Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 2 nr. 11
marzo 1972


Rivista Anarchica Online

L'esperienza storica dei consigli operai
di Mirko Roberti

L'articolo che segue è un modesto bilancio del movimento consiliare così come si è espresso dal 1917 al 1921. Pur riconoscendo a questo movimento grandi meriti di originalità e autentiche proposte rivoluzionarie, noi abbiamo concluso che il suo fallimento non fu dovuto a ragioni esterne, come è stato rappresentato dagli storici marxisti di ogni tendenza, ma a ragioni interne al movimento stesso. La causa del fallimento per noi va ricercata pertanto non in quelle forze esterne ostili ad esso (pur non sottovalutando il contributo di queste forze alla sua liquidazione), ma nella sua intrinseca natura che, rispetto ai fini proposti, era costituzionalmente troppo debole e in ultima analisi quasi velleitaria.

Le origini dei consigli

Quando ai primi del '900 in Francia prima ed in altri paesi poi, tramite alcuni gruppi anarchici cominciarono a formarsi le prime organizzazioni sindacaliste rivoluzionarie ed anarco-sindacaliste, basate sull'azione diretta ed autonoma degli sfruttati, la seconda internazionale era al culmine del suo prestigio e la sua influenza nefasta sulle masse popolari d'Europa rendeva difficile ogni crescita rivoluzionaria. La seconda internazionale, fredda e burocratica creatura della socialdemocrazia europea, andava considerando nei suoi pomposi congressi come tendenze provocatorie i tentativi libertari di rimettere tutta la gestione della lotta nelle mani stesse del proletariato, lotta non solo per l'azione diretta in senso sindacale, ma anche per l'autogestione immediata delle forze produttive. Così, lentamente, tra la forza schiacciante della borghesia capitalistica da una parte e l'azione quotidiana di sabotaggio e di disfattismo del "socialismo ufficiale" dall'altra, l'autonomia proletaria sorgeva faticosamente generando le prime organizzazioni di base. Esse furono all'origine dei futuri comitati di fabbrica o, come si chiamarono più tardi, consigli operai.
Questo movimento aveva uno sviluppo spontaneo e la sua ragione consisteva nel porsi come alternativa alle "tradizionali" organizzazioni sindacali e ponendosi fuori dalla tutela gerarchica e burocratica dei sindacati e dei partiti, portò al risultato di fare emergere l'unità degli operai. Questa unità non era dunque artificiale perché trovava il suo cimento proprio nella lotta per la riappropriazione totale della ricchezza sociale. Non a caso l'unità operaia emerse con la sua fisionomia di classe nella ricerca per la liberazione dallo sfruttamento, proprio perché questa era una tendenza spontanea, cioè prodotta dalla classe operaia stessa e non dentro gli uffici del partito politico. Venivano a coincidere in questo senso, nel movimento spontaneo e oggettivo, l'unità operaia e la volontà politica di autogoverno.

I consigli in Russia, Germania e Italia

Già nel 1905 (1) nella Russia zarista sono presenti i primi consigli operai. Essi sono organizzazioni illegali ma col passare del tempo vengono dapprima tollerati e poi riconosciuti. Grazie alla loro forza spontanea e creatrice dal 1917 al 1920 essi dettero vita e impulso non solo alla autogestione dentro alle fabbriche, ma allargarono il movimento alle campagne. Questa generale riappropriazione diretta della ricchezza sociale da parte degli sfruttati russi, comportava non solo una grande crescita di organizzazioni a carattere libertario ma anche uno sviluppo di autocoscienza egualitaria già latente da secoli nel popolo. Vedremo più avanti perché i bolscevichi riuscirono prima a fagocitare e poi a strozzare completamente il movimento dei consigli. Dopo il 1920 infatti essi degenerarono rapidamente in organi di controllo del potere comunista.
In Germania dopo il tentativo insurrezionale spartachista del novembre del 1918 (2) si formò ai primi del 1919 una repubblica dei consigli operai e contadini della Baviera. Ma la sua durata fu brevissima. Il primo maggio (!) le guardie bianche mandate dal governo socialdemocratico entravano a Monaco iniziando una strage feroce. Si calcola che solo in una settimana siano stati trucidati oltre duemila militanti rivoluzionari (3) quasi tutti anarchici e spartachisti. Questa repubblica dei consigli rappresentò il massimo sforzo del movimento rivoluzionario tedesco dopo la prima guerra mondiale.
In Italia i consigli furono un fenomeno legato soprattutto al movimento operaio del settentrione. Soprattutto a Torino si concretizzò con l'occupazione delle fabbriche, nel settembre del 1920. Il suo rifluire aprì la strada, come sappiamo, alla reazione fascista. Noi pensiamo che sia possibile identificare, pur nelle diverse situazioni storiche della Russia, Germania, Italia, alcuni caratteri di fondo che sono stati la ragione del fallimento comune. Passiamo ora comunque ad esaminare alcuni aspetti teorici dei consigli.

