Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 1 nr. 6
estate 1971


Rivista Anarchica Online

Il barone della lira
di Emilio Cipriano

Il programma dei padroni nella relazione del Governatore della Banca d'Italia

Il 31 maggio si tiene a Roma. Una rappresentazione noiosa nella forma, condotta con linguaggio da iniziati che però ha un enorme interesse per le forze determinanti del potere italiano.
È lo show di Guido Carli, Governatore della Banca d'Italia, conosciuto anche come "il Barone della Lira".
Nostro compito sarà quello di enucleare i punti di maggiore interesse del programma padronale enunciato da Carli per poter conoscere gli intenti degli sfruttatori e per tenerne conto anche nell'azione politica quotidiana.

La relazione di Carli

La relazione del Governatore della Banca d'Italia prende le mosse da una analisi della situazione finanziaria mondiale, con particolare riguardo al fenomeno più macroscopico di quest'ultimo anno: il decadimento della funzione del dollaro come moneta internazionale. È rilevante questa constatazione perché comporterà tutta una serie di scelte economiche impensabili fino a pochi anni fa.
La guerra nel Vietnam non rappresenta solo la sconfitta del più potente esercito del mondo, ma ha portato il sistema economico che lo sostiene ad un punto critico. Infatti la bilancia U.S.A. dei pagamenti con l'Estero si è chiusa con sempre maggiori disavanzi a causa dell'uscita di capitali sempre maggiori sia per sostenere la guerra sia per sostenere al potere governi fantoccio.
Risultato di questo processo inflazionistico è la diminuita competitività sui mercati internazionali dei prodotti americani per la semplice ragione che non risulta più conveniente come una volta per gli imprenditori U.S.A. vendere all'estero prodotti che al cambio ufficiale vengono pagati con valuta estera con differente potere d'acquisto essendo il dollaro una moneta inflazionata ma non svalutata.
Dopo aver pianto sull'economia degli Stati Uniti, il "Barone della Lira" passa quindi a versare ben più calde lacrime su quella italiana.
Inizia con il deplorare l'azione degli operai che vogliono sempre maggiori aumenti salariali e che così facendo mettono in crisi le imprese.
Il Governatore Carli precisa però che le difficoltà maggiori le incontrano le imprese di piccola o media dimensione, perché non essendo influenti sul mercato non riescono a trasferire sui prezzi i maggiori costi.
Questa constatazione apre per noi una serie di interrogativi molto importanti.
Le grandi imprese private, a partecipazione statale o statali (FIAT, PIRELLI, MONTEDISON, IRI, ENI, ecc.) riescono a trasferire sui prezzi tutti quegli aumenti e quelle perdite che subiscono dalle lotte operaie, dal che si arriva all'affermazione che sembrerebbe assurda a tutta prima ma che purtroppo contiene un'enorme verità: gli sfruttati in questo momento storico stanno inconsciamente facendo il gioco del grande padronato privato e della burocrazia statale.
Le medie imprese (per intenderci quelle con un numero di operai dalle 50 alle 300 unità circa) sono quelle che in questi anni affollano maggiormente gli elenchi delle procedure di fallimento.
Non ci prenderemo certo a cuore la sorte di questi sfruttatori a formato ridotto; la nostra preoccupazione è invece di riuscire a intaccare il potere dei grandi dell'economia italiana e fino ad ora le lotte operaie non ci sono riuscite.
D'altro canto Carli rivolge un'esortazione affinché la validità di rappresentanza dei sindacati venga mantenuta intatta al fine di poter inquadrare i lavoratori nell'ambito della programmazione come una componente non soggetta a sbalzi continui.
Partendo da questa analisi della realtà economica italiana il Governatore della Banca d'Italia arriva a formulare le sue proposte a breve termine per la ripresa produttiva:
a) fiscalizzazione di parte degli oneri sociali delle piccole e medie imprese, cioè sgravio dei contributi a carico degli imprenditori;
b) restituzione dell'I.G.E. sugli esborsi per investimenti industriali.
Accanto a queste proposte cardine (e che più che proposte appaiono direttive vincolanti tant'è che successivamente sono state incluse, sia pure parzialmente nel decreto-legge del 3 luglio 1971) ne abbiamo un'altra di estremo interesse. Carli critica l'eccessivo aumento della rendita edilizia (cioè gli affitti divenuti troppo elevati) come fenomeno di perturbazione della posizione di equilibrio. I fitti elevati - dice Carli - concorrono ad accentuare le richieste di aumenti salariali e di conseguenza a far rialzare i costi di produzione che, in ultima analisi, si riflettono in un aumento dei prezzi.
Carli, quindi, propone di estendere la proprietà degli alloggi ai lavoratori ma in maniera veramente curiosa: non più attraverso il possesso diretto dell'appartamento, bensì indirizzando i risparmi dei lavoratori all'acquisto di titoli mediante i quali si finanzieranno le nuove costruzioni.
Questa proposta è indicativa della linea di sviluppo dell'economia italiana: la statalizzazione.
Non difenderemo certo noi la proprietà privata (anche se nel caso di appartamenti ad uso diretto la proprietà non è certo di danno a nessuno) ma purtroppo scorgiamo in questa proposta il tentativo di ingannare una volta ancora gli sfruttati.
Non basta più fargli sudare quattro soldi risparmiati per prendere un appartamento, e sfuggire così alle grinfie dei padroni di casa, si vuole arrivare anche alla beffa di trasformare la proprietà diretta sul bene, e quindi esclusa dall'influenza dello Stato alla proprietà mediata attraverso la titolarità di un diritto.
Senza tener conto che per amministrare questi fondi si avrebbe una fioritura di burocrati d'ogni livello pronti a pascersi anche di questi denari strappati e lavoratori.
La GESCAL insegna.

