Rivista Anarchica Online
La controrivoluzione stalinista
di P. F.
Le giornate del maggio 1937 a Barcellona
"In vent'anni di milizia anarchica è la prima volta che mi
viene rivolto questo insulto". Il volto di Francesco
Barbieri si fece paonazzo, mentre il poliziotto in borghese gli comunicava che era andato lì, a
casa sua, per
arrestarlo in quanto controrivoluzionario. "Appunto in quanto anarchici siete tutti
e due controrivoluzionari"
ribadì lo sbirro, riferendosi anche a Camillo Berneri, l'altro anarchico italiano che viveva in
quell'appartamentino
al numero 3 della Plaza del Angel. I due furono costretti a seguire il poliziotto in borghese,
che era accompagnato
da un gruppo di mozos de escuadra e di "bracciali rossi" del P.S.U.C. (il partito comunista
catalano). Mentre
ancora era in casa, alla presenza della sua compagna e di una miliziana, Barbieri chiede al poliziotto il
suo nome:
questi risponde rovesciando il bavero della giacca e mostrando una targhetta con il numero 1109.
"Gliene
chiederò conto presto": Barbieri non aggiunge altro. Tutto si svolge rapidamente. I
due anarchici vengono costretti a seguire i poliziotti rossi, alla compagna di Barbieri
è impedito di unirsi a loro. Dopo poche centinaia di metri Berneri è gettato a terra in
ginocchio e con le spalle
alzate, gli agenti comunisti gli sparano a bruciapelo, prima alla spalla destra poi alla nuca.
Immediatamente dopo
è la volta di Barbieri, che muore crivellato di colpi. I loro corpi vengono trovati solo a sera
inoltrata, nel centro
della città.
A Barcellona, capoluogo della Catalogna, l'assassinio degli anarchici italiani Berneri e Barbieri, da
parte della
polizia comunista non fu l'unico episodio drammatico nei primi giorni di quel maggio 1937. Meno di
dieci mesi
prima, esattamente il 19 luglio 1936, gran parte del popolo spagnolo era insorto contro il tentativo
golpista di
una parte delle forze armate, guidata da Francisco Franco. La forte influenza anarchica ed
anarco-sindacalista
in tutta la spagna, che in alcune regioni (come la Catalogna) era nettamente preponderante, aveva subito
trasformato l'insurrezione popolare da una semplice lotta anti-fascista in difesa della "repubblica
costituzionale"
in un movimento rivoluzionario deciso a contrastare l'avanzata fascista (e libertaria) ma nel contempo
a costruire
una nuova società federalista e libertaria. Contro il fascismo per la rivoluzione
sociale: questo in breve il
programma degli anarchici, che non persero tempo e cominciarono subito ad attuare l'autogestione delle
fabbriche
e la collettivizzazione delle terre in Catalogna, in Aragona, ovunque la loro pluridecennale opera di
propaganda
e di lotta influenzava profondamente il movimento dei lavoratori. Alla lotta del popolo spagnolo si
erano subito unite migliaia di volontari antifascisti italiani, francesi, e di tanti
altri paesi: la maggior parte dei volontari subito accorsi dalla Francia era composta da anarchici italiani
esuli a
Parigi, Che accolsero con entusiasmo la possibilità di combattere direttamente contro i fascisti
spagnoli, stretti
alleati del duce e del führer. Poco dopo il 19 luglio giunsero in Spagna numerosi
agenti del Comintern (La Terza
Internazionale stalinista), fra i quali gli italiani Luigi Longo, Vittorio Viadali, Di Vittorio, Scotti,
D'Onofrio, ed
inoltre il tedesco Ulbricht, l'ungherese Gerö, il ceco Gottwald, l'albanese Mehmet Shehu: come
si vede, la
presenza comunista in Spagna contava su personalità di provata fede stalinista affiancate nel loro
"lavoro politico"
da uno speciale distaccamento della polizia segreta stalinista, nota come N.K.V.D. o come C.E.K.A. In
netto
contrasto con il programma rivoluzionario degli anarchici e del P.O.U.M. (un piccolo partito marxista
di
ispirazione genericamente trotskista), i comunisti rifiutavano qualsiasi ipotesi rivoluzionaria ed erano
impegnati
apertamente nella difesa della repubblica costituzionale (borghese), in totale ossequio agli interessi del
regime
moscovita. Il contrasto fra queste due inconciliabili tendenze all'interno del "fronte antifascista" si era
manifestato
spesso e duramente nei lunghi mesi di lotta dal luglio '36 fino alla primavera del '37. In quanto alla
Catalogna -
scriveva la Pravda (17-XII-1936) riferendosi alla regione in cui l'influenza anarchica era
saldamente
predominante - è cominciata la pulizia degli elementi trotskysti ed anarco-sindacalisti,
opera che sarà
condotta con la stessa energia con la quale la si condusse in Russia.