La Teoria dei consigli

L'idea base presente nello sviluppo teorico dei consigli è quella della autogestione. Storicamente essa si è articolata, sia in Russia, Germania, Italia, in due momenti distinti ma conseguenti. Il primo riguarda l'aspetto del "controllo operaio". Esso è un momento organizzativo che vive ed opera presente ancora l'economia di sfruttamento. Esse è stato formulato come garanzia "costituzionale" e la sua conquista ha delle analogie con le conquiste "democratiche" ottenute dalle masse popolari in tanti paesi d'Europa tra la fine dell'800 e i primi del 900. Così come esisteva una costituzione politica dentro la quale le classi sociali si facevano la guerra, così si ottenne la "costituzione" dentro la fabbrica tra il capitalista e i salariati. Questo "controllo operaio" rappresentava dunque solo una forma organizzativa di resistenza, di difesa mentre l'attacco completo allo sfruttamento umano iniziò quando si incominciarono ad organizzare i consigli.
I consigli dunque vennero concepiti come quella struttura capace di generare un processo globale di autogestione. L'idea del consiglio assume il suo vero aspetto originale rispetto alla lotta concepita dal punto di vista sindacalista. Infatti mentre il movimento sindacale si era sviluppato per organizzare gli sfruttati contro lo sfruttamento, formulando solo vagamente quali sarebbero state le strutture della società emancipata, (cooperative di produzione, di consumo ecc.), i consigli organizzarono gli sfruttati non più contro lo sfruttamento, ma per costruire la società liberata da esso; quindi organi di costruzione la cui struttura doveva essere in embrione la forma dei nuovi rapporti economici e politici: struttura antigerarchica perché assembleare con deleghe di carattere solamente esecutivo e in qualunque momento revocabili. In Germania si teorizzò anche la rotazione per tutti di questo incarico (4). Veniva in questo modo allargata a tutti la responsabilità politica derivante dalla responsabilità della gestione tecnica della produzione.
L'unità della classe operaia, e in genere di tutte le masse sfruttate, assumeva ora un carattere tenace e omogeneo. Non era più l'appartenenza comune ad un sindacato o ad un partito o in genere ad un movimento politico che li teneva uniti, ma era il luogo di lavoro dove gli sfruttati, costruendo nuovi rapporti economici, iniziavano contemporaneamente la costruzione anche di nuovi rapporti umani. Assumendo completamente in proprio la gestione completa delle forze produttive e sociali, gli sfruttati preparavano le premesse materiali per fare un salto di qualità. Esso consisteva nel passaggio immediato dalla figura sociale di salariato a quella autonoma di produttore. Veniva teorizzata non solamente la negazione della forza-lavoro come merce, ma implicitamente anche la negazione come funzione sociale-produttiva. Trasformando i salariati in produttori e trasformando a sua volta i produttori in individui sociali uguali dentro le strutture assembleari dei consigli, gli sfruttati potevano per la prima volta negarsi completamente come pura funzione esecutiva all'interno del processo produttivo.

Il rapporto di produzione

Questa, precisiamolo subito, timida tendenza veramente rivoluzionaria era stata teorizzata quasi solo dagli anarchici (5). Essa era un risultato quasi fortuito e il suo fenomeno ebbe una luce brevissima. Veniva espresso spontaneamente il tentativo di far saltare l'eterno rapporto di produzione presente in ogni società di sfruttamento. Esso si basa, come sappiamo tutti, sulla divisione gerarchica del lavoro: fonte inesauribile dell'organizzazione piramidale delle funzioni sociali-produttive e quindi delle classi. È certo che questa marcia verso l'emancipazione totale degli oppressi fu sono intravista all'interno del movimento dei consigli, sia perché non se ne ebbe il tempo, sia perché solo alcuni gruppi anarchici (6) cercarono di aprire un dibattito teorico accompagnandolo con qualche esperimento. Con i consigli ricompariva l'unità della lotta politica ed economica in un unico fronte: nel campo cioè dove il meccanismo dello sfruttamento trovava continuamente la forza per continuare a vivere. Veniva completamente recuperata la linea teorico-programmatica della prima internazionale e con essa il fecondo pensiero della rivoluzione libertaria ed egualitaria. La bandiera che dava conferma alla tesi rivoluzionaria di sempre, e che cioè l'emancipazione degli oppressi non poteva che essere opera degli stessi. Tutto questo comportava una organizzazione sociale produttiva in grado di avviare un vero processo di socializzazione.

