Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 39
maggio 1975


Rivista Anarchica Online

La cultura di massa
di Claudia V.

Un'arma al servizio dei nuovi padroni.
Le radici psico-sociali del consumismo - Come la cultura di massa, agendo in funzione di bisogni individuali, giunge di fatto a negare l'individualità e la stessa libertà di pensare - Il rapporto tra immaginario e realtà - Al di là della falsa evasione, la cultura di massa non provoca che conformismo, integrazione, subordinazione ai valori delle classi dominanti.

Il fenomeno di cultura di massa non è recente: esso è legato al primo mezzo di "comunicazione di massa", la stampa, che tra la fine del sec. XVII e l'inizio del XVIII in Inghilterra, nel pieno sviluppo della società borghese, si costituì come strumento di informazione e formazione di opinione per un vasto pubblico. I romanzi di appendice inglesi della fine dell'ottocento dimostrano di avere già una delle caratteristiche della cultura di massa: si tratta infatti di una produzione letteraria che consapevolmente crea, "serve" e controlla un mercato. La natura commerciale di questa cultura si è mantenuta intatta fino ai nostri giorni: il fatto di essere determinata soprattutto dalla legge del mercato, la distingue nettamente dalle altre forme di cultura e spiega anche perché fin dai suoi primi passi essa ha utilizzato le tecniche della pubblicità industriale. Per comprendere quindi il linguaggio della cultura di massa è necessario partire dall'analisi delle tecniche di persuasione in funzione del consumo.
Ogni produzione di massa destinata al consumo tende, ovviamente, ad ottenere il massimo dei consumi. A questo scopo i tecnici dei mass-media agiscono in due sensi: da una parte mirano ad unificare, a rendere omogenei i gusti e le scelte del consumatore, facendo leva sulla psicologia dell'"uomo medio", dall'altra riportano tutti contenuti, i "messaggi" trasmessi ad un medesimo comune denominatore, all'interno cioè di uno stesso schema o criteri di valutazione: è il momento in cui prevale il modo in cui viene trasmesso il contenuto sul contenuto stesso, e proprio questo "modo" di comunicare determina le caratteristiche dell'ideologia legata ai mass-media.
Ma vediamo intanto come i mass-media si rivolgono al consumatore.
Scopo della pubblicità è convogliare le nostre abitudini inconsce, le nostre preferenze di consumatori, i nostri meccanismi mentali ricorrendo a metodi presi a prestito dalla psichiatria e dalle scienze sociali. La pubblicità viene utilizzata al fine di agire sul consumatore a sua insaputa, così che i fili che lo fanno muovere sono spesso, in un certo senso "occulti", nascosti. Al momento dell'acquisto infatti il consumatore agisce di solito obbedendo a impulsi emotivi, stimolato senza rendersene conto da immagini e stimoli grafici che nel suo subcosciente si trovano associati al prodotto: è infatti alla zona non razionale, inconsapevole della psicologia del consumatore che la pubblicità si rivolge. Ma, più precisamente, su quali fattori essa può far leva? A che tipo di uomo parla?