Gli anarchici davano fastidio ai comunisti ed alle altre forze politiche a loro succubi facenti parte del
"fronte
popolare". Molto fastidio. Il ridimensionamento del movimento anarchico diventò, agli inizi del
'37, un obiettivo
centrale nella strategia politica comunista: gli ordini erano precisi, non si potevano discutere, venivano
(come
sempre) da Mosca. Vasti settori anarchici, infatti, si opponevano tenacemente alla militarizzazione delle
forze
combattenti antifasciste, che fino ad allora erano organizzate in milizie autonome, distinte per tendenza
politica.
Il governo repubblicano voleva porre tutte le milizie indistintamente sotto il proprio controllo, eliminando
completamente qualsiasi forma di decentramento e di autonomia. Alla martellante propaganda in tal
senso fatta
dalle autorità governative non restarono insensibili neppure alcuni esponenti della Confederation
Nacional de
Trabajadores (C.N.T.), che pur accettando in parte la militarizzazione, però, rifiutavano il rigido
centralismo
voluto dai comunisti e dai loro alleati. Fra gli anarchici, soprattutto fra quelli impiegati al fronte contro
l'avanzata
fascista, il malcontento cresceva contro le manovra politiche chiaramente controrivoluzionarie delle
autorità
governative ed anche contro quegli esponenti anarco-sindacalisti che si piegavano a compromessi con
i comunisti
ed il "fronte popolare" (alcuni dirigenti anarco-sindacalisti entrarono addirittura a far parte del governo
regionale
catalano, al fianco delle altre forze politiche!). I primi mesi del '37 videro molti scontri fra lavoratori
anarchici e forze di repressione governativa. La polizia
cercava di sottrarre agli anarchici il controllo dei posti di frontiera, che fin dal luglio '36 erano caduti nelle
loro
mani. A Puigcerdà, per esempio, il 27 marzo la polizia uccise tre libertari, provocando una
violenta reazione da
parte degli anarchici che erano affluiti nel paese subito dopo aver appreso la notizia del crimine
poliziesco. In
tutta la regione la tensione continuava a salire, mentre la stampa para-comunista orchestrava una violenta
campagna diffamatoria contro la C.N.T. e la F.A.I. (Federation Anarquista Iberica): la
tradizionale sfilata
unitaria del 1° maggio a Barcellona quell'anno non fu nemmeno organizzata, dato il clima incandescente.
Prima
di prendere Saragozza - dicevano in quei giorni i comunisti - bisogna prendere
Barcellona. Saragozza era già
caduta in mano ai fascisti, ed andava riconquistata; ma prima di tutto era necessario liberare Barcellona
e tutta
la Catalogna dalla insopportabile presenza degli anarchici. Questo il significato del proposito comunista.
I risultati
non si fecero attendere.