La socializzazione

Con lo sviluppo del movimento consiliare il problema della socializzazione veniva centrato nel suo punto focale, aprendo così la via a una problematica ricchissima dei tempi e modi dell'emancipazione di tutti. I consigli aprivano implicitamente un dibattito teorico per un processo di socializzazione globale che superava l'antica antinomia tra produttori e consumatori presente in ogni società di sfruttamento. Infatti il sistema capitalista aveva sempre preteso di rappresentare fino ad allora; a) rispetto agli operai gli interessi dei consumatori, b) rispetto ai consumatori gli interessi degli operai in quanto produttori. (Notiamo per inciso che pur con forme diverse questo "antagonismo" fra produttori e consumatori è una caratteristica di ogni società basata sulla disuguaglianza e sullo sfruttamento). Cosa significava la socializzazione se non integrare le figure basilari in del produttore e consumatore in un'unica figura sociale ed economica? Attuare questa integrazione comportava dunque la costruzione della uguaglianza materiale di tutti. Socializzazione e uguaglianza materiale di tutti. Socializzazione e uguaglianza risultavano essere quindi due facce dello stesso problema: quello della emancipazione. Organizzare le strutture della produzione in modo egualitario perché la figura del produttore fosse così completa. Conoscendo, perché partecipe, tutto il ciclo della produzione, ogni produttore sapeva e poteva produrre con diversi e sempre più complessi strumenti. Questa progressiva libertà rispetto ai problemi complessi della produzione metteva la classe dei lavoratori manuali in grado di iniziare quella scalata graduale alla conoscenza tecnico-scientifica delle strutture produttive. Se dunque fino ad allora ogni individuo sociale consumava quanto la sua funzione produttiva gli permetteva di consumare, era evidente che gli sfruttati rompevano ora quella divisione di classe basata appunto sulla necessaria conseguenzialità: specifica funzione produttiva uguale consumo adeguato. L'abolizione delle classi passava dunque per il comunismo del sapere: solo così era possibile socializzare la ricchezza e le forze produttive. La teoria dei consigli, lo ripetiamo, non era arrivata ad affermare questo esplicitamente, ma oltre ai pochi anarchici che intravidero questo, essa ne apriva implicitamente un dibattito per una elaborazione futura. Veniva confermata così la tesi anarchica che solo la partecipazione di tutti, in egual misura, ai problemi sociali e produttivi, frantumava il potere dimostrando che non era assolutamente sufficiente abolire il capitalismo di per sé per realizzare il socialismo e la libertà.

Decentralizzazione

Dal 1917 al 1921 il movimento dei consigli risultò essere la punta più avanzata dello schieramento rivoluzionarie europeo. Proprio perché essi espressero non solo un mezzo generale di lotta, un insieme di metodi pratici di attacco allo sfruttamento umano, ma anche e soprattutto perché si indicarono, dentro questi stessi mezzi, delle strutture sociali e produttive alternative a tutto il sistema di sfruttamento. I consigli dunque non sono stati solamente tentativi spontanei con cui la classe dei lavoratori manuali, attraverso l'organizzazione autonoma delle proprie forze, cercò di gestire la produzione in modo non autoritario e socialistico, ma anche nello stesso tempo un mezzo e un fine coerente di lotta.
Ora, era evidente che i consigli una volta generalizzato questo processo di autogoverno, sviluppando in pari tempo una serie di strutture politiche sempre meno gerarchiche e autoritarie, si ponevano effettivamente come reale alternativa allo stato. La teoria dei consigli, una volta sviluppata in coerenza alla sua logica interna, comportava una generale decentralizzazione delle strutture produttive. La coerente trasformazione delle infrastrutture territoriali sarebbe stata sicuramente collegata alla deconcentrazione del potere. Per l'insieme di queste premesse la struttura economica e sociale del territorio basato sull'economia consiliare avrebbe comportato una forma politica pluralistica e federalista. Sarebbe stato l'avvio, insomma, di una pratica sociale aperta a diversi esperimenti rivoluzionari, così com'era stata teorizzata dal pensiero anarchico dalla prima internazionale in avanti. In questo ambito, dunque, era possibile evitare una pianificazione centralizzata dall'alto.
Il movimento consiliare fu quindi potenzialmente una vera alternativa all'organizzazione millenaria dello stato, dell'accentramento e del potere.

