Rivista Anarchica Online
Il compromesso economico
di Emilio Cipriano
"L'Italia è purtroppo abituata a ragionare in termini di
clientelismo: per questo è sconvolta dall'idea che
i comunisti possano aprire un dialogo con un Monti o un Moratti. Ma io ritengo che i problemi debbono
essere risolti nella loro concretezza senza alcuna pregiudiziale ideologica". Sono parole di Giorgio Fanti,
presidente della regione Emilia-Romagna e esponente del PCI. Queste parole, e la linea politica ad esse
ispiratrice, è la nuova realtà di questa Italia nell'anno di grazia 1973. Una realtà
che, tra l'altro, scaturisce
dal protrarsi della crisi economica, dal 1969 ad oggi, e che ha impresso una nuova e più energica
spinta
alla lunga marcia del PCI verso la cogestione di governo. Il "compromesso storico" proposto da
Berlinguer alla DC indica una volontà e una realtà che difficilmente potranno essere
contenute e arginate
dalle destre democristiane. Crediamo che la "tesi-proposta" di Berlinguer non vada vista solamente
come fenomeno esclusivamente
politico di alchimie governative - impasti, rimpasti più o meno organici - ma che il
"compromesso
storico" trovi effettivamente una sua giustificazione storica ed economica nell'assetto della
società
italiana degli anni settanta. Infatti l'incontro con la DC è stato preparato dal Partito
Comunista prima che nelle formulazioni politiche
nell'incontro con le forze economiche determinanti la vita del paese. Vale a dire che prima del
"compromesso storico" c'è stato un "compromesso economico" con il grande capitalismo
privato, sui
temi che accomunano sindacati e oligopoli. La grande industria italiana ha la necessità di
riorganizzare
e di modificare strutturalmente l'economia italiana, deve eliminare tutti quei fenomeni di ritardo, di
spreco, e di parassitismo rappresentati da quello che comunemente viene chiamato "capitale arretrato".
L'assetto multinazionale della grande industria italiana ha sviluppato in queste imprese un problema
nuovo, la concorrenza multinazionale nei paesi del terzo mondo. Per sostenere efficacemente questa
concorrenza le multinazionali italiane hanno bisogno di sicurezza, di sviluppo crescente, e di
stabilità
sindacale nel paese d'origine, cioè nel luogo dove risiede il cuore e il cervello centrale
dell'impresa.
L'annullamento dei fenomeni di ritardo nell'economia italiana, permettendo uno sviluppo più
funzionale,
crea una nuova potenzialità nelle multinazionali italiane che permetterà loro una politica
di prezzi sui
mercati stranieri favorevole ad un'ulteriore espansione. Con altre parole, un forte sviluppo in termini di
fatturato e di utili da reinvestire, conseguito in Italia, dà mezzi e possibilità per la
conquista di nuovi
mercati esteri sostenendo efficacemente la concorrenza delle multinazionali degli altri paesi occidentali.
Proprio perché una condizione favorevole nel mercato d'origine libera le multinazionali
dall'assillo di
trasferire sui mercati esteri le proprie perdite e permette di sostenerne inizialmente pur di conquistare
nuovi mercati. Dalla FIAT è partita la strategia di avvicinamento al PCI per creare quel
nuovo blocco economico
accomunato oltre che dalla lotta ad un comune nemico, il capitalismo tradizionale ed arretrato, anche
da una visione sostanzialmente analoga sul ruolo della grande impresa privata nell'attuale situazione
italiana. Ed è logico che questa iniziativa parta da quella società che oltre ad essere la
più importante del
settore privato, con i suoi 2.127.441 milioni di fatturato nel 1972, è anche un'importante
multinazionale
e che inoltre detiene la leadership del fronte industriale privato. Il PCI e il sindacato
vengono riconosciuti da Agnelli come l'interlocutore valido con cui confrontarsi e
ai quali spetta il controllo della forza lavoro. Assistiamo alla creazione di un nuovo fronte avanzato per
la perpetuazione dello sfruttamento, nel quale entrambi i contraenti (grandi imprese e PCI-Sindacato)
trovano una nuova forza per pervenire con minori difficoltà ai propri obiettivi. La FIAT e
il PCI in definitiva riconoscono l'una all'altro di essere le due forze principali in grado di
dirigere congiuntamente l'economia e la vita politica di una società industriale avanzata quale
quella
dell'Italia negli anni settanta. L'entroterra ideologico di questo incontro è rilevabile da chiare
prese di
posizione dei più qualificati esponenti del PCI e della FIAT. L'on. Luciano Barca,
responsabile della politica economica del PCI, commentando il documento
approvato il 2 ottobre sulla situazione economica italiana, dalla direzione del suo partito, ha detto: "Ci
sono delle cose che le partecipazioni statali debbono rinunciare a fare.... Lo spazio in cui possono
trovare
nuovi orizzonti l'impresa pubblica e l'impresa privata, lo possiamo creare soltanto a patto che alcune
