Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 25
novembre 1973 - dicembre 1973


Rivista Anarchica Online

Il compromesso economico
di Emilio Cipriano

"L'Italia è purtroppo abituata a ragionare in termini di clientelismo: per questo è sconvolta dall'idea che i comunisti possano aprire un dialogo con un Monti o un Moratti. Ma io ritengo che i problemi debbono essere risolti nella loro concretezza senza alcuna pregiudiziale ideologica". Sono parole di Giorgio Fanti, presidente della regione Emilia-Romagna e esponente del PCI. Queste parole, e la linea politica ad esse ispiratrice, è la nuova realtà di questa Italia nell'anno di grazia 1973. Una realtà che, tra l'altro, scaturisce dal protrarsi della crisi economica, dal 1969 ad oggi, e che ha impresso una nuova e più energica spinta alla lunga marcia del PCI verso la cogestione di governo. Il "compromesso storico" proposto da Berlinguer alla DC indica una volontà e una realtà che difficilmente potranno essere contenute e arginate dalle destre democristiane.
Crediamo che la "tesi-proposta" di Berlinguer non vada vista solamente come fenomeno esclusivamente politico di alchimie governative - impasti, rimpasti più o meno organici - ma che il "compromesso storico" trovi effettivamente una sua giustificazione storica ed economica nell'assetto della società italiana degli anni settanta.
Infatti l'incontro con la DC è stato preparato dal Partito Comunista prima che nelle formulazioni politiche nell'incontro con le forze economiche determinanti la vita del paese. Vale a dire che prima del "compromesso storico" c'è stato un "compromesso economico" con il grande capitalismo privato, sui temi che accomunano sindacati e oligopoli. La grande industria italiana ha la necessità di riorganizzare e di modificare strutturalmente l'economia italiana, deve eliminare tutti quei fenomeni di ritardo, di spreco, e di parassitismo rappresentati da quello che comunemente viene chiamato "capitale arretrato". L'assetto multinazionale della grande industria italiana ha sviluppato in queste imprese un problema nuovo, la concorrenza multinazionale nei paesi del terzo mondo. Per sostenere efficacemente questa concorrenza le multinazionali italiane hanno bisogno di sicurezza, di sviluppo crescente, e di stabilità sindacale nel paese d'origine, cioè nel luogo dove risiede il cuore e il cervello centrale dell'impresa. L'annullamento dei fenomeni di ritardo nell'economia italiana, permettendo uno sviluppo più funzionale, crea una nuova potenzialità nelle multinazionali italiane che permetterà loro una politica di prezzi sui mercati stranieri favorevole ad un'ulteriore espansione. Con altre parole, un forte sviluppo in termini di fatturato e di utili da reinvestire, conseguito in Italia, dà mezzi e possibilità per la conquista di nuovi mercati esteri sostenendo efficacemente la concorrenza delle multinazionali degli altri paesi occidentali. Proprio perché una condizione favorevole nel mercato d'origine libera le multinazionali dall'assillo di trasferire sui mercati esteri le proprie perdite e permette di sostenerne inizialmente pur di conquistare nuovi mercati.
Dalla FIAT è partita la strategia di avvicinamento al PCI per creare quel nuovo blocco economico accomunato oltre che dalla lotta ad un comune nemico, il capitalismo tradizionale ed arretrato, anche da una visione sostanzialmente analoga sul ruolo della grande impresa privata nell'attuale situazione italiana. Ed è logico che questa iniziativa parta da quella società che oltre ad essere la più importante del settore privato, con i suoi 2.127.441 milioni di fatturato nel 1972, è anche un'importante multinazionale e che inoltre detiene la leadership del fronte industriale privato.
Il PCI e il sindacato vengono riconosciuti da Agnelli come l'interlocutore valido con cui confrontarsi e ai quali spetta il controllo della forza lavoro. Assistiamo alla creazione di un nuovo fronte avanzato per la perpetuazione dello sfruttamento, nel quale entrambi i contraenti (grandi imprese e PCI-Sindacato) trovano una nuova forza per pervenire con minori difficoltà ai propri obiettivi.
La FIAT e il PCI in definitiva riconoscono l'una all'altro di essere le due forze principali in grado di dirigere congiuntamente l'economia e la vita politica di una società industriale avanzata quale quella dell'Italia negli anni settanta. L'entroterra ideologico di questo incontro è rilevabile da chiare prese di posizione dei più qualificati esponenti del PCI e della FIAT.
