Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 4 nr. 29
maggio 1974


Rivista Anarchica Online

Matti perchè
di A. A.

"Il comportamento degli individui può essere concettualizzato secondo il modo in cui essi reagiscono agli stress ambientali e biologici... La maggior parte di noi vive una dose quotidiana di stress interpersonali molto elevata: a questa noi impariamo ad adattarci sia modificando qualcosa dell'ambiente in cui viviamo, sia modificando noi stessi. Una certa quantità di stress è necessaria per maturarci e per sviluppare pienamente le potenzialità umane. Tuttavia, la capacità di ciascun individuo di adattarsi agli stress del suo ambiente è limitata dalle sue potenzialità biologiche e dalle possibilità di cui dispone per modificare il suo ambiente. Se la soglia di tolleranza agli stress di un individuo viene oltrepassata, egli avvertirà disagio e, spesso, infelicità... La società può essere considerata come un sistema complesso che può imporre gravi stress a certi individui; questo ultimi sono generalmente costituiti da gruppi minoritari (come i poveri) o da coloro che sono considerati razzialmente o etnicamente inferiori... La persona che è oppressa ma che non può identificare la sorgente dell'oppressione tende a reagire in modo non appropriato".
Così lo psichiatra americano Seymour Halleck, nel libro "The politics of therapy" dà una sua interpretazione della genesi sociale dei disturbi mentali. Quindi, se da un lato la "follia" può avere origini biologiche, dall'altro può nascere dalla non sopportazione dei condizionamenti sociali.
L'adattamento di un individuo ad un ambiente qualunque, ad un gruppo sociale, all'intera società, è la condizione stessa dell'esistenza di questi gruppi sociali, di questa società. Si può facilmente assimilare questo concetto di adattamento a quello dell'integrazione, nonché a quello della partecipazione e della collaborazione: integrazione dei lavoratori emigrati alle strutture della società autoctona, partecipazione degli operai alla "gestione" di una impresa e integrazione dell'individuo negli schemi dell'ideologia della classe al potere (ad es.: concetto della "buona condotta" quotidiana, mito del lavoro, ecc.). Perché queste collettività funzionino, si presuppone un consenso globale a livello di massa. Solo l'individuo consenziente alle leggi dell'istituzione, che si adegua ai modelli di comportamento ritenuti "normali", che accetta passivamente senza opporsi, si potrà adattare, integrare, potrà partecipare "liberamente" alla vita sociale.
Il consenso alle leggi implica l'adesione alle regole, alle funzioni di queste istituzioni. Il disadattato, o deviante, è, dunque, che viola le norme sociali. Le motivazioni che possono portare un individuo alla violazione dei queste norme possono essere di varia natura: il rifiuto passivo a livello inconscio di questa società in cui è costretto a vivere e, di conseguenza, dei suoi valori e delle sue regole, si manifesta nel disinteresse per il lavoro (assenteismo) e nella tendenza a rinchiudersi e isolarsi dagli altri; il rifiuto attivo a livello inconscio del sistema (in questo caso da ribellione si manifesta in quella che generalmente viene chiamata "piccola delinquenza"); il rifiuto attivo e cosciente della società nel suo complesso che si esprime nella lotta politica rivoluzionaria per la sua distruzione e per la costruzione di una società migliore.
Si può inoltre accettare l'istituzione, la legge coercitiva, il modo autoritario di pensare (proprio del potere) senza subordinazione ad esso: è il caso di numerosi gruppi marxisti che, pur essendosi messi (peraltro a parole solamente) al di fuori della società autoritaria, ne hanno implicitamente riconosciuto il fine, perché essi non fanno che ricostruire leggi e regole identiche: predominio del "capo", gerarchia, ruolo specifico e immutabile di ciascuno all'interno di un gruppo, subordinazione della donna, ecc.
L'adattamento all'obbedienza e alla sottomissione alle norme sociali è quello che Goffman nel suo libro "Asylums" chiama "adattamento primario". In effetti è il primo stadio dell'adattamento ad una struttura completamente esteriore all'individuo in quanto non è stata creata da lui ma è stata voluta e creata da altri, cioè imposta. Per cui l'individuo o si integra o la ricrea. La formula "Vietato... Pena di..." illustra perfettamente come il divieto è causa diretta della pena e la pena concretizzazione del divieto (non tutte le pene sono adattate allo stesso livello del delitto; così, ad alcuni delitti morali vengono inflitte pene fisiche: ammende, prigione, ecc.).
