Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 4 nr. 29
maggio 1974


Rivista Anarchica Online

La controrivoluzione stalinista
di P. F.

Le giornate del maggio 1937 a Barcellona

"In vent'anni di milizia anarchica è la prima volta che mi viene rivolto questo insulto". Il volto di Francesco Barbieri si fece paonazzo, mentre il poliziotto in borghese gli comunicava che era andato lì, a casa sua, per arrestarlo in quanto controrivoluzionario. "Appunto in quanto anarchici siete tutti e due controrivoluzionari" ribadì lo sbirro, riferendosi anche a Camillo Berneri, l'altro anarchico italiano che viveva in quell'appartamentino al numero 3 della Plaza del Angel. I due furono costretti a seguire il poliziotto in borghese, che era accompagnato da un gruppo di mozos de escuadra e di "bracciali rossi" del P.S.U.C. (il partito comunista catalano). Mentre ancora era in casa, alla presenza della sua compagna e di una miliziana, Barbieri chiede al poliziotto il suo nome: questi risponde rovesciando il bavero della giacca e mostrando una targhetta con il numero 1109. "Gliene chiederò conto presto": Barbieri non aggiunge altro.
Tutto si svolge rapidamente. I due anarchici vengono costretti a seguire i poliziotti rossi, alla compagna di Barbieri è impedito di unirsi a loro. Dopo poche centinaia di metri Berneri è gettato a terra in ginocchio e con le spalle alzate, gli agenti comunisti gli sparano a bruciapelo, prima alla spalla destra poi alla nuca. Immediatamente dopo è la volta di Barbieri, che muore crivellato di colpi. I loro corpi vengono trovati solo a sera inoltrata, nel centro della città.

A Barcellona, capoluogo della Catalogna, l'assassinio degli anarchici italiani Berneri e Barbieri, da parte della polizia comunista non fu l'unico episodio drammatico nei primi giorni di quel maggio 1937. Meno di dieci mesi prima, esattamente il 19 luglio 1936, gran parte del popolo spagnolo era insorto contro il tentativo golpista di una parte delle forze armate, guidata da Francisco Franco. La forte influenza anarchica ed anarco-sindacalista in tutta la spagna, che in alcune regioni (come la Catalogna) era nettamente preponderante, aveva subito trasformato l'insurrezione popolare da una semplice lotta anti-fascista in difesa della "repubblica costituzionale" in un movimento rivoluzionario deciso a contrastare l'avanzata fascista (e libertaria) ma nel contempo a costruire una nuova società federalista e libertaria. Contro il fascismo per la rivoluzione sociale: questo in breve il programma degli anarchici, che non persero tempo e cominciarono subito ad attuare l'autogestione delle fabbriche e la collettivizzazione delle terre in Catalogna, in Aragona, ovunque la loro pluridecennale opera di propaganda e di lotta influenzava profondamente il movimento dei lavoratori.
Alla lotta del popolo spagnolo si erano subito unite migliaia di volontari antifascisti italiani, francesi, e di tanti altri paesi: la maggior parte dei volontari subito accorsi dalla Francia era composta da anarchici italiani esuli a Parigi, Che accolsero con entusiasmo la possibilità di combattere direttamente contro i fascisti spagnoli, stretti alleati del duce e del führer. Poco dopo il 19 luglio giunsero in Spagna numerosi agenti del Comintern (La Terza Internazionale stalinista), fra i quali gli italiani Luigi Longo, Vittorio Viadali, Di Vittorio, Scotti, D'Onofrio, ed inoltre il tedesco Ulbricht, l'ungherese Gerö, il ceco Gottwald, l'albanese Mehmet Shehu: come si vede, la presenza comunista in Spagna contava su personalità di provata fede stalinista affiancate nel loro "lavoro politico" da uno speciale distaccamento della polizia segreta stalinista, nota come N.K.V.D. o come C.E.K.A. In netto contrasto con il programma rivoluzionario degli anarchici e del P.O.U.M. (un piccolo partito marxista di ispirazione genericamente trotskista), i comunisti rifiutavano qualsiasi ipotesi rivoluzionaria ed erano impegnati apertamente nella difesa della repubblica costituzionale (borghese), in totale ossequio agli interessi del regime moscovita. Il contrasto fra queste due inconciliabili tendenze all'interno del "fronte antifascista" si era manifestato spesso e duramente nei lunghi mesi di lotta dal luglio '36 fino alla primavera del '37. In quanto alla Catalogna - scriveva la Pravda (17-XII-1936) riferendosi alla regione in cui l'influenza anarchica era saldamente predominante - è cominciata la pulizia degli elementi trotskysti ed anarco-sindacalisti, opera che sarà condotta con la stessa energia con la quale la si condusse in Russia.

