Rivista Anarchica Online
Il problema del linguaggio di "A"
VENEZIA, ottobre 1974 Cari
compagni, vi scrivo questa lettera per farvi notare un particolare che, a mio avviso,
piuttosto criticabile. Mi riferisco in particolare al recente articolo su Saverio Merlino
apparso sul numero 32 della rivista. Il suo autore, Mirko Roberti, affronta ed illustra
la singolare ideologia di Merlino con un'obiettività, una
precisione ed un impegno veramente invidiabili: e fin qui tutto bene. Quello che
secondo me non va troppo bene è il tipo di linguaggio accademico ed esageratamente elaborato
che viene usato nelle quattro pagine dell'articolo, il quale così non è riuscito ad assolvere
la scopo principale
per cui, credo, era stato scritto: quello cioè di informare, di far conoscere a tutti i compagni, i
militanti e i
simpatizzanti che evidentemente non lo conoscessero, la personalità di
Merlino. Io penso che un simile linguaggio distaccato, pesante ed eccessivamente fuori
del normale livello di
comprensibilità possa far si che un articolo del genere possa venir letto e compreso a fondo
soltanto da una
ristretta élite di intellettuali, che fanno di questo modo di esprimersi barocco il loro pane
quotidiano. Non
credo sia né utile né producente continuare in futuro a pubblicare delle pagine, come
queste, che vietano
automaticamente la loro lettura a quelle persone che non sono culturalmente in grado di comprendere
ciò che
sta scritto. Voglio dire che così facendo si ignorano le esigenze e le disponibilità critiche
di quelle classi
meno abbienti e culturalmente povere ai quali la rivista dovrebbe, almeno nelle intenzioni,
rivolgersi. Io stesso, che sono studente al quarto anno di scuola secondaria, pur avendo
tra le mie materie di studio
anche elementi di economia politica e di diritto, devo confessare che purtroppo dell'articolo di Roberti
ci ho
capito ben poco: figuriamoci l'operaio che, dopo 8 ore trascorse in fabbrica, sfoglia la rivista sperando
di
trovare un linguaggio familiare! Non dimentichiamoci, compagni, che una delle ragioni che ha fatto
guadagnare al PCI ben 8 milioni di voti è data dal fatto che il partito adopera simultaneamente
... ed
altolocato, riservato alla classe dirigente burocratica, ed uno popolare e a portata di tutti, sfruttato
demagogicamente per dirigere le "masse". Tutta la gente, ma in particolare coloro che
un giorno dovranno o potranno fare la rivoluzione sociale, hanno
bisogno di un linguaggio pratico, chiaro, scorrevole, d'uso comune, per potersi comprendere ed
organizzare
e per poter avere validi e concreti argomenti da contrapporre a chi vuole ostacolare la presa di coscienza
dei
proletari. Per fare un altro esempio che parla da solo, dirò che a Porto
Marghera i sindacalisti sono arrivati al punto
di tenere alcuni discorsi agli operai parlando loro in dialetto, perché sanno che solo così
potranno
conquistarli. Invece noi anarchici, nel frattempo, non so per quale ragione, continuiamo a comunicare
tra
noi in maniere incomprensibili, a volte parlando addirittura due lingue diverse, come nel caso di questo
articolo del compagno Roberti, il quale forse non ha tenuto conto che usare questo tipo di linguaggio
significa destinare quelle determinate pagine che lo contengono a quei pochi privilegiati in grado di
comprenderlo. Bakunin ha detto: "La scienza deve essere patrimonio di tutti", quindi i compagni, se
vogliamo veramente arrivare a questo, cominciamo a fare già del linguaggio un patrimonio di
tutti. Saluti
anarchici.
