Rivista Anarchica Online
Il linguaggio dei giornali
di Claudia V.
La funzione mistificante dei mass-media. La carta stampata non è solo un mezzo di
comunicazione ma anche uno strumento del Potere per imporre
determinati valori all'opinione pubblica - Anche le parole difficili e incomprensibili svolgono un compito
funzionale ai padroni - La battaglia tra Stato e grande capitale per il controllo dell'editoria.
"I giornali non danno tutte le informazioni necessarie", "I
giornali inventano notizie false": queste sono opinioni
sulla stampa piuttosto diffuse (sono anche verità confermate dagli studi sulla stampa effettuati
in questi ultimi
anni) e si riferiscono ai contenuti del giornale, "che cosa" essi dicono o non dicono. Ma c'è anche
un altro aspetto
dell'informazione, legato ai precedenti: il modo in cui viene riferito quel poco che si salva
dalle "censure" dei
gruppi di potere, delle leggi sulla stampa, dei proprietari del giornale, dei partiti: in altre parole il modo
in cui i
giornali (i quotidiani nel nostro caso) usano la lingua. La pubblicità è il mezzo
principale della tecnologia e dell'industria che in campo internazionale tende a livellare
i "bisogni delle masse". Per convincere il consumatore ad acquistare un certo prodotto usa tecniche
particolari,
costruisce un tipo "speciale" di comunicazione; anche il giornale è una merce: deve
perciò attirare l'attenzione
del lettore, colpire e impressionare. Sia la pubblicità sia i giornali sfruttano quelle regole, quei
rapporti tra le
parole che nel parlare comune sono i meno usati, i più insoliti. Si tratta di una "sotto-lingua" che
si appoggia agli
aspetti minori, "ingranditi" e messi in evidenza, del linguaggio parlato.
Le "trovate" linguistiche
Due sono le operazioni linguistiche che accomunano giornale e pubblicità: la prima è
di imporre significati nuovi
alle parole correnti, la seconda di costruire frasi con i significati più diversi e contrastanti. Il primo
caso è il più
evidente: il linguaggio è sempre arricchito di nuove varianti, di rinnovamenti linguistici che in
breve tempo
nascono e muoiono; la "invenzione" di parole può avvenire attraverso diverse strade: o
aggiungendo prefissi (anti-
super- sotto- contro- extra- ecc.) o con l'abbondanza di "ismi" (opportunismo, revisionismo,
neoprotezionismo
ecc.), o legando si un termine all'altro in modo insolito (es. nella pubblicità: "sentirsialselz"). Si
tratta di parole
che non corrispondono a una reale comprensione di idee nuove da parte del lettore: infatti non vengono
spiegate
e soprattutto non sì dà il tempo di capirle e "digerirle". Rinnovare spesso e
vorticosamente il linguaggio favorisce
il comportamento irrazionale del lettore (o del consumatore): la parola non è più legata
ad un significato preciso,
non comunica più nulla di costante: non serve quindi a un ragionamento, ma solo a provocare
delle impressioni,
delle reazioni emotive positive o negative a seconda dell'intenzione del giornalista. La seconda
operazione (la costruzione di frasi con parole contrastanti) consiste in questo: il giornalista usa per
descrivere un fatto vocaboli o intere frasi che appartengono agli specialisti della politica, della burocrazia,
dello
sport ecc. Espressioni speciali di un certo ambiente o di una certa cultura vengono perciò
trasportate di sana
pianta nella cronaca politica e cittadina; inoltre queste espressioni vengono messe una accanto all'altra
in modo
da creare un contrasto di situazioni: chi legge è costretto a passare rapidamente parole che
richiamano ora il
mondo dello sport, ora quello della finanza, subito dopo quello della medicina e così via. Alla
rincorsa del
significato delle varie espressioni, colpito psicologicamente da questo "salto" di situazioni, il lettore
è distratto
dall'informazione vera e propria, perde di vista la notizia. Tutto ciò viene mascherato dietro il
pretesto che il
discorso non deve essere monotono, ma vivace, brillante. Ma c'è anche un altro aspetto di
questa operazione da considerare: se si osserva bene, questi espedienti linguistici
nella maggior parte dei casi non sono delle vere e proprie invenzioni: sono piuttosto delle "trovate" che
non si
allontanano troppo da tutto ciò che è convenzionale, ed anzi lo confermano; si scrive
