Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 38
aprile 1975


Rivista Anarchica Online

Il linguaggio dei giornali
di Claudia V.

La funzione mistificante dei mass-media.
La carta stampata non è solo un mezzo di comunicazione ma anche uno strumento del Potere per imporre determinati valori all'opinione pubblica - Anche le parole difficili e incomprensibili svolgono un compito funzionale ai padroni - La battaglia tra Stato e grande capitale per il controllo dell'editoria.

"I giornali non danno tutte le informazioni necessarie", "I giornali inventano notizie false": queste sono opinioni sulla stampa piuttosto diffuse (sono anche verità confermate dagli studi sulla stampa effettuati in questi ultimi anni) e si riferiscono ai contenuti del giornale, "che cosa" essi dicono o non dicono. Ma c'è anche un altro aspetto dell'informazione, legato ai precedenti: il modo in cui viene riferito quel poco che si salva dalle "censure" dei gruppi di potere, delle leggi sulla stampa, dei proprietari del giornale, dei partiti: in altre parole il modo in cui i giornali (i quotidiani nel nostro caso) usano la lingua.
La pubblicità è il mezzo principale della tecnologia e dell'industria che in campo internazionale tende a livellare i "bisogni delle masse". Per convincere il consumatore ad acquistare un certo prodotto usa tecniche particolari, costruisce un tipo "speciale" di comunicazione; anche il giornale è una merce: deve perciò attirare l'attenzione del lettore, colpire e impressionare. Sia la pubblicità sia i giornali sfruttano quelle regole, quei rapporti tra le parole che nel parlare comune sono i meno usati, i più insoliti. Si tratta di una "sotto-lingua" che si appoggia agli aspetti minori, "ingranditi" e messi in evidenza, del linguaggio parlato.

