A bordo vasca/ 
                  Considerazioni di un istruttore di nuoto 
                Si parla spesso della figura dell'educatore all'interno della 
                  scuola o della famiglia, ma mai in relazione ad attività 
                  diverse, quali scuole di calcio o corsi di nuoto. Si fanno spesso 
                  analisi sulla scuola; essa, così com'è, non è 
                  altro che madre di futuri schiavi del lavoro e del consenso. 
                  Essendo istruttore di nuoto, vorrei addentrarmi dunque in questo 
                  settore per dimostrare come il sistema-scuola sia un sistema 
                  ben più ramificato. 
                  Da poco più di quattro anni insegno in una scuola nuoto 
                  genovese; ho scelto questo percorso perché sono cresciuto 
                  in piscina ed ero interessato ad insegnare ad altri lo sport 
                  che per anni ho praticato e sopratutto per lavorare con i bambini. 
                  Sapevo benissimo che insegnare nuoto non sarebbe stato facile, 
                  ma ciò che non avrei mai pensato di dover fare era di 
                  essere un punto di riferimento educativo dei bambini durante 
                  i miei corsi e sopratutto cominciare ad analizzarmi come figura 
                  pedagogica. 
                  I corsi nuoto sono così strutturati: vi è un maestro 
                  e vi è un alunno che deve imparare. Bisogna capire innanzitutto 
                  chi è l'istruttore, se svolge il proprio lavoro perché 
                  gli piace insegnare o per guadagnare due soldi, anche se purtroppo 
                  spesso è così. 
                  Questo deve insegnare a nuotare ai propri allievi, deve insegnare 
                  un qualcosa che non è naturale per i bambini. Spesso 
                  per svolgere questo suo compito egli fa ricorso all'autorità: 
                  impartisce un comando, l'allievo ubbidisce e copia il movimento 
                  che viene mostrato senza che ne capisca il motivo e l'utilità, 
                  con il minimo sforzo dell'insegnante. 
                  Una prima differenza di ruoli tra allievo e maestro la si ha 
                  con le relative posizioni, chi comanda è in piedi a bordo 
                  vasca e chi deve nuotare dentro l'acqua. Spesso si pensa che 
                  questa sia dovuta forzatamente alla conformazione della piscina, 
                  ma non è totalmente vero. Sedersi sul bordo è 
                  un modo molto banale per ovviare a ciò; ci si bagnerà 
                  ma il bambino sente che gli sei vicino, che puoi condividere 
                  le sue difficoltà, non ti vede come un essere supremo 
                  ma come un compagno. Purtroppo i dirigenti delle piscine non 
                  amano questo modo di fare, in quanto poco professionale. 
                  L'insegnante è un educatore; si è a bordo vasca 
                  sia per insegnare a nuotare sia per insegnare il rispetto verso 
                  gli altri, e ciò ultimamente è sempre più 
                  necessario. È necessario catturare la fiducia e l'attenzione 
                  del bambino, che è la parte più difficile del 
                  corso; non si può pensare di farlo stando distaccati 
                  e considerando che ci sia una differenza tra istruttore e allievo. 
                  Spesso si vedono maestri che rispondono in modo secco e freddo 
                  al bambino, come per dire che non interessa niente della vita 
                  del fanciullo: molto sbagliato. A noi deve interessare tutto 
                  ciò che l'allievo fa nella vita, cosa ha fatto a scuola, 
                  se si diverte con gli amici, se ha problemi in casa, perché 
                  in questo modo sai chi ti trovi davanti in quel momento. Giornata 
                  negativa? Il bambino ha bisogno di sfogarsi e probabilmente 
                  in acqua sarà su di giri e ti ascolterà meno, 
                  non si può pretendere allora di comandarlo a bacchetta 
                  e ottenere dei risultati; anzi, rischi che indietreggi in ciò 
                  che ha imparato precedentemente. Giornata positiva? Allora sai 
                  che sarà più attento e potrai lavorare sulla tecnica 
                  e la precisione della nuotata. 
                  É sempre più difficile lavorare vedendo il comportamento 
                  che molti hanno verso i bambini e ragazzi, considerati come 
                  soldati che devono andare alla guerra (sperando non lo diventino 
                  in un futuro prossimo). 
                  Non è detto poi che il problema sia l'istruttore. Egli 
                  viene delegato, dai genitori paganti, per fare raggiungere determinati 
                  risultati al proprio figlio e nel caso questi non vengano raggiunti, 
                  significa, ai loro occhi, che l'insegnante non è all'altezza 
                  del proprio compito. Dunque questo inizia il proprio lavoro 
                  con il timore, spesso inconscio, di non riuscire in ciò 
                  e, di conseguenza, sceglie il metodo più facile e veloce 
                  di insegnamento. 
                 Marco Casalino 
                 
