Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 5 nr. 35
gennaio 1975


Rivista Anarchica Online

Il problema del linguaggio di "A"

VENEZIA, ottobre 1974
Cari compagni,
vi scrivo questa lettera per farvi notare un particolare che, a mio avviso, piuttosto criticabile.
Mi riferisco in particolare al recente articolo su Saverio Merlino apparso sul numero 32 della rivista.
Il suo autore, Mirko Roberti, affronta ed illustra la singolare ideologia di Merlino con un'obiettività, una precisione ed un impegno veramente invidiabili: e fin qui tutto bene.
Quello che secondo me non va troppo bene è il tipo di linguaggio accademico ed esageratamente elaborato che viene usato nelle quattro pagine dell'articolo, il quale così non è riuscito ad assolvere la scopo principale per cui, credo, era stato scritto: quello cioè di informare, di far conoscere a tutti i compagni, i militanti e i simpatizzanti che evidentemente non lo conoscessero, la personalità di Merlino.
Io penso che un simile linguaggio distaccato, pesante ed eccessivamente fuori del normale livello di comprensibilità possa far si che un articolo del genere possa venir letto e compreso a fondo soltanto da una ristretta élite di intellettuali, che fanno di questo modo di esprimersi barocco il loro pane quotidiano. Non credo sia né utile né producente continuare in futuro a pubblicare delle pagine, come queste, che vietano automaticamente la loro lettura a quelle persone che non sono culturalmente in grado di comprendere ciò che sta scritto. Voglio dire che così facendo si ignorano le esigenze e le disponibilità critiche di quelle classi meno abbienti e culturalmente povere ai quali la rivista dovrebbe, almeno nelle intenzioni, rivolgersi.
Io stesso, che sono studente al quarto anno di scuola secondaria, pur avendo tra le mie materie di studio anche elementi di economia politica e di diritto, devo confessare che purtroppo dell'articolo di Roberti ci ho capito ben poco: figuriamoci l'operaio che, dopo 8 ore trascorse in fabbrica, sfoglia la rivista sperando di trovare un linguaggio familiare! Non dimentichiamoci, compagni, che una delle ragioni che ha fatto guadagnare al PCI ben 8 milioni di voti è data dal fatto che il partito adopera simultaneamente ... ed altolocato, riservato alla classe dirigente burocratica, ed uno popolare e a portata di tutti, sfruttato demagogicamente per dirigere le "masse".
Tutta la gente, ma in particolare coloro che un giorno dovranno o potranno fare la rivoluzione sociale, hanno bisogno di un linguaggio pratico, chiaro, scorrevole, d'uso comune, per potersi comprendere ed organizzare e per poter avere validi e concreti argomenti da contrapporre a chi vuole ostacolare la presa di coscienza dei proletari.
Per fare un altro esempio che parla da solo, dirò che a Porto Marghera i sindacalisti sono arrivati al punto di tenere alcuni discorsi agli operai parlando loro in dialetto, perché sanno che solo così potranno conquistarli. Invece noi anarchici, nel frattempo, non so per quale ragione, continuiamo a comunicare tra noi in maniere incomprensibili, a volte parlando addirittura due lingue diverse, come nel caso di questo articolo del compagno Roberti, il quale forse non ha tenuto conto che usare questo tipo di linguaggio significa destinare quelle determinate pagine che lo contengono a quei pochi privilegiati in grado di comprenderlo. Bakunin ha detto: "La scienza deve essere patrimonio di tutti", quindi i compagni, se vogliamo veramente arrivare a questo, cominciamo a fare già del linguaggio un patrimonio di tutti. Saluti anarchici.

un compagno di Venezia

Cari compagni di "A",
sono un manovale disoccupato di Catania. Seguo la rivista fin dal primo numero, anche se sono abbonato da poco.
Il motivo principale per cui vi scrivo è che non riesco a capire alcuni dei vostri articoli perché troppo difficili, o per meglio dire, i compagni che li scrivono adoperano un linguaggio troppo complicato. Mi riferisco in modo particolare a quegli articoli che trattano di materie economiche. Io so che non è facile parlare di economia, scienza, filosofia, pedagogia, ecc. in modo semplice, però so che è possibile, perché alcuni compagni ci riescono abbastanza bene.
Vorrei che la nostra rivista potesse essere letta da tutti gli sfruttati, per i quali le parole difficili non significano niente; anzi, la povera gente è diffidente verso chi usa parlare complicato. Da secoli i preti, i padroni e i falsi rivoluzionari ingannano gli oppressi con le parole difficili.
Alcuni compagni dicono che la rivista è per i militanti anarchici e che quindi questo linguaggio va bene; io non sono d'accordo perché tra i militanti anarchici ci sono anche quelli che non sono potuti andare né alle superiori e né alle università, e sono moltissimi. Quindi è un appello che voglio fare ai compagni professori, dottori, ecc. che scrivono su "A": sforzatevi di essere semplici e abbandonate il linguaggio di addetti ai lavori. (...)
Per il resto la rivista mi va bene, anche se io preferivo il vecchio formato.

S.M. (Catania)

La critica del linguaggio usato in alcuni articoli della rivista, critica che è comune alle due lettere pubblicate qui sopra, non ci giunge nuova. Già altre volte ci è stato giustamente rimproverato l'abuso che in alcuni "pezzi" viene fatto di termini specialistici che a buona parte dei nostri lettori risultano difficili (a volte impossibili) a comprendersi senza l'uso del vocabolario.
Chiariamo innanzitutto che non è mai stata intenzione della redazione quella di rendersi incomprensibile. Anzi, fin dal primo numero abbiamo cercato di fornire mensilmente ai nostri lettori, nelle pagine della rivista, informazioni ed analisi utili per tutti, quindi anche per coloro che sono costretti a fare maggior fatica per comprenderci. Data la funzione di A (che non è un foglio di agitazione, ma una rivista mensile di propaganda) abbiamo sempre voluto (e, per quanto ci è stato possibile, realizzato) trattare molteplici temi economici, politici, sociologici, ecc. E' proprio in questi articoli maggiormente specialistici, eppure sempre diretti alla totalità dei nostri lettori, cha a volte l'autore del "pezzo" si è fatto prendere la mano dall'argomento trattato e dal suo gergo: si è giunti così ad articoli che non brillano certo per semplicità. Così nel caso degli articoli del nostro collaboratore Mirko Roberti non possiamo che essere d'accordo con le critiche espresse dal compago di Venezia nella sua lettera. Anzi, lo stesso Mirko Roberti, da noi interpellato in proposito, si è detto conscio della validità delle critiche mossegli da più di un lettore per quanto concerne il linguaggio usato
Il vero problema è che scrivere "facile" è molto più difficile che scrivere difficile.
Per concludere non possiamo che appellarci contemporaneamente ai nostri collaboratori (ed a noi stessi!) da una parte ed ai nostri lettori dall'altra: ai primi chiediamo, una volta di più, di rendersi quanto più comprensibili possibile, ai secondi di accettare come un fatto positivo (perché lo è) lo sforzo che a volte chiediamo loro per cercare di comprendere tutto quanto da noi pubblicato. La cultura, infatti, e soprattutto quella politico-sociale non può essere assimilata senza sforzo da chi il sistema ha lasciato con scarse (o addirittura nulle) capacità di apprendimento. Questo sforzo va fatto perché in questo modo, comprendendo e sapendo ogni giorno di più, gli sfruttati si preparano alla rivoluzione ed alla futura società senza sapienti né ignoranti (in altri termini, senza sfruttatori né sfruttati).