Rivista Anarchica Online
Gli anarchici non votano
di A.D.S.
Elezioni del 15 giugno: il solito imbroglio. La presentazione da parte di A.O. e del P.d.U.P. di una
lista congiunta è un ulteriore sintomo del loro progressivo
avvicinamento all'area riformista - Le ragioni del nostro coerente astensionismo.
"Per una opposizione rivoluzionaria, vota Democrazia proletaria". Con
questo slogan involontariamente
umoristico (un'opposizione che si esprime con il voto è rivoluzionaria come un detersivo
all'aceto) si presenta la
nuova alleanza elettorale tra i due partitini di estrema sinistra Avanguardia Operaia e
P.D.U.P.-Manifesto. Il senso
dello slogan è chiaramente (?) spiegato in un loro cartello: "Un voto per affermare
all'interno delle istituzioni
una presenza di lotta del movimento di massa". Niente di nuovo sotto il sole. Sono le stesse
motivazioni con cui, un secolo fa i campioni del trasformismo
rivoluzionario-progressista alla Andrea Costa giustificavano il loro passaggio al campo elettorale. La
storia ha
dimostrato in modo indiscutibile come tutte quelle motivazioni fossero solo la copertura ideologica di una
fase
di transizione dall'opposizione rivoluzionaria al sistema (cioè alle sue istituzioni)
all'opposizione riformista nel
sistema (cioè nelle sue istituzioni). Niente di sostanzialmente nuovo, eppure questa è,
per quanto vale, una delle
poche "novità" della campagna elettorale appena inaugurata ufficialmente (ma in realtà
aperta di fatto da diversi
mesi). È una "novità", solo la presenza elettorale di Avanguardia Operaia, perché
il Manifesto era già presente
alle elezioni del '72 (ricordate, ahinoi, la candidatura Valpreda?) così com'erano presenti il
P.S.I.U.P. e l'M.P.L.
dai cui rimasugli "rivoluzionari" è sorto il P.D.U.P. (son cose di ieri, ma già sembra di
fare dell'archeologia). Il
loro discorso dunque ha una sua "coerenza" interna. Alle elezioni per i parlamentini studenteschi, del
resto, essi
erano stati "coerentemente" votaioli. Avanguardia Operaia, invece, aveva sollevato un gran polverone
contro i
decreti delegati, in difesa della "democrazia diretta" (?). Cosicché l'osservatore superficiale
avrebbe potuto ritenere
che A.O. fosse contraria all'inserimento nelle istituzioni democratico-rappresentative e potrebbe oggi
assistere con
grande stupore al "nuovo" discorso sulla lotta all'interno delle istituzioni. In realtà questo
discorso ridimensiona il significato del loro comportamento alle elezioni scolastiche, un
comportamento che già allora un osservatore smaliziato (anarchico, per esempio) avrebbe
qualificato come
furbescamente strumentale. Forti nel "movimento degli studenti" (cioè nella minoranza
politicamente attiva) ma
deboli nella massa elettorale degli studenti, essi ed altre organizzazioni marxiste-leniniste si vedevano
togliere
con l'urna la "rappresentanza". Perciò cercavano di contrapporre alla rappresentatività
"democratica" una
rappresentatività "militante". Il che sembrerebbe indiscutibile da un punto di vista rivoluzionario...
se non fosse
stato, appunto, un discorso strumentale, già contraddetto a pochi mesi di distanza dalla presenza
alle elezioni
amministrative. Come la mettiamo con la "democrazia diretta"? Perché non contrapponiamo,
nella città e nei
paesi, all'amministrazione elettiva, ai "parlamentini" comunali un'organizzazione alternativa di base (fatta
di
assemblee di caseggiato, di strada, di quartiere, fatta di delegati a rotazione) che eserciti l'unica forma
legittima
di partecipazione rivoluzionaria alla politica: la contestazione permanente, la lotta continua (senza alcun
riferimento all'omonimo partitino)? Perché non lavoriamo, fuori e
contro le istituzioni ad estendere l'autogestione
della lotta, cioè l'unica forma di democrazia diretta possibile qui ed
oggi? Perché "i tempi non sono maturi", probabilmente, perché non
è sufficiente il livello raggiunto dalla "coscienza
di classe", probabilmente... così nel frattempo non riuscendo a fare la "politica" rivoluzionaria
andiamo a fare la
politica del sistema. (Ma non è quello che fa il PCI da trent'anni? Niente di nuovo). Anche
la "novità" di Democrazia Proletaria è dunque solo un ulteriore sintomo del generale e
progressivo
spostamento "a destra" della sinistra sedicente rivoluzionaria. Uno spostamento che ne fa sempre
più una specie
di "PCI dei giovani". È sui giovani, infatti che punta tutte le sue speranze
l'alleanza elettorale "rivoluzionaria", su quella fascia di
giovani dai diciotto ai ventun'anni che per la prima volta in Italia sono chiamati alle urne. È noto
infatti che la
base di forza degli "extra-parlamentari" (è da dirsi ormai tra virgolette: chissà che,
diciottenni permettendo, non
possano diventare mini-parlamentari nel '75) sono le scuole medie superiori. È sugli studenti,
sulle centinaia di
migliaia di nuovi voti che gli studenti rappresentano, che Democrazia Proletaria fa soprattutto
affidamento per
raccogliere quel tre percento di voti cui aspira, quel milioncino di croci che le servono per darsi una
rispettabilità
politica nel sistema. Quella del voto giovanile è un'altra novità di queste
consultazioni. Vedremo come risponderanno i diciottenni
a questo tentativo di integrare la loro rivolta, di deviare in canali istituzionali la loro carica di
combattività.
