Rivista Anarchica Online
L'esperienza storica dei consigli operai
di Mirko Roberti
L'articolo che segue è un modesto bilancio del movimento
consiliare così come si è espresso dal 1917
al 1921. Pur riconoscendo a questo movimento grandi meriti di originalità e autentiche proposte
rivoluzionarie, noi abbiamo concluso che il suo fallimento non fu dovuto a ragioni esterne, come
è stato
rappresentato dagli storici marxisti di ogni tendenza, ma a ragioni interne al movimento stesso. La causa
del fallimento per noi va ricercata pertanto non in quelle forze esterne ostili ad esso (pur non
sottovalutando il contributo di queste forze alla sua liquidazione), ma nella sua intrinseca natura
che,
rispetto ai fini proposti, era costituzionalmente troppo debole e in ultima analisi quasi velleitaria.
Le origini dei consigli
Quando ai primi del '900 in Francia prima ed in altri paesi poi, tramite alcuni gruppi anarchici
cominciarono a formarsi le prime organizzazioni sindacaliste rivoluzionarie ed anarco-sindacaliste,
basate
sull'azione diretta ed autonoma degli sfruttati, la seconda internazionale era al culmine del suo prestigio
e la sua influenza nefasta sulle masse popolari d'Europa rendeva difficile ogni crescita rivoluzionaria.
La
seconda internazionale, fredda e burocratica creatura della socialdemocrazia europea, andava
considerando nei suoi pomposi congressi come tendenze provocatorie i tentativi libertari di rimettere
tutta la gestione della lotta nelle mani stesse del proletariato, lotta non solo per l'azione diretta in senso
sindacale, ma anche per l'autogestione immediata delle forze produttive. Così, lentamente, tra
la forza
schiacciante della borghesia capitalistica da una parte e l'azione quotidiana di sabotaggio e di disfattismo
del "socialismo ufficiale" dall'altra, l'autonomia proletaria sorgeva faticosamente generando le prime
organizzazioni di base. Esse furono all'origine dei futuri comitati di fabbrica o, come si chiamarono
più
tardi, consigli operai. Questo movimento aveva uno sviluppo spontaneo e la sua
ragione consisteva nel porsi come alternativa
alle "tradizionali" organizzazioni sindacali e ponendosi fuori dalla tutela gerarchica e burocratica dei
sindacati e dei partiti, portò al risultato di fare emergere l'unità degli operai. Questa
unità non era dunque
artificiale perché trovava il suo cimento proprio nella lotta per la riappropriazione totale della
ricchezza
sociale. Non a caso l'unità operaia emerse con la sua fisionomia di classe nella ricerca per la
liberazione
dallo sfruttamento, proprio perché questa era una tendenza spontanea, cioè prodotta
dalla classe operaia
stessa e non dentro gli uffici del partito politico. Venivano a coincidere in questo senso, nel movimento
spontaneo e oggettivo, l'unità operaia e la volontà politica di autogoverno.
I consigli in Russia, Germania e Italia
Già nel 1905 (1) nella Russia zarista sono presenti i primi consigli operai. Essi sono
organizzazioni
illegali ma col passare del tempo vengono dapprima tollerati e poi riconosciuti. Grazie alla loro forza
spontanea e creatrice dal 1917 al 1920 essi dettero vita e impulso non solo alla autogestione dentro alle
fabbriche, ma allargarono il movimento alle campagne. Questa generale riappropriazione diretta della
ricchezza sociale da parte degli sfruttati russi, comportava non solo una grande crescita di
organizzazioni
a carattere libertario ma anche uno sviluppo di autocoscienza egualitaria già latente da secoli
nel popolo.
Vedremo più avanti perché i bolscevichi riuscirono prima a fagocitare e poi a strozzare
completamente
il movimento dei consigli. Dopo il 1920 infatti essi degenerarono rapidamente in organi di controllo del
potere comunista. In Germania dopo il tentativo insurrezionale spartachista del novembre del 1918
(2) si formò ai primi
del 1919 una repubblica dei consigli operai e contadini della Baviera. Ma la sua durata fu brevissima.
