Rivista Anarchica Online
Signornò
di A. M. L.
L'obiezione politica di gruppo come mezzo di lotta rivoluzionaria.
A Roma il 20 febbraio in Piazza Navona si è svolta una
manifestazione nazionale anti-militarista in
sostegno di un gruppo di obiettori di coscienza, che hanno presentato in questa occasione la
dichiarazione collettiva di cui riportiamo quasi integralmente il testo.
Dichiarazione collettiva di obiezione di coscienza di: Roberto
Cicciomessere (Roma), Alberto Gardin (Padova), Valerio Minella (Bologna), Alerino Peila
(Torino), Gianni Rosa (Torino), Franco Suriano (Roma), Alberto Trevisan (Padova). "Ovunque,
in ogni momento della vita sociale, si tentano di imporre come valori fondamentali e
pregiudiziali, nella famiglia, nella scuola, nella fabbrica, negli uffici, nella organizzazione del cosiddetto
tempo libero, ordine e autorità. Per mantenere questo tipo d'"ordine
costituito" il potere si serve di una serie di strutture e strumenti che
sono o apertamente violenti e repressivi (polizia, magistratura, ricatto sul lavoro, ecc.) o che tendono
a creare un consenso attraverso il condizionamento ideologico, e l'imposizione di modelli di
comportamento funzionali alla logica del profitto (famiglia, scuola, chiesa, partiti, strumenti di
informazione, esercito, ecc.). Così strutture economiche e politiche che sono presentate
come necessarie e permanenti per
l'organizzazione sociale, ci vengono proposte e imposte come se fossero "al di sopra delle parti": sono
invece utilizzate per la conservazione del sistema. Per imporre all'uomo questa "civiltà"
l'esercito è strumento fondamentale.
Non serve per la difesa della "patria" Infatti l'ipotesi di impiego dell'esercito
italiano per la cosiddetta difesa dalle minacce esterne non è
realistica per questi motivi: 1) la divisione del mondo in blocchi contrapposti e l'inserimento
dell'Italia nella NATO fa sì che la difesa,
ovvero la paternalistica protezione in funzione degli interessi delle grandi potenze economiche, dei paesi
coperti dall'alleanza militare sia affidata non già agli eserciti nazionali ma per intero alla
macchina bellica
della potenza guida ovvero per l'Italia agli Stati Uniti; 2) gli eserciti tradizionali, le forze armate
italiane, non sono preparate ad affrontare una guerra moderna:
l'evolversi della tecnologia militare con il conseguente aumento vertiginoso del costo per armamenti,
l'esigenza delle grosse industrie belliche di produrre continuamente materiale sempre più
moderno e di
possedere mercati ai quali imporre il surplus della produzione consente solo alle potenze guida il
mantenimento di un esercito adeguato alle esigenze della guerra moderna.
Serve per la repressione Per questi motivi agli eserciti tradizionali è
affidato, nell'ambito delle alleanze militari - politico -
economiche, il compito della conservazione dello status quo, dell'addestramento per un impiego in
azioni
di antiguerriglia: in questo senso l'esercito assolve compiti che è giusto definire di polizia.
È addestrato per la controguerriglia e per il controllo politico L'esercito
italiano dispone quindi di un moderno armamento anti insurrezionale (armi leggere, carri
armati, aerei per l'attacco a bassa quota, elicotteri) di corpi speciali (parà, lagunari, battaglione
S. Marco)
e "armi" (carabinieri, P.S.) particolarmente addestrati alla controguerriglia (le "battute" che si svolgono
secondo i più moderni canoni di questo tipo di "guerra" in Sardegna alla caccia dei banditi che
per queste
ragioni vengono inventati o costruiti servono proprio in questa prospettiva), di una struttura diffusa
capillarmente nel territorio nazionale, con concentrazioni e caserme in particolare nelle grandi
città e
nelle fasce di sviluppo economico, di un enorme servizio di informazione e schedatura assolutamente
incontrollato e incontrollabile (SIFAR ora SID), di grossi stanziamenti per le armi di terra e in
particolare
per i Carabinieri (306 miliardi per il '72), ha così la possibilità di controllo su una grossa
fetta della
popolazione attiva (300 mila giovani ogni anno) che può almeno essere immobilizzata in
caserma,
completamente all'oscuro di quello che dovesse accadere al di fuori.
