Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 1 nr. 6
estate 1971


Rivista Anarchica Online

Arsenio Lupin anarchico
di M. Dominici

La figura romanzesca dell'anarchico espropriatore Marius Jacob ispirò il personaggio letterario

Il nome di "anarchia" fa sui buoni borghesucci un effetto di ripulsa e di istintivo terrore, unito però ad un certo masochistico interesse, che affiora dai loro complessi di colpa latenti e si esplica in una sorta di "autopunizione", comune a molte sindromi nevrotiche. E poi, diciamolo, per quei poveri borghesucci "anarchia", oltre che bombe, sangue e caos generale vuol dire anche romanticismo, fedeltà fino alla morte all'ideale prediletto. Insomma, tutto ciò che generalmente - non per niente! - suol definirsi idealismo borghese mal digerito. E nel vedere alcuni individui che si comportano in modo sovversivo ma romantico, i buoni teneri borghesucci si sentono, nel loro profondo, tanto tanto anarchici, anche dalla loro poltrona o dalla loro autovettura o dalla loro scrivania. Tanto, cosa costa una volta tanto - specie se nessuno lo sa - sentirsi anarchici? Ed ecco che gli speculatori, sorretti dai pareri di psicologi luminari, vomitano a getto continuo libri, films, servizi speciali sugli anarchici e l'anarchia. E non da oggi: ricordate Arsenio Lupin? Fu l'eroe di una lunga e fortunata serie di romanzi dello scrittore francese Maurice Leblanc (1864-1941), il "ladro-gentiluomo" portato poi anche sugli schermi cinematografici. Anche se fra gli "studiosi" sono tuttora in corso accanite discussioni in proposito, di fatto il personaggio Lupin è modellato sulle imprese e le avventure di quel Marius Jacob, anarchico espropriatore, di cui logicamente non ha le "motivazioni ideologiche". Anzi, Arsenio Lupin vive numerose avventure "rosa" che mai Jacob passò, e che, ovviamente, hanno lo scopo di "addolcire" il personaggio, di farlo piacere ai lettori e ai frequentatori delle sale cinematografiche. Vediamo un po', però, chi era in realtà Marius Jacob, spoglio di ogni veste romanzesca e mistificatoria.

La gioventù avventurosa

Nato nel 1879 a Marsiglia, da padre alsaziano e madre provenzale, egli dimostrò sin da giovanissimo uno spiccato spirito d'avventura; leggeva Verne, di cui era appassionato ammiratore, e appena undicenne si imbarcò come mozzo sulla nave "Thibet". Abbandonatala presto per insofferenza alla ferrea disciplina che vi regnava, si imbarcò poi sull'"Alifax", su cui venne tra l'altro coinvolto in un naufragio. Passò quindi sull'"Armand-Behine" e tredicenne, raggiunse con essa il porto di Sidney, dove tuttavia disertò, dedicandosi poi, per sopravvivere, a varie attività, tra cui pare ci fosse il furto di fruste per cavalli e il lavoro di baby-sitter per foche. Ma Marius era inquieto, incapace di svolgere per lungo tempo attività così "normali", ed allora si reimbarcò su una nave che aveva la qualifica di "baleniera". In realtà, era una nave pirata, e, dopo aver assistito e forse partecipato ad alcune delle sue imprese, Marius al primo scalo la abbandonò (e fece bene, perché poco dopo i pirati furono tutti arrestati ed impiccati). Tornato in Francia, Marius riprese a navigare fino a sedici anni, quando si ammalò. Durante la lunga convalescenza divorò quanti libri gli capitavano, ed in particolare quelli che un amico (anarchico) gli procurava.
Leggendo sia i grandi teorici dell'anarchismo sia le imprese dei fautori dell'"azione diretta" e della "Propaganda coi fatti", divenne anarchico. Erano quelli i tempi degli attentatori famosi, quali Vaillant, Henry, Leahautier, Ravachol. Il movimento anarchico, furiosamente perseguitato ed isolato dalle masse, era caduto preda del miraggio dell'"azione diretta", dell'atto individuale vendicatore che spesso purtroppo era utile in realtà solo al potere e a chi lo deteneva, e cioè proprio a quelli contro cui era indirizzato. Lo spirito avventuroso di Jacob, neofita del movimento anarchico, lo portò subito a sostenere tale tipo di azione e a procurarsi un manualetto per bombaioli dilettanti ("L'indicatore anarchico"), per mettersi subito al lavoro, cioè alla bomba. Tuttavia, fu denunciato da uno spione mentre procedeva al prudente acquisto del materiale occorrente, arrestato e condannato a sei mesi. Scontata la condanna, cercò di trovare lavoro, ma la polizia glielo impedì, diffidando chiunque ad assumerlo. Gli sbirri lo invitarono allora a divenire un confidente; naturalmente rifiutò l'ignobile proposta, rimanendo disoccupato. Giunse così alla conclusione che ben più efficace della dinamite sarebbe stato contro la borghesia il colpirla nel suo punto debole, cioè nei suoi interessi economici, "derubandola" di quanto più denaro era possibile.

