Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 25
novembre 1973 - dicembre 1973


Rivista Anarchica Online

Il diritto d'avere paura
di F. M.

Psicologia della guerra - Aggressività naturale e deviazioni strumentali - Il coraggio imposto

In Medio Oriente arabi ed israeliani hanno appena finito (fino a quando?) di scannarsi. Alcune migliaia di cadaveri, di mutilati, di storpi si vanno ad aggiungere alla macabra lista delle vittime della guerra. Alcune migliaia... una sciocchezza, per le statistiche. Secondo una stima, approssimata per difetto, i morti in guerra, dal 1820 al 1945, sono stati cinquantanove milioni. Cinquantanove milioni di uomini donne bambini assassinati nel corso delle stragi legali, nel corso di guerre di cui spesso non erano neppure a conoscenza e che comunque mai avevano voluto. Accanto ai morti, i feriti, i mutilati, le violenze, le distruzioni, gli sprechi di ricchezza prodotta, di lavoro umano.
La guerra, tragica costante della storia dell'umanità, è un problema etico, economico, politico, storico. È anche un problema psicologico. Se le singole guerre trovano cause d'ordine economico o politico, v'è una costante in esse che è campo di indagine per la psicologia individuale e di massa: la disponibilità alla guerra del cittadino medio, l'accettazione (a volte entusiasta) di trucidare e farsi trucidare su ordinazione, la capacità di commettere atrocità comunemente catalogate tra i delitti più efferati il nome di astrazioni mistificatrici, la facilità con cui periodicamente gli sfruttati si scannano tra di loro per gli interessi degli sfruttatori.
I frequenti e sanguinosi conflitti scaturiscono, secondo alcuni, dal riaffiorare dell'antica bestialità umana. Questa interpretazione è inesatta e senza dubbio offensiva nei riguardi degli altri animali, poiché noi siamo chiaramente l'unica specie che deliberatamente infligga sofferenze ai propri simili; del resto William James già nel 1890 descrisse l'uomo come "la più formidabile delle bestie predatrici e sicuramente l'unica che depredi sistematicamente la sua stessa specie". L'uomo si trova cioè in una posizione unica nel mondo animale: infatti non se ne ritrovano di simili nemmeno tra le scimmie antropomorfe. Si può cercare tuttavia, nel tentativo di assumere una seria posizione di fronte a questo triste dato di fatto, di capire le ragioni psicologiche di un comportamento tanto anomalo e certamente dannoso.
Come ormai è noto, alla base della guerra, manifestazione di violenza indiscriminata, vi è l'aggressività (1), nella quale sarebbe a parere di molti da ricercarsi la causa prima dei mali dell'umanità. Ciò è falso, considerando il fatto che una certa dose di aggressività è necessaria sia per l'auto-difesa sia per il mantenimento dell'equilibrio dei rapporti sociali. L'aggressività, in misura contenuta, è innata in noi come nella maggior parte degli animali, certamente in tutti i vertebrati e in molti invertebrati.
L'aggressività non è di per sé stessa una componente pericolosa, al contrario è utile anche all'interno della nostra attuale società. Si pensi infatti che le rivendicazioni e le ribellioni degli sfruttati nel corso della storia fino ad oggi non sarebbero certamente avvenute senza questa fondamentale componente del nostro "essere uomini", che ha origini non solo culturali ma anche genetiche (2). Del resto una funzione importante dell'aggressività è proprio quella di equilibrare i rapporti sociali. Quando fra due individui di una stessa specie si scatena un duello, l'animale più aggressivo, oltre che più forte, è quello che vince. Ma la crudeltà fine a se stessa, ovvero il sadismo, non è una componente naturale del comportamento. Così non appena un individuo sente che il proprio avversario è più forte, "segnala" la propria resa, cioè l'accettazione della superiorità dell'avversario. I duelli non si spingono quasi mai fino alle estreme conseguenze, cioè fino alla morte. Spesso i combattimenti sono ritualizzati, stereotipati allo scopo di ridurre al minimo i possibili danni. Anche la nostra specie conosce per via genetica questa prassi. La pietà, sentimento alquanto strumentalizzato da varie fazioni, non è altro che l'accettazione di segnali di sottomissione. Il pianto, il sorriso, la supplica ne sono esempi.