Il
primo maggio (!) le guardie bianche mandate dal governo socialdemocratico entravano
a Monaco
iniziando una strage feroce. Si calcola che solo in una settimana siano stati trucidati oltre duemila
militanti rivoluzionari (3) quasi tutti anarchici e spartachisti. Questa repubblica dei consigli
rappresentò
il massimo sforzo del movimento rivoluzionario tedesco dopo la prima guerra mondiale. In Italia
i consigli furono un fenomeno legato soprattutto al movimento operaio del settentrione.
Soprattutto a Torino si concretizzò con l'occupazione delle fabbriche, nel settembre del 1920.
Il suo
rifluire aprì la strada, come sappiamo, alla reazione fascista. Noi pensiamo che sia possibile
identificare,
pur nelle diverse situazioni storiche della Russia, Germania, Italia, alcuni caratteri di fondo che sono stati
la ragione del fallimento comune. Passiamo ora comunque ad esaminare alcuni aspetti teorici dei
consigli.
La Teoria dei consigli
L'idea base presente nello sviluppo teorico dei consigli è quella della autogestione.
Storicamente essa
si è articolata, sia in Russia, Germania, Italia, in due momenti distinti ma conseguenti. Il primo
riguarda
l'aspetto del "controllo operaio". Esso è un momento organizzativo che vive ed opera presente
ancora
l'economia di sfruttamento. Esse è stato formulato come garanzia "costituzionale" e la sua
conquista ha
delle analogie con le conquiste "democratiche" ottenute dalle masse popolari in tanti paesi d'Europa tra
la fine dell'800 e i primi del 900. Così come esisteva una costituzione politica dentro la quale
le classi
sociali si facevano la guerra, così si ottenne la "costituzione" dentro la fabbrica tra il capitalista
e i
salariati. Questo "controllo operaio" rappresentava dunque solo una forma organizzativa di resistenza,
di difesa mentre l'attacco completo allo sfruttamento umano iniziò quando si incominciarono
ad
organizzare i consigli. I consigli dunque vennero concepiti come quella struttura capace di generare
un processo globale di
autogestione. L'idea del consiglio assume il suo vero aspetto originale rispetto alla lotta concepita dal
punto di vista sindacalista. Infatti mentre il movimento sindacale si era sviluppato per organizzare gli
sfruttati contro lo sfruttamento, formulando solo vagamente quali sarebbero state le
strutture della
società emancipata, (cooperative di produzione, di consumo ecc.), i consigli organizzarono gli
sfruttati
non più contro lo sfruttamento, ma per costruire la società
liberata da esso; quindi organi di costruzione
la cui struttura doveva essere in embrione la forma dei nuovi rapporti economici e politici: struttura
antigerarchica perché assembleare con deleghe di carattere solamente esecutivo e in qualunque
momento
revocabili. In Germania si teorizzò anche la rotazione per tutti di questo incarico (4). Veniva
in questo
modo allargata a tutti la responsabilità politica derivante dalla responsabilità della
gestione tecnica della
produzione. L'unità della classe operaia, e in genere di tutte le masse sfruttate, assumeva
ora un carattere tenace e
omogeneo. Non era più l'appartenenza comune ad un sindacato o ad un partito o in genere ad
un
movimento politico che li teneva uniti, ma era il luogo di lavoro dove gli sfruttati, costruendo nuovi
rapporti economici, iniziavano contemporaneamente la costruzione anche di nuovi rapporti umani.
Assumendo completamente in proprio la gestione completa delle forze produttive e sociali, gli sfruttati
preparavano le premesse materiali per fare un salto di qualità. Esso consisteva nel passaggio
immediato
dalla figura sociale di salariato a quella autonoma di produttore. Veniva teorizzata non solamente la
negazione della forza-lavoro come merce, ma implicitamente anche la negazione come funzione
sociale-produttiva. Trasformando i salariati in produttori e trasformando a sua volta i produttori in
individui
sociali uguali dentro le strutture assembleari dei consigli, gli sfruttati potevano per la prima volta negarsi
completamente come pura funzione esecutiva all'interno del processo produttivo.