Le "trovate" linguistiche

Due sono le operazioni linguistiche che accomunano giornale e pubblicità: la prima è di imporre significati nuovi alle parole correnti, la seconda di costruire frasi con i significati più diversi e contrastanti. Il primo caso è il più evidente: il linguaggio è sempre arricchito di nuove varianti, di rinnovamenti linguistici che in breve tempo nascono e muoiono; la "invenzione" di parole può avvenire attraverso diverse strade: o aggiungendo prefissi (anti- super- sotto- contro- extra- ecc.) o con l'abbondanza di "ismi" (opportunismo, revisionismo, neoprotezionismo ecc.), o legando si un termine all'altro in modo insolito (es. nella pubblicità: "sentirsialselz"). Si tratta di parole che non corrispondono a una reale comprensione di idee nuove da parte del lettore: infatti non vengono spiegate e soprattutto non sì dà il tempo di capirle e "digerirle". Rinnovare spesso e vorticosamente il linguaggio favorisce il comportamento irrazionale del lettore (o del consumatore): la parola non è più legata ad un significato preciso, non comunica più nulla di costante: non serve quindi a un ragionamento, ma solo a provocare delle impressioni, delle reazioni emotive positive o negative a seconda dell'intenzione del giornalista.
La seconda operazione (la costruzione di frasi con parole contrastanti) consiste in questo: il giornalista usa per descrivere un fatto vocaboli o intere frasi che appartengono agli specialisti della politica, della burocrazia, dello sport ecc. Espressioni speciali di un certo ambiente o di una certa cultura vengono perciò trasportate di sana pianta nella cronaca politica e cittadina; inoltre queste espressioni vengono messe una accanto all'altra in modo da creare un contrasto di situazioni: chi legge è costretto a passare rapidamente parole che richiamano ora il mondo dello sport, ora quello della finanza, subito dopo quello della medicina e così via. Alla rincorsa del significato delle varie espressioni, colpito psicologicamente da questo "salto" di situazioni, il lettore è distratto dall'informazione vera e propria, perde di vista la notizia. Tutto ciò viene mascherato dietro il pretesto che il discorso non deve essere monotono, ma vivace, brillante.
Ma c'è anche un altro aspetto di questa operazione da considerare: se si osserva bene, questi espedienti linguistici nella maggior parte dei casi non sono delle vere e proprie invenzioni: sono piuttosto delle "trovate" che non si allontanano troppo da tutto ciò che è convenzionale, ed anzi lo confermano; si scrive infatti "avere le spalle assicurate", anziché "sicure", oppure "chi dorme non afferra molluschi" o ancora, da "guadagnare qualche secondo" a "guadagnare una manciata di secondi". Si passa da un eccesso di "invenzioni" che confondono il discorso ad un massimo di convenzionalità. Mentre nel linguaggio artistico togliere delle parole o delle immagini dal loro luogo naturale per metterle in un altro può avere come conseguenza quella di illuminare e interpretare in modo nuovo, creativo e critico la realtà, nella pubblicità e nel giornale, invece, questa operazione ha lo scopo di attirare l'attenzione e rafforzare le convenzioni. Ci si trova di fronte a un uso della lingua che non è naturale, ma ha un fine esclusivamente economico: mentre il linguaggio artistico mette in contatto l'uomo con la realtà, quello pubblicitario lega l'uomo a una merce. Come la pubblicità ripetendo all'infinito degli slogan cerca di legare le parole al prodotto, così anche il giornale, usando sempre le stesse espressioni (o delle varianti che si appoggiano chiaramente a queste), impone al lettore delle associazioni tra parole e idee, tra parole e valori sociali convenzionali. L'espressione ripetuta automaticamente si impoverisce, ma i valori ai quali è stata legata si fissano nella memoria "psicologica" del lettore: è la possibilità per i linguaggio di influenzare le idee e il comportamento sociale. Perché il giornale, pur avendo la necessità di dire più cose possibile in poco spazio, usa frasi come "si è dato luogo all'ascolto" invece di "sì è ascoltato"? Un albero non lo "si pianta", ma lo "si mette a dimora"? "Apportare modifiche" invece di "modificare" ecc.? Le parole "speciali" hanno più forza, impressionano più di quelle comuni, anzi spesso "contagiano" queste ultime o le oscurano: perché la parola non indica solo un oggetto o un'idea, ma spesso ha molti, diversi valori. Se, per es., si dice "amichetta" si può intendere sia, letteralmente, un'amica piccola, sia una prostituta. Ecco quindi che la parola speciale ha una funzione ancora più importante: diventa la chiave di interpretazione di una notizia, la luce in cui deve essere visto un fatto. Parlare di una lotta tra operai e padroni con i termini di una partita di calcio non è dire le cose in modo spiritoso e brillante, ma far interpretare il fatto secondo i valori falsificanti della competizione, della gara sportiva di cui queste parole sono cariche.
Le numerosissime formule, di cui è importante che il lettore riconosca l'origine burocratica, come "sono stati operati alcuni fermi", "da una sommaria ricostruzione del crimine si è potuto appurare che", "associare alle carceri" ecc. hanno lo stesso valore delle cerimonie ufficiali, degli atti formali delle istituzioni pubbliche e amministrative: far provare rispetto e timore verso l'autorità, rafforzare le tradizioni, rendersi incomprensibili per non essere criticabili. Viene messa in primo piano la differenza fra le parole comuni e quelle burocratiche, si ingrandisce la distanza fra l'uomo della strada e chi decide per lui. La convenzione, l'abitudine sono gli aspetti principali di questo tipo di linguaggio. Ma c'è anche un'altra ragione: la "prudenza diplomatica", l'intenzione di "dire e non dire" (ma soprattutto di non dire) che ci portano al problema di come i giornali vendono il silenzio.