Illegalisti ed espropriatori

Era il cosiddetto "recupero" "l'espropriazione", la "ripresa individuale" (o "sociale", a seconda delle definizioni e dei punti di vista) professata dai fautori dell'"illegalità" in seno al movimento anarchico. Secondo alcuni, il "furto giustiziere" - che non era altro che la ripresa di quanto la borghesia aveva "legalmente" rapinato al popolo - minava il potere della borghesia sfidando le sue istituzioni, la indeboliva economicamente e contribuiva al sostentamento sia del "recuperatore individuale" sia delle organizzazioni anarchiche, sempre assillate da problemi finanziari. Inoltre, se preso, in tribunale l'"illegalista" aveva la possibilità di poter fare propaganda (non rischiando la morte inutilmente, come spesso gli attentatori alla dinamite), trasformandosi da accusato in accusatore. La questione dell'"illegalità" si pose in quel periodo a molti anarchici, che avevano capito la generale sterilità degli attentati individuali.
Dal 1881 (congresso anarchico di Londra) al 1894 (attentato di Caserio contro Sadi-Carnot) il movimento anarchico era stato preso nella spirale della "propaganda coi fatti". Dopo tale data, il movimento si divise in diverse posizioni, tutte però contrarie a tale tipo di azione. Una tendenza erano appunto gli "illegalisti" (che già nel 1879, a Parigi, con Faure e Reclus vedevano la validità ai fini rivoluzionari dell'attentato alla proprietà borghese, mentre Jean Grave vi si opponeva, rifiutandosi di "perpetuare il furto e la truffa che costituiscono l'essenza della società borghese"); altra corrente era quella anarco-sindacalista, la quale propugnava un movimento anarchico di massa con l'entrata dei libertari nei sindacati, che ritenevano strumento in grado di far raggiungere gli scopi rivoluzionari (come avrebbero sostenuto Pouget e Monatte nel 1907 al congresso di Amsterdam); c'era infine la linea "pura", sostenuta da Errico Malatesta anche ad Amsterdam, che voleva un movimento anarchico coerente alle sue origini e tradizioni politiche.

Jacob al lavoro

Ma torniamo a Jacob: la sua prima impresa di "recupero" egli la compì il 1° aprile del 1897, e fu come un colossale pesce d'Aprile: andarono in quattro, tutti anarchici travestiti da poliziotti, a "perquisire" (con tanto di mandato falso) un magazzino di un trafficante piuttosto losco. Questi, forse per la coscienza sporca, ci cascò, e così gli "sequestrarono" tutto il magazzino. Poi, oltre al danno, si ebbe pure la beffa, perché, mentre i compagni portavano al sicuro il pingue bottino, Jacob portò personalmente il malcapitato al Palazzo di Giustizia, "per essere interrogato", e lì lo abbandonò in una sala d'attesa, dileguandosi rapidamente. Il trafficante, trovato da un usciere, fu nel dubbio consegnato a un magistrato di passaggio il quale, pur non sapendo niente di lui, trovandosi a sua volta nell'incertezza, lo fece imprigionare. Quando la verità venne a galla, Jacob e compagni si stavano godendo, in luogo sicuro, i frutti della loro fatica. Il nostro decise quindi di passare in Spagna, dove aveva progettato un "colpo" fantastico: si trattava nientemeno che di trafugare il tesoro favoloso del santuario di San Giacomo di Compostella, complice l'"alcade" (sindaco) del paese, che era simpatizzante anarchico. Ma le figlie di questi, nonostante si professassero a loro volta anarchiche, si opposero al progetto e minacciarono di denunciare Jacob e i compagni. Così, dovettero rinunciare al bottino (tra cui c'era anche una stato d'oro massiccio di 400 chili) e rientrare in Francia. Dopo altre imprese, Jacob riuscì, da solo, ad asportare dal casinò di Montecarlo, con l'appoggio "indiretto" di un complice occasionale, un grande numero di "fiches" di valore. Ma l'"appoggio" si dileguò coi quattrini, e Jacob vanamente lo inseguì fino in Sicilia, ove lo trovò ucciso in seguito ad una vendetta.