Il rapporto di produzione
Questa, precisiamolo subito, timida tendenza veramente rivoluzionaria era stata teorizzata quasi
solo
dagli anarchici (5). Essa era un risultato quasi fortuito e il suo fenomeno ebbe una luce brevissima.
Veniva espresso spontaneamente il tentativo di far saltare l'eterno rapporto di produzione presente in
ogni società di sfruttamento. Esso si basa, come sappiamo tutti, sulla divisione gerarchica del
lavoro:
fonte inesauribile dell'organizzazione piramidale delle funzioni sociali-produttive e quindi delle classi.
È certo che questa marcia verso l'emancipazione totale degli oppressi fu sono intravista
all'interno del
movimento dei consigli, sia perché non se ne ebbe il tempo, sia perché solo alcuni gruppi
anarchici (6)
cercarono di aprire un dibattito teorico accompagnandolo con qualche esperimento. Con i consigli
ricompariva l'unità della lotta politica ed economica in un unico fronte: nel campo cioè
dove il
meccanismo dello sfruttamento trovava continuamente la forza per continuare a vivere. Veniva
completamente recuperata la linea teorico-programmatica della prima internazionale e con essa il
fecondo pensiero della rivoluzione libertaria ed egualitaria. La bandiera che dava conferma alla tesi
rivoluzionaria di sempre, e che cioè l'emancipazione degli oppressi non poteva che essere opera
degli
stessi. Tutto questo comportava una organizzazione sociale produttiva in grado di avviare un vero
processo di socializzazione.
La socializzazione
Con lo sviluppo del movimento consiliare il problema della socializzazione veniva centrato nel suo
punto
focale, aprendo così la via a una problematica ricchissima dei tempi e modi dell'emancipazione
di tutti.
I consigli aprivano implicitamente un dibattito teorico per un processo di socializzazione globale che
superava l'antica antinomia tra produttori e consumatori presente in ogni società di
sfruttamento. Infatti
il sistema capitalista aveva sempre preteso di rappresentare fino ad allora; a) rispetto agli operai gli
interessi dei consumatori, b) rispetto ai consumatori gli interessi degli operai in quanto produttori.
(Notiamo per inciso che pur con forme diverse questo "antagonismo" fra produttori e consumatori
è una
caratteristica di ogni società basata sulla disuguaglianza e sullo sfruttamento). Cosa significava
la
socializzazione se non integrare le figure basilari in del produttore e consumatore in un'unica figura
sociale ed economica? Attuare questa integrazione comportava dunque la costruzione della uguaglianza
materiale di tutti. Socializzazione e uguaglianza materiale di tutti. Socializzazione e uguaglianza
risultavano essere quindi due facce dello stesso problema: quello della emancipazione. Organizzare le
strutture della produzione in modo egualitario perché la figura del produttore fosse così
completa.
Conoscendo, perché partecipe, tutto il ciclo della produzione, ogni produttore sapeva e poteva
produrre
con diversi e sempre più complessi strumenti. Questa progressiva libertà rispetto ai
problemi complessi
della produzione metteva la classe dei lavoratori manuali in grado di iniziare quella scalata graduale alla
conoscenza tecnico-scientifica delle strutture produttive. Se dunque fino ad allora ogni individuo sociale
consumava quanto la sua funzione produttiva gli permetteva di consumare, era evidente che gli sfruttati
rompevano ora quella divisione di classe basata appunto sulla necessaria conseguenzialità:
specifica
funzione produttiva uguale consumo adeguato. L'abolizione delle classi passava dunque per il
comunismo del sapere: solo così era possibile socializzare la ricchezza e le forze produttive. La
teoria
dei consigli, lo ripetiamo, non era arrivata ad affermare questo esplicitamente, ma oltre ai pochi
anarchici
che intravidero questo, essa ne apriva implicitamente un dibattito per una elaborazione
futura. Veniva
confermata così la tesi anarchica che solo la partecipazione di tutti, in egual
misura, ai problemi sociali
e produttivi, frantumava il potere dimostrando che non era assolutamente sufficiente abolire il
capitalismo di per sé per realizzare il socialismo e la libertà.