Anche le moderne truppe, beninteso, hanno evidenti forme di ritualizzazione. Basti pensare alle divise, agli ultimatum inviati e respinti, alle parate e in genere a tutti gli ornamenti ed orpelli di eserciti e guerre. Sebbene risulti evidente che questa ritualizzazione non è più strumento utile ad evitare gli stermini. Infatti la nostra storia, storia di soprusi dei potenti, è costellata di guerre, episodi di violenza indiscriminata e portata fino alle estreme conseguenze. Da quali cause scaturiscano le guerre è stato più volte dibattuto. Ragioni economiche, di prestigio, di potenza, di conquista di nuovi territori, mercati, materie prime, questi in sintesi i motivi che le hanno causate a livello delle alte sfere. Ma presso il popolo sono state presentate ed accettate diversamente: l'alta economia, si sa, non arriva al soldatino. Tuttavia spesso egli diviene un eroe, si fa uccidere da altri soldati e ne uccide.
Vale la pena di illustrare le cause di questo comportamento, anche perché contribuiscono a chiarire come uno sfruttato possa uccidere altri sfruttati. Bisogna pensare che l'uomo ha sviluppato un notevole grado di cultoralizzazione che purtroppo, spesso, lungi dall'aiutare il suo sviluppo collettivo, altera e distorce le sane tendenze fondamentali dell'individuo. In effetti ci sembra verosimile l'opinione di Timbergen secondo la quale i problemi relativi all'aggressività umana risultino da una cattiva interazione fra componenti genetiche e culturali.
Prima di qualunque guerra vengono inculcati dal potere al popolo dei miti e dei falsi valori, spesso presentati in maniera tanto suggestiva da causare una notevole risposta emotiva. Del resto le istituzioni, quali la scuola e in modo più energico i tutori dell'ordine e le forze armate, hanno lo scopo preciso di esercitare un diretto controllo sul comportamento dei membri della società. Il fatto è che il comportamento degli uomini può essere controllato piuttosto efficacemente da chi esercita il potere, e in alcuni casi il grado di controllo è superiore a quello che potrebbe essere esercitato piazzando degli elettrodi nel cervello. Grazie a ciò, l'omicidio, il genocidio e le razzie non sono più tali ma divengono amor di patria.
In secondo luogo, ancor più raffinatamente, il nemico, da entrambe le parti, viene presentato in maniera statica, come un soggetto con una smisurata aggressività sempre manifesta, che mira a trucidare con voluttà la sposa ed i figli dell'altro contendente. Spesso inoltre il nemico viene raffigurato con un aspetto orripilante. La fuga, la paura o la resa, d'altro canto, vengono presentate come componenti di degenerazione dello spirito, mancanza di virilità, sintomo di vigliaccheria e di animo puerile, mistificando così degli elementi fondamentali della natura umana. Abbiamo tuttavia detto che l'uomo ha innato un meccanismo che gli rende quasi necessario ascoltare i segnali che la specie, nella lunga esperienza dei millenni, ha elaborato per frenare l'aggressività. Per una psiche normale il non ascoltare il messaggio dell'avversario sconfitto è praticamente impossibile.
