|  Sciamana & pittrice 
 Sono nata a Faenza nel 1963. Ho cominciato a dipingere a 12 
                  anni, autodidatta. A 23 mi sono diplomata in pittura presso 
                  lAccademia di Belle Arti di Firenze. Il mio percorso artistico 
                  è iniziato, come sempre avviene, con la copia dal vero 
                  e dalle opere esposte nei musei. Con tanto amore per la pittura 
                  medievale e rinascimentale toscana, innanzi tutto. Ho fatto 
                  molte mostre, collettive e personali, quindi ho maturato una 
                  certa esperienza sia dei luoghi espositivi che del rapporto 
                  con il pubblico. La pittura per vivere ha bisogno di alimentarsi: letture, viaggi, 
                  musica, rapporti con le persone, contatto con la natura reale 
                  e profondo sono essenziali per continuare a produrre arte. Lo 
                  dico, perché cè gente che crede che lartista 
                  viva sulle nuvole... in realtà larte ti mette i 
                  piedi in terra. Per produrre bisogna «sporcarsi» 
                  con la materia. Ed è indispensabile allenare la mente. 
                  Un mio professore amava paragonarla a una palestra dello spirito, 
                  diceva: «La pittura è fatta di soluzioni continue 
                  a problemi immaginari».
 Purtroppo in questa società la fantasia viene sempre 
                  di più delegata ai creativi pubblicitari, che ti plasmano 
                  il cervello facendoti credere che un telefonino ti rende la 
                  comunicazione libera o bastardate del genere. Da una parte la 
                  «fantasia trasgressiva» di questi signori, dallaltra 
                  vorrebbero una massa amorfa di gente pronta a consumare, molto 
                  «coi piedi per terra» e in definitiva, molto alienata.
 In questo periodo, ma era un amore latente di sempre, mi appassiono 
                  di antropologia. I «viaggi» (quelli reali potrò 
                  permettermeli solo fra qualche anno) mi portano ad accarezzare 
                  posti remoti, in più la necessità di liberarmi 
                  è così forte nella vita, che si riflette nella 
                  pittura.
  
 I miei punti di riferimento in campo artistico, 
                  in questo momento sono anche i graffiti rupestri della Val Camonica 
                  o degli Aborigeni australiani, i tatuaggi delle donne Eschimesi 
                  e quei colori assoluti meravigliosi dellIslam: il turchese, 
                  il blu cobalto e loro. Larte erotica di ogni tempo 
                  e latitudine. E tante altre cose. Potrebbe sembrare banale, 
                  ora va di moda lo stile etnico, ma ero già orientata 
                  verso questi percorsi per la mia appartenenza, a quel miscuglio 
                  strano di profondo sud, di profondo nord e di profondo est che 
                  sono le mie radici antiche. Non credo che larte possa fare politica, inorridisco quando 
                  mi si parla di manifestazioni nelle quali larte fa da 
                  «cornice» alla politica (dalle parrocchie alla celebrazione 
                  dei regimi di ogni colore)... ma credo che possa esistere una 
                  dimensione politica del fare arte, se lartista è 
                  protagonista degli eventi esterni. Il suo agire sarà 
                  innanzi tutto influenzato come scelta dei soggetti, e quindi 
                  lascerà che le sue opere parlino di fatti di cronaca 
                  (come lomicidio di Carlo Giuliani) o di importanti emergenze 
                  (come la salvezza delle foreste pluviali o i diritti dei popoli 
                  nativi americani). Ma soprattutto dedicherà attenzione 
                  al suo rapporto con il pubblico, eviterà quando è 
                  possibile mediazioni istituzionali, preferendo una comunicazione 
                  diretta spontanea; sarà selettivo nella scelta dei luoghi 
                  dove esporre e degli eventi a cui partecipare. Rifiuterà 
                  la commedia feticista delle aste televisive o dei cataloghi 
                  a pagamento. Preferirà le strade, le piazze, i centri 
                  sociali, le case del popolo, i circoli culturali affini con 
                  la propria sensibilità e tutti i luoghi popolari... Baratto 
                  e libero scambio con altri artisti. Gratuità e dono nel 
                  caso dellarte postale.
