Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 1 nr. 4
maggio 1971


Rivista Anarchica Online

La rivoluzione degli studenti
a cura della Redazione

È un fatto indiscutibile che le scuole, universitarie e medie superiori, siano diventate in questi ultimi anni ciò che si suole chiamare il centro della contestazione al "sistema". Da esse è partita e parte tuttora una serie di attività (lotte politiche, indicazioni ideologiche, ecc.) che si presentano come rivoluzionarie.
Questo fatto ha indotto molti compagni a vedere negli studenti una categoria eversiva, naturale alleata degli sfruttati: la situazione oggettiva in cui gli studenti si verrebbero a trovare da un punto di vista sociale li spingerebbe inevitabilmente a porsi come genuina "classe" rivoluzionaria. Altri, invece, sostengono una tesi radicalmente opposta: le lotte studentesche non sarebbero altro che un aspetto della marcia verso il potere di una nuova classe dirigente. In tutte le società industriali avanzate lo sfruttamento cambia volto ed il privilegio dei "nuovi padroni" (i tecno-burocrati) si scontra con quello dei "vecchi-padroni" (la borghesia capitalistica). In tutte le strutture sociali vi è lotta fra vecchio e nuovo. Tanto più nella scuola, laddove si forma la base del privilegio tecno-burocratico, scoppiano le contraddizioni fra una vecchia impostazione che vuole produrre tecnici e dirigenti subordinati al servizio della borghesia e le esigenze degli studenti che già rifiutano il ruolo subordinato.
Su tale argomento, che appare di grande interesse, la redazione di "A" ha organizzato una tavola rotonda, che si è tenuta a Milano nel mese di marzo.

DIBATTITO SUL SIGNIFICATO DELLE LOTTE STUDENTESCHE

OTTO (studente, del gruppo libertario del politecnico).
La scuola, un tempo, era un'istituzione confacente all'autorità costituita, cui si accedeva mediante il censo. Oggi, invece, non avendo la lotta di classe uno sbocco rivoluzionario, la scuola serve come spinta alla razionalizzazione del capitale; siccome la lotta di classe non riesce a colpire i reali motivi su cui si basa lo sfruttamento, la scuola viene usata non più per la formazione di quadri dirigenti, bensì come serbatoio di forza-lavoro, che rimane disoccupata (scuola media) o sottoccupata (università). Mentre una piccola parte di universitari riesce a diventare, una volta fuori, qualcosa di simile ai managers americani, la maggior parte rimane invece in una situazione proletarizzata, a causa della parcellizzazione del lavoro e del rapporto contrattuale presente all'interno dell'azienda o della fabbrica.
A livello delle scuole medie questo fenomeno di proletarizzazione degli studenti è ancora più accentuato. Infatti la libera professione tende a scomparire in maniera totale (solo il 2% degli studenti dopo la scuola esercita la libera professione), e questo avviene sia ad Architettura, sia negli altri campi, come dimostrano le varie statistiche. Nell'edilizia, per esempio, il cantiere tende a non assumere più il libero professionista, ma grossi gruppi di persone, in cui ogni tecnico svolge sempre lo stesso lavoro e si avvicina alla posizione dell'operaio. Oggi, uno studente che esce dall'università non entra in fabbrica come dirigente, ma entra in una grossa azienda in cui svolge della manovalanza intellettuale. Il capitale ha bisogno di razionalizzarsi ed aumenta a dismisura il settore terziario per darsi un aspetto tecnocratico (paesi tipo U.S.A.); gerarchizza tutta la società, ma senza che nella gerarchia stessa vi siano salti di potere. Tutti i gradini hanno lo stesso potere, tranne il grande tecnocrate che sta in cima.

ROBERTO (insegnante, del gruppo Azione Anar-Nera).
Questa è una analisi più affermata che dimostrata. Bisogna in altre parole vedere se realmente la grande massa degli studenti universitari e medi svolge dopo la scuola lavori subordinati. Il problema dipende anche dal significato che si vuol dare al tipo di lavoro che lo studente è chiamato a svolgere. Che il lavoro del tecnico moderno sia molto diverso da quello del tecnico di 50 anni fa non vuol dire che si tratti di manovalanza tecnica; poiché, malgrado la parcellizzazione, il tecnico svolge comunque un lavoro più piacevole e più remunerativo di quello di un qualsiasi operaio. Lo studente impara oggi a svolgere un lavoro direttivo che è sì diverso da quello di 50 anni fa, ma è pur sempre un lavoro direttivo.