Il silenzio dell'informazione

Dal dopoguerra ad oggi i quotidiani hanno sempre più usato un tipo di discorso, uno stile che ha queste caratteristiche:
1) il verbo, che nel discorso è sempre legato, necessariamente, ad una persona precisa che compie l'azione, in un determinato tempo e modo, è usato pochissimo. Al suo posto vengono utilizzati nomi o formule che, come nella burocrazia, sembrano perdersi nella nebbia. Espressioni come "dichiarazione del ministro", "decreto del governo" ecc. superano di gran lunga il corrispondente verbale "il ministro dichiara" o "il governo decreta".
2) il soggetto, il responsabile di una azione tende a scomparire. Formule impersonali come "in sede politica", "a livello di comitato dirigente" sostituiscono l'informazione (che dovrebbe essere necessaria) su un soggetto preciso: quest'ultimo infatti si trasforma in un luogo generico (un livello, una sede, un ambito) abitato da fantasmi. Con lo stesso scopo si usano verbi in forma riflessiva, es. "si pensa" anziché "il tale pensa": il giornale è pieno di "si dice", "si propone", "si dichiara" ecc., oppure di verbi all'infinito, ad es. "si costruisce" anziché "la tale industria costruisce".
3) l'uso di un unico nome o di una formula per sostituire una intera frase che dovrebbe contenere una informazione importante: il nome viene sempre posto come legame tra una frase e l'altra (e quindi in posizione secondaria, che passa inosservata); "Nell'imminenza della discussione della Camera è stata ripresa l'offensiva contro il disegno di legge con sostegno delle tesi che l'accertamento delle imposte avvenga da parte dei Comuni": qui è proprio la formula "con sostegno" (simile a tante altre come "preso atto che", "in concomitanza con") che serve a non dire che tipo di sostegno viene dato, da parte di chi e a quale scopo, tutte le informazioni importanti per un giudizio politico.
4) l'uso di formule impersonali che sembrano dare una notizia certa mentre invece si tratta solo di ipotesi, di possibilità intraviste dal giornalista sono gli "a quanto sembra", "risulta da fonti ufficiali che", "negli ambienti responsabili risulta che".
5) il discorso è composto generalmente di frasi brevi, separate da una fitta punteggiatura che serve a dividere i vari punti di una notizia; si ha un elenco di informazioni. Come nelle singole frasi si fa poco uso del verbo, anche la struttura del discorso è data senza prospettiva; le notizie non sono distinte per mezzo di frasi principali che portano l'informazione più importante e frasi secondarie che nel discorso servono a indicare i modi in cui si è svolto un fatto, la successione nel tempo dei diversi momenti dell'azione, le cause che l'hanno determinato ecc. Tutte vengono messe sullo stesso piano, o sotto forma di elenco o per mezzo di congiunzioni (non... ma, non soltanto... ma anche, sia... sia). Chi legge non capisce molto di più di una talpa che vede il mondo semicieca e senza il senso della profondità.
Da quanto abbiamo detto, è facile notare che questi sono i mezzi principali per non informare, cioè per "vendere il silenzio". Se infatti di un avvenimento non si sa chi è l'autore, come quando e perché è accaduto (anche se nei limiti dell'interpretazione del giornalista) come si può avere un'opinione, o perlomeno credere di essere informati? Sono i mezzi di un discorso anonimo che riflette il dilagare negli ambienti politici ed economici del linguaggio tecnico e burocratico, un discorso legato alla nuova realtà tecnoburocratica la quale lo utilizza come un modo nuovo di difendere e appoggiare il potere.
Spesso il giornale, senza passare per vie più o meno traverse (psicologiche, impressive, illusive) trova espressioni che sono in contrasto con la logica più lampante. Sono le forme retoriche che, dopo aver abbandonato le esagerazioni grossolane del ventennio fascista, sono state rispolverate, rinnovate e rimesse in circolazione; tipico della retorica è accostare aggettivi e nomi con significati opposti che si annullano l'un con l'altro: "cauto entusiasmo", "instabilità statica", una "chiara ambiguità"; fingere di precisare un'espressione iniziale con un'altra che la modifica e confonde il senso generale, ad es.: "Questo sarà un governo di affari, o meglio, di attesa"; più sottile è il modo di cambiare il "senso" di un'espressione senza mutarne il "significato". Ad es.: Gui, Andreotti o Moro, secondo questo procedimento possono essere visti in due modi diversi: come uomini politici (per caso iscritti alla DC) e come politici DC. Con questa distinzione il giornale può affermare che "Andreotti fa il governo prendendosi i democristiani che vuole, ma la DC non ne sa nulla".
Gli impegni dilazionati, le attese furibonde, le responsabilità salvo le conseguenze, le convergenze parallele hanno rinvigorito il vecchio meccanismo della retorica di accostare a parole comuni aggettivi esagerati formando delle "frasi fatte" (la scoperta che è sempre macabra, il tonfo sordo, l'episodio agghiacciante, l'intervento della polizia tempestivo ecc.).