Gli anarchici davano fastidio ai comunisti ed alle altre forze politiche a loro succubi facenti parte del "fronte popolare". Molto fastidio. Il ridimensionamento del movimento anarchico diventò, agli inizi del '37, un obiettivo centrale nella strategia politica comunista: gli ordini erano precisi, non si potevano discutere, venivano (come sempre) da Mosca. Vasti settori anarchici, infatti, si opponevano tenacemente alla militarizzazione delle forze combattenti antifasciste, che fino ad allora erano organizzate in milizie autonome, distinte per tendenza politica. Il governo repubblicano voleva porre tutte le milizie indistintamente sotto il proprio controllo, eliminando completamente qualsiasi forma di decentramento e di autonomia. Alla martellante propaganda in tal senso fatta dalle autorità governative non restarono insensibili neppure alcuni esponenti della Confederation Nacional de Trabajadores (C.N.T.), che pur accettando in parte la militarizzazione, però, rifiutavano il rigido centralismo voluto dai comunisti e dai loro alleati. Fra gli anarchici, soprattutto fra quelli impiegati al fronte contro l'avanzata fascista, il malcontento cresceva contro le manovra politiche chiaramente controrivoluzionarie delle autorità governative ed anche contro quegli esponenti anarco-sindacalisti che si piegavano a compromessi con i comunisti ed il "fronte popolare" (alcuni dirigenti anarco-sindacalisti entrarono addirittura a far parte del governo regionale catalano, al fianco delle altre forze politiche!).
I primi mesi del '37 videro molti scontri fra lavoratori anarchici e forze di repressione governativa. La polizia cercava di sottrarre agli anarchici il controllo dei posti di frontiera, che fin dal luglio '36 erano caduti nelle loro mani. A Puigcerdà, per esempio, il 27 marzo la polizia uccise tre libertari, provocando una violenta reazione da parte degli anarchici che erano affluiti nel paese subito dopo aver appreso la notizia del crimine poliziesco. In tutta la regione la tensione continuava a salire, mentre la stampa para-comunista orchestrava una violenta campagna diffamatoria contro la C.N.T. e la F.A.I. (Federation Anarquista Iberica): la tradizionale sfilata unitaria del 1° maggio a Barcellona quell'anno non fu nemmeno organizzata, dato il clima incandescente. Prima di prendere Saragozza - dicevano in quei giorni i comunisti - bisogna prendere Barcellona. Saragozza era già caduta in mano ai fascisti, ed andava riconquistata; ma prima di tutto era necessario liberare Barcellona e tutta la Catalogna dalla insopportabile presenza degli anarchici. Questo il significato del proposito comunista. I risultati non si fecero attendere.