infatti "avere le spalle
assicurate", anziché "sicure", oppure "chi dorme non afferra molluschi" o ancora, da
"guadagnare qualche
secondo" a "guadagnare una manciata di secondi". Si passa da un eccesso di "invenzioni" che
confondono il
discorso ad un massimo di convenzionalità. Mentre nel linguaggio artistico togliere delle parole
o delle immagini
dal loro luogo naturale per metterle in un altro può avere come conseguenza quella di illuminare
e interpretare
in modo nuovo, creativo e critico la realtà, nella pubblicità e nel giornale, invece, questa
operazione ha lo scopo
di attirare l'attenzione e rafforzare le convenzioni. Ci si trova di fronte a un uso della lingua che non
è naturale,
ma ha un fine esclusivamente economico: mentre il linguaggio artistico mette in contatto l'uomo con la
realtà,
quello pubblicitario lega l'uomo a una merce. Come la pubblicità ripetendo all'infinito degli slogan
cerca di legare
le parole al prodotto, così anche il giornale, usando sempre le stesse espressioni (o delle varianti
che si
appoggiano chiaramente a queste), impone al lettore delle associazioni tra parole e idee, tra parole e
valori sociali
convenzionali. L'espressione ripetuta automaticamente si impoverisce, ma i valori ai quali è stata
legata si fissano
nella memoria "psicologica" del lettore: è la possibilità per i linguaggio di influenzare le
idee e il comportamento
sociale. Perché il giornale, pur avendo la necessità di dire più cose possibile in
poco spazio, usa frasi come "si è
dato luogo all'ascolto" invece di "sì è ascoltato"? Un albero non lo "si pianta", ma lo "si
mette a dimora"?
"Apportare modifiche" invece di "modificare" ecc.? Le parole "speciali" hanno più forza,
impressionano più di
quelle comuni, anzi spesso "contagiano" queste ultime o le oscurano: perché la parola non indica
solo un oggetto
o un'idea, ma spesso ha molti, diversi valori. Se, per es., si dice "amichetta" si può intendere sia,
letteralmente,
un'amica piccola, sia una prostituta. Ecco quindi che la parola speciale ha una funzione ancora
più importante:
diventa la chiave di interpretazione di una notizia, la luce in cui deve essere visto un fatto. Parlare di una
lotta
tra operai e padroni con i termini di una partita di calcio non è dire le cose in modo spiritoso e
brillante, ma far
interpretare il fatto secondo i valori falsificanti della competizione, della gara sportiva di cui queste parole
sono
cariche. Le numerosissime formule, di cui è importante che il lettore riconosca l'origine
burocratica, come "sono stati
operati alcuni fermi", "da una sommaria ricostruzione del crimine si è potuto appurare che",
"associare alle
carceri" ecc. hanno lo stesso valore delle cerimonie ufficiali, degli atti formali delle istituzioni
pubbliche e
amministrative: far provare rispetto e timore verso l'autorità, rafforzare le tradizioni, rendersi
incomprensibili per
non essere criticabili. Viene messa in primo piano la differenza fra le parole comuni e quelle
burocratiche, si
ingrandisce la distanza fra l'uomo della strada e chi decide per lui. La convenzione, l'abitudine sono gli
aspetti
principali di questo tipo di linguaggio. Ma c'è anche un'altra ragione: la "prudenza diplomatica",
l'intenzione di
"dire e non dire" (ma soprattutto di non dire) che ci portano al problema di come i giornali
vendono il silenzio.
Il silenzio dell'informazione
Dal dopoguerra ad oggi i quotidiani hanno sempre più usato un tipo di discorso, uno stile
che ha queste
caratteristiche: 1) il verbo, che nel discorso è sempre legato, necessariamente, ad una persona
precisa che compie l'azione, in un
determinato tempo e modo, è usato pochissimo. Al suo posto vengono utilizzati nomi o formule
che, come nella
burocrazia, sembrano perdersi nella nebbia. Espressioni come "dichiarazione del ministro", "decreto del
governo"
ecc. superano di gran lunga il corrispondente verbale "il ministro dichiara" o "il governo decreta". 2)
il soggetto, il responsabile di una azione tende a scomparire. Formule impersonali come "in sede
politica",
"a livello di comitato dirigente" sostituiscono l'informazione (che dovrebbe essere necessaria) su
un soggetto
preciso: quest'ultimo infatti si trasforma in un luogo generico (un livello, una sede, un ambito) abitato
da fantasmi.