                 
                  Ricordando Joe Cono/ 
                  Un calabrese emigrato negli USA 
                Solo poco tempo fa abbiamo avuto una triste notizia: un caro 
                  compagno e amico della nostra biblioteca, Joe (Joseph) Cono, 
                  si è spento ai primi di aprile del 2013, a Monte Sereno 
                  (California). 
                  Joe, classe 1924, proveniva da una famiglia di origine calabrese 
                  molto povera. Il padre, Domenico, contadino, era emigrato negli 
                  USA dal paese natale, Stefanacoli, e si era stabilito a New 
                  York, dove aveva fatto mille mestieri riuscendo a sopravvivere 
                  e a inviare aiuti alla famiglia (la moglie Caterina e quattro 
                  figli) rimasta in Italia durante tutto il ventennio fascista. 
                  A Stefanacoli, Joe è un ragazzo vivace che compie gli 
                  studi fino al completamento delle magistrali. Nel fervore dei 
                  mesi immediatamente successivi alla fine dell'occupazione nazifascista 
                  e alla fine della guerra si avvicina, tramite un vecchio militante, 
                  alle idee repubblicane e anticlericali. Nel '46 dà vita 
                  nel suo paese al Circolo Repubblicano radunando un gruppo di 
                  giovani. Nel 1947 la famiglia raggiunge il padre a New York. 
                  Joe appena giunto negli USA si iscrive alle scuole serali e 
                  a vari corsi professionali. Tramite Giuseppe Lo Priato, zio 
                  materno, inizia a leggere la stampa libertaria e a formarsi 
                  una discreta cultura politica. Negli anni successivi si trasferisce 
                  nella costa Ovest degli USA, a Los Angeles, dove conosce l'attivista 
                  anarchica Janny Danny, la cui casa è un punto di incontro 
                  per molti compagni. Joe stringe con lei un forte legame di amicizia, 
                  partecipa alle manifestazioni, alle conferenze e alle feste 
                  libertarie, conosce Cesare Giannotti e il figlio Carlo, Bruno 
                  Pedrola, Joe Cocchio, Vecchietti e altri compagni. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Pisa, primavera 2001 -  Joe Cono all'ingresso della Biblioteca  Franco Serantini, insieme a Graziella Petronio e Furio Lippi  (della Biblioteca stessa)  | 
                   