Jacob colpisce ancora

Ritornato in Francia, fu arrestato per una spiata riguardante la sua prima impresa; condannato a cinque anni, Jacob si finse pazzo dicendosi vittima di una persecuzione da parte dei Gesuiti e riuscì a farsi trasferire dalla prigione al manicomio di Aix-en-Provence, da cui poco dopo evase, con l'aiuto di un infermiere anarchico e dei suoi amici da fuori. Riconquistata la libertà, Jacob pensò allora a ricostituire la sua banda, scegliendo accuratamente solo anarchici convinti, e si prese un po' di "riposo" a Sète, prima di riprendere. Ora era ben deciso a rimanere uccel di bosco, anche a costo di sparare, per evitare la cattura. In effetti, in seguito Jacob sparò diverse volte sui poliziotti che lo braccavano da presso, ma cercò sempre di evitare di farlo: lo fece solo quando si trovò proprio alle strette, e - pare - mai per primo. Dunque, l'"Indomabile" (aveva ormai questo soprannome) si rimise all'opera. E "lavorò" davvero sodo. Dal 1900 al 1903 sembra che abbia compiuto coi suoi "lavoratori della notte" (altro soprannome che presto sarebbe divenuto leggendario) ben 156 azioni (al processo, però, ne confessò solo 106), studiando scientificamente i vari tipi di cassaforte, istituendo addirittura tattiche di furto nuove (per esempio, sostituì ai tradizionali "pali" dei rospi i quali all'approssimarsi di qualcuno smettevano di gracidare dando così l'allarme ai ladri), travestendosi di sovente per mettere a segno i colpi (e molte volte da prete, per il suo innato senso dell'umorismo). Colpì con le sue azioni giudici, ecclesiastici, ricchi borghesi, finanzieri e nobilastri, e si vantava di derubare solo "persone improduttive e parassiti". Mai toccò gli averi di artisti, medici, scrittori e uomini di scienza, di cui aveva considerazione. Una volta entrò nella casa dello scrittore Pierre Loti per mettere a segno un "colpo", ma, accortosi di chi era il proprietario dell'edificio, se ne andò senza prendere nulla. Pare che nel corso della sua "attività" abbia raccolto qualcosa come 5 milioni di franchi oro in Francia, Italia, Spagna e Svizzera, di cui però il 10% versò a organizzazioni e giornali anarchici, per la propaganda. Nell'aprile 1903 fu catturato, ma di nuovo riuscì a fuggire.