Con lo stesso scopo si usano verbi in forma riflessiva, es. "si pensa" anziché
"il tale pensa": il giornale è pieno
di "si dice", "si propone", "si dichiara" ecc., oppure di verbi all'infinito, ad es. "si
costruisce" anziché "la tale
industria costruisce". 3) l'uso di un unico nome o di una formula per sostituire una intera
frase che dovrebbe contenere una
informazione importante: il nome viene sempre posto come legame tra una frase e l'altra (e quindi in
posizione
secondaria, che passa inosservata); "Nell'imminenza della discussione della Camera è stata
ripresa l'offensiva
contro il disegno di legge con sostegno delle tesi che l'accertamento delle imposte avvenga da parte dei
Comuni": qui è proprio la formula "con sostegno" (simile a tante altre come "preso atto
che", "in concomitanza
con") che serve a non dire che tipo di sostegno viene dato, da parte di chi e a quale scopo, tutte le
informazioni
importanti per un giudizio politico. 4) l'uso di formule impersonali che sembrano dare una notizia
certa mentre invece si tratta solo di ipotesi, di
possibilità intraviste dal giornalista sono gli "a quanto sembra", "risulta da fonti ufficiali che",
"negli ambienti
responsabili risulta che". 5) il discorso è composto generalmente di frasi brevi, separate da
una fitta punteggiatura che serve a dividere i vari
punti di una notizia; si ha un elenco di informazioni. Come nelle singole frasi si fa poco uso del verbo,
anche la
struttura del discorso è data senza prospettiva; le notizie non sono distinte per mezzo di frasi
principali che
portano l'informazione più importante e frasi secondarie che nel discorso servono a indicare i
modi in cui si è
svolto un fatto, la successione nel tempo dei diversi momenti dell'azione, le cause che l'hanno
determinato ecc.
Tutte vengono messe sullo stesso piano, o sotto forma di elenco o per mezzo di congiunzioni (non... ma,
non
soltanto... ma anche, sia... sia). Chi legge non capisce molto di più di una talpa che vede il mondo
semicieca e
senza il senso della profondità. Da quanto abbiamo detto, è facile notare che questi
sono i mezzi principali per non informare, cioè per "vendere
il silenzio". Se infatti di un avvenimento non si sa chi è l'autore, come quando e perché
è accaduto (anche se nei
limiti dell'interpretazione del giornalista) come si può avere un'opinione, o perlomeno credere
di essere informati?
Sono i mezzi di un discorso anonimo che riflette il dilagare negli ambienti politici ed economici del
linguaggio
tecnico e burocratico, un discorso legato alla nuova realtà tecnoburocratica la quale lo utilizza
come un modo
nuovo di difendere e appoggiare il potere. Spesso il giornale, senza passare per vie più o
meno traverse (psicologiche, impressive, illusive) trova espressioni
che sono in contrasto con la logica più lampante. Sono le forme retoriche che, dopo aver
abbandonato le
esagerazioni grossolane del ventennio fascista, sono state rispolverate, rinnovate e rimesse in circolazione;
tipico
della retorica è accostare aggettivi e nomi con significati opposti che si annullano l'un con l'altro:
"cauto
entusiasmo", "instabilità statica", una "chiara ambiguità"; fingere di precisare
un'espressione iniziale con un'altra
che la modifica e confonde il senso generale, ad es.: "Questo sarà un governo di affari, o meglio,
di attesa"; più
sottile è il modo di cambiare il "senso" di un'espressione senza mutarne il "significato". Ad es.:
Gui, Andreotti o
Moro, secondo questo procedimento possono essere visti in due modi diversi: come uomini politici (per
caso
iscritti alla DC) e come politici DC. Con questa distinzione il giornale può affermare che
"Andreotti fa il governo
prendendosi i democristiani che vuole, ma la DC non ne sa nulla". Gli impegni dilazionati, le attese
furibonde, le responsabilità salvo le conseguenze, le convergenze parallele hanno
rinvigorito il vecchio meccanismo della retorica di accostare a parole comuni aggettivi esagerati formando
delle
"frasi fatte" (la scoperta che è sempre macabra, il tonfo sordo, l'episodio agghiacciante,
l'intervento della polizia
tempestivo ecc.).