L'on. Luciano Barca, responsabile della politica economica del PCI, commentando il documento approvato il 2 ottobre sulla situazione economica italiana, dalla direzione del suo partito, ha detto: "Ci sono delle cose che le partecipazioni statali debbono rinunciare a fare.... Lo spazio in cui possono trovare nuovi orizzonti l'impresa pubblica e l'impresa privata, lo possiamo creare soltanto a patto che alcune priorità siano perseguite in modo massiccio.... Il discorso che prevale su tutti è un discorso contabile, di compatibilità contabili. Io non le sottovaluto e non le sottovaluta la risoluzione della direzione del partito; si è visto quanta disponibilità c'è da parte nostra, anche in modo impopolare, ad affrontare problemi di tagli; ma il problema è che non si può partire dalle compatibilità contabili, ma da alcune priorità economiche ed a queste subordinare il resto. Partiamo in positivo da queste priorità e credo non ci sarà difficoltà da parte della classe operaia ad accettare i "no" che quelle priorità comportano".
A questo aperto invito risponde Umberto Agnelli, in un convegno tenutosi i primi di ottobre a Milano organizzato dall'U.D.D.A.-I.S.E.O. (al quale hanno partecipato i principali protagonisti della vita imprenditoriale, sindacale e governativa del momento): "In una società industriale gli obiettivi di una grande impresa e del sindacato, pur espressi dialetticamente, coincidono nella misura in cui tendono allo sviluppo economico o comunque non ammettono il suo contrario". Ed ha aggiunto che: "... è necessario che ognuno si ponga di fronte ai problemi che il paese deve affrontare. Il primo e fondamentale: quale modello dobbiamo avere per il nostro sviluppo?".
Ad Agnelli ha fatto eco il ministro Zagari, sempre nello stesso convegno, dicendo: "Non si tratta di rettificare il vecchio meccanismo di sviluppo economico affinché produca di più; si tratta invece di individuare modifiche culturali, per liquidare definitivamente le vecchie strozzature che hanno creato situazioni di arretratezza, più gravi in Italia, ma che creano condizioni di ritardo in Europa".
La posizione di forza scaturente dall'incontro FIAT-PCI permette a quest'ultimo di lanciare il "compromesso storico" alla DC su basi non velleitaristiche ma reali, mentre permette alla FIAT di consolidare la sua funzione di leader della grande industria privata italiana.
Tutto quanto sta avvenendo non significa necessariamente la scomparsa delle vertenze sindacali o di un loro ulteriore ammorbidimento. Le vertenze ci saranno (è iniziata proprio in questi giorni quella alla FIAT), a volte apparentemente dure, ma si muoveranno nella logica scaturente dalla regia prodotta da questo incontro: nell'assumersi sino in fondo ognuno il proprio ruolo, ma con il riconoscimento che senza l'appoggio dell'altra parte ciascuna delle due entità non può svilupparsi. Perché il sindacato senza vertenze, senza contrattazioni con il padronato perderebbe buona parte delle sue funzioni e quindi del suo potere sulle masse operaie. La grande industria nel contempo vede nelle vertenze e nei nuovi contratti un elemento essenziale di ristrutturazione, poiché mette in serie difficoltà tutte quelle imprese basate su un modo di sfruttamento del lavoro ormai superato e vengono eliminati quindi dei concorrenti che, altrimenti, ritarderebbero lo sviluppo economico.
Queste nuove convergenze danno un'idea non solo dei nuovi equilibri politici ed economici che si stanno instaurando nel paese, ma suggeriscono anche quale sarà il nuovo modello di sviluppo su cui poggerà l'economia italiana dei prossimi anni.
La prima mossa (quasi una pregiudiziale per poter effettuare le altre) sarà la lotta per la riduzione e successivamente la scomparsa delle rendite parassitarie e di tutti quei fenomeni di capitalismo arretrato ancora presenti. Congiuntamente a questa "operazione chirurgica" verrà attuata una profonda ristrutturazione della piccola e media impresa, sia eliminando dal gioco quelle con produzione parallela a quella dei grandi oligopoli sia completando l'asservimento a questi ultimi delle imprese che svolgono produzioni e servizi a loro complementari.
Il risultato di questo processo sarà quindi un ulteriore espansione degli oligopoli sia occupando lo spazio lasciato libero dalle imprese minori scomparse sia divenendo il centro di una rete di piccole imprese ad essi strettamente legate.
Queste modifiche di struttura economica verranno attuate nell'ambito di una programmazione impostata su nuove basi, su indicazioni e soluzioni concertate tra governo, industria privata, settore pubblico e sindacati.
Ciò significa che le forze sindacali, responsabilizzandosi nella realizzazione del piano, coinvolgeranno le masse operaie da loro egemonizzate nella conduzione del proprio sfruttamento, cercando di ribaltare la naturale contrapposizione tra sfruttatori e sfruttati in un clima di aperto interclassismo.
A tutto questo noi dobbiamo saper rispondere adeguatamente; i padroni (governanti, burocrati, capitalisti, sindacalisti) stanno affinando e mettendo a punto la loro nuova strategia: nostro compito è elaborare e realizzare la nostra strategia rivoluzionaria.

Emilio Cipriano