Rivista Anarchica Online
La mistificazione continua
di Emilio Cipriano
Lo stato moderno e i marxisti
Lo stato ha sempre rappresentato, per gli anarchici, una delle istituzioni
da abbattere per la realizzazione di una
società di liberi ed uguali. Questa è stata, ed è, una discriminante che ci separa
dai comunisti autoritari e che ha
sempre qualificato la nostra azione. La validità di questa strategia è ancora più
significativa oggi che assistiamo
all'espansione delle attività statali, non solo in campo politico ma anche sociale ed economico.
La chiara e lucida
istituzione dei pensatori anarchici del secolo scorso offusca di molto la pretesa scientificità dei
marxisti che
vedevano e continuavano a vedere lo Stato come una "sovrastruttura politica" della classe dominante che
era e
rimane (per loro, beninteso) la borghesia capitalistica. Noi siamo di avviso differente e crediamo che
l'espansione delle attività statali abbia modificato l'aspetto
istituzionale della classe preposta all'esercizio del potere statale. L'espansione dell'impresa pubblica
(nazionalizzata o a partecipazione statale) ha realmente innescato un processo di trasformazione che va
al di là
dell'aspetto quantitativo per investire quello più specificamente qualitativo. La dimensione
dell'impresa di stato
ha portato alla nascita e allo sviluppo di una classe para-politica di managers pubblici che
non agiscono più come
funzionari dei capitalisti (o del capitale come amano dire i marxisti) ma come portatori di interessi nuovi,
peculiari
di questa nuova classe tecno-burocratica. Questa nuova realtà è però negata dai
marxisti sia ortodossi sia
eterodossi. I dogmi di Marx rimangono per i suoi discepoli verità assolute, da qui la
necessità di reinterpretare
la mutata realtà socio-economica per reinserirla in forma organica nei canoni del''ideologia
marxista. Ecco qui che le funzioni dello stato moderno (non più definibile "stato del
capitale") vengono così ridefinite: "...
l'espropriazione è solo in parte attuata dai capitalisti singoli, all'atto in cui si appropriano del
valore di beni
prodotti; l'espropriazione è attuata anche su quella parte del valore che il capitalista singolo
corrisponde ai
lavoratori in forma di salario, ed è attuata, in questa seconda fase, dallo stato. Siamo in presenza
di una mutata
tecnica di estrazione del plus-valore: il capitalista singolo ne trattiene per sé solo una prima quota;
una seconda,
più considerevole quota è prelevata, coattivamente, dal capitalista collettivo, che la volge
poi a vantaggio generale
della classe capitalistica o approfitta di singoli suoi componenti..." (da F. Galgano, Le istituzioni
dell'economia
capitalistica. Bologna, 1974). Non potendo più affermare che lo stato sia un docile
strumento della classe capitalistico-imprenditoriale, i
moderni marxisti hanno creato l'immagine dello stato come "capitalista collettivo" che prescindendo dalle
esigenze particolaristiche dei componenti di questa classe, si attribuisce una parte considerevole del
profitto per
gli interessi generali della classe dominante. Formulazione intelligente che spiegherebbe (se vera) i
contrasti tra
singoli capitalisti e stato moderno, ma che non spiega né la politica di intervento statale
nell'economia né con
quali meccanismi il profitto verrebbe riattribuito alla classe capitalistica. In parte l'autore citato prima
risponde
a questo secondo interrogativo: "E' una diversa tecnica di estrazione del plusvalore che innova ed innova
profondamente l'organizzazione dell'economia capitalista ma non ne trasforma l'essenza. La quota di
plusvalore
sottratta dallo stato ritorna, pur sempre, nelle mani dei capitalisti: vi ritorna nelle forme dirette dei
contributi
statali, delle sovvenzioni, dei mutui agevolati ad imprese private; vi ritorna nelle già descritte
forme delle indirette
"utilità" offerte loro dagli apparati di economia pubblica". Questa affermazione, pur vera,
è parziale perché non spiega con quale assurda ragione i capitalisti per
redistribuirsi i profitti abbiano creato una macchina burocratica così articolata e complessa, un
apparato che più
che redistribuire ingoia i profitti capitalistici per mantenersi in vita e per espandersi giorno dopo giorno.