L'illusione della verità
L'illusione della verità, oltre che per mezzo dello stile anonimo, viene data anche usando
nella cronaca parole
o modi di dire dialettali o gergali e del "parlato" in genera e abbondando di particolari inutili su aspetti
secondari
di un fatto. Mettere nel discorso scritto delle frasi "parlate", colte dal vivo, serve a far credere ad una
documentazione vera, ad una cronaca obiettiva dei fatti da parte del giornalista e stringere il rapporto con
il
pubblico. Si sfrutta così l'illusione psicologica che il parlato equivalga a verità e che
quindi l'informazione sia
obiettiva. Inoltre il dialetto o il "parlato" vengono usati nella cronaca secondo regole collaudate: vedere
questo
rapporto tra il dialetto e il resto del discorso è importante per capire i motivi per cui viene
usato. In quali occasioni dunque compare il dialetto? Spesso accanto a termini tecnici o
burocratici: i due diversi tipi di espressione vengono messi volutamente in
contrasto: il giornale finge di parlare la lingua del pubblico, di spiegare al lettore ciò che è
privilegio di pochi. Quasi sempre, soprattutto nella cronaca cittadina, legato agli ingredienti classici
del giornalismo: la
drammatizzazione, l'interesse umano. Il momento culminante di una rapina, la testimonianza delle vittime
o dei
parenti delle vittime, le memorie del padre dell'assassino sono tutti elementi spettacolari che danno
tensione al
racconto, che attirano l'attenzione. L'interesse umano comprende tutti i bisogni naturali, da quelli
dell'alimentazione, del vestiario ecc. fino ai più importanti problemi della vita personale: la nascita
di un bambino
in una famiglia ricca, una scimmia scappata dallo zoo, le disavventure e gli appetiti di qualche sequestrato
illustre
sono spesso notizie centrali. Sono tutti elementi infiorati di testimonianze, di frasi colte dal vivo; gli
argomenti
e il linguaggio si rafforzano uno con l'altro: danno informazioni inutili e di nessun interesse, ma entrambi
servono
a creare un'ambientazione, ad avvicinare il lettore alla realtà, come se i fatti si svolgessero sotto
i suoi occhi: e
basta solo questo avvicinamento a provocare l'illusione della verità, di conoscere di più
e meglio un avvenimento.
Il giornale però può anche, senza riprendere direttamente frasi parlate, ripeterne il tono,
l'andamento: le frasi sono
volutamente spezzate, frammentarie, senza una successione ordinata, la punteggiatura è ricca di
punti interrogativi,
esclamativi, puntini di sospensione: la cronaca ha in questo caso un carattere decisamente confidenziale,
di
chiacchierata, di commento pettegolo: è il luogo delle insinuazioni, favorite dal passaggio poco
chiaro dai discorsi
riferiti e quelli pensati dal giornalista, delle invenzioni di notizie giustificate dal tono confidenziale. Qui
si
sostituisce la realtà con l'arbitrarietà, le ipotesi ai dati di fatto, le insinuazioni alla
verità. Anche l'abbondare di particolari inutili nella cronaca è uno dei punti fermi
dell'illusione dell'obbiettività
giornalistica. La manipolazione di un'informazione si ha nel giornale in quegli elementi (il quando, come
e
perché) che sono necessari per inquadrare un fatto: o scomponendo e stravolgendo l'ordine di
successione dei
fatti oppure scambiando la causa con l'effetto. Nel primo caso gli avvenimenti vengono ricomposti
secondo una
cronologia che non corrisponde a quella reale, in modo da accentuare o attenuare o addirittura cambiare
completamente i responsabili di un'azione. Del secondo caso si può portare un esempio; all'epoca
dei fatti di
Avola il "Corriere" della stessa città scrisse "nel corso di un violento scontro tra le forze di polizia
e dimostranti
gli Agenti, temendo di essere sopraffatti, hanno fatto uso delle armi da fuoco": posto in questi termini,
sembra
che il ricorso alle armi sia una conseguenza del fatto che i dimostranti abbiano assalito le forze di polizia
(si dice
infatti che c'erano degli scontri: se la polizia era ferma, dovevano "per forza" essere i dimostranti ad
aggredire),
mentre in realtà era accaduta proprio il contrario. Infine, c'è un ultimo aspetto del
linguaggio giornalistico che ci preme sottolineare: quello visivo presente nei titoli
e nell'impaginazione. I rapporti che si possono creare fra i vari elementi tipografici nello spazio della
pagina
creano sia un effetto ottico sia un effetto psicologico: è possibile concentrare l'attenzione su
determinati punti
focali (quelli sui quali cioè si dirige lo sguardo) e perciò comunicare le notizie secondo
una selezione precisa. Gli
schemi realizzabili sono moltissimi e utilizzano soprattutto questi fattori: la lunghezza del testo, la
estensione dei
titoli, la grandezza dei caratteri usati, la distanza tra una riga e l'altra, le incorniciature, la disposizione
grafica
dei titoli, ecc. Lo schema più usato è quello che, puntando sull'asimmetria degli spazi
(cioè lo squilibrio delle
varie parti della pagina) e favorendo il movimento naturale dello sguardo concentra il massimo degli
elementi in
un angolo della pagina, quello superiore destro proseguendo poi verso il basso.