Tutti gli studiosi di pubbliche relazioni, coloro cioè che mettono le scienze sociali a profitto dell'industria, concordano nell'affermare che la vendita di beni di consumo dipende in gran parte dalla capacità di sfruttare il senso di colpa, la paura, l'ansietà, l'ostilità, la tensione "segreta" dell'individuo. Si è scoperto che questo individuo, potenziale consumatore, è continuamente minato nella sua sicurezza emotiva, in una condizione di continua instabilità: l'oggetto che egli si dispone a comperare, molto spesso inutile, vale più che per il suo uso pratico, per la possibilità che esso offre di placare l'incertezza, di dare l'impressione della sicurezza. Ad esempio, più del 30p.c. dei prodotti alimentari che la casalinga compera nei grandi magazzini è superfluo, ma la presenza del cibo stipato nel frigorifero rappresenta psicologicamente una garanzia di stabilità, di sicurezza. Gli studiosi hanno inoltre scoperto che sia uomini che donne hanno un gran bisogno di essere rassicurati sessualmente: l'efficacia del sesso come richiamo pubblicitario non è stata una scoperta dei persuasori in profondità, ma dal richiamo sfacciato si è passati all'uso di stimoli che non si riferiscono direttamente alla sessualità, ma che sembrano "esorcizzare" l'ansia legata ad essa. Non si vende quindi un oggetto per le sue qualità reali, ma per le forze psicologiche alle quali esso rimanda: i fabbricanti di cosmetici non vendono lanolina, ma speranza, non si comprano più arance, ma vitalità, non automobili, ma prestigio. La ricerca del prestigio, della stima e della considerazione sociale è infatti un'altra fonte a cui attinge la pubblicità ed è spesso legata ad un altro fattore: la soddisfazione del senso di potenza: il fascino che esercita sul consumatore qualsiasi prodotto che sembri offrire un aumento della potenza personale rappresenta un prezioso campo di sfruttamento. L'industria di utensili per il giardinaggio a sua volta ha visto raddoppiare le vendite quando scoprì che per molte persone dedicarsi a questo passatempo equivale a soddisfare un impulso creativo: l'industria fece quindi leva sull'associazione psicologica tra i beni venduti e la creatività. Non si contano poi gli slogan pubblicitari che fanno riferimento più o meno esplicito ai legami affettivi: la psichiatria freudiana, secondo la quale molti adulti cercherebbero inconsciamente le piacevoli sensazioni orali provate durante il periodo dell'allattamento e nei primi anni dell'infanzia aprì nuovi orizzonti ai maghi della pubblicità. Sfruttando questo desiderio di "ritorno alla culla" le industrie di bibite, gomma da masticare e dolci già negli anni cinquanta in America aveva un giro di 65 miliardi di dollari. Insicurezza, quindi, che investe soprattutto la sessualità, ricerca di una affermazione di se stessi attraverso la competitività, l'infantilismo, il desiderio di potenza come risposta alla frustrazione e ai desideri creativi inappagati. Questo è il quadro sommario della psicologia dell'uomo medio a cui si rivolge la pubblicità: la persuasione occulta non sfrutta però, come alcuni vorrebbero far credere, gli istinti innati, naturali dell'uomo, ma parla a un individuo quale è prodotto da una struttura sociale, autoritaria e repressiva, di cui l'ansia e lo squilibrio sono i segni più evidenti. Ma per vedere più a fondo il rapporto tra questa "psicologia dell'uomo medio" e la persuasione sono necessarie altre considerazioni ed, infine, legarsi al discorso della cultura di massa vera e propria. I persuasori occulti hanno recentemente constatato che il consenso, la disponibilità dell'individuo ad accettare i messaggi dei mass-media deve essere continuamente rinnovato e confermato: in altre parole esiste una resistenza individuale a questa operazione di adattamento artificiosa e il persuasore occulto è costretto sempre a rinvigorire le proprie fonti. Queste "fonti" sono le istituzioni sociali: sono esse il puntello della formazione dell'individuo represso, è la vita sociale autoritaria che prepara il terreno al condizionamento finale: il problema dei mass-media può trovare una spiegazione solo considerando le origini dell'adattamento psicologico nella società stessa. Nel rapporto tra l'individuo e la società, la cultura di massa agisce soprattutto (come del resto la pubblicità) in funzione dei bisogni individuali: fornisce immagini e modelli per la vita privata: propone miti di autorealizzazione ed eroi, un'ideologia e consigli pratici che sono diretti principalmente alla sfera affettiva, infantile dell'individuo, è diretta all'uomo-bambino. Soprattutto essa provvede alla soddisfazione di desideri, repressi nella realtà quotidiana, per procura. È una cultura che mira all'evasione, non solo episodica, casuale, ma che si fa norma, meccanismo che la sostiene; per questo la cultura di massa, sostitutivo di ogni altra esperienza intellettuale, addormenta l'individualità, nega l'esistenza di problemi o li risolve entro schemi prestabiliti. Questa riduzione ad un unico schema è un elemento importante della cultura di massa: oggi il settore dell'informazione della stampa, della radio, della televisione e quello culturale in genere (comprendente film, spettacoli, cronache ecc.) tendono ad unificare il loro linguaggio: nel settore della informazione tutto ciò che appartiene alla vita reale viene comunicato in un modo che è stato definito "romanzesco": soprattutto nella stampa il commento "ad impressione", la drammatizzazione degli avvenimenti, la "vivacità" con cui viene resa una cronaca politica, da una parte copre un vero e proprio vuoto di informazione, dall'altra offre una dimensione "irreale". Al contrario, nel settore culturale predomina il mito del realismo: azioni, trame di film, inchieste giornalistiche, varietà musicali mirano a dare l'illusione della realtà, fingono di rispecchiarne i problemi e la dinamica. In altre parole, tutti i settori della cultura di massa sono caratterizzati, in linea di tendenza, dal fatto che l'immaginario imita la realtà e la realtà assume le tinte dell'immaginario. Ma questa dimensione irreale può essere credibile (per il consumatore) solo a patto che egli sia disposto a proiettarsi in essa, ad immedesimarsi in questa realtà fittizia: così, come nel consumismo l'oggetto viene acquistato per il suo valore simbolico, e sulla forza dei simboli si imperniano le vendite, così nella cultura di massa, i valori che essa trasmette, sono meno importanti dell'identificazione dello spettatore in un mondo artificioso; per questo motivo è spesso indifferente ciò che viene detto attraverso i mass-media: l'ideologia che passa attraverso i mezzi di comunicazione di massa non è nei contenuti, ma nel modo in cui vengono espressi e si radicano nello spettatore.
