Rivista Anarchica Online
Egoismo e demagogia
di Luisito
A Roma come a Bucarest
Nel giro di tre mesi due Conferenze internazionali, quella dell'O.N.U. per
la popolazione (Bucarest, 19-31
agosto) e quella della F.A.O. sulla fame (Roma 5-16 novembre), hanno visto al centro delle discussioni
il
problema demografico. In entrambi i casi l'incontro internazionale è degenerato immediatamente,
come si
prevedeva, nel gioco della bassa realpolitik e, quindi, nel trinceramento in due gruppi di schieramenti,
nei tentativi
di evasione. Da un lato, la delegazione USA
portava avanti un neomalthusianesimo abbastanza arrogante e bieco con offerte
elemosinare fatte sottobanco a paesi poverissimi e interventi a sensazione tipo quello fatto a Roma da un
Kissinger
letteralmente circondato da sbirri armati, italiani e statunitensi. Accanto agli USA, si schieravano i paesi
occidentali industrializzati in una gamma di sfumature che andava dalla supina acquiescenza al falso
indipendentismo di tipo gollista. Notevoli certi
interventi inglesi. Sembrava che questi avessero subito l'influenza di sir Joseph Keith, ministro degli
interni nel "gabinetto ombra" conservatore e pretendente alla successione di Heath. Come forse i lettori
rammenteranno, sir Joseph (esperto economico di rilievo, tra l'altro, nel campo reazionario britannico
e grande
finanziere della City) partendo dalla costatazione che un terzo delle nascite, nel Regno Unito, avvengono
all'interno delle classi quarta e quinta del corpo sociale (in questa suddivisione fatta dai conservatori
inglesi le
classi quarta e quinta corrispondono rispettivamente al proletariato non specializzato e addetto ai lavori
meno
sofisticati e al sotto proletariato disoccupato e sottoccupato, marginale, privo di istruzione e quasi sempre
di
origine sud europea o extraeuropea), ha proposto un rigido controllo delle nascite in queste due classi
ultra-subalterne, da attuare addirittura obbligatoriamente in alcuni casi specifici (ragazze madri con
già un figlio, mogli
o fidanzate di detenuti etc.). Insomma, gli stati
industriali e ricchi, nel loro neomalthusianesimo dogmatico, appena schermato dagli studi e
ricerche del MIT di Boston, hanno detto chiaramente di vedere la risoluzione dei problemi mondiali solo
nel
controllo delle nascite. Non hanno speso una parola sullo sfruttamento sistematico dei paesi del Terzo
Mondo,
sul saccheggio loro delle materie prime, su una più giusta redistribuzione delle risorse, sui loro
sprechi schifosi
e insultanti (che continuano anche oggi, in epoca di crisi economica, nonostante le geremiadi dei dirigenti
occidentali). Gli occidentali hanno dimostrato in abbondanza che, per esempio, la teoria svedese e
nordamericana
dell'"arresto a zero dell'aumento di popolazione come obiettivo da perseguire entro i prossimi vent'anni"
non
è certo stata elaborata per aiutare il Tchad o il Mali ma per difendere la ricchezza, il privilegio,
l'arroganza dei
paesi occidentali ricchi. Anzi: è saltato fuori anche qualche elemento ancora più indegno:
l'enorme speculazione
delle ditte farmaceutiche svizzere, svedesi, tedesche e USA sui piani di massa di controllo delle nascite
in India
e Bangla Desh. Contrapposto allo schieramento
capitalistico occidentale si è posto uno schieramento ridicolmente eterogeneo.
Ne facevano parte i rappresentanti del Vaticano, gli sceicchi arabi del petrolio, i nazionalisti arabi
"progressisti",
i maoisti, i colonnelli e "uomini forti" africani e asiatici di destra e di sinistra, i paesi militarmente
controllati o
occupati dalla Russia insieme al loro padrone. Questo bel cocktail di tecnocratici, di nazionalisti, di
reazionari,
di monarchi assoluti, di social-totalitari, di speculatori e sfruttatori, ha sostenuto che la terra è
vuota, che ci sono
miliardi di posti liberi, magari ai Poli o nei deserti, che il problema della fame o della sete sono collegati
solamente al concretamento di "rivoluzioni storiche" in atto. Nessuna parola hanno speso sui problemi
collaterali
al problema del boom demografico (mancanza di scuole, case, posti di lavoro, eccessivo inquinamento
etc., tutti
problemi che l'eccesso di popolazione renderebbe irrisolvibili). Hanno sostenuto, con altre parole, la
vecchia
teoria mussoliniana che "il numero è potenza". Il delegato a Bucarest di uno degli stati
più inutili, dannosi, ricchi
e schifosamente speculatori della terra, il Vaticano, ha detto che la colpa di ogni male "è
l'egoismo dei ricchi,
non la fecondità dei poveri". Ora è
chiaro che entrambe le posizioni sono fasulle e in malafede. I doppigiochi poi, sono all'ordine del giorno.
Russia, Cina e Egitto erano fra le punte più avanzate dello schieramento che si è
autodefinito "antimperialista".