"Fermi tutti!" Le guardie irruppero nella Centrale Telefonica di Barcellona, in
Plaza de Cataluna, nelle
primissime ore del pomeriggio del 3 maggio '37. Erano giunte a bordo di tre camion stracarichi, guidate
dal capo
della polizia in persona, Rodrìguez Sala. Il loro obiettivo era l'occupazione dell'intera Centrale,
ma una
mitragliatrice piazzata sull'ultimo pianerottolo bloccò la loro manovra. Gli spari con cui i
lavoratori della C.N.T.
accolsero le guardie d'assalto che cercavano di requisire la Centrale per conquistarla al governo ed ai
comunisti
furono la prima avvisaglia dei grandi scontri che per alcuni giorni avrebbero paralizzato la città
di Barcellona. Da
una parte il proletariato, soprattutto quello dei quartieri periferici, deciso a lottare fino in fondo contro
lo stato,
per difendere le conquiste della rivoluzione sociale; dall'altra le forze di repressione e le armate "private"
comuniste, appoggiate politicamente da tutti i partiti del "fronte popolare" tranne il P.O.U.M. (un piccolo
partito
vagamente trotzkista). Gli spari furono uditi dalla strada la notizia dello scontro si diffuse veloce
come un fulmine per tutta la città. I
lavoratori fermarono subito le fabbriche, presero le armi. Con una celerità impressionante
entrarono in azione
i comitati di difesa della C.N.T.-F.A.I., sorsero le prime barricate. In poche ore Barcellona
cambiò volto: le strade
deserte, tutte le saracinesche abbassate, nessuno in giro, se non nei pressi delle barricate o delle sedi
politiche
e sindacali. I massimi esponenti della C.N.T.-F.A.I. cercarono a più riprese di concordare con
le autorità e con
i comunisti l'immediata cessazione delle ostilità, ma più che il rifiuto del governo
regionale e del P.S.U.C. fu la
spontanea volontà del proletariato barcellonese a far fallire i propositi conciliatorii dei vertici
anarco-sindacali.
Nei pochi casi in cui era stato infatti raggiunto un accordo fra gli operai rivoluzionari e il governo, questo
ultimo
non li aveva mai rispettati ed aveva approfittato della buona fede (o dell'ingenuità) degli anarchici
per avanzare
ulteriormente e per distruggere una dopo l'altra le "roccaforti" dell'anarchismo a Barcellona. Dopo
i primi scontri del pomeriggio di quel lunedì 5 maggio la tensione verso sera si era andata
allentando e già
gli operai sembravano intenzionati ad abbandonare le barricate quando si sparse in un battibaleno per
tutta la città
la notizia che la polizia ed i comunisti stavano disarmando gli operai isolati. Subito le barricate si
ripopolarono
di lavoratori decisi a non muoversi di là prima di aver ottenuto almeno la destituzione dei
principali responsabili
della repressione poliziesca: se no, sciopero generale. La prima notte dallo scoppio degli scontri vide
numerosissimi lavoratori stazionare sulle barricate, per loro
decisione autonoma. Dai vertici anarco-sindacalisti, infatti, non giunse alcuna chiara indicazione di lotta,
ma solo
un continuo invito a mantenere la calma. E basta. All'indomani mattina le uniche auto a circolare per
le strade di Barcellona furono quelle della F.A.I. Passavano
ad altissima velocità, inseguite da sventagliate di mitra, mentre in molte zone della città
si erano riaccesi violenti
scontri fra i lavoratori ed i poliziotti; in alcuni casi fu possibile disarmare interi gruppi di poliziotti, altrove
furono
le stesse guardie a solidarizzare spontaneamente con il proletariato in lotta. Negli scontri intervennero
