Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 37
marzo 1975


Rivista Anarchica Online

La mistificazione continua
di Emilio Cipriano

Lo stato moderno e i marxisti

Lo stato ha sempre rappresentato, per gli anarchici, una delle istituzioni da abbattere per la realizzazione di una società di liberi ed uguali. Questa è stata, ed è, una discriminante che ci separa dai comunisti autoritari e che ha sempre qualificato la nostra azione. La validità di questa strategia è ancora più significativa oggi che assistiamo all'espansione delle attività statali, non solo in campo politico ma anche sociale ed economico. La chiara e lucida istituzione dei pensatori anarchici del secolo scorso offusca di molto la pretesa scientificità dei marxisti che vedevano e continuavano a vedere lo Stato come una "sovrastruttura politica" della classe dominante che era e rimane (per loro, beninteso) la borghesia capitalistica.
Noi siamo di avviso differente e crediamo che l'espansione delle attività statali abbia modificato l'aspetto istituzionale della classe preposta all'esercizio del potere statale. L'espansione dell'impresa pubblica (nazionalizzata o a partecipazione statale) ha realmente innescato un processo di trasformazione che va al di là dell'aspetto quantitativo per investire quello più specificamente qualitativo. La dimensione dell'impresa di stato ha portato alla nascita e allo sviluppo di una classe para-politica di managers pubblici che non agiscono più come funzionari dei capitalisti (o del capitale come amano dire i marxisti) ma come portatori di interessi nuovi, peculiari di questa nuova classe tecno-burocratica. Questa nuova realtà è però negata dai marxisti sia ortodossi sia eterodossi. I dogmi di Marx rimangono per i suoi discepoli verità assolute, da qui la necessità di reinterpretare la mutata realtà socio-economica per reinserirla in forma organica nei canoni del''ideologia marxista.
Ecco qui che le funzioni dello stato moderno (non più definibile "stato del capitale") vengono così ridefinite: "... l'espropriazione è solo in parte attuata dai capitalisti singoli, all'atto in cui si appropriano del valore di beni prodotti; l'espropriazione è attuata anche su quella parte del valore che il capitalista singolo corrisponde ai lavoratori in forma di salario, ed è attuata, in questa seconda fase, dallo stato. Siamo in presenza di una mutata tecnica di estrazione del plus-valore: il capitalista singolo ne trattiene per sé solo una prima quota; una seconda, più considerevole quota è prelevata, coattivamente, dal capitalista collettivo, che la volge poi a vantaggio generale della classe capitalistica o approfitta di singoli suoi componenti..." (da F. Galgano, Le istituzioni dell'economia capitalistica. Bologna, 1974).
Non potendo più affermare che lo stato sia un docile strumento della classe capitalistico-imprenditoriale, i moderni marxisti hanno creato l'immagine dello stato come "capitalista collettivo" che prescindendo dalle esigenze particolaristiche dei componenti di questa classe, si attribuisce una parte considerevole del profitto per gli interessi generali della classe dominante. Formulazione intelligente che spiegherebbe (se vera) i contrasti tra singoli capitalisti e stato moderno, ma che non spiega né la politica di intervento statale nell'economia né con quali meccanismi il profitto verrebbe riattribuito alla classe capitalistica. In parte l'autore citato prima risponde a questo secondo interrogativo: "E' una diversa tecnica di estrazione del plusvalore che innova ed innova profondamente l'organizzazione dell'economia capitalista ma non ne trasforma l'essenza. La quota di plusvalore sottratta dallo stato ritorna, pur sempre, nelle mani dei capitalisti: vi ritorna nelle forme dirette dei contributi statali, delle sovvenzioni, dei mutui agevolati ad imprese private; vi ritorna nelle già descritte forme delle indirette "utilità" offerte loro dagli apparati di economia pubblica".
Questa affermazione, pur vera, è parziale perché non spiega con quale assurda ragione i capitalisti per redistribuirsi i profitti abbiano creato una macchina burocratica così articolata e complessa, un apparato che più che redistribuire ingoia i profitti capitalistici per mantenersi in vita e per espandersi giorno dopo giorno. Inoltre le cifre negano questa affermazione se si considera che gli investimenti fissi lordi nell'industria privata sono diminuiti enormemente mentre nella stessa misura sono aumentati quelli dell'impresa pubblica. La tabella riprodotta a lato crediamo che sia una risposta sufficiente per negare l'affermazione sopra riportata. I dati in essa contenuti ci dicono invece che una parte sempre più cospicua dei profitti sottratti all'impresa privata viene dallo stato dirottata verso l'impresa pubblica. Anche se è vero che finanziamenti agevolati, a fondo perduto, ecc. vengono erogati con sempre maggiore intensità alle imprese private, questo aiuto statale maggiore va visto nel suo aspetto globale di condizionamento pubblico sul settore privato. Gli incentivi e le agevolazioni vengono date o perché le imprese private fanno investimenti in armonia con le indicazioni della programmazione o perché si tratta di imprese in cattive acque. Tralasciamo in questa sede di esaminare i finanziamenti concessi per clientelarismo, per corruzione, ecc., che sono una componente considerevole, ma che riguardano più una situazione patologica, forse congenita, che un aspetto istituzionale.
Per quanto riguarda l'aspetto delle dirette utilità offerte dall'apparato pubblico alle imprese private, questo dovrebbe consistere nel far gestire allo stato quelle imprese le cui produzioni o i cui servizi, pur sempre necessari, non sono più remunerativi. L'espansione dell'impresa pubblica nasce proprio da qui: lo stato assume su di sé l'onere di quelle imprese che i privati non vogliono più gestire ma bisogna vedere questa operazione nel quadro di una strategia più ampia: lo stato rendendo un servizio ai capitalisti privati espande il proprio potere, giunge a controllare sempre più ampi settori dell'economia e toglie spazio all'impresa privata che si sta arroccando entro limiti sempre più ristretti. Quindi pur riconoscendo che si tratta di un servizio reso ai capitalisti, dobbiamo riconoscere che è un servizio funebre.
Comunque non è neppure completamente vero che lo stato si assume sempre gestioni deficitarie; molte imprese dell'I.R.I. e dell'E.N.I. sono inserite in settori di avanguardia e altamente remunerativi. Non bisogna nemmeno dimenticare che le imprese elettriche quando vennero nazionalizzate erano in condizioni floride e gestivano un settore di alta redditività e per di più esente da rischi. Lo stato ha nazionalizzato queste attività e da allora le imprese ex-elettriche sono entrate in una fase comatosa (nonostante i pingui indennizzi) per essere poi fagocitate nel momento più acuto della loro crisi dalle imprese pubbliche.
I marxisti vogliono vedere (o meglio fingono di vedere) la realtà sempre secondo gli schemi prefissati da Marx, ma la realtà di oggi è mutata, la classe politica e dei managers pubblici non è più formata da "funzionari del capitale", da esecutori dei voleri dei capitalisti, essi stanno divenendo dei protagonisti, cioè stanno prendendo nelle proprie mani il potere decisionale. Lo stato moderno non è il "capitalista collettivo" ma il luogo di formazione dei privilegi dei nuovi padroni.

Emilio Cipriano



Investimenti fissi lordi nell'industria delle imprese pubbliche e private (composizione percentuale)
Anno Private
Totale
Pubbliche
Totale
1961 81,1 18,9
1963 66,1 33,9
1965 56,2 43,8
1966 64,7 35,3
1967 66,6 33,4
1968 66,1 33,9
1969 64,9 35,1
1970 59,6 40,4
1971 52,8 47,2