Decentralizzazione
Dal 1917 al 1921 il movimento dei consigli risultò essere la punta più avanzata dello
schieramento
rivoluzionarie europeo. Proprio perché essi espressero non solo un mezzo generale di lotta, un
insieme
di metodi pratici di attacco allo sfruttamento umano, ma anche e soprattutto perché si
indicarono, dentro
questi stessi mezzi, delle strutture sociali e produttive alternative a tutto il sistema di sfruttamento. I
consigli dunque non sono stati solamente tentativi spontanei con cui la classe dei lavoratori manuali,
attraverso l'organizzazione autonoma delle proprie forze, cercò di gestire la produzione in modo
non
autoritario e socialistico, ma anche nello stesso tempo un mezzo e un fine coerente di lotta. Ora,
era evidente che i consigli una volta generalizzato questo processo di autogoverno, sviluppando
in pari tempo una serie di strutture politiche sempre meno gerarchiche e autoritarie, si ponevano
effettivamente come reale alternativa allo stato. La teoria dei consigli, una volta sviluppata in coerenza
alla sua logica interna, comportava una generale decentralizzazione delle strutture produttive. La
coerente trasformazione delle infrastrutture territoriali sarebbe stata sicuramente collegata alla
deconcentrazione del potere. Per l'insieme di queste premesse la struttura economica e sociale del
territorio basato sull'economia consiliare avrebbe comportato una forma politica pluralistica e
federalista.
Sarebbe stato l'avvio, insomma, di una pratica sociale aperta a diversi esperimenti rivoluzionari,
così
com'era stata teorizzata dal pensiero anarchico dalla prima internazionale in avanti. In questo ambito,
dunque, era possibile evitare una pianificazione centralizzata dall'alto. Il movimento consiliare fu
quindi potenzialmente una vera alternativa all'organizzazione millenaria dello
stato, dell'accentramento e del potere.
Il fallimento dei consigli
Vediamo ora perché a nostro avviso essi sono falliti. Cercheremo, come dicevamo sopra,
di riscontrare
obiettivamente delle caratteristiche fallimentari comuni presenti nei diversi fenomeni storici espressi dai
consigli. Sia in Russia, che in Germania e in Italia possiamo intanto osservare che il movimento
consiliare fu
portato avanti solamente da una parte del proletariato militante. Questa parte, specialmente in Italia e
Germania, era una minoranza rispetto a tutto il movimento operaio. Il movimento dei consigli si espresse
perciò storicamente quasi come un'avanguardia, e i collegamenti che esso seppe
tenere con il resto del
movimento operaio, furono il più delle volte frammentari, isolati e improvvisati. Con questo non
intendiamo dire che il movimento dei consigli fu opera di militanti rivoluzionari la cui professione non
era quella di operaio o contadino, ma solo di operai e contadini politicamente avanzati. Questo distacco
politico, rispetto alla grande massa degli sfruttati, permise più facilmente alla controrivoluzione
bolscevica in Russia e alla reazione borghese in Germania e Italia, di schiacciarlo sia sul piano
economico, sia sul piano militare. Un'altra ragione fondamentale del fallimento dei consigli risiede
per noi nell'aver lasciato i problemi
politici fuori dalla fabbrica, non riuscendo a concretizzare l'esigenza potenziale degli sfruttati della
necessità di un autogoverno non solo economico ma anche politico. Il movimento dei consigli
aveva
teorizzato questa fondamentale unità e il suo fallimento sul piano pratico e dunque da imputarsi
ad esso.