Nelle istituzioni totalitarie, l'adattamento ad esse si ottiene mediante la violenza, e non si possono accettare oppositori, a qualunque livello essi siano. Cioè non si ammettono casi particolari che siano al di fuori dei parametri istituzionali; in altre parole non vengono accettati gli "anormali", che vengono giudicati tali in relazione al concetto di "norma" della società, o meglio rispetto alla morale della classe dominante. D'altra parte la morale della classe sociale dominante con tutti i suoi stereotipi viene inculcata con ogni mezzo (mass media, ecc.) fin dalla nascita nella testa di ciascuno e si generalizza rapidamente. Così, quando un individuo si comporta in un modo che viene dagli altri giudicato unanimemente "strano" o "folle" secondo lo stereotipo in uso della "follia", la sua trasgressione tende a cristallizzarsi in conformità alle attese degli altri e a stabilizzarsi nel tempo. In altre parole l'individuo accetta il ruolo di "malato" assegnatogli come intelaiatura entro cui organizzare il proprio comportamento.
Negli ospedali psichiatrici c'è un ulteriore rafforzamento del concetto autoritario di "normalità" e di "malattia" da parte dei medici e di tutto il personale di assistenza. Da ciò derivano che le conseguenze di castrazione per i disadattati o devianti, cioè l'espressione stessa dell'impossibilità, da parte di questi ultimi, di rientrare nel modello normale precedente e quindi di affermarsi a livello umano.
Esiste anche un'altra forma di non adattamento, limitata nella sua efficacia immediata, ed è il rifiuto delle leggi ma non delle istituzioni e delle loro funzioni. In questo caso il problema viene facilmente superato dallo stato modificando le leggi messe in discussione. E' questa una forma di non accettazione "ottimistica", che permette la sopravvivenza del sistema, e che Goffman chiama "adattamento secondario". E' il ruolo latente degli organismi riformatori, miranti cioè al rafforzamento della stabilità dello stato modificando, ad esempio, le sue leggi. Anche qui il fattore economico gioca un ruolo importante: certe forme di adattamento secondario di una istituzione possono cambiare le leggi di questa, in vista di una sua messa in discussione, di una sua distruzione (ad esempio in vista di uno sciopero insurrezionale). Goffman chiama questa forma di adattamento "adattamento secondario disintegrante".
Nel caso dell'ospedale psichiatrico non si può indovinare quale potrà essere il fenomeno di adattamento disintegrante, non a causa dell'"anormalità" dell'internato, ma proprio perché l'ospedale psichiatrico è un'istituzione separata dall'insieme delle altre istituzioni, un'istituzione che è stata segregata per tacito volere della società autoritaria, perché contenente individui "pericolosi a sé e agli altri". L'ospedale psichiatrico è pertanto incluso nella norma collettiva perché è un meccanismo di funzionamento per i gruppi sociali "sani", un deposito-rifiuti incaricato di recuperare gli elementi-detrito della morale, del buon senso comune, del perbenismo, della ragione. I disadattati verranno recuperati mediante un processo di riadattamento mentale: a loro verranno inculcati gli stessi schemi di cultura del potere, verrà loro insegnato a dare un significato "normale" ai singoli fenomeni, mediante gli oggetti più comuni: il cucchiaio, ad esempio, da strumento utile per mangiare la minestra diventa espressione di buon gusto (è "antiestetico" mangiare con le dita).
Questo processo presuppone:
a) osservazione, accompagnata da abilità o ingegnosità da parte dell'interessato;
b) stabilizzazione dei rapporti con i co-internati, per un più facile reinserimento nello stile di vita della società di diseguali;
c) paradossalmente, mentre l'istituzione mira alla "spersonalizzazione" dell'individuo, il processo presuppone una attesa per il disadattato (attesa che "guarisca"), la frustrazione della sua vita precedente e la sua compensazione per mezzo dell'imitazione degli altri: il potere, insomma, prima punisce l'individuo rinchiudendolo in un ospedale psichiatrico, poi lo "grazia" a patto che questo collabori: cioè che si spersonalizzi completamente. L'internato (come il detenuto in prigione) deve cercare di costruirsi un "comfort", deve trovarsi bene nei panni di un riadattato;
d) il manifestarsi, a causa dell'imitazione di tutti i giorni, di nuove abitudini. Un internato che prima non fumava, nell'ospedale psichiatrico fumerà appena possibile, perché questo costituisce una parentesi, un'evasione. Bisogna notare come, per tutti gli internati, il periodo di adattamento tende a configurarsi entro uno spazio temporale.
L'"anteriore", il "precedente" costituiscono l'opposizione al nuovo modo di vita; il periodo "posteriore" costituisce invece il processo di recupero nella sua fase finale. E' questo il periodo in cui "nasce" l'alienato ufficialmente istituzionalizzato.