Il fallimento dei consigli

Vediamo ora perché a nostro avviso essi sono falliti. Cercheremo, come dicevamo sopra, di riscontrare obiettivamente delle caratteristiche fallimentari comuni presenti nei diversi fenomeni storici espressi dai consigli.
Sia in Russia, che in Germania e in Italia possiamo intanto osservare che il movimento consiliare fu portato avanti solamente da una parte del proletariato militante. Questa parte, specialmente in Italia e Germania, era una minoranza rispetto a tutto il movimento operaio. Il movimento dei consigli si espresse perciò storicamente quasi come un'avanguardia, e i collegamenti che esso seppe tenere con il resto del movimento operaio, furono il più delle volte frammentari, isolati e improvvisati. Con questo non intendiamo dire che il movimento dei consigli fu opera di militanti rivoluzionari la cui professione non era quella di operaio o contadino, ma solo di operai e contadini politicamente avanzati. Questo distacco politico, rispetto alla grande massa degli sfruttati, permise più facilmente alla controrivoluzione bolscevica in Russia e alla reazione borghese in Germania e Italia, di schiacciarlo sia sul piano economico, sia sul piano militare.
Un'altra ragione fondamentale del fallimento dei consigli risiede per noi nell'aver lasciato i problemi politici fuori dalla fabbrica, non riuscendo a concretizzare l'esigenza potenziale degli sfruttati della necessità di un autogoverno non solo economico ma anche politico. Il movimento dei consigli aveva teorizzato questa fondamentale unità e il suo fallimento sul piano pratico e dunque da imputarsi ad esso. Lasciando fuori dalla porta del luogo di lavoro i problemi politici, cioè vale a dire i problemi generali della vita sociale di tutti, aprì la possibilità, per esempio in Russia, al movimento bolscevico di gestire, attraverso la costruzione del potere, tutta la vita sociale.
Fu, questo, indubbiamente, uno dei motivi più importanti del fallimento della rivoluzione russa. Ma soprattutto la ragione fondamentale che fece fallire i consigli operai e contadini, è da riscontrare, a nostro avviso, nella contraddizione tra la struttura del movimento consigliare e la struttura sociale e produttiva "ereditata" dall'economia di sfruttamento. Infatti mentre il sistema di sfruttamento, rispetto alle sue unità produttive e ai suoi servizi sociali, aveva una sua coerenza, ora con l'avvento dei consigli questa coerenza viene a mancare. I consigli, essendo una struttura con esigenza politica rivoluzionaria, libertaria ed egualitaria, assumono sul piano dell'organizzazione una forma ovviamente inconciliabile con il sistema di sfruttamento. Questa insanabile sfasatura tra organizzazione rivoluzionaria da una parte e strutture produttive dall'altra, fu letale per il movimento.

Il monopolio del sapere

Non essendo state modificate le strutture produttive ciò significava che il loro principio vitale, cioè l'organizzazione gerarchica delle funzioni sociali-produttive, rimaneva tale e quale. Era evidente perciò che ogni lavoratore continuava ad occupare lo stesso posto e a svolgere la stessa funzione, che occupava e svolgeva nell'economia di sfruttamento. Si faceva esattamente l'opposto di quello che i consigli avevano teorizzato. Non si superava certo, in questo modo, il più rilevante ostacolo alla gestione operaia: la mancanza, da parte degli sfruttati, cioè dei lavoratori manuali, delle conoscenze tecnico-economiche per organizzare la produzione (e lo scambio). Che, badiamo bene, non era la produzione socialista, ma era sempre la produzione dell'economia di sfruttamento.
L'organizzazione gerarchica del lavoro trova il suo pilastro proprio nel monopolio, delle classi dirigenti, del sapere tecnico-scientifico inerente alle strutture produttive. Continuando a produrre in un certo modo inevitabilmente si continuava anche a perpetuare questo monopolio. Per cui i consigli da veicolo di liberazione degli oppressi diventarono, per ironia della sorte, delle nuove prigioni costruite da loro stessi. Tutto questo era possibile evitarlo se, contemporaneamente alla presa di possesso di certi apparati produttivi e sociali, si fosse iniziata la costruzione di nuovi organismi modellati proprio sulle esigenze "politiche" e tecniche espresse dai consigli. La libertà materiale di tutti i produttori e la loro uguaglianza rispetto al lavoro, poteva essere costruita solo dentro delle unità produttive fatte per questo scopo.