Eppure la Russia tende a limitare l'espansione demografica, ha legalizzato l'aborto e le pillole sono
gratuite. La
Cina da dieci anni distribuisce nelle campagne la pillola e nelle città impedisce i matrimoni prima
di 25 anni.
L'Egitto fa una grande campagna interna per la limitazione delle nascite dal 1968. Questo groviglio di
menzogne
e verità porto come dogma indiscutibile da ciascuna delle due parti tende a rendere più
confuso tutto. Si riflette
qui la situazione attuale della politica internazionale, nella quale di fronte ad ogni essere umano viene
imposta
come implicita la necessità di dover scegliere uno dei tre o quattro schieramenti contendenti. Ora
è chiaro che
la scelta corrisponde a quella a cui sarebbe chiamato un sano costretto ad optare tra tubercolosi, sifilide,
cancro
e cirrosi epatica. In realtà la necessità della scelta di campo è apparente frutto
di occulte induzioni e il sano può
solo cercare di battersi per la propria sanità cercando la solidarietà degli altri sani o dei
malati ribelli contro
l'infermità. Ritornando agli schieramenti
di Bucarest e Roma possiamo cercare di esaminarli. Lo schieramento papalino-panislamico-neonazionalista-bolscevico-etc. dimostra, tra le tante
irragionevoli anche
una paura irrazionale: quella, cioè, che le statistiche del MIT e degli svedesi e le apocalittiche
previsioni per
l'immediato futuro del pianeta abbiano il compito di nascondere una sottile forma di neocolonialismo e
neoimperialismo. Questa paura è logica e giusta. E' chiaro che le dirigenze USA abbiano dato
corda al MIT (il
cui studio, però, come dice il Sauvy, trascura ogni elemento umano e sembra quello di uno
scienziato che se ne
stia a guardare quattro miliardi di insetti, tutti uguali ai suoi occhi) per le sue ricerche sulla popolazione
con
l'intento di bloccare lo sviluppo demografico del Terzo Mondo solamente, per salvaguardare le proprie
posizioni
di privilegio. E' altrettanto indubbio che le posizioni dei paesi del Nordeuropa, espresse da Kurt
Waldheim
(secondo il quale il tasso d'incremento annuo della popolazione dovrebbe calare al più presto dal
2% all'1,7%)
servono all'egoismo dei paesi ricchi d'Europa, ma non hanno senso in Africa, dove i problemi di
produzione
alimentare, arresto dell'espansione dei deserti, creazione o sviluppo di un'industria media o leggera di
trasformazione di prodotti locali diverrebbero irrisolvibili con un aumento del già notevole
spopolamento. Ma fra il bloccare o controllare
una manovra imperialista dei capitalisti e l'imporre una visione fascista,
nazionalista, a sua volta imperialista, del mondo, ce ne corre. Il perché dello schierarsi del papa
nel blocco
cosiddetto "di sinistra" e "antimperialista" è inutile spiegarlo: si fa sempre più chiara la
manovra pretesca di
aggiramento a sinistra. Il miscuglio
tecnocratico-nazionalista di quello che impropriamente viene chiamato "socialismo arabo" è
responsabile della scelta di campo dei vari paesi mussulmani. Ma se, in termini di
realpolitik, è logico che
Gheddafi e Feisal, con i loro enormi paesi ricchissimi e spopolati, invochino un aumento di popolazione
che, solo,
li porterebbe alla leadership totale del movimento panislamico, non è facile capire
perché Sadat, capo di un paese
sovrappopolato, poverissimo di materie prime, con una classe borghese colta già formata da
decenni e avida di
potere, si accordi alle teorie espansionistiche che, se applicate in Egitto, renderebbero irrisolvibili tutti i
suoi
problemi. Ma la logica e la razionalità non hanno nulla a che vedere con gli scontri degli opposti
dogmatismi
imperialismi ed egoismi. Alcuni osservatori non
strettamente legati (almeno ufficialmente) a delegazioni nazionali hanno discusso sulla
base delle teorie scientifiche oggi più citate. E' noto che, sul problema della sovrappopolazione,
vi sono due
teorie principali in conflitto, quella ottimista e quella pessimista. Il più importante degli ottimisti,
Josué De Castro
sostiene che si arresta automaticamente l'espansione della popolazione una volta che i paesi in maggior
boom
demografico, quelli sottosviluppati, raggiungono un tasso di benessere simile a quello di oggi nei paesi
ricchi
dell'occidente. Josué De Castro dice che la saggezza demografica è tipica delle nazioni
più sviluppate, e in testa
al suo libro "Geopolitica da fame" ha posto il proverbio "Magra è la tavola del
povero, fecondo è il suo letto".