 Larte libera è sempre anarchica, qualsiasi soggetto 
                  scelga per le sue espressioni.
 
 «Sciamana & Pittrice» è 
                  dedicata alle donne. Agli occhi profondi delle donne, alla loro 
                  sensitività-sensualità, alla loro creatività 
                  sotterranea, talvolta purtroppo sotterrata... alle streghe di 
                  ogni epoca bruciate sul rogo... ad Artemisia Gentileschi che 
                  fa parlare la spada di Giuditta che taglia la gola di Oloferne... 
                  a coloro che, come scritto in: Donne che corrono coi lupi 
                  (non ricordo a memoria il nome dellautrice, perché 
                  il libro me lhanno fregato), riscoprono il loro lato selvaggio 
                  e ascoltano il loro istinto primitivo. Mi emozionai moltissimo qualche tempo fa, quando guardando un 
                  documentario sui popoli della Siberia, vidi una sciamana che 
                  aveva il mio volto. Era stata portata insieme a tutta la sua 
                  famiglia in un campo di lavoro, torturata, «rieducata», 
                  le era stato impedito di fare esercizio della sua magia. Eppure, 
                  nonostante la sua età avanzata e le ferite inflitte dagli 
                  scagnozzi di quel regime, dimostrava al massimo 30 anni ed esprimeva 
                  una forza grandissima. Disse semplicemente che non avrebbe potuto 
                  fare altro, che seguire il suo istinto e fare ciò che 
                  avevano sempre fatto i suoi antenati. Nessuno al mondo avrebbe 
                  potuto ricondurla ad una vita allinsegna del «produci 
                  consuma crepa». E soprattutto, nessuno avrebbe potuto 
                  spegnere la fiamma magica che ardeva in lei.
 Ho scelto di esporre nella Galleria D.E.A. (sta per Didattica 
                  Espressione Ambiente) che è una galleria atipica: non 
                  rispecchia la logica mercantile perpetuata dalla maggior parte 
                  delle gallerie, anche perché non è una vera e 
                  propria galleria ma un centro socioculturale che da molti anni 
                  opera nel comprensorio fiorentino con mostre fotografiche, videoproiezioni, 
                  stage teatrali, corsi di vario genere, hanno un loro giornale 
                  e un loro sito Internet (www.deapress.it).
 
 «Sciamana & Pittrice», Galleria 
                  D.E.A., Borgo Pinti, 42/R - Firenze, dal 1 al 15 ottobre 2003. 
                  Insieme alla mostra di pittura, ci saranno varie iniziative, 
                  mail art «Il bandito in bicicletta», presentazione 
                  del mio libro edito da Stampa Alternativa e altro per ricordare 
                  Horst Fantazzini. Tel. 055-2342238. E-mail: pattydiamante@interfree.it.  Patrizia Pralina Diamante (I due disegni e il dipinto sono dellautrice)
    Cantare un sogno non è mai un requiem 
 Il 13 e 14 giugno scorso a San Benedetto del Tronto ha avuto 
                  luogo la nona edizione del Festival Ferré. Una manifestazione 
                  anarcomusicale unica in Italia, sia per la dimensione europea 
                  determinata dal nome del grande autore-interprete, sia per i 
                  contenuti fortemente utopici che in quella sede hanno sempre 
                  trovato una trincea resistenziale inespugnabile, sia infine 
                  per leroismo stremato del suo organizzatore che in quasi 
                  dieci anni di proposizioni coraggiose e anomale è riuscito 
                  a ricucire la voragine culturale tra la Francia e il nostro 
                  paese da sempre divoratore bulimico del prodotto musicale commerciale 
                  americano attraverso una sistematica e invasiva imposizione 
                  mediatica ormai radicata nella manipolazione del gusto collettivo 
                  e sclerotizzata nel discernimento critico rimosso dalle multinazionali 
                  del suono planetario. Questo oblio voluto, questo cordone ombelicale 
                  tranciato, questo dissolvimento dei legami profondi con la cultura 
                  europea, non possono non essere che un disegno perverso per 
                  renderci omologati, uniformi ai superiori interessi industriali 
                  preventivi di quella parte del mondo che detta legge 
                  economica, militare, e di deforestazione etica.  