priorità siano perseguite in modo massiccio.... Il discorso che prevale su tutti è un
discorso contabile,
di compatibilità contabili. Io non le sottovaluto e non le sottovaluta la risoluzione della direzione
del
partito; si è visto quanta disponibilità c'è da parte nostra, anche in modo
impopolare, ad affrontare
problemi di tagli; ma il problema è che non si può partire dalle compatibilità
contabili, ma da alcune
priorità economiche ed a queste subordinare il resto. Partiamo in positivo da queste
priorità e credo non
ci sarà difficoltà da parte della classe operaia ad accettare i "no" che quelle
priorità comportano". A questo aperto invito risponde Umberto Agnelli, in un convegno
tenutosi i primi di ottobre a Milano
organizzato dall'U.D.D.A.-I.S.E.O. (al quale hanno partecipato i principali protagonisti della vita
imprenditoriale, sindacale e governativa del momento): "In una società industriale gli obiettivi
di una
grande impresa e del sindacato, pur espressi dialetticamente, coincidono nella misura in cui tendono allo
sviluppo economico o comunque non ammettono il suo contrario". Ed ha aggiunto che: "... è
necessario
che ognuno si ponga di fronte ai problemi che il paese deve affrontare. Il primo e fondamentale: quale
modello dobbiamo avere per il nostro sviluppo?". Ad Agnelli ha fatto eco il ministro Zagari, sempre
nello stesso convegno, dicendo: "Non si tratta di
rettificare il vecchio meccanismo di sviluppo economico affinché produca di più; si tratta
invece di
individuare modifiche culturali, per liquidare definitivamente le vecchie strozzature che hanno creato
situazioni di arretratezza, più gravi in Italia, ma che creano condizioni di ritardo in
Europa". La posizione di forza scaturente dall'incontro FIAT-PCI permette a quest'ultimo di
lanciare il
"compromesso storico" alla DC su basi non velleitaristiche ma reali, mentre permette alla FIAT di
consolidare la sua funzione di leader della grande industria privata italiana. Tutto quanto sta
avvenendo non significa necessariamente la scomparsa delle vertenze sindacali o di un
loro ulteriore ammorbidimento. Le vertenze ci saranno (è iniziata proprio in questi giorni quella
alla
FIAT), a volte apparentemente dure, ma si muoveranno nella logica scaturente dalla regia prodotta da
questo incontro: nell'assumersi sino in fondo ognuno il proprio ruolo, ma con il riconoscimento che
senza l'appoggio dell'altra parte ciascuna delle due entità non può svilupparsi.
Perché il sindacato senza
vertenze, senza contrattazioni con il padronato perderebbe buona parte delle sue funzioni e quindi del
suo potere sulle masse operaie. La grande industria nel contempo vede nelle vertenze e nei nuovi
contratti un elemento essenziale di ristrutturazione, poiché mette in serie difficoltà tutte
quelle imprese
basate su un modo di sfruttamento del lavoro ormai superato e vengono eliminati quindi dei concorrenti
che, altrimenti, ritarderebbero lo sviluppo economico. Queste nuove convergenze danno un'idea non
solo dei nuovi equilibri politici ed economici che si stanno
instaurando nel paese, ma suggeriscono anche quale sarà il nuovo modello di sviluppo su cui
poggerà
l'economia italiana dei prossimi anni. La prima mossa (quasi una pregiudiziale per poter effettuare
le altre) sarà la lotta per la riduzione e
successivamente la scomparsa delle rendite parassitarie e di tutti quei fenomeni di capitalismo arretrato
ancora presenti. Congiuntamente a questa "operazione chirurgica" verrà attuata una profonda
ristrutturazione della piccola e media impresa, sia eliminando dal gioco quelle con produzione parallela
a quella dei grandi oligopoli sia completando l'asservimento a questi ultimi delle imprese che svolgono
produzioni e servizi a loro complementari. Il risultato di questo processo sarà quindi un
ulteriore espansione degli oligopoli sia occupando lo spazio
lasciato libero dalle imprese minori scomparse sia divenendo il centro di una rete di piccole imprese ad
essi strettamente legate. Queste modifiche di struttura economica verranno attuate nell'ambito di
una programmazione impostata
su nuove basi, su indicazioni e soluzioni concertate tra governo, industria privata, settore pubblico e
sindacati. Ciò significa che le forze sindacali, responsabilizzandosi nella realizzazione del
piano, coinvolgeranno
le masse operaie da loro egemonizzate nella conduzione del proprio sfruttamento, cercando di ribaltare
la naturale contrapposizione tra sfruttatori e sfruttati in un clima di aperto interclassismo. A tutto
questo noi dobbiamo saper rispondere adeguatamente; i padroni (governanti, burocrati,
capitalisti, sindacalisti) stanno affinando e mettendo a punto la loro nuova strategia: nostro compito
è
elaborare e realizzare la nostra strategia rivoluzionaria.
Emilio Cipriano
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