La cattura e il processo

Era però il primo segno di una fine che sarebbe giunta nei primi mesi del 1905, presso Abbeville, dove Jacob compì la sua ultima impresa. Sfuggito ancora una volta rocambolescamente alla cattura, fu però raggiunto per la strada di Parigi da un'auto della polizia, e fermato per un banale controllo di documenti. Cercò di estrarre la pistola, ma il gesto lo tradì e così fu preso. Come altri, come gli svaligiatori anarchici Pini e Clement Duval, nel corso del processo non tralasciò occasione di fare propaganda anarchica; nel marzo 1905, alle Assise della Somme, disse: "Signori giurati, ora sapete chi sono: un ribelle che vive del prodotto dei suoi furti. Inoltre ho incendiato diverse case e ho difeso la mia libertà contro l'aggressione degli agenti del potere. Vi ho raccontato tutta la mia vita di lotta: la sottopongo come un problema alle vostre intelligenze. Non riconoscendo ad alcuno il diritto di giudicarmi, non imploro né perdono, né indulgenza. Disponete di me come volete; mandatemi al bagno penale o al patibolo, poco importa. E ancora: "Ho scassinato molti alloggi di preti. In tutti ho trovato una cassaforte, se non due o tre. Certo non contenevano aringhe affumicate! C'era dentro, è vero, la ceralacca, c'erano i francobolli, c'erano anche mucchi di denaro che gli imbecilli mandavano a Dio e che i porta-sottane si tenevano. Le chiese non sono altro che delle imprese commerciali. Sono richiami incessanti ai borsellini. Ed ecco i ciarlatani che osano chiamarmi ladro e che mi accusano! Ma io sono un buon diavolo. Non gliene voglio. Do loro la mia benedizione. Così sia". Poi, alle Assise di Loiret, il 30 luglio 1905: "I fornai fanno il pane, i muratori fanno le case... il Pubblico Ministero taglia le teste! Bel mestiere... Prima di sparire, ci tengo però a dirvi che vi odio e vi disprezzo. Voi siete i padroni, ma io non mi riconosco il diritto di giudicarmi!" Jacob fu magnifico: alternò battute di spirito (come quando rispose, al giudice che gli intimava di togliersi il cappello davanti alla Corte: "E perché? Forse che voi giudici non portate in testa la berretta?" a dichiarazioni di fede politica. "Cercherò di spiegarvi il perché delle mie azioni, disse, anche se sono sicuro che non arriverete mai a capirmi. Ogni giorno ci sono degli operai che crepano di fame. Moltissimi poveri trascinano la loro esistenza e crepano senza che nessuno pensi a loro. Una parte enorme del mondo vive nel buio, nel freddo, nella fame, nelle malattie e nella disperazione: io ho voluto essere il vendicatore di tutti costoro, ho fatto solo il mio dovere. Dovunque ho visto delle chiese, dei castelli, delle ville, vi sono entrato a riprendere un po' di quanto i loro proprietari avevano rubato! La società è marcia. E ne è prova il fatto che esistete voialtri, giudici e magistrati...".
In tutta la serie di processi che subì, Jacob tenne un comportamento esemplare, da vero anarchico; mai cercò di sminuire le proprie responsabilità di fronte a giudici che ricusava, non riconoscendogli alcun potere su di sé; anzi, riaffermò che aveva agito nel pieno dei diritti, perché non può che essere così, "quando coloro che producono tutto non hanno niente e quelli che non producono niente hanno tutto". L'8 marzo 1905 fu condannato all'ergastolo, al bagno penale di Cajenna, dove fu ospite "scomodo" per il suo coraggio e la sua saldezza interiore, che lo spingevano sempre a "piantar grane".

La fine

Grazie alla campagna di Albert Londres fu liberato nel 1928 e tornò in Francia, dove si mise a fare il venditore ambulante di maglierie. La guerra lo costrinse in ristrettezze, dato che si rifiutò sempre di fare lo speculatore sulla fame altrui. Ritiratosi a vivere in una casetta a Bois-Saint Denis, nel dipartimento dell'Indre, col coker "Negro" cui era affezionatissimo, pubblicò, nel 1948, "Ricordi di mezzo secolo", libro in cui narra le sue avventure, e condusse per alcuni anni una vita semplice e tranquilla. Poi, un sabato di fine agosto del 1954, decise di compiere l'ultima evasione: quella dalla vecchiaia (aveva ormai 75 anni) e dalla decadenza e dalle infermità che voleva evitare. Diede una festicciola ai ragazzini del paese e scrisse una lunga lettera ove il suo spirito ancora trovò occasione di esprimersi con battute allegre e quasi gioviali, accomiatandosi senza dolore dagli amici e da quanti lo amavano, e raccomandando loro di bere alla sua salute due litri di un ottimo vino rosé che aveva preparato a quello scopo e lasciato bene in vista. Poi, fece una iniezione di morfina al suo vecchio cane, si stese al suo fianco e a sua volta si iniettò, con suprema freddezza, la morte: l'"Indomabile" Marius Jacob non era più di questo mondo.

M. Dominici