anche le
autoblindo, come nel caso della caserma Vorosilov, dove si trovavano ingenti truppe comuniste; tanto
per chiarire
le loro intenzioni gli anarchici fecero affluire sei autoblindo della F.A.I. le cui mitragliatrici vennero
tenute
puntate contro le finestre della caserma. "Né la F.A.I. né la C.N.T. sono
contro di voi. Siete, come noi, soldati della caserma antifascista. Offrite al
popolo le vostre armi e mettetevi al suo fianco, come il 19 luglio". Così stava scritto
in un manifesto diretto ai poliziotti da parte dei vertici della C.N.T.-F.A.I. quella mattina,
mentre infuriavano gli scontri. "Alto al fuego!": questo appello alla cessazione immediata
delle ostilità fu
sostanzialmente tutto ciò che i dirigenti anarco-sindacalisti seppero (e vollero) dire ai lavoratori,
che sulle
barricate erano invece più che mai decisi a rispondere con la violenza alla violenza. Gli "Amici
dei Durruti", un
piccolo gruppo anarchico, assunsero una funzione di punta, incitando invece i lavoratori a continuare la
lotta fino
alla vittoria della rivoluzione sociale. A loro, infatti, così come ad ampi settori del proletariato
barcellonese, fu
chiaro fin dall'inizio che l'attacco alla Centrale Telefonica e le successive aggressioni e perquisizioni
operate dai
comunisti rientravano in un piano più generale di strozzamento di tutte le conquiste rivoluzionarie
ottenute dai
lavoratori. La volontà di pacificazione dei vertici della C.N.T. prevalse però all'interno
dell'organizzazione, tanto
che nemmeno l'assassinio di alcuni cenetistas attuato da un gruppo di poliziotti proprio di
fronte alla Casa
C.N.T.-F.A.I. riuscì a smuovere i dirigenti là riuniti. Furono proprio loro a bloccare la
volontà degli anarchici
della Casa che volevano uscire subito e vendicare i compagni. In questo clima infuocato, l'accordo
per una "normalizzazione" raggiunto in giornata tra i "rappresentanti" delle
parti in causa non ebbe alcun effetto: i lavoratori di Barcellona restarono sulle barricate anche durante
la notte
fra martedì 4 e mercoledì 5 maggio 1937. Gli scontri ripresero puntualmente alla mattina
seguente, con decisione
e con rabbia ancor maggiori da parte dei lavoratori; la polizia tentò l'assalto delle sedi del
sindacato della sanità
e della federazione locale della "Gioventù Libertaria", vi furono sei morti di parte anarchica.
"Ricordo che allo scoppio degli scontri a Barcellona mi trovavo al fronte alla ricerca di un
compagno
italiano che era dato per disperso. - Così ci ha scritto Umberto Marzocchi, da oltre mezzo
secolo attivo militante
anarchico, che ha combattuto in Spagna con altre centinaia di volontari anarchici italiani - Il 5
maggio stavo
tornando in macchina a Barcellona quando, all'altezza di Lerida, incontrai circa quattromila miliziani
anarchici spagnoli, che guidati da Jover avevano il fronte ed erano più che mai decisi a marciare
su
Barcellona per dare man forte ai lavoratori nella loro lotta contro la polizia ed i comunisti". In
effetti tutte
le milizie anarchiche al fronte entrarono in un forte stato di agitazione appena apprese le notizie degli
scontri nel
capoluogo catalano. Non si sapeva se restare al fronte per combattere i fascisti o abbandonarlo seppur
momentaneamente per respingere la criminale provocazione dei comunisti. Furono le notizie che
parlavano dei
lavoratori disarmati, arrestati, assassinati dalla polizia a spingere migliaia di anarchici verso Barcellona.