L'illusione della verità

L'illusione della verità, oltre che per mezzo dello stile anonimo, viene data anche usando nella cronaca parole o modi di dire dialettali o gergali e del "parlato" in genera e abbondando di particolari inutili su aspetti secondari di un fatto. Mettere nel discorso scritto delle frasi "parlate", colte dal vivo, serve a far credere ad una documentazione vera, ad una cronaca obiettiva dei fatti da parte del giornalista e stringere il rapporto con il pubblico. Si sfrutta così l'illusione psicologica che il parlato equivalga a verità e che quindi l'informazione sia obiettiva. Inoltre il dialetto o il "parlato" vengono usati nella cronaca secondo regole collaudate: vedere questo rapporto tra il dialetto e il resto del discorso è importante per capire i motivi per cui viene usato.
In quali occasioni dunque compare il dialetto?
Spesso accanto a termini tecnici o burocratici: i due diversi tipi di espressione vengono messi volutamente in contrasto: il giornale finge di parlare la lingua del pubblico, di spiegare al lettore ciò che è privilegio di pochi.
Quasi sempre, soprattutto nella cronaca cittadina, legato agli ingredienti classici del giornalismo: la drammatizzazione, l'interesse umano. Il momento culminante di una rapina, la testimonianza delle vittime o dei parenti delle vittime, le memorie del padre dell'assassino sono tutti elementi spettacolari che danno tensione al racconto, che attirano l'attenzione. L'interesse umano comprende tutti i bisogni naturali, da quelli dell'alimentazione, del vestiario ecc. fino ai più importanti problemi della vita personale: la nascita di un bambino in una famiglia ricca, una scimmia scappata dallo zoo, le disavventure e gli appetiti di qualche sequestrato illustre sono spesso notizie centrali. Sono tutti elementi infiorati di testimonianze, di frasi colte dal vivo; gli argomenti e il linguaggio si rafforzano uno con l'altro: danno informazioni inutili e di nessun interesse, ma entrambi servono a creare un'ambientazione, ad avvicinare il lettore alla realtà, come se i fatti si svolgessero sotto i suoi occhi: e basta solo questo avvicinamento a provocare l'illusione della verità, di conoscere di più e meglio un avvenimento. Il giornale però può anche, senza riprendere direttamente frasi parlate, ripeterne il tono, l'andamento: le frasi sono volutamente spezzate, frammentarie, senza una successione ordinata, la punteggiatura è ricca di punti interrogativi, esclamativi, puntini di sospensione: la cronaca ha in questo caso un carattere decisamente confidenziale, di chiacchierata, di commento pettegolo: è il luogo delle insinuazioni, favorite dal passaggio poco chiaro dai discorsi riferiti e quelli pensati dal giornalista, delle invenzioni di notizie giustificate dal tono confidenziale. Qui si sostituisce la realtà con l'arbitrarietà, le ipotesi ai dati di fatto, le insinuazioni alla verità.
Anche l'abbondare di particolari inutili nella cronaca è uno dei punti fermi dell'illusione dell'obbiettività giornalistica. La manipolazione di un'informazione si ha nel giornale in quegli elementi (il quando, come e perché) che sono necessari per inquadrare un fatto: o scomponendo e stravolgendo l'ordine di successione dei fatti oppure scambiando la causa con l'effetto. Nel primo caso gli avvenimenti vengono ricomposti secondo una cronologia che non corrisponde a quella reale, in modo da accentuare o attenuare o addirittura cambiare completamente i responsabili di un'azione. Del secondo caso si può portare un esempio; all'epoca dei fatti di Avola il "Corriere" della stessa città scrisse "nel corso di un violento scontro tra le forze di polizia e dimostranti gli Agenti, temendo di essere sopraffatti, hanno fatto uso delle armi da fuoco": posto in questi termini, sembra che il ricorso alle armi sia una conseguenza del fatto che i dimostranti abbiano assalito le forze di polizia (si dice infatti che c'erano degli scontri: se la polizia era ferma, dovevano "per forza" essere i dimostranti ad aggredire), mentre in realtà era accaduta proprio il contrario.
Infine, c'è un ultimo aspetto del linguaggio giornalistico che ci preme sottolineare: quello visivo presente nei titoli e nell'impaginazione. I rapporti che si possono creare fra i vari elementi tipografici nello spazio della pagina creano sia un effetto ottico sia un effetto psicologico: è possibile concentrare l'attenzione su determinati punti focali (quelli sui quali cioè si dirige lo sguardo) e perciò comunicare le notizie secondo una selezione precisa. Gli schemi realizzabili sono moltissimi e utilizzano soprattutto questi fattori: la lunghezza del testo, la estensione dei titoli, la grandezza dei caratteri usati, la distanza tra una riga e l'altra, le incorniciature, la disposizione grafica dei titoli, ecc. Lo schema più usato è quello che, puntando sull'asimmetria degli spazi (cioè lo squilibrio delle varie parti della pagina) e favorendo il movimento naturale dello sguardo concentra il massimo degli elementi in un angolo della pagina, quello superiore destro proseguendo poi verso il basso.