 Nel discorso dapertura ho voluto sottolineare come la 
                  nona edizione del Festival fosse, ancora una volta, un vero 
                  e proprio miracolo laico ad opera del suo fondatore e direttore 
                  artistico Giuseppe Gennai e di un gruppuscolo di volontari inesausti 
                  e fedeli. Il professore, meglio sarebbe dire un kamikaze della 
                  poesia in musica che si fa esplodere tra le note degli spartiti 
                  e i versi dei poeti, non può più raccogliere ogni 
                  anno i propri pezzi e ricostituirsi per le edizioni successive 
                  dal momento che i fondi necessari vengono sempre meno e gli 
                  artisti  famosi e no  si offrono al minimo storico 
                  delle loro esigenze. Questa manifestazione così apprezzata 
                  in tutte le altre regioni per lalta qualità delle 
                  sue scelte non gode della giusta attenzione da parte delle istituzioni 
                  locali. Solo la Provincia ha cercato di intervenire concretamente 
                  ma ancora a livelli insufficienti e il Comune quasi sventola 
                  bandiera bianca sotto forma di elemosina sconfortante. Gli sponsor 
                  privati, banche comprese, sono pressoché inesistenti 
                  o solo fievoli fiati marginali per rianimare un corpo culturale 
                  che avrebbe invece bisogno di un trapianto finanziario urgente. 
                  In ogni caso, per un senso di continuità speranzosa, 
                  ho pure sottolineato che questa edizione coincide con il decennale 
                  della scomparsa di Ferré dedicando le due serate anche 
                  ad altre figure fraterne che tanto abbiamo amato e verso le 
                  quali ci lega un sentimento di gratitudine: De André, 
                  Bindi, Gaetano, Tenco, Brel, Brassens, Barbara, Gainsbourg. 
                  Un popolo di scomparsi, si è vero, ma soprattutto un 
                  popolo di sognatori che ci aiutano a credere in orizzonti alternativi 
                  diversamente da quei vivi che governano il mondo e che il senso 
                  e il dissenso del sogno ce lo tolgono. Per questo i primi a 
                  salire sul palcoscenico sono stati Les Anarchistes 
                  un gruppo di Carrara a noi particolarmente caro che ha la sua 
                  scelta vocazionale nel riproporre le canzoni anarchiche storiche, 
                  un recupero adeguatamente rivisitato con sonorità moderne 
                  difficilmente codificabili e di straordinaria creatività 
                  e raffinatezza. Una ricerca veicolata da musicisti di altissimo 
                  rango coordinati da Nick Toscano. Di rara potenza le voci di 
                  Alessandro Danelli, Marco Rovelli e Cristina Alito che si sono 
                  miscelate in un impatto emotivo e rivendicativo suscitando ovazioni 
                  sismiche. È difficile trovare un gruppo così sublimemente 
                  impegnato sul versante utopico ma anche così stilisticamente 
                  autarchico e quindi inimitabile. Ricordiamo che ha già 
                  vinto la scorsa edizione del prestigioso Premio Piero Ciampi 
                  con il cd Figli di origine oscura. A fare da controcanto alla loro furia devastatrice è 
                  stato Lucio Matricardi  ventriloquo degli chansonniers 
                  francesi  e uno tra gli interpreti più accreditati 
                  di Ferré cui puntualmente ci riporta il tumulto, la frenesia 
                  dassoluto, lemotività viscerale. Questa volta, 
                  il pianista sul filo, ha dedicato le sue acrobazie tastieristiche 
                  e la sua originalissima cifra interpretativa a Serge Gainsbourg 
                  indimenticato autore della nouvelle vague della 
                  canzone francese, figura di trasgressore estremo, autentico 
                  poeta maudit della contemporaneità. Accompagnato 
                  da alcuni giovani talenti musicali, Matricardi ha eseguito due 
                  brani carichi dironia e passione riportando, come ogni 
                  anno, un successo personale che avrà un riscontro autonomo 
                  quando presto debutterà come cantautore.