Un'altra caratteristica, ormai nota, della cultura di massa, è l'automazione dei suoi meccanismi, la ripetizione in modo sempre uguale dei suoi contenuti: essa procede secondo un codice in cui ad ogni azione corrisponde sempre una reazione prevedibile; ad es. ogni spettatore di films gialli sa con assoluta certezza che si arriva alla fine, la tensione viene mantenuta solo artificialmente; lo spettatore sa di essere su un terreno sicuro per tutto il tempo: il senso di protezione, di sicurezza, gli permette di vivere il brivido senza "traumi"; o ancora, la divisione in generi degli spettacoli televisivi (commedie leggere, westerns, gialli ecc.) serve a prestabilire il modello a cui sa di dover aderire chi affronta lo spettacolo, prima ancora di interrogarsi di fronte a qualunque contenuto specifico e questo provoca in larga misura il fatto che poi questo contenuto sarà più o meno accettato senza partecipazione della coscienza.
L'integrazione psicologica in modelli prestabiliti fa sì che questa cultura, oltre ad essere d'evasione, proprio perché passa attraverso una vera e propria "delega della coscienza" sia anche uno strumento di integrazione all'insieme delle norme sociali. E qui il discorso interessa soprattutto il rapporto tra la cultura di massa e la società attuale, il problema dell'a chi serve questa cultura. Il legame tra l'ideologia trasmessa dai mass-media e la morale tradizionale può servire a chiarire questo punto: la cultura di massa infatti dà la sua adesione alla quasi immutata ideologia della prima società borghese, mentre la vita dei suoi consumatori e la stessa realtà sociale è molto cambiata. Essa utilizza i valori dell'autoritarismo ottocentesco per trasformarli in norme adatte alla nuova situazione. Tornando alla pubblicità, per convincere a comperare, essa non si limita a proporre i vantaggi del nuovo bene, a mostrarne l'aspetto piacevole. Essa dimostra piuttosto che il nuovo bene è indispensabile proprio sul piano etico: si solletica il piacere, ma si mostra che l'oggetto permette di realizzare meglio un dovere; in questo modo scioglie la resistenza negando momentaneamente l'ansia e il senso di colpa che le nuove possibilità possono suscitare. Ad es. un'industria di elettrodomestici si rese conto che i consumatori di fronte alla possibilità di risparmiare fatica e avere più tempo libero con i sistemi automatici, rinunciavano ad usarli sentendosi in colpa per un tale "spreco" di tempo: l'industria pensò perciò che installando l'idea che il tempo risparmiato poteva essere dedicato per una migliore cura della casa e dei figli, avrebbe aggirato, sfruttandolo, il senso di colpa ed infatti raddoppiò le vendite. La morale repressiva e autoritaria incontrata attraverso i tradizionali modelli autoritari (ad es. la famiglia), la morale che nega il principio del piacere e ad esso sostituisce quello del "dovere per il dovere", non è un ostacolo, ma uno strumento della persuasione occulta. Allo stesso modo la cultura di massa ha trovato la strada, oltre che per fornire una soluzione simbolica, come abbiamo visto, a problemi reali, anche per radicare l'idea della necessità di una norma: il suo scopo è trasmettere il messaggio dell'accomodamento e dell'obbedienza; gli ideali di conformismo, già presenti alle sue origini, borghesi, oggi non valgono tanto per ciò che impongono, ma perché si presentano come precise prescrizioni di ciò che si deve o non si deve fare. Lo scoppio dei conflitti è prestabilito e tutti i conflitti sono uguali: la società è sempre vincitrice e ad essa l'individuo si deve conformare; si ha quindi l'esaltazione della norma in sé, della norma assoluta: la cultura di massa sembra essere