Rivista Anarchica Online
Matti perchè
di A. A.
"Il comportamento degli individui può essere concettualizzato
secondo il modo in cui essi reagiscono agli stress
ambientali e biologici... La maggior parte di noi vive una dose quotidiana di stress
interpersonali molto elevata:
a questa noi impariamo ad adattarci sia modificando qualcosa dell'ambiente in cui viviamo, sia
modificando noi
stessi. Una certa quantità di stress è necessaria per maturarci e per
sviluppare pienamente le potenzialità umane.
Tuttavia, la capacità di ciascun individuo di adattarsi agli stress del suo ambiente
è limitata dalle sue potenzialità
biologiche e dalle possibilità di cui dispone per modificare il suo ambiente. Se la soglia di
tolleranza agli stress
di un individuo viene oltrepassata, egli avvertirà disagio e, spesso, infelicità... La
società può essere considerata
come un sistema complesso che può imporre gravi stress a certi individui; questo
ultimi sono generalmente
costituiti da gruppi minoritari (come i poveri) o da coloro che sono considerati razzialmente o
etnicamente
inferiori... La persona che è oppressa ma che non può identificare la sorgente
dell'oppressione tende a reagire in
modo non appropriato". Così lo psichiatra americano Seymour Halleck, nel libro "The
politics of therapy" dà una sua interpretazione
della genesi sociale dei disturbi mentali. Quindi, se da un lato la "follia" può avere origini
biologiche, dall'altro
può nascere dalla non sopportazione dei condizionamenti sociali. L'adattamento di un
individuo ad un ambiente qualunque, ad un gruppo sociale, all'intera società, è la
condizione
stessa dell'esistenza di questi gruppi sociali, di questa società. Si può facilmente assimilare
questo concetto di
adattamento a quello dell'integrazione, nonché a quello della partecipazione e della
collaborazione: integrazione
dei lavoratori emigrati alle strutture della società autoctona, partecipazione degli operai alla
"gestione" di una
impresa e integrazione dell'individuo negli schemi dell'ideologia della classe al potere (ad es.: concetto
della
"buona condotta" quotidiana, mito del lavoro, ecc.). Perché queste collettività funzionino,
si presuppone un
consenso globale a livello di massa. Solo l'individuo consenziente alle leggi dell'istituzione, che si adegua
ai
modelli di comportamento ritenuti "normali", che accetta passivamente senza opporsi, si potrà
adattare, integrare,
potrà partecipare "liberamente" alla vita sociale. Il consenso alle leggi implica l'adesione alle
regole, alle funzioni di queste istituzioni. Il disadattato, o deviante,
è, dunque, che viola le norme sociali. Le motivazioni che possono portare un individuo alla
violazione dei queste
norme possono essere di varia natura: il rifiuto passivo a livello inconscio di questa società in cui
è costretto a
vivere e, di conseguenza, dei suoi valori e delle sue regole, si manifesta nel disinteresse per il lavoro
(assenteismo)
e nella tendenza a rinchiudersi e isolarsi dagli altri; il rifiuto attivo a livello inconscio del sistema (in
questo caso
da ribellione si manifesta in quella che generalmente viene chiamata "piccola delinquenza"); il rifiuto
attivo e
cosciente della società nel suo complesso che si esprime nella lotta politica rivoluzionaria per la
sua distruzione
e per la costruzione di una società migliore. Si può inoltre accettare l'istituzione, la
legge coercitiva, il modo autoritario di pensare (proprio del potere) senza
subordinazione ad esso: è il caso di numerosi gruppi marxisti che, pur essendosi messi (peraltro
a parole
solamente) al di fuori della società autoritaria, ne hanno implicitamente riconosciuto il fine,
perché essi non fanno
che ricostruire leggi e regole identiche: predominio del "capo", gerarchia, ruolo specifico e immutabile
di ciascuno
all'interno di un gruppo, subordinazione della donna, ecc. L'adattamento all'obbedienza e alla
sottomissione alle norme sociali è quello che Goffman nel suo libro
"Asylums" chiama "adattamento primario". In effetti è il primo stadio dell'adattamento ad una
struttura
completamente esteriore all'individuo in quanto non è stata creata da lui ma è stata voluta
e creata da altri, cioè
imposta. Per cui l'individuo o si integra o la ricrea. La formula "Vietato... Pena di..." illustra
perfettamente come
il divieto è causa diretta della pena e la pena concretizzazione del divieto (non tutte le pene sono
adattate allo
stesso livello del delitto; così, ad alcuni delitti morali vengono inflitte pene fisiche: ammende,
prigione, ecc.). Nelle istituzioni totalitarie, l'adattamento ad esse si ottiene mediante la violenza, e non
si possono accettare