 
 I Têtes de Bois in versione ridotta hanno presentato 
                  ledizione italiana di Pepée eseguita 
                  dal leader-voce Andrea Satta. Questa canzone fu scritta da Léo 
                  per la sua scimpanzé uccisa, dopo otto anni di vita in 
                  comune, dalla sua seconda moglie. Il brano, struggente e tragico, 
                  è un atto damore verso il mondo più candido 
                  e innocente che ci sia: quello degli animali cui Léo 
                  condivise gran parte della sua affettività. I Têtes 
                  de Bois vinsero lultimo Festival Tenco con un cd intitolato 
                  Ferré, lamore, la rivolta diffuso da 
                  Il Manifesto ottenendo un grande successo di critica 
                  e di pubblico. Nellultima parte della serata  direttamente 
                  evocata dalla nostra memoria  ecco salire sul palco una 
                  stella ancora palpitante di luce adolescenziale: Jane Birkin. 
                  Musa ispiratrice e compagna di Serge Gainsbourg ne ha rievocato 
                  il repertorio interpretando le sue canzoni con una grazia e 
                  una delicatezza incantevoli; zampilli di note in una voce soffiata 
                  nel vetro di Murano, emozioni pudiche tratteggiate come arabeschi 
                  nellaria. La magia della sua presenza e del suo modo così 
                  gentile di porgere il senso intimista di una canzone ha suscitato 
                  immediatamente nel pubblico una sorta dabbraccio affettivo 
                  ricambiato, da parte sua, con quel suo donarsi nelle parole 
                  senza veli allumana avventura dei sentimenti che suggella 
                  quello che Ferré definiva leternità 
                  dellistante. Maria Cecilia Ferré, figlia 
                  di Léo, ha consegnato la Targa Ferré a Serge Gainsbourg, 
                  un oggetto appositamente creato da Manuela Ferré, valente 
                  scultrice. La seconda serata sè aperta con il cantautore marchigiano 
                  Fulvio Silvestri che ha esordito con un cd dal titolo Tropparrobba 
                  e che al Festival ha presentato di Ferré una versione 
                  personalizzata di Cest extra e un brano di 
                  sua composizione. Unanima sofferta e sensibile che si 
                  sposa con una voce dal lamento strozzato e dallimprovvisa 
                  reattività risposa creando una combinazione tra suono 
                  e intenzione di grande efficacia evocativa. Un altro marchigiano, 
                  Carlo Bonanni, oltre a dei brani di Ferré, ha inteso 
                  rendere omaggio a Fabrizio De André, suo unico e totalizzante 
                  referente poetico-musicale. Bonanni, di professione medico cardiologo, 
                  ha scoperto probabilmente che come il malato autentico ha bisogno 
                  di un trapianto dorgano, così il malato immaginario 
                  (o dellimmaginario) ha bisogno di un trapianto poetico 
                  per sopravvivere in unepoca non epica (Ferré). 
                  Dopo aver cantato dei brani del Maestro si è addentrato 
                  nel mondo di Fabrizio con rigore e fedeltà creando in 
                  mezzora il senso di un viaggio che nessuno di noi ha dimenticato.