Vedremo come risponderanno non solo gli studenti medi, ma anche e soprattutto i giovani lavoratori, che
sono
stati in prima fila in tutte le lotte degli ultimi anni... Vedremo quanti di essi sapranno rispondere con il
pernacchio
dell'astensione alla lusinga della partecipazione "democratica" alla cogestione del sistema. Altre
novità, per ora almeno, la campagna elettorale non ne presenta. La DC, come previsto, è
tutta lanciata sul
tema conduttore dell'ordine pubblico. Scrivevamo in proposito, sul numero di marzo della rivista ("La
paura
strumentalizzata", A 36) che il "senso di sicurezza (e quindi bisogno d'ordine) è particolarmente
sviluppato oggi
nel ceto medio e raggiunge limiti patologici propri in quella piccola borghesia e piccola burocrazia
oggettivamente
prossima agli sfruttati e psicologicamente prossima agli sfruttatori"; "meno sensibile ma non insensibile
a questo
trucco emotivo è la classe operaia"; "particolarmente sensibili le donne". Il trucco dell'ordine
pubblico, cioè,
funziona per una larga fascia di elettorato, su cui la DC sta lavorando pesantemente, soprattutto
attraverso il
potente strumento propagandistico della televisione. I risultati di alcuni sondaggi pre-elettorali sembrano
indicare
che la campagna fanfaniana sta ottenendo qualche successo. L'ossessione dell'ordine pubblico risulta, da
questi
sondaggi, estesa a quasi metà della popolazione (il 46p.c. degli elettori giudicherebbe la
"criminalità comune e
politica" come la preoccupazione cui sono più sensibili, mentre solo il 18p.c. ha indicato come
problema più
grave l'inflazione e la crisi!). L'editorialista politico di Mondo Economico (un settimanale
"vicino" alla
confindustria lombarda!), Petracca, ha chiamato queste elezioni "il voto della paura", stigmatizzando la
forsennata
impostazione terroristica della propaganda DC. Come conseguenza, sempre secondo i sondaggi
d'opinione, parrebbe che la prevista emorragia di voti
democristiani vada ridimensionandosi (non più del 2-3 percento, forse meno). Così,
grazie alle storture
psicologiche dell'italiano medio ed alla sua struttura caratteriale malata di insicurezza, il "bisogno
d'ordine"
premierebbe i principali responsabili del disordine, della violenza, dei furti, degli scandali... La
psicosi dell'"ordine" è talmente diffusa che socialisti e comunisti non hanno voluto giocarsi un
po' di voti del
ceto medio contrastando sostanzialmente la fanfaniana legge liberticida che è
passata in questi giorni in
Parlamento, con una resistenza pro-forma dei socialisti (recalcitranti, ma alla fin fine
favorevoli) ed una
opposizione pro-forma dei comunisti (contrari ma "ragionevoli" e non
ostruzionisti). Se la DC si presenta alle elezioni con un bel programma Law and Order
(legge e ordine come dicono gli
americani), il PCI si presenta con un bel programma... antifascista e anti-fanfaniano (non
anti-democristiano, no!
con i democristiani devono - vogliono - fare il compromesso). Il PSI si barcamena come al solito tra
governo ed
opposizione. Il M.S.I., persa la baldanzosità aggressiva degli anni scorsi, piagnucola sulla
difensiva le solite
scemenze. Tutti i partiti si sono sinora bellamente astenuti dal parlare di problemi amministrativi, ma
neppure questa è una
novità. È piuttosto una caratteristica tradizionale delle elezioni amministrative italiane:
esse sono elezioni
politiche di seconda classe. Del resto è giusto. Le amministrazioni locali non sono che un aspetto
periferico del
potere. I consigli regionali, provinciali e comunali non sono che dei parlamentini, le giunte sono
mini-governi che
controllano mini-sottogoverni di poltrone e mangiatoie in enti locali, imprese pubbliche, eccetera. Politica
di
seconda classe, appunto.
A.D.S.
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