CESARE (operaio, dei gruppi anarchici Bandiera Nera).
Scusate se riporto indietro la discussione, ma non sono d'accordo sul termine "proletarizzazione". Perché allora bisognerebbe chiamare proletario anche il piccolo commerciante e la piccola borghesia. Per proletario non bisogna intendere solo chi non ha soldi, ma anche chi non ha conoscenze. Gli studenti finora hanno detto: "La scuola a tutti"; però i figli d'operai non hanno conoscenze, mentre gli studenti sono riusciti ad ottenere miglioramenti nella scuola, a loro beneficio, per sapere e potere di più. Tant'è vero che anche oggi gli studenti che dicono di voler comunicare con gli operai trovano un grande ostacolo nella diversità del linguaggio. Ad esempio io, quando qualche anno fa mi sono avvicinato agli anarchici ho impiegato molto tempo per capire che molti giovani studenti dicevano le stesse cose che dicevo io. Se gli studenti dunque vogliono essere rivoluzionari devono lottare con gli operai per l'accesso di tutti al sapere effettivo, portando avanti rivendicazioni non corporative, ma globali, perché gli operai non potranno mai studiare né farsi una cultura da autodidatti se continueranno a lavorare come bestie per otto ore al giorno; è chiaro che infatti la sera preferiranno andare a dormire.

GISBERTO (studente, del gruppo libertario del Politecnico).
È vero che il tecnico tende a fare lotte corporative, ma è anche vero che sono lotte patetiche, perché oggettivamente il capitalismo avanzato di oggi non lascia loro alcun potere. È vero che il tecnico tende ad elevarsi, ma così fa anche l'operaio. D'altronde l'apertura delle università ai figli di operai non si può fare in una società come questa; sono già aumentati figli di piccoli borghesi, ma quasi mancano in certe facoltà i figli di operai; lottare per la realizzazione di questo obiettivo è certamente rivoluzionario.

OTTO
La questione del linguaggio è vera e sono d'accordo anche sul fatto che gli studenti portano avanti lotte "false" che non sono certo quelle degli operai; ma se questo accade è solo per errori soggettivi che non hanno consentito loro di congiungersi con il proletariato. Di fatto, però, i tecnici sono oggettivamente dei proletari, anche se non lo sono ancora soggettivamente.

CESARE
Infatti lottano per avere più potere!

ROBERTO
Parlando della proletarizzazione dei tecnici si dimenticano due cose:
1) non si tiene conto della naturale tendenza al vittimismo dei tecnici stessi; il fatto che si lamentino che il loro lavoro è ripetitivo, inadeguato a quello che vorrebbero fare, non significa affatto che esso sia più sfruttato di altri, anzi è certamente più piacevole di quello manuale. In effetti, come ha appena detto Cesare, questa gente vuole più potere.
2) È abbastanza sicuro che la scuola sia oggi in un periodo di crisi, vale a dire che non c'è coerenza fra il tipo di preparazione che fornisce ed il tipo di lavoro che questa gente sarà chiamata a svolgere fuori dalla scuola. Ma è una crisi momentanea, che rientrerà non appena la scuola saprà adeguarsi alle indicazioni date dalla classe dirigente. Oggi il numero di persone che vanno a scuola è molto maggiore di quello di una volta. Questo significa che il minimo di istruzione necessaria per raggiungere funzioni direttive si è elevato. Oggi anche l'operaio deve fare la 5a elementare; si è dunque elevato il livello minimo di istruzione, ma si è elevato anche quello massimo: la distanza tra i due livelli è rimasta uguale a prima.