"Fermi tutti!" Le guardie irruppero nella Centrale Telefonica di Barcellona, in Plaza de Cataluna, nelle primissime ore del pomeriggio del 3 maggio '37. Erano giunte a bordo di tre camion stracarichi, guidate dal capo della polizia in persona, Rodrìguez Sala. Il loro obiettivo era l'occupazione dell'intera Centrale, ma una mitragliatrice piazzata sull'ultimo pianerottolo bloccò la loro manovra. Gli spari con cui i lavoratori della C.N.T. accolsero le guardie d'assalto che cercavano di requisire la Centrale per conquistarla al governo ed ai comunisti furono la prima avvisaglia dei grandi scontri che per alcuni giorni avrebbero paralizzato la città di Barcellona. Da una parte il proletariato, soprattutto quello dei quartieri periferici, deciso a lottare fino in fondo contro lo stato, per difendere le conquiste della rivoluzione sociale; dall'altra le forze di repressione e le armate "private" comuniste, appoggiate politicamente da tutti i partiti del "fronte popolare" tranne il P.O.U.M. (un piccolo partito vagamente trotzkista).
Gli spari furono uditi dalla strada la notizia dello scontro si diffuse veloce come un fulmine per tutta la città. I lavoratori fermarono subito le fabbriche, presero le armi. Con una celerità impressionante entrarono in azione i comitati di difesa della C.N.T.-F.A.I., sorsero le prime barricate. In poche ore Barcellona cambiò volto: le strade deserte, tutte le saracinesche abbassate, nessuno in giro, se non nei pressi delle barricate o delle sedi politiche e sindacali. I massimi esponenti della C.N.T.-F.A.I. cercarono a più riprese di concordare con le autorità e con i comunisti l'immediata cessazione delle ostilità, ma più che il rifiuto del governo regionale e del P.S.U.C. fu la spontanea volontà del proletariato barcellonese a far fallire i propositi conciliatorii dei vertici anarco-sindacali. Nei pochi casi in cui era stato infatti raggiunto un accordo fra gli operai rivoluzionari e il governo, questo ultimo non li aveva mai rispettati ed aveva approfittato della buona fede (o dell'ingenuità) degli anarchici per avanzare ulteriormente e per distruggere una dopo l'altra le "roccaforti" dell'anarchismo a Barcellona.
Dopo i primi scontri del pomeriggio di quel lunedì 5 maggio la tensione verso sera si era andata allentando e già gli operai sembravano intenzionati ad abbandonare le barricate quando si sparse in un battibaleno per tutta la città la notizia che la polizia ed i comunisti stavano disarmando gli operai isolati. Subito le barricate si ripopolarono di lavoratori decisi a non muoversi di là prima di aver ottenuto almeno la destituzione dei principali responsabili della repressione poliziesca: se no, sciopero generale.
La prima notte dallo scoppio degli scontri vide numerosissimi lavoratori stazionare sulle barricate, per loro decisione autonoma. Dai vertici anarco-sindacalisti, infatti, non giunse alcuna chiara indicazione di lotta, ma solo un continuo invito a mantenere la calma. E basta.
All'indomani mattina le uniche auto a circolare per le strade di Barcellona furono quelle della F.A.I. Passavano ad altissima velocità, inseguite da sventagliate di mitra, mentre in molte zone della città si erano riaccesi violenti scontri fra i lavoratori ed i poliziotti; in alcuni casi fu possibile disarmare interi gruppi di poliziotti, altrove furono le stesse guardie a solidarizzare spontaneamente con il proletariato in lotta. Negli scontri intervennero anche le autoblindo, come nel caso della caserma Vorosilov, dove si trovavano ingenti truppe comuniste; tanto per chiarire le loro intenzioni gli anarchici fecero affluire sei autoblindo della F.A.I. le cui mitragliatrici vennero tenute puntate contro le finestre della caserma.
"Né la F.A.I. né la C.N.T. sono contro di voi. Siete, come noi, soldati della caserma antifascista. Offrite al popolo le vostre armi e mettetevi al suo fianco, come il 19 luglio".
Così stava scritto in un manifesto diretto ai poliziotti da parte dei vertici della C.N.T.-F.A.I. quella mattina, mentre infuriavano gli scontri. "Alto al fuego!": questo appello alla cessazione immediata delle ostilità fu sostanzialmente tutto ciò che i dirigenti anarco-sindacalisti seppero (e vollero) dire ai lavoratori, che sulle barricate erano invece più che mai decisi a rispondere con la violenza alla violenza. Gli "Amici dei Durruti", un piccolo gruppo anarchico, assunsero una funzione di punta, incitando invece i lavoratori a continuare la lotta fino alla vittoria della rivoluzione sociale. A loro, infatti, così come ad ampi settori del proletariato barcellonese, fu chiaro fin dall'inizio che l'attacco alla Centrale Telefonica e le successive aggressioni e perquisizioni operate dai comunisti rientravano in un piano più generale di strozzamento di tutte le conquiste rivoluzionarie ottenute dai lavoratori. La volontà di pacificazione dei vertici della C.N.T. prevalse però all'interno dell'organizzazione, tanto che nemmeno l'assassinio di alcuni cenetistas attuato da un gruppo di poliziotti proprio di fronte alla Casa C.N.T.-F.A.I. riuscì a smuovere i dirigenti là riuniti. Furono proprio loro a bloccare la volontà degli anarchici della Casa che volevano uscire subito e vendicare i compagni.
In questo clima infuocato, l'accordo per una "normalizzazione" raggiunto in giornata tra i "rappresentanti" delle parti in causa non ebbe alcun effetto: i lavoratori di Barcellona restarono sulle barricate anche durante la notte fra martedì 4 e mercoledì 5 maggio 1937. Gli scontri ripresero puntualmente alla mattina seguente, con decisione e con rabbia ancor maggiori da parte dei lavoratori; la polizia tentò l'assalto delle sedi del sindacato della sanità e della federazione locale della "Gioventù Libertaria", vi furono sei morti di parte anarchica.