Potenzialità irrealizzata

Gli sfruttati insomma non riuscirono a tradurre sul piano operativo il gigantesco potenziale rivoluzionario che aveva permesso la teorizzazione dei consigli. Perché il movimento, come dicevamo prima, indicò quali enormi possibilità creative avrebbe potuto sprigionare, ma non fu all'altezza sul piano pratico proprio perché agli sfruttati mancavano le conoscenze tecnico-scientifiche necessarie.
Come scriveva la nostra compagna russa Emma Goldman, di cui riportiamo qui alcuni brani, questo fu per noi il motivo fondamentale del fallimento dei consigli che vale anche per l'Italia e la Germania. Scriveva infatti l'anarchica Goldman nel 1924 "... il proletariato non aveva né la conoscenza né la pratica necessaria a questo compito produttivo e fu necessario costituire la classe dei tecnici e dei dirigenti per la direzione della vita industriale. Ma questo errore non impedì a Lenin e al suo partito di commetterne un altro. I tecnici furono richiamati con delle condizioni tali che aumentarono l'antagonismo fra essi e il proletariato. Mentre i lavoratori manuali continuavano a morire di fame gli ingegneri, i periti industriali e i tecnici ricevettero dei lauti stipendi, dei privilegi sociali e delle migliori razioni. Essi divennero gli impiegati prediletti del nuovo stato sfruttatore i nuovi conduttori delle masse schiave". (7)

La nuova classe sfruttatrice

Era questo un sintomo eloquente dell'ascesa di una nuova classe privilegiata e sfruttatrice: la tecnoburocrazia. Questo mortale pericolo per i consigli fu avvertito molto lucidamente anche dagli anarchici tedeschi e durante la repubblica bavarese dei consigli si trovarono a sostenere gli stessi argomenti rispetto sia ai socialdemocratici che agli spartachisti. (8) In Italia gli anarchici che operavano nel movimento dei consigli avevano avvertito lo stesso pericolo, che non era quello di una vera e propria "degenerazione" dei consigli, ma del fatto che i consigli potevano diventare da organi di autogoverno locale a strumenti di controllo dello stato.
Scriveva il compagno Italo Garinei il 31 gennaio del 1920 nel giornale "Guerra di classe" organo dell'U.S.I. "... sono da respingersi primo la degenerazione riformista consistente nello spirito di collaborazionismo, facilissimo a svilupparsi nell'ambito d'azione delle Commissioni interne; negli adescamenti dello statalismo che già accenna ad occhieggiare verso le nuovissime situazioni operaie; secondo il dottrinarismo massimalista che si basa: sul cosidetto controllo della produzione, di dubbia efficacia finché domina la classe capitalistica e di applicazione pressoché impossibile finché le officine sono amministrate coi criteri della produzione borghese, sulla vagheggiata super-struttura politica presentata come parte integrante dei nuovi quadri della dittatura proletaria...". Questo voleva dire che non era possibile la costruzione di strutture libertarie ed egualitarie se si voleva partire dall'organizzazione del lavoro lasciata dal sistema di sfruttamento. Cioè la fabbrica con le sue esigenze tecniche organizzative espresse in modo che la stragrande maggioranza dei lavoratori occupati eseguissero un puro lavoro manuale riservando ad una minoranza il potere organizzativo e direttivo. Perché proprio dal luogo di lavoro, con la sua morfologia e il suo meccanismo era possibile costruire il tipo di società liberata dallo sfruttamento. Ma questo come dicevamo prima doveva essere attuato tramite una trasformazione dell'economia sulle basi teorizzate dai consigli.