 Barbara è stata una grande autrice-interprete della canzone 
                  francese. Scomparsa pochi anni fa, la ricordo personalmente 
                  nello spettacolo Lily Passion con Gerard Depardieu 
                  al teatro Lirico di Milano nella stagione 87-88. 
                  Raffaella Benetti, autentica rivelazione del Festival Ferré, 
                  ha riproposto parte del suo repertorio da lei abilmente tradotto 
                  lasciandoci stupefatti per la sua maturità interpretativa 
                  e una voce di rara bellezza, limpida e ferma, che auspichiamo 
                  di sentire in più ampi panorami di comunicazione ma la 
                  sua scelta in direzione ostinata e contraria (De 
                  André) alla canzonetta nazional-popolare non le agevolerà 
                  il cammino e per questo le siamo solidali.
 
 Un discorso a parte merita il recital del grande Gino Paoli 
                  coadiuvato da bravissimi musicisti che lhanno seguito 
                  spesso a braccio nelle sue divagazioni esistenziali 
                  e improvvisazioni memorialistiche. Solitamente recintato 
                  nella pura esecuzione dei suoi brani immortali, Paoli si è 
                  aperto alla confidenza con il pubblico e alla pubblica confessione 
                  tessendo tra una canzone e laltra un ideale discorso itinerante 
                  che ha coinvolto anche la sua storia personale che è 
                  la storia della sua carriera artistica. Poche parole di congiunzione 
                  ogni volta hanno illuminato anfratti segreti, frammenti di un 
                  diario intimo, frasi lapidarie che racchiudevano significati 
                  morali, damicizia, damore. Tra versi recitati e 
                  improvvisi strappi cantati, Gino ci ha condotto in una dimensione 
                  atemporale fatta di sogni, attese, delusioni, introflettendosi 
                  e poi riflettendosi in quel grande canzoniere interiore collettivo 
                  che sono i sentimenti. Ma ha fatto di più. Quando, alla 
                  fine del recital, ha cantato tre canzoni di Ferré, tra 
                  cui Si tu ten vas e Avec le temps, 
                  ha riservato alla mitica Gli anarchici una sorpresa 
                  inaspettata. La canzone infatti termina dicendo sono gli 
                  anarchici
, ebbene Gino ha cambiato il finale cantando 
                  a piena gola siamo gli anarchici! Con un esito emotivo dirompente. Non è frequente  
                  come sappiamo  trovare in artisti famosi il coraggio di 
                  unappartenenza o almeno di una propensione utopica qualunque 
                  sia la dimensione individuale di tale tensione morale.
 Maria Ferré in persona ha consegnato poi a Gino Paoli 
                  la Targa del decennale Ferré. Segnaliamo tra gli osservatori 
                  professionali presenti al Festival, Enrico De Angelis, grande 
                  saggista e musicologo nonché direttore artistico del 
                  Festival Tenco. Speriamo di ritrovarci anche il prossimo anno 
                  perché cantare un sogno non è mai un requiem.
  Mauro Macario
    Festival del cinema africano
 Lultima edizione del Festival del Cinema Africano (la 
                  XIII, Milano, 24-30 marzo 2003) si è svolta nel periodo 
                  meno fortunato per la globalizzazione dei popoli, quella globalizzazione 
                  che vorrebbe le culture e le arti, le tradizioni e gli scambi, 
                  punti di forza dellumanità e non controllo e dominio 
                  di alcune nazioni sulle altre. Infatti, mai come negli ultimi 
                  mesi, la pace e la convivenza globale sono state messe in discussione 
                  e lincertezza di questi valori ha aleggiato, come era 
                  prevedibile, durante tutta la kermesse ritrovandosi, questultima, 
                  più che nelle edizioni precedenti, a riaffermare il valore 
                  e la ricchezza della diversità quasi avesse avvertito 
                  il peso di un compito differente, maggiore, da sostenere. Più 
                  specificamente, la proposta cinematografica, spesso di gran 
                  lunga superiore a quella che in genere lindustria del 
                  settore propina al pubblico, ha dato dimostrazione di abilità 
                  artistica, di spessore culturale e intellettuale, di poesia. 