Considerazioni e conclusioni

La situazione economico-sociale in Italia è estremamente complessa, presenta situazioni contraddittorie, realtà difficilmente analizzabili.
Il nostro è un momento di transizione nel quale i fenomeni sociali si sviluppano con grande intensità, stiamo assistendo alla morte di un modo di sfruttamento e alla nascita, purtroppo, di un altro.
Vagliando la realtà molto grossolanamente, (non è in questa sede che intendiamo fare un discorso esauriente e convincente sul fenomeno storico in atto), a livello operativo, si possono individuare le due grosse componenti dell'economia italiana: le forze capitalistiche contraddistinte dalla proprietà privata dei beni e le forze tecno-burocratiche portatrici del nuovo modo di sfruttamento del lavoro attraverso la posizione di potere occupata nella gerarchia aziendale e sociale.
In questo contesto - ripetiamo schematico - qual è la funzione della Banca d'Italia?
Pur essendo organo prettamente statale, pur essendo Carli un esempio tipico di burocrate da somme sfere, nondimeno la politica creditizia della Banca d'Italia assolve la funzione di mediazione tra il risparmio capitalistico e, soprattutto, piccolo-capitalistico con le esigenze dei grandi trusts a partecipazione statale.
Risulta quindi comprensibile l'aiuto offerto ai piccoli e medi imprenditori per salvare i loro profitti e metterli in condizione di attuare ancora la loro funzione sfruttatrice.
L'aiuto offerto non è però disinteressato. Mantenendo in vita questo tipo di aziende la Banca d'Italia fa un grande servizio agli oligopoli italiani che non sono ancora in grado di produrre quei beni e quei servizi indispensabili alla loro produzione e alle esigenze dei consumatori.
Bisognava quindi realizzare un programma economico che eliminasse dal mercato queste imprese a conduzione capitalistica in tempi lunghi al fine di permettere ai trusts di creare nel proprio seno quelle produzioni oggi in mano alle piccole imprese. Per di più questa politica economica crea i presupposti di una ingerenza dello Stato anche in quei settori che fino ad oggi avevano conservato una discreta autonomia nei confronti dello Stato-imprenditore.
Con i provvedimenti di salvataggio tutta un'estesa fascia di imprese viene a trovarsi alla mercè dello Stato che dispone dei loro destini elargendo o meno concessioni e sgravi.
Nessuno stupore se i maoistelli nostrani grideranno i loro slogans antitetici al nostro discorso, questi acceleratori dello sviluppo statale fanno il loro gioco, credono nello Stato e debbono credere che lo sfruttamento sia solo capitalistico o "revisionista". Noi anarchici lo Stato lo combattiamo come abbiamo combattuto e combattiamo lo sfruttamento capitalistico.
Bisogna però cercare di capire chi veramente sta dall'altra parte della barricata, per non sparare su chi sta già agonizzando per colpa del nuovo nemico degli sfruttati. Ed oggi il vero nemico è la tecno-burocrazia insediata nei luoghi principali del potere: lo Stato e gli oligopoli.
Questo Stato oggi applica una politica di intervento economico che con un'operazione non troppo dolorosa esautori definitivamente il potere capitalistico e che nel contempo freni le lotte operaie dando vigore ed importanza alle centrali sindacali inserendole nel processo decisorio della programmazione.

Emilio Cipriano