Come sacca di disoccupazione Inoltre l'occupazione periodica e continua di una
così larga parte della popolazione attiva fa sì che il
servizio militare sia una valvola di sicurezza per il sistema, una sacca di disoccupazione. Se infatti questa
massa di giovani non venisse arruolata andrebbe ad ingrossare le fila dei disoccupati e quindi
aumenterebbe sensibilmente la pressione sociale, con conseguenze non trascurabili sulla stabilità
del
sistema stesso.
Come strumento di crumiraggio Tra i compiti dell'esercito va ricordata la sua
funzione anti sciopero. Esso, sia per il numero che per la
specializzazione degli uomini di cui dispone (servizio comunicazioni telefoniche e telegrafiche; genio
ferrovieri; servizio sanitario; servizio trasporto pubblico) ha la possibilità di far funzionare con
una certa
regolarità importanti servizi sociali in occasione di scioperi generali, venendo così a
incidere
negativamente sulla capacità contrattuale dei lavoratori, tra la più completa indifferenza
dei sindacati.
Inoltre bisogna tenere presente la funzione "educativa" che l'esercito esplica nei confronti dei
giovani
di leva. Nei manuali in distribuzione alle reclute si parla di "formazione spirituale e psicologica", ma
questo in pratica si esprime con una totale negazione dei valori quali libertà, uguaglianza,
giustizia
sociale, cosa che conduce all'indifferenza, alla passività e alla rinuncia di ogni decisione
personale.
Attraverso il lavaggio del cervello per educare alla obbedienza cieca Infatti sotto
le armi non si parla di politica, non si può fare sciopero, è reato avanzare proteste
collettive,
le punizioni si scontano anche se ingiuste, non esiste libertà di informazione e di religione, in
sintesi non
sono nemmeno rispettati moltissimi articoli della costituzione. Così l'ambiente sotto la naja
educa al qualunquismo, al rispetto dell'autorità superiore, qualunque essa
sia: questo processo di spersonalizzazione si rivela con una vera e propria tecnica di lavaggio del
cervello. In questo modo i giovani, tornati alla vita civile, abituati al signorsì della caserma
continueranno ad
obbedire passivamente al "signor direttore", al "signor capufficio", al "signor preside", al "monsignor
vescovo" ecc. divenendo dei buoni servi del sistema.
È un furto ai danni del popolo Altro problema di grande portata sono le
spese militari che nel corso di 5 anni hanno avuto un
incremento di oltre 581 miliardi di lire, arrivando al bilancio previsto per il 1972 di 1.891 miliardi (circa
il 15% del bilancio nazionale) al quale si dovrebbero aggiungere altre voci che non vi sono comprese,
una delle quali quella riguardante il nostro contributo alla NATO, di cui si sa ben poco. Questa
notevolissima somma di denaro, oltre ad essere improduttiva per le masse popolari, che d'altra
parte la sostengono sulla loro pelle, e che invece hanno bisogno di opere e servizi sociali non ancora
assicurati, costituisce una occasione di sicuri guadagni per ristretti gruppi capitalisti.
L'utopia riformista della "sinistra" Ma in occasione di questa nostra scelta, di
questa azione politica che sempre più numerosi stiamo
portando avanti e promuovendo, dobbiamo precisare altri problemi che coinvolgono specificamente la
situazione italiana, il nostro esercito, i nostri partiti, la nostra condizione di militanti. Le forze
democratiche e popolari non fanno, da un ventennio, che ripetere vanamente d'essere favorevoli
all'utopia di un esercito democratico e repubblicano, alla sua riforma, senza ottenere altro che l'evidente
rafforzamento del suo carattere autoritario, delle tentazioni e delle espressioni militariste, della
"degenerazione" antipopolare del suo operato. Ben presto, di fronte alla cecità dell'l'attuale
classe
dirigente "democratica" le stesse gerarchie militari o i partiti che in parlamento esprimono l'ideologia
militarista, forniranno proposte di miglioramento, di modernizzazione, anche "democratizzazione" delle
forze armate perfettamente funzionali al ruolo che un esercito efficiente ha nella società.
Lotta di base per una legge che apra nuovi spazi di intervento pubblico Non
marginale è la volontà di imporre al Parlamento - che, ancora una volta sordo alle
esigenze della
società civile, non ha acquisito neppure quelle leggi che la socialdemocrazia, in tutto il mondo,
da tempo
ha fatto proprie -, l'approvazione di una legge che effettivamente riconosca il diritto civile all'obiezione
di coscienza. Il progetto che è stato approvato dal Senato e che solo la mobilitazione dei gruppi
antimilitaristi ha impedito che venisse definitivamente acquisita dalla Camera, è una legge truffa,
vergognosa per i partiti della sinistra che, con il loro silenzio, l'hanno sostanzialmente avallata, una legge
che serve esclusivamente, per riconoscere e punire severamente il reato di obiezione di coscienza.