La notizia
del loro prossimo arrivo raggiunse presto la città. Contemporaneamente si seppe che da
Valenza i comunisti ed i loro alleati del "Fronte popolare" stavano
mobilitando ingenti forze e mezzi militari per stroncare la resistenza del proletariato. Tre navi da guerra
vennero
indirizzate verso il porto di Barcellona, mentre si decise di togliere cinquemila guardie d'assalto dal fronte
del
Jarama e di farle marciare sulla Catalogna. Queste contrastanti notizie vennero accolte con vivissima
emozione
dalle parti in lotta: la battaglia di Barcellona sembrava destinata a diventare una vera guerra fra i
rivoluzionari ed
i contro-rivoluzionari all'interno dello stesso (generico) fronte anti-fascista. I miliziani anarchici
furono però bene o male bloccati, prima di poter raggiungere la città, dalle precise
direttive
dei vertici della C.N.T.-F.A.I., decisi ad impedire l'estendersi delle ostilità e forse convinti che
in tal modo si
sarebbe potuto sventare l'arrivo in città delle navi e delle truppe governative. Allo scompiglio fra
i volontari che
già avevano abbandonato il fronte fece da contrappeso la ferrea decisione con la quale fu
confermato l'invio delle
milizie para-comuniste verso il capoluogo catalano, sotto la guida del generale Pozas. In questo clima,
caratterizzato dal susseguirsi degli scontri e dall'attesa (da parte comunista) dell'arrivo dei rinforzi, furono
perpetrati dagli stalinisti alcuni odiosi crimini a freddo, come quello, descritto in apertura di articolo,
contro gli
anarchici italiani Berneri e Barbieri. Simile sorte toccò anche a Francisco Ferrer, detto "Quico",
giovane miliziano
della C.N.T. e nipote omonimo del grande educatore libertario fucilato venticinque anni prima dalle
autorità
clericali, sempre a Barcellona. In via Paris fu fermato da un gruppo di guardie d'assalto con i mitra
spianati che
gli ordinarono di consegnare loro la pistola. Ferrer spiegò che come soldato del Gruppo
Internazionale d'Assalto
era autorizzato a portarla, ,a le guardie allora gli chiesero i documenti; appena ebbe mostrato la tessera
della
C.N.T. gli furono addosso e gli scaricarono contro i caricatori delle loro armi. Dopo un giorno di atroci
sofferenze, il cenetista Ferrer morì, ucciso come centinaia di altri rivoluzionari dalla
polizia paracomunista. La giornata del 5 maggio si concluse con accordo raggiunto dalla U.G.T. (il
sindacato d'ispirazione social-comunista) e della C.N.T., accordo che si concretizzò con la
pubblicazione di un appello comune ai lavoratori
per invitarli a tornare al lavoro. Nel momento in cui le navi da guerra, inviate dal governo in appoggio
ai
comunisti, già erano entrate nel porto e le truppe del Jarama marciavano minacciose su
Barcellona, questa
ennesima posizione collaborazionista non contribuì certo a rafforzare il morale del proletariato.
Anzi.
"Compañeros de la C.N.T. e de la U.G.T.: a trabajar todos!" L'ordine delle due
potenti organizzazioni sindacali
per la ripresa del lavoro in tutti i centri produttivi della Catalogna non venne raccolto che da un'esigua
parte della
classe lavoratrice. La parola d'ordine lanciata da Los Amigos de Durruti ("Continuare la
lotta!") venne invece
ripresa giovedì mattina, 6 maggio, mentre le prime edizioni dei giornali tentavano un primo
bilancio degli scontri.
Si parlava di 500 morti, di 1.500 feriti, ma erano cifre approssimative e probabilmente per
difetto. "Compañeros, a trabajar todos!" mentre la radio della C.N.T.
continuava a ripetere con monotonia la parola
d'ordine concordata con il sindacato socialcomunista, le guardie paracomuniste riuscirono a snidare gli
anarchici
dalla Centrale Telefonica. Dopo tre giorni dal primo assalto, dunque, la bandiera rosso-nera della C.N.T.
fu
ammainata, e rimase solo quella catalana. Nel contempo guardie d'assalto e soldati, usciti dalla caserma
"Carlo
Marx", attaccarono furiosamente la stazione ferroviaria di Francia, la più importante di
Barcellona, tenuta dagli
anarchici. Verso sera cominciarono ad arrivare le prime notizie che segnalavano la "conquista" della
città di Tortosa da parte
delle truppe comandate dal generale Pozas, in marcia verso Barcellona. Le sedi della C.N.T., della F.A.I.