Per quanto concerne l'ospedale, lo psichiatra avrà buon gioco nel pretendere che l'uscire dalla sfera della normalità ufficiale sia interpretabile come sintomo di malattia mentale.
Secondo la teoria di T.J. Scheff (esposta nel suo libro "Per infermità mentale") vi sono tre ragioni che conducono l'individuo all'accettazione del nuovo ruolo. La prima è che "coloro che hanno ricevuto il marchio di deviante possono trarre un beneficio dall'interpretazione del ruolo di deviante stereotipato". Di solito i pazienti che si mostrano capaci di "introspezione" vengono ricompensati dagli psichiatri e dall'altro personale ospedaliero. I pazienti cioè che si danno da fare per trovare una prova della "loro malattia" nel loro comportamento presente e passato ricevono dei benefici. Anche gli altri ammalati contribuiscono, con varie forme di pressione psicologica, all'accettazione da parte dell'individuo del ruolo assegnatogli. La seconda ragione, opposta alla precedente, consiste nel fatto che "i devianti che hanno ricevuto il marchio vengono puniti se cercano di tornare ai ruoli convenzionali". E' chiaro il tipo di punizione: discriminazione nel campo del lavoro, dei rapporti sociali ed affettivi. Infine "nella crisi che si verifica quando il trasgressore riceve pubblicamente il marchio, il deviante è estremamente suggestionabile e può come unica alternativa accettare il ruolo di pazzo che gli viene offerto".
D'altra parte, fuori dal mondo dell'ospedale psichiatrico, le attitudini ad uscire dalla "normalità" si esplicano, per motivazioni psicologiche varie, anche da parte di soggetti ritenuti normali, perché non pericolosi per le leggi della istituzione. Anzi, sempre secondo quanto sostiene Scheff, il numero delle trasgressioni non rilevate è estremamente elevato rispetto alla percentuale delle malattie mentali curate. Da uno studio condotta da L. e Al. Srole sulla popolazione di Manhattan è risultato che l'80% del campione ha manifestato almeno un sintomo psichiatrico. D'altro canto, le varie forme di nevrosi e le varie manifestazioni di aggressività repressa, sempre più diffuse nella nostra società sia per la crescente difficoltà di allacciare e mantenere soddisfacenti rapporti interpersonali, sia per la sempre maggiore meccanizzazione e divisione del lavoro, sia per la crisi che attualmente attraversa tutta una serie di valori "morali" (matrimonio, famiglia, religione, ecc.) e che contribuisce ad accrescere negli individui l'ansia, l'inquietudine, l'insoddisfazione, sembrano confermare l'ipotesi di Scheff, e cioè che le persone che presentano disturbi mentali sono più numerose fuori che non dentro i manicomi.
Specifica all'istituzione psichiatrica è la psicoterapia. E' l'occasione di un adattamento secondario particolare, giacché essa è una cura che non può in alcun caso essere considerata come punizione da parte dell'internato, al contrario della terapia di choc (elettrochoc). Raccomandata da un punto di vista strettamente medico, la psicoterapia è l'occasione per uno "scostamento" da parte del disadattato delle norme di vita sue proprie. Ed è appunto un semplice "scostamento" non una distruzione. Cioè non elimina né la funzione né il senso d'attività dell'individuo, ma li modifica, fino al punto di rendere l'individuo stesso "accettabile" da parte della società.
Ciò che differenzia il condannato penale dal disadattato mentale è che il primo vede il suo stato di delinquente quantitativamente fissato. Sarà sempre definito a causa del delitto commesso e per mezzo della sua condanna. Dal momento in cui viene giudicato da un tribunale è definito per mezzo della pena che dovrà scontare: il suo "grado di delinquenza" sarà pari alla durata ed alla durezza della pena. D'altro canto il disadattato mentale non è definito, nella sua "malattia", al suo ingresso in ospedale; anche se gli si accorda questo o quel "coefficiente di pazzia" egli non conosce la durata del suo internamento e può anche essere portato a credere legittimamente che segni di una buona rieducazione saranno considerati sintomi di guarigione.
Infine, una delle ultime conseguenze, tra le più essenziali, è che l'istituzione psichiatrica avrà delle leggi equivalenti a quelle della società di cui fa parte, per l'unica ragione che l'"anormale" non è normale in rapporto alle norme di tale società, e che deviando da esse, la minaccia nelle sue fondamenta: il consenso di massa. Il ruolo confessato dall'istituzione psichiatrica è di recuperare il deviante e di fargli ritrovare la "normalità".

A. A.