Rivista Anarchica Online
Social-nazionalismo alla portoghese
di E. C.
La "rivoluzione" e i capitani
In Portogallo la marcia stabilizzatrice impressa dai militari all'economia
prosegue imperterrita. A quasi un anno
dalla "rivoluzione" militare (al momento in cui scriviamo, stanno per tenersi le elezioni del 25 aprile) la
struttura
portante dell'economia portoghese è ormai saldamente nelle mani del Movimento delle Forze
Armate (M.F.A.):
banche, industrie, giornali "indipendenti" sono, più o meno istituzionalmente, nelle sue
mani. Alla progressiva statalizzazione della sfera economica corrisponde la persistente
centralizzazione di quella
politica. Al di là delle continue dichiarazioni di democraticità e dell'uso martellante di una
fraseologia
rivoluzionaria, infatti il M.F.A. ha di fatto instaurato una sua dittatura, "attenuata", solo in parte, dalla
(relativa)
libertà di associazione, di stampa, ecc... Tant'è vero che, nel comunicare la data delle
elezioni, i militari hanno
chiaramente spiegato il valore di consultazione da loro attribuito al voto: in ogni caso - hanno ribadito
- per
almeno altri tre anni il M.F.A. intende restare ai vertici dello Stato (quindi, anche
dall'economia). Ciò che sta accadendo in Portogallo è un fenomeno decisamente
nuovo in Europa. Nel nostro continente, infatti,
i militari sono sempre stati reazionari o tuttalpiù conservatori, per cui questa dittatura militare di
sinistra ("alla
peruviana") non può che lasciare sconcertati i commentatori politici. A ben guardare,
però, la situazione nuova
creatasi in Portogallo ha molte e plausibili spiegazioni. Innanzitutto è bene ricordare che il
Portogallo è per questi aspetti (economici, sociologici, ecc.) quasi
terzomondista. Un paese che necessita di entrare in una fase di desarrollo, così
come molti Paesi dell'America
Latina. Inoltre i militari che guidano oggi il paese si sono formati nella guerra coloniale contro i
movimenti di liberazione
africana e lo scontro-incontro con questi ha innescato in loro un processo di maturazione politica che li
ha portati
al colpo di Stato del 25 aprile dell'anno scorso. Per di più durante la guerra coloniale hanno
imparato a
conoscere e anche ad apprezzare i movimenti guerriglieri terzomondisti e si è sviluppato un
processo imitativo:
quello che andava bene per la Guinea poteva essere trapiantato anche in Portogallo, e così
è stato. I militari hanno
compreso che solo loro possedevano la forza per imprimere un corso nuovo alla storia del loro Paese e
per porre
fine ad una guerra così costosa di mezzi e di vite umane, condotta principalmente a favore di
società
multinazionali e di una ristrettissima élite portoghese. Le recenti
nazionalizzazioni esprimono l'esigenza dei nuovi padroni di eliminare le basi portanti del grande
capitalismo portoghese e di condurre il paese verso una sorta di social-nazionalismo. I militari sono
sicuramente
anticapitalisti sia per linea politica sia per collocazione sociologica e per ceto di provenienza. Furono
proprio i
due dittatori portoghesi (Salazar prima e Caetano poi) a facilitare l'ingresso nell'Accademia Militare dei
giovani
della piccola e media borghesia (a volte anche della classe operaia) per compensare la crisi di "vocazione
militare"
dei rampolli dell'alta borghesia e dell'aristocrazia. A ciò furono spinti dalle necessità della
guerra coloniale, ma
è stato un passo molto incauto, perché all'interno dell'esercito queste nuove leve hanno
instaurato un dibattito
che ha poi dato i suoi frutti. Le reazioni in Italia di fronte ai recenti sviluppi della situazione
portoghese risentono tutte di smaccata demagogia
pre-elettorale (il 15 giugno è vicino!). I democristiani, dopo aver accettato in passato le dittature
fasciste di Salazar
e Caetano, si scandalizzano oggi perché i militari hanno impedito ai loro colleghi di Lisbona la
partecipazione
alle elezioni. Le sinistre, pur con diversi accenti, esaltano le realizzazioni "socialiste" in Portogallo, pur
non
potendo - i comunisti in Particolare - nascondere la loro contrarietà di fronte alla dura politica
anti-D.C. dei
militari al potere a Lisbona. Fin qui nulla di strano, ognuno recita la sua parte. La posizione
apparentemente meno comprensibile, però, l'hanno assunta gli extraparlamentari che si sono
schierati al fianco dei militari portoghesi in un modo completamente acritico, nonostante che i loro nuovi
idoli
abbiano messo fuori legge movimenti politici a loro strettamente affini. Nessuna condanna all'operato
dei militari
portoghesi e uscita sulle colonne dei giornali extraparlamentari italiani. Perfino la politica sindacale
propugnata
dal M.F.A. e dai comunisti, tendente alla costituzione di un sindacato unico (di Stato), ha trovato validi
oppositori
nei fautori marxisti dell'extra-sindacalismo nostrano. Dunque, mentre a Lisbona alcuni
raggruppamenti extra-parlamentare di sinistra sono "legalmente" perseguitati
e tutte le lotte autonome del proletariato sono considerate come "manovre controrivoluzionarie", qui in
Italia
l'estrema sinistra marxista preferisce tacere (salvo secondarie eccezioni). Curiosa concezione
dell'internazionalismo proletario! Tutti, dunque, agitano il problema portoghese secondo loro schemi
precostituiti e secondo interessi contingenti,
ma nessuno si preoccupa di quello che veramente accade in Portogallo: l'importante è "utilizzare"
bene il caso. E i militari portoghesi, tra critiche e osanna, proseguono per la loro strada:
anticapitalista, social-nazionalista,
autoritaria. Così agendo accelerano il trapasso del Portogallo da una dittatura ormai superata dalla
storia ad una
dittatura moderna, efficientista, aperta al mondo esterno e "di sinistra". Dittatura, comunque, non certo
rivoluzione.
E. C.
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