                  Il festival è organizzato in concorso e quindi diviso 
                  in diverse sezioni: lungometraggi, cortometraggi, video; inoltre, 
                  per la prima volta, si è dato grande spazio al cinema 
                  danimazione. A partecipare non sono soltanto i film del 
                  continente nero e del sud del mondo ma anche le pellicole degli 
                  altri paesi, ovviamente, dalla specificità inerente. 
                  Non mancano nemmeno le grandi produzioni, comè 
                  avvenuto spesso nelle inaugurazioni, magari in anteprima nazionale; 
                  per esempio qualche anno fa è stato il caso del magnifico 
                  Beloved di Jonathan Demme, mai distribuito nei circuiti 
                  cinematografici. Ancora, in questa edizione, un altro capolavoro: 
                  La 25a ora di Spike Lee, anchesso in anteprima 
                  nazionale. Il regista afroamericano, si sa, si muove da sempre 
                  sulla sottile linea delle coscienze e questultimo film 
                  ne rappresenta forse la sua vetta più alta. Per capirci, 
                  già nelle prime immagini ci mostra la New New York con 
                  i due fasci luminosi al posto delle due torri e le sue rovine. 
                  Spike Lee racconta con grande forza una storia che ne riassume 
                  unaltra, più grande, che ha riguardato e che riguarda 
                  tutti rompendo inoltre (per primo) un accordo tacito che non 
                  voleva si mostrasse loffesa (e il dolore americano). Neanche 
                  Martin Scorsese aveva osato tanto in Gangs of New York. 
                  E poi tanti altri film, anche bellissimi, come Madame Brouette 
                  di Moussa Sene Absa, Leny Escudero, faim de mots di Mariette 
                  Monpierre, Africanized di Theo Eshetu, Bessie Head: 
                  a soul divided di Emily Mokoena-Mati, Rachida di 
                  Yamina Bachir-Chouikh, Poupées dargile di 
                  Nouri Bouzid
 a dimostrazione del grande fermento creativo 
                  di paesi come Bourkina Faso, Tunisia, Marocco, Nigeria, Mali, 
                  Mauritania, Guinea, Senegal, Egitto, Sudafrica
 Molto apprezzabili 
                  anche i film danimazione, tutti corti tranne qualche mediometraggio. 
                  Su tutti, in anteprima nazionale, un piccolo assaggio, di quattro 
                  minuti, di un autentico capolavoro recentemente proiettato per 
                  intero al festival di Cannes: The Legend of the Sky Kingdom 
                  di Roger Hawkins, il primo lungometraggio danimazione 
                  africano. Lidea viene dalla junk art, larte della 
                  cianfrusaglia, molto praticata nel continente nero dagli artisti 
                  di strada in cui qualsiasi tipo di oggetto o frammento buono 
                  per la spazzatura, è riciclato e trasformato in giocattolo. 
                  Usando poi la tecnica della junkmation, lanimazione della 
                  cianfrusaglia, si è realizzato un film originale, anzi, 
                  unico. Potrebbe ricordare Galline in fuga ma al posto 
                  delle scenografie realizzate con le più alte tecnologie 
                  da un team di 180 professionisti e con un budget di 42 milioni 
                  di dollari, i circa 15 giovani artisti di strada hanno realizzato 
                  manualmente i sofisticati scenari dellopera con migliaia 
                  di bottoni, lattine, palline e palloni, scatole di cartone, 
                  fili, vettovaglie, parti di biciclette o automobili... e con 
                  un budget totale di 300 mila dollari. Nelle cinematografie (e 
                  nelle civiltà) evolute, forse, qualcosa bisognerebbe 
                  rivedere
   Stefano Starace
    Pistole Taser
 La Commissione Tecnica della Polizia svizzera ha deciso: le 
                  polizie cantonali potranno usare la pistola Taser, unarma 
                  che spara una scarica elettrica di 50.000 volt. Molto critica 
                  Amnesty International. È meno pericolosa di una vera pistola, ha 
                  spiegato Peter Diethelm, responsabile del gruppo di lavoro sulle 
                  armi della Commissione Tecnica (SPTK), presentando la novità 
                  agli organi di stampa.