oppositori, a qualunque livello essi siano. Cioè non si ammettono casi particolari che siano al di
fuori dei
parametri istituzionali; in altre parole non vengono accettati gli "anormali", che vengono giudicati tali in
relazione
al concetto di "norma" della società, o meglio rispetto alla morale della classe dominante. D'altra
parte la morale
della classe sociale dominante con tutti i suoi stereotipi viene inculcata con ogni mezzo (mass media,
ecc.) fin
dalla nascita nella testa di ciascuno e si generalizza rapidamente. Così, quando un individuo si
comporta in un
modo che viene dagli altri giudicato unanimemente "strano" o "folle" secondo lo stereotipo in uso della
"follia",
la sua trasgressione tende a cristallizzarsi in conformità alle attese degli altri e a stabilizzarsi nel
tempo. In altre
parole l'individuo accetta il ruolo di "malato" assegnatogli come intelaiatura entro cui organizzare il
proprio
comportamento. Negli ospedali psichiatrici c'è un ulteriore rafforzamento del concetto
autoritario di "normalità" e di "malattia"
da parte dei medici e di tutto il personale di assistenza. Da ciò derivano che le conseguenze di
castrazione per i
disadattati o devianti, cioè l'espressione stessa dell'impossibilità, da parte di questi ultimi,
di rientrare nel modello
normale precedente e quindi di affermarsi a livello umano. Esiste anche un'altra forma di non
adattamento, limitata nella sua efficacia immediata, ed è il rifiuto delle leggi
ma non delle istituzioni e delle loro funzioni. In questo caso il problema viene facilmente superato dallo
stato
modificando le leggi messe in discussione. E' questa una forma di non accettazione "ottimistica", che
permette
la sopravvivenza del sistema, e che Goffman chiama "adattamento secondario". E' il ruolo latente degli
organismi
riformatori, miranti cioè al rafforzamento della stabilità dello stato modificando, ad
esempio, le sue leggi. Anche
qui il fattore economico gioca un ruolo importante: certe forme di adattamento secondario di una
istituzione
possono cambiare le leggi di questa, in vista di una sua messa in discussione, di una sua distruzione (ad
esempio
in vista di uno sciopero insurrezionale). Goffman chiama questa forma di adattamento "adattamento
secondario
disintegrante". Nel caso dell'ospedale psichiatrico non si può indovinare quale potrà
essere il fenomeno di adattamento
disintegrante, non a causa dell'"anormalità" dell'internato, ma proprio perché l'ospedale
psichiatrico è
un'istituzione separata dall'insieme delle altre istituzioni, un'istituzione che è stata segregata per
tacito volere
della società autoritaria, perché contenente individui "pericolosi a sé e agli altri".
L'ospedale psichiatrico è
pertanto incluso nella norma collettiva perché è un meccanismo di funzionamento per
i gruppi sociali "sani", un
deposito-rifiuti incaricato di recuperare gli elementi-detrito della morale, del buon senso comune, del
perbenismo,
della ragione. I disadattati verranno recuperati mediante un processo di riadattamento mentale: a loro
verranno
inculcati gli stessi schemi di cultura del potere, verrà loro insegnato a dare un significato
"normale" ai singoli
fenomeni, mediante gli oggetti più comuni: il cucchiaio, ad esempio, da strumento utile per
mangiare la minestra
diventa espressione di buon gusto (è "antiestetico" mangiare con le dita). Questo processo
presuppone: a) osservazione, accompagnata da abilità o ingegnosità da parte
dell'interessato; b) stabilizzazione dei rapporti con i co-internati, per un più facile
reinserimento nello stile di vita della società
di diseguali; c) paradossalmente, mentre l'istituzione mira alla "spersonalizzazione" dell'individuo,
il processo presuppone
una attesa per il disadattato (attesa che "guarisca"), la frustrazione della sua vita precedente e la sua
compensazione per mezzo dell'imitazione degli altri: il potere, insomma, prima punisce l'individuo
rinchiudendolo in un ospedale psichiatrico, poi lo "grazia" a patto che questo collabori: cioè che
si spersonalizzi
completamente. L'internato (come il detenuto in prigione) deve cercare di costruirsi un
"comfort", deve trovarsi
bene nei panni di un riadattato; d) il manifestarsi, a causa dell'imitazione di tutti i giorni, di nuove
abitudini. Un internato che prima non fumava,
nell'ospedale psichiatrico fumerà appena possibile, perché questo costituisce una
parentesi, un'evasione. Bisogna
notare come, per tutti gli internati, il periodo di adattamento tende a configurarsi entro uno spazio
temporale. L'"anteriore", il "precedente" costituiscono l'opposizione al nuovo modo di vita; il periodo
"posteriore"
costituisce invece il processo di recupero nella sua fase finale. E' questo il periodo in cui "nasce" l'alienato