Conclusione

I consigli ci hanno dimostrato, dunque, quanto sia difficile la crescita organizzativa della spontaneità e dell'autonomia proletaria. Ci hanno anche dimostrato che questa autonomia è rimasta prigioniera della sua costituzionale debolezza. Non perché essa lo sia in senso assoluto, ma perché rispetto alle strutture di sfruttamento essa non può dominarle. Ecco perché all'inizio di questo articolo abbiamo parlato del velleitarismo dei consigli. Perché per noi è velleitario pretendere di far funzionare in senso libertario ed egualitario un insieme di strutture produttive e di servizi sociali senza avere modificato la ragione del loro meccanismo di sfruttamento. E questa ragione primaria abbiamo visto che risiede nella fondamentale divisione del lavoro: la divisione del lavoro in intellettuale-direttivo da una parte, per i quadri della classe dirigente e in manuale-esecutivo per la stragrande maggioranza degli sfruttati. Su questa divisione sono costruite tutte le strutture produttive e tutti i servizi sociali di ogni società di sfruttamento.
I consigli sebbene implicitamente aprissero una problematica su questo nodo fondamentale della rivoluzione emancipatrice, operarono sul piano pratico nel senso opposto. Il motivo ci sembra di averlo descritto sufficientemente: l'autonomia proletaria può dunque crescere ed organizzarsi fuori solamente del luogo di lavoro. Solo in periodi rivoluzionari i consigli possono diventare dunque organi di liberazione, sempreché, ben inteso, essi operino per una trasformazione delle strutture produttive in senso antigerarchico contemporaneamente alla loro presa di possesso.
I consigli fallirono proprio perché essi organizzarono la somma del sapere di tutti i lavoratori manuali, non per un nuovo modo di produzione, ma per far funzionare quello lasciato dalla società di sfruttamento: era logico che questo sapere era ben lontano dalla capacità effettiva di far funzionare quel sistema. In Russia, dove non ci fu la reazione borghese, le fabbriche funzionarono sì, ma con l'aiuto dei tecnici e degli ingegneri, con il risultato di cambiare solo la forma dello sfruttamento.
I marxisti, che con il mito dell'operaismo nascondono completamente la vera soluzione del problema, non possono che dirci, al massimo, che i consigli sono "degenerati". Noi abbiamo visto invece che la rivoluzione degli sfruttati, cioè dei lavoratori manuali, non può avvenire fintantochè essi continueranno in eterno a muoversi sul piano sociale ed economico nello stesso identico modo in cui si muovevano durante il precedente sistema. La rivoluzione viene attuata dalla classe operaia e contadina quanto più gli operai e i contadini sono capaci di autoliberarsi dalle loro specifiche funzioni. Solo così è possibile fare l'ultima rivoluzione: perché sul suo moto nessuna nuova classe sfruttatrice possa costruire i presupposti di un nuovo privilegio. Ecco perché gli anarchici da cento anni si battono per la distruzione del potere e non per la sua conquista.

Mirko Roberti

(1) Vedi Volin "La rivoluzione sconosciuta" ed. Silva, 1970.
(2) Vedi Otto Grottewohl "La rivoluzione del 1918 in Germania. Ed. Rinascita, 1948.
(3) Vedi P. Werner "La repubblica bavarese dei consigli", ed. Libreria editrice del partito comunista d'Italia, 1922.
(4) Vedi a questo proposito le tesi di Müsham e Landauer. Del primo nel suo libro fondamentale "La liberazione della società dallo stato"; del secondo la raccolta dei suoi scritti a cura di Martin Buber "I sentieri in Utopia", Edizioni di Comunità, 1967.
(5) Anche "marxisti libertari" si occuparono, in modo molto confuso di questo argomento. Vedi per es. l'articolo: "la divisione del lavoro tra lavoro manuale e lavoro intellettuale e il socialismo" di Karl Korsch apparso nel marzo del 1919 ad Hannover sulla rivista "Der arbeiterrat". Anche Anton Pannekoek allievo del grande anarchico olandese Domela Nieuwenhuis scrisse qualche cosa a questo proposito sui consigli operai. Vedi "Organizzazione rivoluzionaria e consigli operai", ed. Feltrinelli, 1970.
(6) In Russia oltre alla teorizzazione si tentò qualche esperimento. Vedere Alexander Berkman "Prison memoirs of an anarchist", ed. Schocken Books, 1970 e " Kronstadt 1921" di Paul Avrich, edito dalla Princetoni University Press, 1970. Si veda inoltre il contributo teorico degli anarchici nella sessione del primo congresso panrusso dei comitati di fabbrica (20 ottobre 1917 a Pietrogrado): una piccolissima parte di questa relazione si trova in A. M. Pankratova "I consigli di fabbrica nella Russia del '17".
(7) Vedi "My further disillusionnementsin Russia ", ed . Doubleeday, Page and Co., New York, 1924.
(8) Vedi sempre P. Werner "La repubblica bavarese dei consigli", ed. Libreria editrice del partito comunista d'Italia, 1922.