 La Taser è stata sperimentata dalla SPTK  lorgano 
                  consultivo intercantonale che ha il compito di valutare le armi 
                  impiegate dalle forze di polizia  con test in laboratorio 
                  per misurare la quantità di elettricità che un 
                  corpo umano può sopportare. Prove balistiche ne hanno 
                  appurato la distanza di applicazione: è efficace fino 
                  ad un massimo di 6 metri. Ora, per adottarla, i cantoni dovranno 
                  dotarsi di leggi e regolamenti specifici.
 Un elettrochoc. Con lo sparo, dalla canna della pistola Taser 
                  partono due cartucce, che si agganciano alla pelle o agli indumenti 
                  della persona colpita e, attraverso i fili sottili che le collegano 
                  allarma, trasmettono per cinque secondi una scarica elettrica 
                  di 50.000 volt.
 Si tratta di un piccolo elettrochoc, sufficiente a paralizzare 
                  il soggetto colpito, che cade immediatamente al suolo e spesso 
                  perde i sensi per alcuni secondi. Sul sito dellazienda 
                  americana che la produce ci sono i filmati dei test condotti 
                  su volontari: un grido di dolore squarcia laria, un corpo 
                  diventato immobile crolla a terra e dopo pochi secondi, lentamente, 
                  si rialza.
 Il marchio Taser è ben noto agli esperti del settore 
                  e comprende manganelli, pistole ed altri dispositivi per lelettrochoc.
 Strumenti di tortura, per Amnesty. Secondo Amnesty International 
                  dallinizio degli anni novanta, le Taser sono utilizzate 
                  in 76 Paesi, per lo più come strumenti di tortura. 
                  In alcuni stati americani sono usate per neutralizzare persone 
                  sospette o pericolose, che si oppongono allarresto o allidentificazione. 
                  Ed in questo senso lSPTK ne consiglia luso alle 
                  forze di polizia svizzere.
 Le Taser rientrano nella categoria delle cosiddette armi 
                  meno che letali, insieme alle pallottole di gomma e ai 
                  lacrimogeni, perché concepite come alternativa alluso 
                  di armi vere. Tuttavia: La pistola Taser non è 
                  esente da rischi, ha precisato lSPTK, citando la 
                  possibilità di ferite gravi agli occhi ed ammettendo 
                  di non conoscere leffetto che potrebbe avere unintensa 
                  scarica elettrica su una persona debole di cuore o una donna 
                  incinta.
 Dopo lannuncio della SPTK, la polizia di Basilea-campagna 
                  ha raccontato alla Basler Zeitung che le pistole 
                  Taser sono in dotazione dal gennaio 2003 al gruppo speciale 
                  dintervento Barracuda, che lha già usate 
                  una volta.
 Le polizie cantonali di Lucerna e Zurigo si sono dichiarate 
                  interessate ad adottarle e decideranno nelle prossime settimane 
                  quante acquistarne: una pistola costa circa 1.000 franchi. Il 
                  portavoce della polizia di Zurigo, Marco Cortesi, ha precisato 
                  al Tages-Anzeiger: Sarà sperimentata 
                  dai gruppi speciali di intervento, per il momento non pensiamo 
                  di usarla in manifestazioni di piazza. Scettico invece 
                  Laurent Krügel, comandante della polizia cantonale di Neuchâtel, 
                  che ha confidato al quotidiano Le Temps: Mi 
                  sconvolge lidea di 50.000 volt scaricati su un corpo umano.
  Serena Tirani
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