ufficialmente istituzionalizzato. Per quanto concerne l'ospedale, lo psichiatra avrà buon gioco
nel pretendere che l'uscire dalla sfera della
normalità ufficiale sia interpretabile come sintomo di malattia mentale. Secondo la teoria di
T.J. Scheff (esposta nel suo libro "Per infermità mentale") vi sono tre ragioni che
conducono
l'individuo all'accettazione del nuovo ruolo. La prima è che "coloro che hanno ricevuto il marchio
di deviante
possono trarre un beneficio dall'interpretazione del ruolo di deviante stereotipato". Di solito i pazienti che
si
mostrano capaci di "introspezione" vengono ricompensati dagli psichiatri e dall'altro personale
ospedaliero. I
pazienti cioè che si danno da fare per trovare una prova della "loro malattia" nel loro
comportamento presente
e passato ricevono dei benefici. Anche gli altri ammalati contribuiscono, con varie forme di pressione
psicologica,
all'accettazione da parte dell'individuo del ruolo assegnatogli. La seconda ragione, opposta alla
precedente,
consiste nel fatto che "i devianti che hanno ricevuto il marchio vengono puniti se cercano di tornare ai
ruoli
convenzionali". E' chiaro il tipo di punizione: discriminazione nel campo del lavoro, dei rapporti sociali
ed
affettivi. Infine "nella crisi che si verifica quando il trasgressore riceve pubblicamente il marchio, il
deviante è
estremamente suggestionabile e può come unica alternativa accettare il ruolo di pazzo che gli
viene offerto". D'altra parte, fuori dal mondo dell'ospedale psichiatrico, le attitudini ad uscire dalla
"normalità" si esplicano,
per motivazioni psicologiche varie, anche da parte di soggetti ritenuti normali, perché non
pericolosi per le leggi
della istituzione. Anzi, sempre secondo quanto sostiene Scheff, il numero delle trasgressioni non rilevate
è
estremamente elevato rispetto alla percentuale delle malattie mentali curate. Da uno studio condotta da
L. e Al.
Srole sulla popolazione di Manhattan è risultato che l'80% del campione ha manifestato almeno
un sintomo
psichiatrico. D'altro canto, le varie forme di nevrosi e le varie manifestazioni di aggressività
repressa, sempre più
diffuse nella nostra società sia per la crescente difficoltà di allacciare e mantenere
soddisfacenti rapporti
interpersonali, sia per la sempre maggiore meccanizzazione e divisione del lavoro, sia per la crisi che
attualmente
attraversa tutta una serie di valori "morali" (matrimonio, famiglia, religione, ecc.) e che contribuisce ad
accrescere
negli individui l'ansia, l'inquietudine, l'insoddisfazione, sembrano confermare l'ipotesi di Scheff, e
cioè che le
persone che presentano disturbi mentali sono più numerose fuori che non dentro i
manicomi. Specifica all'istituzione psichiatrica è la psicoterapia. E' l'occasione di un
adattamento secondario particolare,
giacché essa è una cura che non può in alcun caso essere considerata come
punizione da parte dell'internato,
al contrario della terapia di choc (elettrochoc). Raccomandata da un punto di vista strettamente medico,
la
psicoterapia è l'occasione per uno "scostamento" da parte del disadattato delle norme di vita sue
proprie. Ed è
appunto un semplice "scostamento" non una distruzione. Cioè non elimina né la funzione
né il senso d'attività
dell'individuo, ma li modifica, fino al punto di rendere l'individuo stesso "accettabile" da parte della
società. Ciò che differenzia il condannato penale dal disadattato mentale è
che il primo vede il suo stato di delinquente
quantitativamente fissato. Sarà sempre definito a causa del delitto commesso e per mezzo della
sua condanna.
Dal momento in cui viene giudicato da un tribunale è definito per mezzo della pena che
dovrà scontare: il suo
"grado di delinquenza" sarà pari alla durata ed alla durezza della pena. D'altro canto il disadattato
mentale non
è definito, nella sua "malattia", al suo ingresso in ospedale; anche se gli si accorda questo o quel
"coefficiente
di pazzia" egli non conosce la durata del suo internamento e può anche essere portato a credere
legittimamente
che segni di una buona rieducazione saranno considerati sintomi di guarigione. Infine, una delle
ultime conseguenze, tra le più essenziali, è che l'istituzione psichiatrica avrà delle
leggi
equivalenti a quelle della società di cui fa parte, per l'unica ragione che l'"anormale" non
è normale in rapporto
alle norme di tale società, e che deviando da esse, la minaccia nelle sue fondamenta: il
consenso di massa. Il
ruolo confessato dall'istituzione psichiatrica è di recuperare il deviante e di fargli ritrovare la
"normalità".
A. A.
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