L'obiettivo di una legge che riconosca per tutti e per ogni motivo l'obiezione di coscienza, che non
preveda commissioni di accertamento, che sottragga alla giurisdizione militare l'obiettore che compie
il servizio civile, che sancisca la detrazione delle spese del servizio civile dal bilancio della difesa,
è
quanto un antimilitarista, oggi, deve anche proporsi per l'acquisizione di strumenti che favoriscano la
crescita del movimento e di nuovi spazi di intervento politico. Questo primo obiettivo potrà
naturalmente
essere raggiunto non con patteggiamenti di vertice, ma con una lotta di base, autogestita, portata avanti
con strumenti libertari.
Altre forme di lotta all'esercito Ma anche altri modi e altre forme devono
competere alla lotta antimilitarista: la proposta che con il
nostro rifiuto di oggi facciamo a tutti i giovani che sono costretti ad avallare l'esistenza dell'esercito, non
può e non vuole fermarsi al solo appoggio di quanto stiamo facendo e alla semplice
testimonianza di una
volontà politica. Deve essere l'inizio di una mobilitazione popolare di sempre più
numerosi compagni in tutte le forme
attuabili contro una società che sempre più si sta militarizzando.
Obiezione di coscienza di massa come proposta di lotta alle strutture
autoritarie Oggi siamo ancora in pochi, domani dobbiamo essere in molti ad obiettare
all'esercito, a rifiutare il
signorsì, per meglio combattere e rifiutare l'ordine e l'autorità che in ogni momento della
vita i potenti
vorrebbero imporci come valori, come riflessi condizionati per meglio negarci il diritto alla
felicità, alla
possibilità di costruire una società fondata sull'uomo per l'uomo, senza sfruttati e
sfruttatori".
Questo è il secondo caso di obiezione collettiva all'Esercito; per quella dello scorso
anno erano stati
condannati e incarcerati 7 "obiettori politici". Con queste due obiezioni collettive è stato
compiuto un
salto qualitativo rispetto alle motivazioni etico-religiose prevalenti sin ora (anticipazioni di questo
salto qualitativo si sono avute negli anni scorsi, con alcune obiezioni politiche singole come quella
dell'anarchico Della Savia che nel 1965 motivò in termini nettamente rivoluzionari il suo rifiuto
di
indossare la divisa). L'Esercito fino ad ora era considerato unicamente come centro
di violenza, scuola di assassinio,
principale presupposto della guerra, ecc.; ora con le due ultime dichiarazioni si sta verificando la
necessità di affrontare il problema "Esercito" con un'analisi che ne faccia emergere le
implicazioni
socio-economiche. L'obiezione di coscienza non è più fine a se stessa.
Ma rappresenta uno dei tanti momenti della lotta
di classe; infatti l'obiettivo non è più solo una legge che legalizzi l'o.d.c. ma le
prospettive si allargano
alla ricerca della costruzione della società libertaria. Ora se anche rileviamo una sostanziale
unità di
vedute sull'analisi della funzione che l'Esercito esplica (repressione, contro-guerriglia, sacca di
disoccupazione, crumiraggio, lavaggio del cervello, ecc.) sentiamo tuttavia la carenza di questa analisi
che, secondo noi, dovrebbe essere orientata in senso più strettamente socio-economico per
definire
realmente la funzione dell'esercito nella società di sfruttamento. Sia per la carenza delle analisi
sia
per il retaggio della precedente tradizione legalistica sostenuta dai vecchi obiettori, sia per la
mancanza di un apporto di massa alla lotta anti-militarista, la posizione degli obiettori è
criticabile.
Cioè secondo noi, l'obiezione dovrebbero liberarsi da tutte le utopie legalitarie (credere che il
riconoscimento di una legge di sull'o.d.c. sia il primo passo verso l'eliminazione dell'esercito e che il
servizio civile non rappresenti una razionalizzazione dello stato) per proiettarsi in una dimensione di
rifiuto totale delle istituzioni. Tuttavia riconosciamo che attualmente non esiste una
reale base politica di massa che consenta di
portare l'o.d.c. verso una piattaforma di lotta più avanzata, e perciò riteniamo che in
questo momento
sia importante appoggiare anche questa forma di rifiuto, tenendone presente i
limiti. Speriamo con questo articolo di aprire un dibattito per ottenere dei contributi
critici e per sviluppare
l'analisi del problema.
A. M. L.
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