AMEDEO (assistente universitario, dei gruppi anarchici Bandiera Nera).
È necessario definire il termine "proletario". Proletario è divenuto oggi un termine estremamente ambiguo perché all'originario significato marxista socio-economico si sono aggiunte definizioni politiche e addirittura psicologiche. Alle definizioni teoriche si aggiunge poi l'uso (e l'abuso) che identifica spesso i termini proletario e lavoratore manuale, proletario e classe inferiore, proletario e rivoluzionario. Vediamo dunque di chiarire il termine se vogliamo intenderci. Il marxismo vede essenzialmente due classi sociali, la borghesia (detentrice dei capitali, cioè dei mezzi di produzione) ed il proletariato (che possiede e vende la sua forza lavoro). Queste, per i marxisti, sono le due classi protagoniste della storia contemporanea e gli altri strati sociali sono residui di forme sociali e modi di produzione superati. Così la "piccola borghesia" è destinata ad essere assorbita nel proletariato, a "proletarizzarsi". Ecco da dove è venuta questa teoria della proletarizzazione degli studenti.
Ora, io innanzitutto non accetto la classica bipartizione marxista della società. La suddivisione della società in due classi è sempre frutto di una scelta arbitraria perché in realtà la società è stratificata gerarchicamente in una piramide di privilegio e di sfruttamento.
Tuttavia, in epoche storiche "statiche" essa può essere utile per comprendere a grandi linee i fenomeni sociali. In epoche "dinamiche", cioè di accelerate trasformazioni sociali, la suddivisione schematica in due classi può, al contrario, riuscire di impaccio o addirittura di impedimento alla comprensione dei fatti. Così l'ostinarsi a vedere le trasformazioni in atto da un secolo a questa parte esclusivamente in termini di lotta tra borghesi e proletari (una lotta il cui sbocco inevitabile sarebbe la rivoluzione socialista) ha impedito al movimento operaio di vedere che in realtà le sue lotte per l'eguaglianza e la libertà venivano strumentalizzate da una nuova classe di padroni, i tecno-burocrati, in ascesa verso il potere, di capire che in realtà la vera lotta di classe che sta scuotendo il mondo industriale avanzato è quella tra vecchi e nuovi padroni, tra vecchio e nuovo sfruttamento, tra capitalismo privato e "capitalismo di stato". L'ideologia marxista, con il suo dogma delle due classi, ha nascosto la realtà della ascesa di una nuova classe dirigente. Se è vero che una parte della piccola borghesia bottegaia va scomparendo è ben vero per contro che la "piccola borghesia" "impiegatizia", tecnica, burocratica, va acquistando sempre maggior potere.
I dirigenti non solo non sono proletari (secondo la definizione classica marxista lo sarebbero) ma neppure si proletarizzano. E gli studenti, futuri dirigenti tecnici, amministrativi e politici, non si proletarizzano. Certo, essi non si porranno, una volta laureati, al vertice della piramide sociale (ed è proprio questo che dà loro fastidio), ma a vari livelli intermedi, tra il vertice e la base.

OTTO
Non è vero; infatti lo studente non ha potere contrattuale nei confronti dello stato.

AMEDEO
Al contrario, perché lo stato è formato appunto da studenti usciti dalle università. In questo contesto, la scuola di oggi è inadeguata alle esigenze della nuova classe tecno-burocratica. Le scuole continuano a produrre dei tecnici con funzioni di potere intermedio, cioè dei dirigenti subordinati; ma mentre un tempo ciò era funzionale perché c'era chi stava sopra (capitalista/padrone), oggi non lo è perché questi è scomparso (o sta scomparendo) ed a lui si devono sostituire i tecnici, che sono inadeguatamente preparati. Otto parla di capitalismo avanzato; si può anche definirlo capitalismo di stato. Io preferisco parlare di feudalesimo industriale. Ma non facciamo questioni terminologiche, purché sia ben chiaro di cosa stiamo parlando. Il controllo della produzione è detenuto da una classe diversa da quella borghese "classica", e ciò dà origine ad un diverso sfruttamento e a diversi rapporti sociali; questa nuova società nasce dalla vecchia, ma non è più la vecchia società.