"Ricordo che allo scoppio degli scontri a Barcellona mi trovavo al fronte alla ricerca di un compagno italiano che era dato per disperso. - Così ci ha scritto Umberto Marzocchi, da oltre mezzo secolo attivo militante anarchico, che ha combattuto in Spagna con altre centinaia di volontari anarchici italiani - Il 5 maggio stavo tornando in macchina a Barcellona quando, all'altezza di Lerida, incontrai circa quattromila miliziani anarchici spagnoli, che guidati da Jover avevano il fronte ed erano più che mai decisi a marciare su Barcellona per dare man forte ai lavoratori nella loro lotta contro la polizia ed i comunisti". In effetti tutte le milizie anarchiche al fronte entrarono in un forte stato di agitazione appena apprese le notizie degli scontri nel capoluogo catalano. Non si sapeva se restare al fronte per combattere i fascisti o abbandonarlo seppur momentaneamente per respingere la criminale provocazione dei comunisti. Furono le notizie che parlavano dei lavoratori disarmati, arrestati, assassinati dalla polizia a spingere migliaia di anarchici verso Barcellona. La notizia del loro prossimo arrivo raggiunse presto la città.
Contemporaneamente si seppe che da Valenza i comunisti ed i loro alleati del "Fronte popolare" stavano mobilitando ingenti forze e mezzi militari per stroncare la resistenza del proletariato. Tre navi da guerra vennero indirizzate verso il porto di Barcellona, mentre si decise di togliere cinquemila guardie d'assalto dal fronte del Jarama e di farle marciare sulla Catalogna. Queste contrastanti notizie vennero accolte con vivissima emozione dalle parti in lotta: la battaglia di Barcellona sembrava destinata a diventare una vera guerra fra i rivoluzionari ed i contro-rivoluzionari all'interno dello stesso (generico) fronte anti-fascista.
I miliziani anarchici furono però bene o male bloccati, prima di poter raggiungere la città, dalle precise direttive dei vertici della C.N.T.-F.A.I., decisi ad impedire l'estendersi delle ostilità e forse convinti che in tal modo si sarebbe potuto sventare l'arrivo in città delle navi e delle truppe governative. Allo scompiglio fra i volontari che già avevano abbandonato il fronte fece da contrappeso la ferrea decisione con la quale fu confermato l'invio delle milizie para-comuniste verso il capoluogo catalano, sotto la guida del generale Pozas. In questo clima, caratterizzato dal susseguirsi degli scontri e dall'attesa (da parte comunista) dell'arrivo dei rinforzi, furono perpetrati dagli stalinisti alcuni odiosi crimini a freddo, come quello, descritto in apertura di articolo, contro gli anarchici italiani Berneri e Barbieri. Simile sorte toccò anche a Francisco Ferrer, detto "Quico", giovane miliziano della C.N.T. e nipote omonimo del grande educatore libertario fucilato venticinque anni prima dalle autorità clericali, sempre a Barcellona. In via Paris fu fermato da un gruppo di guardie d'assalto con i mitra spianati che gli ordinarono di consegnare loro la pistola. Ferrer spiegò che come soldato del Gruppo Internazionale d'Assalto era autorizzato a portarla, ,a le guardie allora gli chiesero i documenti; appena ebbe mostrato la tessera della C.N.T. gli furono addosso e gli scaricarono contro i caricatori delle loro armi. Dopo un giorno di atroci sofferenze, il cenetista Ferrer morì, ucciso come centinaia di altri rivoluzionari dalla polizia paracomunista.
La giornata del 5 maggio si concluse con accordo raggiunto dalla U.G.T. (il sindacato d'ispirazione social-comunista) e della C.N.T., accordo che si concretizzò con la pubblicazione di un appello comune ai lavoratori per invitarli a tornare al lavoro. Nel momento in cui le navi da guerra, inviate dal governo in appoggio ai comunisti, già erano entrate nel porto e le truppe del Jarama marciavano minacciose su Barcellona, questa ennesima posizione collaborazionista non contribuì certo a rafforzare il morale del proletariato. Anzi.