Lasciando fuori dalla porta del luogo di lavoro i problemi politici, cioè vale a dire i problemi
generali
della vita sociale di tutti, aprì la possibilità, per esempio in Russia, al movimento
bolscevico di gestire,
attraverso la costruzione del potere, tutta la vita sociale. Fu, questo, indubbiamente, uno dei motivi
più importanti del fallimento della rivoluzione russa. Ma
soprattutto la ragione fondamentale che fece fallire i consigli operai e contadini, è da riscontrare,
a nostro
avviso, nella contraddizione tra la struttura del movimento consigliare e la struttura sociale e produttiva
"ereditata" dall'economia di sfruttamento. Infatti mentre il sistema di sfruttamento, rispetto alle sue
unità
produttive e ai suoi servizi sociali, aveva una sua coerenza, ora con l'avvento dei consigli questa
coerenza viene a mancare. I consigli, essendo una struttura con esigenza politica rivoluzionaria,
libertaria
ed egualitaria, assumono sul piano dell'organizzazione una forma ovviamente inconciliabile con il
sistema
di sfruttamento. Questa insanabile sfasatura tra organizzazione rivoluzionaria da una parte e strutture
produttive dall'altra, fu letale per il movimento.
Il monopolio del sapere
Non essendo state modificate le strutture produttive ciò significava che il loro principio
vitale, cioè
l'organizzazione gerarchica delle funzioni sociali-produttive, rimaneva tale e quale. Era evidente
perciò
che ogni lavoratore continuava ad occupare lo stesso posto e a svolgere la stessa funzione, che
occupava e svolgeva nell'economia di sfruttamento. Si faceva esattamente l'opposto di quello
che i
consigli avevano teorizzato. Non si superava certo, in questo modo, il più rilevante ostacolo alla
gestione
operaia: la mancanza, da parte degli sfruttati, cioè dei lavoratori manuali, delle conoscenze
tecnico-economiche per organizzare la produzione (e lo scambio). Che, badiamo bene, non era la
produzione
socialista, ma era sempre la produzione dell'economia di sfruttamento. L'organizzazione gerarchica
del lavoro trova il suo pilastro proprio nel monopolio, delle classi dirigenti,
del sapere tecnico-scientifico inerente alle strutture produttive. Continuando a produrre in un
certo
modo inevitabilmente si continuava anche a perpetuare questo monopolio. Per cui i consigli da
veicolo
di liberazione degli oppressi diventarono, per ironia della sorte, delle nuove prigioni costruite da loro
stessi. Tutto questo era possibile evitarlo se, contemporaneamente alla presa di possesso di certi apparati
produttivi e sociali, si fosse iniziata la costruzione di nuovi organismi modellati proprio
sulle esigenze
"politiche" e tecniche espresse dai consigli. La libertà materiale di tutti i produttori e la loro
uguaglianza
rispetto al lavoro, poteva essere costruita solo dentro delle unità produttive fatte per questo
scopo.
Potenzialità irrealizzata
Gli sfruttati insomma non riuscirono a tradurre sul piano operativo il gigantesco potenziale
rivoluzionario
che aveva permesso la teorizzazione dei consigli. Perché il movimento, come dicevamo
prima, indicò
quali enormi possibilità creative avrebbe potuto sprigionare, ma non fu all'altezza sul piano
pratico
proprio perché agli sfruttati mancavano le conoscenze tecnico-scientifiche necessarie. Come
scriveva la nostra compagna russa Emma Goldman, di cui riportiamo qui alcuni brani, questo fu
per noi il motivo fondamentale del fallimento dei consigli che vale anche per l'Italia e la Germania.