Inoltre
le cifre negano questa affermazione se si considera che gli investimenti fissi lordi nell'industria privata
sono
diminuiti enormemente mentre nella stessa misura sono aumentati quelli dell'impresa pubblica. La tabella
riprodotta a lato crediamo che sia una risposta sufficiente per negare l'affermazione sopra riportata. I dati
in essa
contenuti ci dicono invece che una parte sempre più cospicua dei profitti sottratti all'impresa
privata viene dallo
stato dirottata verso l'impresa pubblica. Anche se è vero che finanziamenti agevolati, a fondo
perduto, ecc.
vengono erogati con sempre maggiore intensità alle imprese private, questo aiuto statale maggiore
va visto nel suo
aspetto globale di condizionamento pubblico sul settore privato. Gli incentivi e le agevolazioni vengono
date o
perché le imprese private fanno investimenti in armonia con le indicazioni della programmazione
o perché si tratta
di imprese in cattive acque. Tralasciamo in questa sede di esaminare i finanziamenti concessi per
clientelarismo,
per corruzione, ecc., che sono una componente considerevole, ma che riguardano più una
situazione patologica,
forse congenita, che un aspetto istituzionale. Per quanto riguarda l'aspetto delle dirette utilità
offerte dall'apparato pubblico alle imprese private, questo
dovrebbe consistere nel far gestire allo stato quelle imprese le cui produzioni o i cui servizi, pur sempre
necessari,
non sono più remunerativi. L'espansione dell'impresa pubblica nasce proprio da qui: lo stato
assume su di sé
l'onere di quelle imprese che i privati non vogliono più gestire ma bisogna vedere questa
operazione nel quadro
di una strategia più ampia: lo stato rendendo un servizio ai capitalisti privati espande il proprio
potere, giunge a
controllare sempre più ampi settori dell'economia e toglie spazio all'impresa privata che si sta
arroccando entro
limiti sempre più ristretti. Quindi pur riconoscendo che si tratta di un servizio reso ai capitalisti,
dobbiamo
riconoscere che è un servizio funebre. Comunque non è neppure completamente
vero che lo stato si assume sempre gestioni deficitarie; molte imprese
dell'I.R.I. e dell'E.N.I. sono inserite in settori di avanguardia e altamente remunerativi. Non bisogna
nemmeno
dimenticare che le imprese elettriche quando vennero nazionalizzate erano in condizioni floride e
gestivano un
settore di alta redditività e per di più esente da rischi. Lo stato ha nazionalizzato queste
attività e da allora le
imprese ex-elettriche sono entrate in una fase comatosa (nonostante i pingui indennizzi) per essere poi
fagocitate
nel momento più acuto della loro crisi dalle imprese pubbliche. I marxisti vogliono vedere
(o meglio fingono di vedere) la realtà sempre secondo gli schemi prefissati da Marx,
ma la realtà di oggi è mutata, la classe politica e dei managers pubblici non
è più formata da "funzionari del
capitale", da esecutori dei voleri dei capitalisti, essi stanno divenendo dei protagonisti, cioè stanno
prendendo
nelle proprie mani il potere decisionale. Lo stato moderno non è il "capitalista collettivo" ma il
luogo di
formazione dei privilegi dei nuovi padroni.
Emilio Cipriano
Investimenti fissi lordi
nell'industria delle imprese
pubbliche e private (composizione percentuale) |
Anno |
Private
Totale |
Pubbliche Totale |
1961 |
81,1 |
18,9 |
1963 |
66,1 |
33,9 |
1965 |
56,2 |
43,8 |
1966 |
64,7 |
35,3 |
1967 |
66,6 |
33,4 |
1968 |
66,1 |
33,9 |
1969 |
64,9 |
35,1 |
1970 |
59,6 |
40,4 |
1971 |
52,8 |
47,2 |
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