"Compañeros de la C.N.T. e de la U.G.T.: a trabajar todos!" L'ordine delle due potenti organizzazioni sindacali per la ripresa del lavoro in tutti i centri produttivi della Catalogna non venne raccolto che da un'esigua parte della classe lavoratrice. La parola d'ordine lanciata da Los Amigos de Durruti ("Continuare la lotta!") venne invece ripresa giovedì mattina, 6 maggio, mentre le prime edizioni dei giornali tentavano un primo bilancio degli scontri. Si parlava di 500 morti, di 1.500 feriti, ma erano cifre approssimative e probabilmente per difetto.
"Compañeros, a trabajar todos!" mentre la radio della C.N.T. continuava a ripetere con monotonia la parola d'ordine concordata con il sindacato socialcomunista, le guardie paracomuniste riuscirono a snidare gli anarchici dalla Centrale Telefonica. Dopo tre giorni dal primo assalto, dunque, la bandiera rosso-nera della C.N.T. fu ammainata, e rimase solo quella catalana. Nel contempo guardie d'assalto e soldati, usciti dalla caserma "Carlo Marx", attaccarono furiosamente la stazione ferroviaria di Francia, la più importante di Barcellona, tenuta dagli anarchici.
Verso sera cominciarono ad arrivare le prime notizie che segnalavano la "conquista" della città di Tortosa da parte delle truppe comandate dal generale Pozas, in marcia verso Barcellona. Le sedi della C.N.T., della F.A.I. e della Gioventù Libertaria, a Tortosa, erano state occupate e venivano segnalati scontri armati fra le truppe comuniste ed i lavoratori rivoluzionari. In effetti, gli scontri si intensificarono e si estesero a Torragona ed agli altri centri toccati dall'avanzata delle truppe comuniste: ovunque spari, occupazioni militari, resistenza proletaria, repressione sanguinosa. Verso le dieci di sera le truppe del generale Pozas venivano segnalate a meno di cento chilometri dal capoluogo catalano. I massimi esponenti della C.N.T.-F.A.I. fecero di tutto per raggiungere un accordo in extremis con i partiti del "fronte popolare" e con la U.G.T., nell'intento di scongiurare un ulteriore aggravamento della situazione.
Dopo ore ed ore di silenzio, il governo rispose sul far del mattino accettando in linea di massima le proposte dei dirigenti anarco-sindacalisti: fine delle ostilità, ognuno si ritira nelle proprie sedi, i prigionieri vengono liberati, le pattuglie di controllo mantengono le loro funzioni.
Estenuata dai durissimi combattimenti dei giorni precedenti, Barcellona sembrò vivere venerdì mattina attimi di maggiore serenità. Gli scontri si fecero più rari, ci fu ancora qualche sparatoria, ma nel complesso la "normalizzazione" era decisamente avviata. La sconfitta del proletariato si profilava netta e soprattutto tragica.
Di bandiere anarchiche ormai ne sventolavano ben poche, le emittenti sindacali non facevano che ripetere il loro appello: "Via le barricate! Tutti al lavoro!". All'indomani sera fecero la loro entrata in città i centoventi camions militari che portavano le truppe del Jarama; al loro passaggio davanti alla sede della C.N.T.-F.A.I. scoppiò qualche incidente, poco però in confronto con le battaglie dei giorni precedenti. La repressione si scatenò durissima. Tutte le sedi anarchiche furono perquisite, le armi vennero sequestrate, centinaia di militanti arrestati e gettati in galera. Non si riusciva più a contare né il numero degli arresti né quello impressionatamente grande dei "dispersi" (molti dei quali detenuti in carcere "private" dei comunisti).

"In Plaza de Cataluña non passerete!". Questo l'ordine perentorio impartito dal governo regionale agli anarchici che avevano segnalato la loro intenzione di far passare per la piazza centrale della città il corteo funebre che avrebbe accompagnato alla sepoltura Berneri, Barbieri ed altri tre rivoluzionari assassinati dai comunisti. L'ordine non fu rispettato. L'11 maggio del 1937 centinaia e centinaia di compagni seguirono i cinque feretri che erano stati caricati su camions della C.N.T.-F.A.I., e passarono proprio in Plaza de Cataluña, fermandosi davanti alla sede dei comunisti. In un momento di grande tensione, tutte le bandiere anarchiche che erano in testa al corteo furono rivolte con l'asta puntata contro la sede comunista, in segno di sfida e di disprezzo. Se non ci furono incidenti, ciò fu dovuto anche alla presenza ai lati del corteo anarchico dei compagni della "Investigacion" della C.N.T., tutti armati di "Mauser".
In quei giorni, oltre ai funerali di Berneri e di centinaia di altri anarchici, Barcellona vide i funerali della rivoluzione sociale libertaria. Le giornate di maggio, con l'oggettiva vittoria dei repubblicani e dei comunisti, segnarono la fine dell'egemonia anarco-sindacalista in Catalogna, la sconfitta dell'azione rivoluzionaria del proletariato spagnolo. Dopo d'allora rimase solo una guerra anti-fascista, persa in partenza.

P. F.