Scriveva infatti l'anarchica Goldman nel 1924 "... il proletariato non aveva né la conoscenza
né la pratica
necessaria a questo compito produttivo e fu necessario costituire la classe dei tecnici e dei dirigenti per
la direzione della vita industriale. Ma questo errore non impedì a Lenin e al suo partito di
commetterne
un altro. I tecnici furono richiamati con delle condizioni tali che aumentarono l'antagonismo fra essi e
il proletariato. Mentre i lavoratori manuali continuavano a morire di fame gli ingegneri, i periti industriali
e i tecnici ricevettero dei lauti stipendi, dei privilegi sociali e delle migliori razioni. Essi divennero gli
impiegati prediletti del nuovo stato sfruttatore i nuovi conduttori delle masse schiave". (7)
La nuova classe sfruttatrice
Era questo un sintomo eloquente dell'ascesa di una nuova classe privilegiata e sfruttatrice: la
tecnoburocrazia. Questo mortale pericolo per i consigli fu avvertito molto lucidamente anche dagli
anarchici tedeschi e durante la repubblica bavarese dei consigli si trovarono a sostenere gli stessi
argomenti rispetto sia ai socialdemocratici che agli spartachisti. (8) In Italia gli anarchici che operavano
nel movimento dei consigli avevano avvertito lo stesso pericolo, che non era quello di una vera e propria
"degenerazione" dei consigli, ma del fatto che i consigli potevano diventare da organi di autogoverno
locale a strumenti di controllo dello stato. Scriveva il compagno Italo Garinei il 31 gennaio del 1920
nel giornale "Guerra di classe" organo
dell'U.S.I. "... sono da respingersi primo la degenerazione riformista consistente nello spirito di
collaborazionismo, facilissimo a svilupparsi nell'ambito d'azione delle Commissioni interne; negli
adescamenti dello statalismo che già accenna ad occhieggiare verso le nuovissime situazioni
operaie;
secondo il dottrinarismo massimalista che si basa: sul cosidetto controllo della produzione, di
dubbia
efficacia finché domina la classe capitalistica e di applicazione pressoché impossibile
finché le officine
sono amministrate coi criteri della produzione borghese, sulla vagheggiata super-struttura
politica
presentata come parte integrante dei nuovi quadri della dittatura proletaria...". Questo voleva dire che
non era possibile la costruzione di strutture libertarie ed egualitarie se si voleva partire
dall'organizzazione del lavoro lasciata dal sistema di sfruttamento. Cioè la fabbrica con le sue
esigenze
tecniche organizzative espresse in modo che la stragrande maggioranza dei lavoratori occupati
eseguissero un puro lavoro manuale riservando ad una minoranza il potere organizzativo e direttivo.
Perché proprio dal luogo di lavoro, con la sua morfologia e il suo meccanismo era possibile
costruire
il tipo di società liberata dallo sfruttamento. Ma questo come dicevamo prima doveva essere
attuato
tramite una trasformazione dell'economia sulle basi teorizzate dai consigli.
Conclusione
I consigli ci hanno dimostrato, dunque, quanto sia difficile la crescita organizzativa
della spontaneità e
dell'autonomia proletaria. Ci hanno anche dimostrato che questa autonomia è rimasta prigioniera
della
sua costituzionale debolezza. Non perché essa lo sia in senso assoluto, ma
perché rispetto alle strutture
di sfruttamento essa non può dominarle. Ecco perché all'inizio di questo articolo
abbiamo parlato del
velleitarismo dei consigli. Perché per noi è velleitario pretendere di far funzionare in
senso libertario ed
egualitario un insieme di strutture produttive e di servizi sociali senza avere modificato la ragione del
loro meccanismo di sfruttamento. E questa ragione primaria abbiamo visto che risiede nella
fondamentale
divisione del lavoro: la divisione del lavoro in intellettuale-direttivo da una parte, per i quadri della classe
dirigente e in manuale-esecutivo per la stragrande maggioranza degli sfruttati. Su questa divisione sono