ALBERTO (architetto, del gruppo libertario del Politecnico).
Vorrei ritornare al punto centrale della discussione. Ammettiamo pure che dalla scuola, attraverso cicli di selezione, escano i futuri dirigenti; anche in questo caso, comunque, rimarrà sempre un enorme squilibrio tra i pochi che diventeranno realmente dirigenti e la grande massa degli studenti, che verrà immessa in ruoli direttivi intermedi. Anche in Italia esistono ormai scuole per dirigenti. Il peso dell'aumento della scolarizzazione grava tutto sulle famiglie, che se lo accollano perché credono di avere così la possibilità di aumentare il loro livello sociale, mentre ormai gli studenti non ci credono più.
Una volta la classe impiegatizia partecipava al potere a livello decisionale; oggi vediamo che al suo interno ci sono due tipi di ruoli differenziati, uno manageriale che si è molto dilatato, l'altro, formato dalla maggior parte degli impiegati, di tipo puramente esecutivo. Questo ha portato a delle manifestazioni di presa di coscienza da parte della classe impiegatizia, che si sente sempre più affine alla classe operaia. È ben vero che questa sua reazione è dovuta alla diminuzione dei suoi privilegi, ma questo non sposta la sostanza del problema. Nella massa degli studenti quelli che vanno ad occupare ruoli dirigenziali sono anche quelli già predestinati per il ceto, ecc.

ROBERTO
Continuo a dire che con questi ragionamenti si scambia la momentanea inadeguatezza della scuola con un suo stato permanente di crisi. Già oggi si delineano i primi sintomi della trasformazione della scuola verso forme più efficienti.

CESARE
Domani ci sarà l'università per i proletari ed una altra scuola per i dirigenti, ma la distanza rimarrà la stessa.

GISBERTO
La scuola ha due tipi di funzioni: sfornare un tipo di tecnico ad alto livello ed un altro proletarizzato. Sul piano economico, da una parte ci sono le esigenze del capitale avanzato che ha bisogno di servizi, dall'altra una serie di piccole aziende che ha bisogno di tecnici proletarizzati quali quelli provenienti dagli istituti tecnici. Non è vero che il grosso capitale tenda ad assorbire le piccole aziende, perché esse forniscono al capitale servizi essenziali ed il capitale stesso le controlla di fatto sul mercato. Quanto al termine "proletarizzato", esso significa non avere nessun potere decisionale all'interno, avendo al massimo il ruolo di capo-guardiano; significa avere un potere contrattuale ridotto, essere quindi a livello dell'operaio. Che poi soggettivamente il tecnico si illuda e faccia delle lotte per riavere il potere che non ha più, non ha nessuna importanza, perché di fatto il tecnico è un proletario. Gli operai del settore secondario tendono sempre più a ridursi, poiché la società tende a sviluppare il suo settore terziario.

AMEDEO
Il problema, in ultima analisi, è quello di stabilire se gli studenti, come tali, sono una classe rivoluzionaria, come taluni compagni vanno dicendo. La mia risposta è no. Essi sono dei futuri tecnici, e nel loro ambito si forma la classe tecno-burocratica, nuova classe dirigente delle moderne società industriali. Quindi le loro lotte non possono che essere controrivoluzionarie, quale che ne sia l'aspetto esteriore.
Non nego che tra gli studenti ci siano tanti rivoluzionari in buona fede (ma erano egualitari in buona fede anche i giacobini che oggettivamente facevano la rivoluzione borghese). Non nego neppure (tutt'altro) che tra gli studenti possiamo trovare dei validi compagni. Ma ritengo risolutamente che come categoria gli studenti non possano che lottare per la difesa e il consolidamento (attraverso la razionalizzazione della scuola) del loro privilegio specifico: il monopolio di classe del sapere. Una certa dequalificazione della scuola e dei titoli ed il parallelo accesso di larghi strati di giovani alla scuola media superiore e - in misura minore - all'Università, significa solo che oggi ai padroni serve un grado maggiore di istruzione media e che si è dunque spostata in avanti la soglia di acquisizione del sapere socialmente significativo. Tutto questo non ha nulla a che vedere con la supposta "proletarizzazione".
A mio avviso, parlare di proletarizzazione degli studenti e indicare quindi gli studenti come categoria oggettivamente rivoluzionaria è non solo scientificamente errato, ma tatticamente pericoloso e strategicamente controrivoluzionario.