al servizio dell'integrazione nei confronti di un potere "anonimo". Quando Freud nell'ottocento analizzò la figura dell'uomo "represso" aveva di fronte una società in cui il rapporto autoritario tra padre e figlio era, grosso modo, lo specchio di una società in cui il rapporto con l'autorità era ancora di carattere "personale": la relazione tra l'educazione familiare, impostata sulla repressione degli impulsi naturali, sul conseguente senso di insufficienza individuale e quindi la necessità di una figura guida, paterna, trovava un riscontro diretto nella società, in funzione della quale infatti questa educazione era stata impostata. L'associazione tra il capo o il padrone e la figura paterna era, relativamente, immediata: ad essa si legavano poi precisi e inequivocabili insegnamenti morali.
Oggi queste immagini paterne personali stanno gradatamente scomparendo: ogni dominio sta assumendo la forma di una amministrazione e il concentramento di potere sembra diventare anonimo. I padroni non adempiono più ad una funzione individuale: essi si sono trasformati in membri stipendiati di una burocrazia. La responsabilità dell'organizzazione della vita individuale non dipende più direttamente da figure paterne, ma dalla somma totale delle istituzioni; le nuove ideologie del bene pubblico, gli "esperimenti di socializzazione" che lo Stato magnanimo realizza per l'"utilità collettiva", nascondono in realtà lo scopo di educare l'individuo a rinunciare ad agire in prima persona. La cultura di massa è quindi la cultura di una società tecnoburocratica che nel rapporto individuo-società non rinuncia per niente alla autoritarismo, alla gerarchia, alla passività della coscienza, ma la orienta nel senso di un adeguamento a qualsiasi norma, a patto che essa sia a scapito della coscienza.
Il concetto di massa sembra essere spesso in contrasto con la realtà della divisione in classi del sistema: la massa infatti non corrisponde ad una precisa classe, ma piuttosto ad una figura sociale, quello che abbiamo definito "uomo medio", con un determinato comportamento psicologico: l'incertezza nel definire la massa (che a rigor di logica comprende tutti gli individui) deriva dal fatto che nella realtà spesso una persona, pur trovandosi all'ultimo scalino della gerarchia sociale, con chiara coscienza del proprio sfruttamento, non rinuncia ad aderire ad ideologie di "liberazione" che pur dichiarandosi rivoluzionarie, ripropongono però immutato lo schema autoritario della società attuale, prima di tutto affermando l'idea che lo sfruttamento deve delegare ad altri il compito della sua liberazione.
In questo senso infatti, nel suo intento di far accettare lo sfruttamento in veste nuova, nel modificare la personalità stessa di chi lo subisce, ci interessa la cultura di massa: in quanto nuova realtà psicologica per nuovi padroni. Essa sembra avere in odio la coscienza rivoluzionaria, come consapevolezza che la libertà dev'essere conquistata direttamente in prima persona, più che la "coscienza di classe" la quale non basta a spezzare le radici del potere. Anzi la cultura della tecnoburocrazia sembra celebrare volentieri le nozze tra nuovi padroni e quelle ideologie socialiste e comuniste che stanno al patto che a realizzare la rivoluzione non siano gli sfruttati, ma degli opportuni rappresentanti. Perché il problema che nasce dalla cultura di massa non sta nel fatto che essa crea falsi bisogni o falsi dettami morali dai quali ci si deve liberare, ma false soluzioni. E la risposta rivoluzionaria è ancora una volta quella della libertà di decidere da sé, senza deleghe o soluzioni "simboliche", di gestire la propria vita individuale e sociale.

Claudia V.