costruite tutte le strutture produttive e tutti i servizi sociali di ogni
società di sfruttamento. I consigli sebbene implicitamente aprissero una problematica su
questo nodo fondamentale della
rivoluzione emancipatrice, operarono sul piano pratico nel senso opposto. Il motivo ci sembra di averlo
descritto sufficientemente: l'autonomia proletaria può dunque crescere ed organizzarsi
fuori solamente
del luogo di lavoro. Solo in periodi rivoluzionari i consigli possono diventare dunque organi di
liberazione, sempreché, ben inteso, essi operino per una trasformazione delle strutture produttive
in
senso antigerarchico contemporaneamente alla loro presa di possesso. I consigli fallirono proprio
perché essi organizzarono la somma del sapere di tutti i lavoratori manuali,
non per un nuovo modo di produzione, ma per far funzionare quello lasciato dalla
società di
sfruttamento: era logico che questo sapere era ben lontano dalla capacità effettiva di far
funzionare quel
sistema. In Russia, dove non ci fu la reazione borghese, le fabbriche funzionarono sì, ma con
l'aiuto dei
tecnici e degli ingegneri, con il risultato di cambiare solo la forma dello sfruttamento. I marxisti, che
con il mito dell'operaismo nascondono completamente la vera soluzione del problema,
non possono che dirci, al massimo, che i consigli sono "degenerati". Noi abbiamo visto invece che la
rivoluzione degli sfruttati, cioè dei lavoratori manuali, non può avvenire
fintantochè essi continueranno
in eterno a muoversi sul piano sociale ed economico nello stesso identico modo in cui si muovevano
durante il precedente sistema. La rivoluzione viene attuata dalla classe operaia e contadina quanto
più
gli operai e i contadini sono capaci di autoliberarsi dalle loro specifiche funzioni. Solo così
è possibile
fare l'ultima rivoluzione: perché sul suo moto nessuna nuova classe sfruttatrice
possa costruire i
presupposti di un nuovo privilegio. Ecco perché gli anarchici da cento anni si battono per la
distruzione
del potere e non per la sua conquista.
Mirko Roberti
(1) Vedi Volin "La rivoluzione sconosciuta" ed. Silva, 1970. (2) Vedi Otto Grottewohl "La
rivoluzione del 1918 in Germania. Ed. Rinascita, 1948. (3) Vedi P. Werner "La repubblica bavarese
dei consigli", ed. Libreria editrice del partito comunista
d'Italia, 1922. (4) Vedi a questo proposito le tesi di Müsham e Landauer. Del primo nel suo
libro fondamentale "La
liberazione della società dallo stato"; del secondo la raccolta dei suoi scritti a cura di Martin
Buber "I
sentieri in Utopia", Edizioni di Comunità, 1967. (5) Anche "marxisti libertari" si
occuparono, in modo molto confuso di questo argomento. Vedi per es.
l'articolo: "la divisione del lavoro tra lavoro manuale e lavoro intellettuale e il socialismo" di Karl Korsch
apparso nel marzo del 1919 ad Hannover sulla rivista "Der arbeiterrat". Anche Anton Pannekoek allievo
del grande anarchico olandese Domela Nieuwenhuis scrisse qualche cosa a questo proposito sui consigli
operai. Vedi "Organizzazione rivoluzionaria e consigli operai", ed. Feltrinelli, 1970. (6) In Russia
oltre alla teorizzazione si tentò qualche esperimento. Vedere Alexander Berkman "Prison
memoirs of an anarchist", ed. Schocken Books, 1970 e " Kronstadt 1921" di Paul Avrich, edito dalla
Princetoni University Press, 1970. Si veda inoltre il contributo teorico degli anarchici nella sessione del
primo congresso panrusso dei comitati di fabbrica (20 ottobre 1917 a Pietrogrado): una piccolissima
parte di questa relazione si trova in A. M. Pankratova "I consigli di fabbrica nella Russia del
'17". (7) Vedi "My further disillusionnementsin Russia ", ed . Doubleeday, Page and Co., New
York, 1924. (8) Vedi sempre P. Werner "La repubblica bavarese dei consigli", ed. Libreria editrice
del partito
comunista d'Italia, 1922.
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