un compagno di Venezia
Cari compagni di "A", sono un manovale disoccupato di Catania. Seguo
la rivista fin dal primo numero, anche se sono abbonato
da poco. Il motivo principale per cui vi scrivo è che non riesco a capire alcuni
dei vostri articoli perché troppo
difficili, o per meglio dire, i compagni che li scrivono adoperano un linguaggio troppo complicato. Mi
riferisco in modo particolare a quegli articoli che trattano di materie economiche. Io so che non è
facile
parlare di economia, scienza, filosofia, pedagogia, ecc. in modo semplice, però so che è
possibile, perché
alcuni compagni ci riescono abbastanza bene. Vorrei che la nostra rivista potesse
essere letta da tutti gli sfruttati, per i quali le parole difficili non
significano niente; anzi, la povera gente è diffidente verso chi usa parlare complicato. Da secoli
i preti, i
padroni e i falsi rivoluzionari ingannano gli oppressi con le parole difficili. Alcuni
compagni dicono che la rivista è per i militanti anarchici e che quindi questo linguaggio va bene;
io
non sono d'accordo perché tra i militanti anarchici ci sono anche quelli che non sono potuti
andare né alle
superiori e né alle università, e sono moltissimi. Quindi è un appello che voglio
fare ai compagni professori,
dottori, ecc. che scrivono su "A": sforzatevi di essere semplici e abbandonate il linguaggio di addetti ai
lavori. (...) Per il resto la rivista mi va bene, anche se io preferivo il vecchio
formato.
S.M. (Catania)
La critica del linguaggio usato in alcuni articoli della rivista, critica che è comune alle due
lettere pubblicate qui
sopra, non ci giunge nuova. Già altre volte ci è stato giustamente rimproverato l'abuso
che in alcuni "pezzi" viene
fatto di termini specialistici che a buona parte dei nostri lettori risultano difficili (a volte impossibili) a
comprendersi senza l'uso del vocabolario. Chiariamo innanzitutto che non è mai stata
intenzione della redazione quella di rendersi incomprensibile. Anzi,
fin dal primo numero abbiamo cercato di fornire mensilmente ai nostri lettori, nelle pagine della rivista,
informazioni ed analisi utili per tutti, quindi anche per coloro che sono costretti a fare maggior fatica per
comprenderci. Data la funzione di A (che non è un foglio di agitazione, ma una rivista mensile
di propaganda)
abbiamo sempre voluto (e, per quanto ci è stato possibile, realizzato) trattare molteplici temi
economici, politici,
sociologici, ecc. E' proprio in questi articoli maggiormente specialistici, eppure sempre diretti alla
totalità dei
nostri lettori, cha a volte l'autore del "pezzo" si è fatto prendere la mano dall'argomento trattato
e dal suo gergo:
si è giunti così ad articoli che non brillano certo per semplicità. Così nel
caso degli articoli del nostro
collaboratore Mirko Roberti non possiamo che essere d'accordo con le critiche espresse dal compago di
Venezia
nella sua lettera. Anzi, lo stesso Mirko Roberti, da noi interpellato in proposito, si è detto conscio
della validità
delle critiche mossegli da più di un lettore per quanto concerne il linguaggio usato Il vero
problema è che scrivere "facile" è molto più difficile che scrivere
difficile. Per concludere non possiamo che appellarci contemporaneamente ai nostri collaboratori
(ed a noi stessi!) da una
parte ed ai nostri lettori dall'altra: ai primi chiediamo, una volta di più, di rendersi quanto
più comprensibili
possibile, ai secondi di accettare come un fatto positivo (perché lo è) lo sforzo che a volte
chiediamo loro per
cercare di comprendere tutto quanto da noi pubblicato. La cultura, infatti, e soprattutto quella
politico-sociale
non può essere assimilata senza sforzo da chi il sistema ha lasciato con scarse (o addirittura nulle)
capacità di
apprendimento. Questo sforzo va fatto perché in questo modo, comprendendo e sapendo ogni
giorno di più, gli
sfruttati si preparano alla rivoluzione ed alla futura società senza sapienti né ignoranti (in
altri termini, senza
sfruttatori né sfruttati).
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