronte alla
possibilità di
risparmiare fatica e avere più tempo libero con i sistemi automatici, rinunciavano ad usarli
sentendosi in colpa
per un tale "spreco" di tempo: l'industria pensò perciò che installando l'idea che il tempo
risparmiato poteva essere
dedicato per una migliore cura della casa e dei figli, avrebbe aggirato, sfruttandolo, il senso di colpa ed
infatti
raddoppiò le vendite. La morale repressiva e autoritaria incontrata attraverso i tradizionali modelli
autoritari (ad
es. la famiglia), la morale che nega il principio del piacere e ad esso sostituisce quello del "dovere per il
dovere",
non è un ostacolo, ma uno strumento della persuasione occulta. Allo stesso modo la cultura di
massa ha trovato
la strada, oltre che per fornire una soluzione simbolica, come abbiamo visto, a problemi reali, anche per
radicare
l'idea della necessità di una norma: il suo scopo è trasmettere il messaggio
dell'accomodamento e dell'obbedienza;
gli ideali di conformismo, già presenti alle sue origini, borghesi, oggi non valgono tanto per
ciò che impongono,
ma perché si presentano come precise prescrizioni di ciò che si deve o non si deve fare.
Lo scoppio dei conflitti
è prestabilito e tutti i conflitti sono uguali: la società è sempre vincitrice e ad essa
l'individuo si deve conformare;
si ha quindi l'esaltazione della norma in sé, della norma assoluta: la cultura di massa sembra
essere al servizio
dell'integrazione nei confronti di un potere "anonimo". Quando Freud nell'ottocento analizzò la
figura dell'uomo
"represso" aveva di fronte una società in cui il rapporto autoritario tra padre e figlio era, grosso
modo, lo specchio
di una società in cui il rapporto con l'autorità era ancora di carattere "personale": la
relazione tra l'educazione
familiare, impostata sulla repressione degli impulsi naturali, sul conseguente senso di insufficienza
individuale
e quindi la necessità di una figura guida, paterna, trovava un riscontro diretto nella
società, in funzione della quale
infatti questa educazione era stata impostata. L'associazione tra il capo o il padrone e la figura paterna
era,
relativamente, immediata: ad essa si legavano poi precisi e inequivocabili insegnamenti morali. Oggi
queste immagini paterne personali stanno gradatamente scomparendo: ogni dominio sta assumendo la
forma
di una amministrazione e il concentramento di potere sembra diventare anonimo. I padroni non
adempiono più
ad una funzione individuale: essi si sono trasformati in membri stipendiati di una burocrazia. La
responsabilità
dell'organizzazione della vita individuale non dipende più direttamente da figure paterne, ma dalla
somma totale
delle istituzioni; le nuove ideologie del bene pubblico, gli "esperimenti di socializzazione" che lo Stato
magnanimo realizza per l'"utilità collettiva", nascondono in realtà lo scopo di educare
l'individuo a rinunciare ad
agire in prima persona. La cultura di massa è quindi la cultura di una società
tecnoburocratica che nel rapporto
individuo-società non rinuncia per niente alla autoritarismo, alla gerarchia, alla passività
della coscienza, ma la
orienta nel senso di un adeguamento a qualsiasi norma, a patto che essa sia a scapito della
coscienza. Il concetto di massa sembra essere spesso in contrasto con la realtà della divisione
in classi del sistema: la massa
infatti non corrisponde ad una precisa classe, ma piuttosto ad una figura sociale, quello che abbiamo
definito
"uomo medio", con un determinato comportamento psicologico: l'incertezza nel definire la massa (che
a rigor di
logica comprende tutti gli individui) deriva dal fatto che nella realtà spesso una persona, pur
trovandosi all'ultimo
scalino della gerarchia sociale, con chiara coscienza del proprio sfruttamento, non rinuncia ad aderire
ad ideologie
di "liberazione" che pur dichiarandosi rivoluzionarie, ripropongono però immutato lo schema
autoritario della
società attuale, prima di tutto affermando l'idea che lo sfruttamento deve delegare ad altri il
compito della sua
liberazione. In questo senso infatti, nel suo intento di far accettare lo sfruttamento in veste nuova,
nel modificare la personalità
stessa di chi lo subisce, ci interessa la cultura di massa: in quanto nuova realtà psicologica per
nuovi padroni. Essa
sembra avere in odio la coscienza rivoluzionaria, come consapevolezza che la libertà dev'essere
conquistata
direttamente in prima persona, più che la "coscienza di classe" la quale non basta a spezzare le
radici del potere.
Anzi la cultura della tecnoburocrazia sembra celebrare volentieri le nozze tra nuovi padroni e quelle
ideologie
socialiste e comuniste che stanno al patto che a realizzare la rivoluzione non siano gli sfruttati, ma degli
opportuni
rappresentanti. Perché il problema che nasce dalla cultura di massa non sta nel fatto che essa crea
falsi bisogni
o falsi dettami morali dai quali ci si deve liberare, ma false soluzioni. E la risposta rivoluzionaria è
ancora una
volta quella della libertà di decidere da sé, senza deleghe o soluzioni "simboliche", di
gestire la propria vita
individuale e sociale.
Claudia V.
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