Libertà di stampa
A quanto è stato detto si potrebbe obiettare che il giornale, soprattutto per quel che riguarda
lo stile anonimo,
i modi di dire ecc. usa questo tipo di linguaggio per ragioni di brevità del discorso, di
rapidità di lettura e che in
fondo anche nel parlare comune si usano la retorica o le parole speciali: ciò in parte è
vero, ma queste ragioni
sono solo secondarie; abbiamo cercato infatti di mettere in evidenza che questi elementi del linguaggio
sono
presenti in situazioni ben precise, quelle di maggiore importanza per l'informazione e che sono quindi
elementi
non di contorno, ma, per i rapporti che li legano al resto del discorso, per "vendere il silenzio". Se infatti
di un
avvenimento non si sa chi è l'autore, come quando e perché è accaduto (anche
se nei limiti dell'interpretazione
del giornalista) come si può avere un'opinione, o perlomeno credere di essere informati? Sono
i mezzi di un
discorso anonimo che riflette il dilagare negli ambienti politici ed economici del linguaggio tecnico e
burocratico,
un discorso legato alla nuova realtà tecnoburocratica la quale lo utilizza come un modo nuovo
di difendere e
appoggiare il potere. Spesso il giornale, senza passare per vie più o meno traverse
(psicologiche, impressive, illusive) trova espressioni
che sono in contrasto con la logica più lampante. Sono fattori importanti, dinamici, che hanno
una funzione
chiara e fondamentale. Inoltre la corrispondenza fra contenuti (convenzionali, devianti o vuoti) e il
linguaggio
altrettanto standardizzato, deformante e "silenzioso" conferma che tutte le caratteristiche che abbiamo
indicato
non sono dovute al caso. Ma c'è una ragione, la più importante, per credere ad una
reale volontà di non informare: una ragione che è anche
una risposta a quanti pensano che, in questa situazione economica e sociale, si possa lo stesso avere una
stampa
libera e vicina alla verità. Bisogna considerare che chi promuove ed ha la proprietà di
un giornale ha
evidentemente il potere di determinare l'atteggiamento politico e ideologico dell'organo di stampa; ma
se, quasi
ovunque per legge si deve mettere in evidenza il nome del direttore responsabile, la verità propria
dei capitali della
società editrice o le concrete persone o gruppi che lo finanziano possono restare segrete.
Purtroppo è molto
difficile sapere chi realmente si nasconde dietro molte società di comodo o anonime. Si
può comunque tentare lo stesso discorso: fin dai primi anni del nostro secolo, i proprietari
provenivano in
genere da questi settori della grande economia e industria che avevano più necessità di
premere sull'azione
governativa o per conquistare una posizione di preminenza e soprattutto una politica economica
favorevole. Dopo
l'accesso alla proprietà di piccoli o medi industriali favoriti dal fascismo, nel dopoguerra il settore
si divise (in
termini di proprietà) in alcuni gruppi: a) medi e piccoli proprietari locali con modeste testate sulla
linea della
Confindustria b) grandi quotidiani a controllo familiare (Agnelli "Stampa", Crespi "Corriere", Perrone
"Messaggero" ecc.) c) organi di partiti politici. A questo fortissimo schieramento privato lo Stato ha
tentato di
resistere prima con il controllo, tramite il "Banco di Napoli" delle due grosse testate del Sud ("Gazzetta
del
mezzogiorno" e "Il Mattino") e poi, tramite l'ENI, del "Giorno". Non ci si meravigli perciò se
negli anni '50 e
'60 certi interessi sono stati difesi dalla cosiddetta stampa indipendente: ad es. la politica autostradale ed
automobilistica, della speculazione edilizia, la politica della "pace sociale" ecc. In anni più recenti
l'industria
automobilistica e petrolchimica (privata o pubblica) hanno avuto un peso determinante nell'editoria
italiana con
appalti che per un discreto numero di giornali sono di decine e decine di milioni (a volte centinaia)
assicurati ogni
anno da speciali contratti. Oggi si assiste alla concentrazione di tutte le testate: è una partita
giocata tra il capitale
privato e lo Stato. E' una partita tra poteri economici e politici che investe direttamente i giornali, che
servono anche come
"circolare interna", incomprensibile ai più, tra "stregone" e "stregone".
Claudia V.
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