Gli esperimenti di Slonecker su dieci generazioni di topi portano a concludere a favore di De Castro: la
fecondità
diminuisce via via che l'alimentazione si arricchisce di proteine. Ai topi di Slonecker si contrappongono quelli della scuola di Arnhem. Questi ultimi
mostravano atteggiamenti
aggressivi e omicidi sempre maggiori via via che lo spazio a disposizione ci ciascuno diminuiva, col
sovraffollamento delle gabbie; immediato è il riferimento fatto da questi scienziati pessimisti alla
criminalità delle
metropoli dove vivono accalcati milioni di uomini. I pessimisti insistono, inoltre, con gli studi sull'istinto
di
territorialità dell'uomo e degli animali che si concluderebbe a favore dell'arresto del boom
demografico. Altri
scienziati del comportamento, però, affermano che l'istinto del territorio muta enormemente a
seconda
dell'ambito culturale e geografico: quattro svedesi, dicono, si trovano terribilmente a disagio nello spazio
in cui
dodici spagnoli si trovano perfettamente a loro agio etc. Gli ottimisti sostengono, ancora, che il progresso tecnico estende, in pratica, le dimensioni
terrestri, aumentando
gli ettari coltivabili e, soprattutto, il rendimento per ettaro, via via che vengono introdotte nuove tecniche;
che
l'industria aumenta geometricamente la conservazione e mutazione degli alimenti e trasforma in
alimentari
prodotti minerali, e crea metodi di coltura senza terreno. I pessimisti sostengono tutto il contrario: che
le esigenze
alimentari aumentano pro capite con l'industrializzazione, che le nuove tecniche non garantiscono un
adeguato
sviluppo delle risorse se la popolazione continua ad aumentare. L'UNESCO stessa rivela la prospettiva
della
mancanza dell'acqua. Dicono i pessimisti che proprio lo sviluppo industriale assottiglia con l'inquinamento
le
risorse idriche e che la pellicola di idrocarburi che ricopre gli oceani impedisce l'evaporazione, causa di
siccità,
il calo delle risorse zootecniche e della coltivazione e impedisce la trasformazione in acqua potabile
dell'acqua
salata, se non a prezzo di immense spese. Ho dato
alcuni elementi perché possa svilupparsi un dibattito fra compagni sperando che molti altri
intervengano
sull'argomento, affinché possano giungere a delinearsi prese di posizione sul problema all'interno
del movimento
libertario. Per quanto riguarda la mia opinione personale sull'argomento, ecco quanto ho da dire. La
massima
espansione di regimi liberticidi e totalitari in momenti e in luoghi in cui la popolazione presentava notevoli
squilibri: o nell'eccesso dell'espansione demografica (es/: impero di Roma) o nella troppa dispersione
demografica
con relativa mancanza di sviluppo o addirittura involuzione tecnico-economica (prima epoca feudale
medioevale
in Europa). In ogni caso dove e quando la quantità della popolazione non era adeguata allo
sviluppo produttivo
e tecnologico, quando la cultura stessa presentava squilibri notevoli. Io credo che, senza una politica demografica accompagnata
all'egualitarismo e alla redistribuzione ecologica, le
speranze di redenzione, di rivoluzione contro lo sfruttamento e l'oppressione autoritaria scemano
sensibilmente
se non scompaiono del tutto. Un'enorme moltitudine di miserabili affamati e disperati potrebbe sì,
come
sostengono maoisti, "terzomondisti" e "lottatori continui", fare esplodere il mondo. Ma per creare che
cosa? Noi
libertari non nutriamo sentimenti cristianoidi verso la vita, non vogliamo distruzioni apocalittiche prive
di un
obiettivo ben preciso. L'esplosione sognata dai maoisti e dai cultori del "tanto peggio" potrebbe solo
servire a
portare al posto degli attuali padroni del mondo altri capi non meno intolleranti, liberticidi, sfruttatori e
arroganti.
Le masse disperate e sbandate, storicamente, non sono mai state condotte verso obiettivi razionali e
umani, ma
verso tiranni e genocidi. Io ritengo che alla base di una vera rivoluzione libertaria vi sia l'istruzione, la
spinta
culturale in senso ampio, la presa di coscienza, la crescita politica e umana di milioni di esseri
viventi. Solo una rivoluzione cosciente potrebbe
ridistribuire equamente le risorse terrestri e l'abitabilità territoriale,
spegnere sfruttamento e oppressioni autoritarie, affrontare i problemi alimentari, idrici, d'abitazione, del
territorio,
dei rapporti sociali e interpersonali. Al contrario, lo scoppio di rivolta disperata di masse immense
ignoranti e
finalizzate al seguito di leaders carismatici può solo portare a un ricambio dirigenziale e alla
nascita di nuove
classi di padroni e sfruttatori, ricambio e nascita pagati col sangue di milioni di esseri umani. L'esempio
russo e
cinese sono evidenti. Io vedo la rivoluzione come crescita, spontanea in gran parte, anche se aiutata
dall'opera
e dall'esempio rivoluzionario libertario, crescita nella lotta e nell'acquisizione del sapere, del popolo, fatto
di
milioni di individui coscienti e che si maturano, non fatto di masse manovrabili con quattro paroloni. Il
mio
pensiero non si rivolge alle masse fanatizzate dai comizi dei Lenin e dei Trotzkij, ma all'umile,
intelligente, serio
e coraggioso popolo in armi che, negli accampamenti di Emiliano Zapata, deposto il fucile la sera, si
raccoglieva
per imparare a leggere, scrivere e far di conto.
Luisito
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