Nel corpo a corpo l'aggressività del vincitore verrebbe quindi nella maggior parte dei casi bloccata dall'atteggiamento di sconfitta del vinto. I conflitti si ridurrebbero quindi a degli scontri se non pacifici, di violenza comunque trascurabile. Ciò renderebbe evidentemente inutile il conflitto stesso. Notiamo, per inciso, che è sopravvissuta fin quasi ai giorni nostri l'usanza di non uccidere chi volgeva le spalle, poiché la fuga è un fortissimo segnale di sottomissione. Gli antichi risolsero il problema creando il mito della virilità coincidente con la mancanza di paura. Lo sconfitto, soffocando il terrore, non mostrava così segni di accettazione della vittoria dell'altro contendente. In tal modo l'aggressività del vincitore non veniva bloccata e il duello proseguiva sino alla morte.
Nel corso della storia si è sviluppata la soluzione di questo problema: l'eliminazione del corpo a corpo attraverso l'invenzione di armi che colpiscono a distanza, la ricerca di strumenti bellici che rendano il nemico sempre più lontano, addirittura invisibile. Si pensi ai bombardamenti aerei. Il nemico non è neppure individuabile e nel contesto dell'atmosfera del conflitto, sempre ricca di falsi ideali e di valori bellici, il pilota non si rende nemmeno conto che, sotto la sua azione, cadono donne, uomini, bambini. Persone che egli certamente non avrebbe ucciso e nemmeno ferito se avesse dovuto farlo in un corpo a corpo.
Che dire del resto dell'antica usanza della pallottola a salve presente in ogni plotone d'esecuzione ed affidata a caso? Quest'usanza è nata per vincere la repulsione emotivamente immotivata che qualsiasi uomo ha verso l'omicidio di un suo simile che, non solo non palesa certo un atteggiamento minaccioso, ma spesso appare dimesso e spaurito. Così una pallottola a salve affidata a sorte fornisce l'alibi morale della speranza di non aver commesso l'assassinio. Del resto nella prefazione agli atti del simposio tenuto al British Museum (Natural History) a Londra nell'ottobre del 1963 leggiamo: "In natura la paura ha una fondamentale importanza nel rendere incruenti gli scontri. L'educazione al coraggio, basata su gravissime punizioni (dall'essere fucilato all'essere perennemente bollato quale vigliacco) ha rotto, nella nostra specie, il delicato equilibrio, spesso sostenuto da fenomeni territoriali, che si instaura tra chi attacca e chi scappa.
A rinfocolare ancora la nostra crescente aggressività si aggiunge un altro fenomeno, pure di origine culturale, il sovraffollamento, che agisce in parte direttamente e in parte attraverso le sue conseguenze quali la fame e il bisogno di conquistare nuove aree produttive. L'uomo dunque ha probabilmente raggiunto un punto cruciale della sua evoluzione: lo splendido meccanismo culturale di adattamento gli ha preso la mano. Le sue ultime scelte, bisogna dirlo, sono state terribilmente disadattative. Solo una concreta presa di coscienza del suo stato unico di animale specializzato per la cultura potrà evitargli il fatale destino che la natura prepara agli specializzati. Sta alla mente umana produrre la mutazione culturale che lo devii da una strada altrimenti segnata".
Ancora una volta quindi riscopriamo un fondamento di obiettività scientifica nella nostra posizione antimilitarista anarchica, tanto criticata, ostacolata, e come ovvio non gradita al potere costituito. I governi cercano di togliere all'individuo addirittura il diritto fisico di essere "uomo" con tutte le implicazioni che ciò comporta. Il potere attraverso i sottili strumenti psicologici forza e distorce l'essenza stessa della nostra natura. L'uomo non è dunque, come si vuol far credere, spontaneamente "homini lupus"; ma diventa tale a causa delle condizioni di sfruttamento (fisico e morale) cui è costretto.
Il fondamento di qualsiasi analisi e azione rivoluzionaria è scoprire i caratteri fondamentali del nostro essere uomini (ciò che i preti chiamano con disprezzo e inesattamente "istinti") e smascherare le violenze che sotto varie forme, spesso raffinate e apparentemente inoffensive, tendono a distorcerli.

F. M.

(1) Harlow ed altri, Psicologia come scienza del comportamento, Milano 1973.
(2) J. D. Carthy e F. J. Ebling, Storia naturale della aggressività, Milano 1973.