Libertà di stampa

A quanto è stato detto si potrebbe obiettare che il giornale, soprattutto per quel che riguarda lo stile anonimo, i modi di dire ecc. usa questo tipo di linguaggio per ragioni di brevità del discorso, di rapidità di lettura e che in fondo anche nel parlare comune si usano la retorica o le parole speciali: ciò in parte è vero, ma queste ragioni sono solo secondarie; abbiamo cercato infatti di mettere in evidenza che questi elementi del linguaggio sono presenti in situazioni ben precise, quelle di maggiore importanza per l'informazione e che sono quindi elementi non di contorno, ma, per i rapporti che li legano al resto del discorso, per "vendere il silenzio". Se infatti di un avvenimento non si sa chi è l'autore, come quando e perché è accaduto (anche se nei limiti dell'interpretazione del giornalista) come si può avere un'opinione, o perlomeno credere di essere informati? Sono i mezzi di un discorso anonimo che riflette il dilagare negli ambienti politici ed economici del linguaggio tecnico e burocratico, un discorso legato alla nuova realtà tecnoburocratica la quale lo utilizza come un modo nuovo di difendere e appoggiare il potere.
Spesso il giornale, senza passare per vie più o meno traverse (psicologiche, impressive, illusive) trova espressioni che sono in contrasto con la logica più lampante. Sono fattori importanti, dinamici, che hanno una funzione chiara e fondamentale. Inoltre la corrispondenza fra contenuti (convenzionali, devianti o vuoti) e il linguaggio altrettanto standardizzato, deformante e "silenzioso" conferma che tutte le caratteristiche che abbiamo indicato non sono dovute al caso.
Ma c'è una ragione, la più importante, per credere ad una reale volontà di non informare: una ragione che è anche una risposta a quanti pensano che, in questa situazione economica e sociale, si possa lo stesso avere una stampa libera e vicina alla verità. Bisogna considerare che chi promuove ed ha la proprietà di un giornale ha evidentemente il potere di determinare l'atteggiamento politico e ideologico dell'organo di stampa; ma se, quasi ovunque per legge si deve mettere in evidenza il nome del direttore responsabile, la verità propria dei capitali della società editrice o le concrete persone o gruppi che lo finanziano possono restare segrete. Purtroppo è molto difficile sapere chi realmente si nasconde dietro molte società di comodo o anonime.
Si può comunque tentare lo stesso discorso: fin dai primi anni del nostro secolo, i proprietari provenivano in genere da questi settori della grande economia e industria che avevano più necessità di premere sull'azione governativa o per conquistare una posizione di preminenza e soprattutto una politica economica favorevole. Dopo l'accesso alla proprietà di piccoli o medi industriali favoriti dal fascismo, nel dopoguerra il settore si divise (in termini di proprietà) in alcuni gruppi: a) medi e piccoli proprietari locali con modeste testate sulla linea della Confindustria b) grandi quotidiani a controllo familiare (Agnelli "Stampa", Crespi "Corriere", Perrone "Messaggero" ecc.) c) organi di partiti politici. A questo fortissimo schieramento privato lo Stato ha tentato di resistere prima con il controllo, tramite il "Banco di Napoli" delle due grosse testate del Sud ("Gazzetta del mezzogiorno" e "Il Mattino") e poi, tramite l'ENI, del "Giorno". Non ci si meravigli perciò se negli anni '50 e '60 certi interessi sono stati difesi dalla cosiddetta stampa indipendente: ad es. la politica autostradale ed automobilistica, della speculazione edilizia, la politica della "pace sociale" ecc. In anni più recenti l'industria automobilistica e petrolchimica (privata o pubblica) hanno avuto un peso determinante nell'editoria italiana con appalti che per un discreto numero di giornali sono di decine e decine di milioni (a volte centinaia) assicurati ogni anno da speciali contratti. Oggi si assiste alla concentrazione di tutte le testate: è una partita giocata tra il capitale privato e lo Stato.
E' una partita tra poteri economici e politici che investe direttamente i giornali, che servono anche come "circolare interna", incomprensibile ai più, tra "stregone" e "stregone".

Claudia V.