e della
Gioventù Libertaria, a Tortosa, erano state occupate e venivano segnalati scontri armati fra le
truppe comuniste
ed i lavoratori rivoluzionari. In effetti, gli scontri si intensificarono e si estesero a Torragona ed agli altri
centri
toccati dall'avanzata delle truppe comuniste: ovunque spari, occupazioni militari, resistenza proletaria,
repressione sanguinosa. Verso le dieci di sera le truppe del generale Pozas venivano segnalate a meno
di cento
chilometri dal capoluogo catalano. I massimi esponenti della C.N.T.-F.A.I. fecero di tutto per
raggiungere un
accordo in extremis con i partiti del "fronte popolare" e con la U.G.T., nell'intento di
scongiurare un ulteriore
aggravamento della situazione. Dopo ore ed ore di silenzio, il governo rispose sul far del mattino
accettando in linea di massima le proposte dei
dirigenti anarco-sindacalisti: fine delle ostilità, ognuno si ritira nelle proprie sedi, i prigionieri
vengono liberati,
le pattuglie di controllo mantengono le loro funzioni. Estenuata dai durissimi combattimenti dei
giorni precedenti, Barcellona sembrò vivere venerdì mattina attimi di
maggiore serenità. Gli scontri si fecero più rari, ci fu ancora qualche sparatoria, ma nel
complesso la
"normalizzazione" era decisamente avviata. La sconfitta del proletariato si profilava netta e soprattutto
tragica. Di bandiere anarchiche ormai ne sventolavano ben poche, le emittenti sindacali non facevano
che ripetere il loro
appello: "Via le barricate! Tutti al lavoro!". All'indomani sera fecero la loro entrata in
città i centoventi camions
militari che portavano le truppe del Jarama; al loro passaggio davanti alla sede della C.N.T.-F.A.I.
scoppiò
qualche incidente, poco però in confronto con le battaglie dei giorni precedenti. La repressione
si scatenò
durissima. Tutte le sedi anarchiche furono perquisite, le armi vennero sequestrate, centinaia di militanti
arrestati
e gettati in galera. Non si riusciva più a contare né il numero degli arresti né
quello impressionatamente grande
dei "dispersi" (molti dei quali detenuti in carcere "private" dei comunisti).
"In Plaza de Cataluña non passerete!". Questo l'ordine perentorio
impartito dal governo regionale agli anarchici
che avevano segnalato la loro intenzione di far passare per la piazza centrale della città il corteo
funebre che
avrebbe accompagnato alla sepoltura Berneri, Barbieri ed altri tre rivoluzionari assassinati dai comunisti.
L'ordine
non fu rispettato. L'11 maggio del 1937 centinaia e centinaia di compagni seguirono i cinque feretri che
erano
stati caricati su camions della C.N.T.-F.A.I., e passarono proprio in Plaza de Cataluña,
fermandosi davanti alla
sede dei comunisti. In un momento di grande tensione, tutte le bandiere anarchiche che erano in testa
al corteo
furono rivolte con l'asta puntata contro la sede comunista, in segno di sfida e di disprezzo. Se non ci
furono
incidenti, ciò fu dovuto anche alla presenza ai lati del corteo anarchico dei compagni della
"Investigacion" della
C.N.T., tutti armati di "Mauser". In quei giorni, oltre ai funerali di Berneri e di centinaia di altri
anarchici, Barcellona vide i funerali della
rivoluzione sociale libertaria. Le giornate di maggio, con l'oggettiva vittoria dei repubblicani e dei
comunisti,
segnarono la fine dell'egemonia anarco-sindacalista in Catalogna, la sconfitta dell'azione rivoluzionaria
del
proletariato spagnolo. Dopo d'allora rimase solo una guerra anti-fascista, persa in partenza.
P. F.
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