                 
                Successivamente si trasferisce a Gilroy - ospite nella casa 
                  di due compagni della vecchia generazione: Maria e Sam De Rosa 
                  - e da lì a San Francisco, dove vive la figlia dei De 
                  Rosa e dove frequenta la vivace comunità italo-americana, 
                  fortemente intrisa di ideali anarchici e pacifisti. In quel 
                  periodo lavora dove capita e conosce molti altri compagni della 
                  vecchia generazione come Harry Finck, John “the cook” 
                  (Vincenzo Ferrero), i coniugi Vercellino, Giuseppe Massidda, 
                  Lino Molin. Proprio per seguire un vecchio compagno, Riccardo 
                  Faramelli, che gli insegna il mestiere di muratore, si stabilisce 
                  a Los Gatos. Lì sposa Angie Vercellino dalla quale avrà 
                  due figli. Avvia un'attività di giardinaggio e con l'aiuto 
                  dei compagni si costruisce una casa. Ma la sua passione per 
                  lo studio, i suoi molteplici e variegati interessi culturali 
                  e la consapevolezza - comune a tutti i compagni della comunità 
                  di immigrati - dell'importanza di documentarsi e acquisire conoscenze 
                  per battere il nemico e diffondere il verbo libertario, lo portano 
                  a riprendere gli studi. Pur continuando a lavorare, riesce a 
                  laurearsi in filosofia e poi in sociologia. Per un certo periodo 
                  insegna all'università di San José ma, intollerante 
                  alle regole e alle formalità della vita accademica, lascia 
                  l'insegnamento per tornare alle sue grandi passioni: il giardinaggio 
                  e l'attività politica. 
                  Nel corso degli anni, i compagni più anziani gli lasciano 
                  carte, libri, giornali, foto, ricordi; all'inizio del 2000 Joe 
                  decide di trasferire la parte più importante di quella 
                  preziosa raccolta in Italia, presso la nostra biblioteca. Nel 
                  2006 ha un primo malore, che però non lo fiacca, nonostante 
                  l'età Joe resiste e continua a guardare al futuro ma 
                  un nuovo attacco lo porta via nei primi giorni della primavera 
                  dello scorso anno. 
                  Le compagne e i compagni della Serantini ricordano commossi 
                  Joe, del quale ci manca il sorriso e lo spirito libero, e inviano 
                  un saluto alla sua famiglia. 
                 Biblioteca “Franco Serantini” 
                  Pisa 
                 
                 
                  Dopo Barcellona/ 
                  Storie e amori d'anarchie (in Italia) 
                Dopo Barcellona, lo spettacolo scritto da Sergio Secondiano 
                  Sacchi, che racconta attraverso le canzoni la storia del movimiento 
                  libertario, approda in Italia. Sul palco di Firenze e di Sanremo 
                  artisti da sempre impegnati come Juan Carlos “Flaco” 
                  Biondini, Vittorio De Scalzi, Peppe Voltarelli e Alessio Lega. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Silvia Comes  | 
                   
                 
                
                  Il 2 marzo a Barcellona è stato un successo. Quella sera 
                  il Teatre Joventut de L'Hospitalet de Llobregat era strapieno 
                  e oltre duecento persone non sono riuscite ad entrare. In sala 
                  ce n'erano più di 600 in attesa di uno spettacolo intitolato 
                  Cançons d'amor i d'anarquia il cui protagonista 
                  principale era il cantautore Joan Isaac, uno dei simboli della 
                  canzone d'autore catalana. La proposta era accattivante e coraggiosa. 
                  Parlare oggi di anarchia in un grande festival come il BarnaSants 
                  – che tra l'altro ha insignito lo spettacolo con il Premio 
                  della Critica 2014 – e in una città che, per quanto 
                  una delle patrie del movimiento anarchico, si è oramai 
                  trasformata in una delle mete del turismo di massa europeo non 
                  è cosa facile. Una motivazione in più c'era. Il 
                  2 marzo ricorrevano i 40 anni dell'assassinio “legale” 
                  di Salvador Puig Antich, il giovane libertario catalano militante 
                  del Movimiento Ibérico de Liberación (MIL) che 
                  fu l'ultimo antifranchista ad essere garrottato dal regime di 
                  Francisco Franco. E sono stati in molti a rendergli tributo, 
                  a ricordarlo e a omaggiarlo quella sera al Teatre Joventut. 
                  Cançons d'amor i d'anarquia è un racconto. 
                  Il racconto di alcuni episodi della lunga vita del movimento 
                  libertario e anarchico. Un racconto fatto di canzoni, ma anche 
                  di immagini, di video e di danza. Un racconto che a Barcellona 
                  si è concluso proprio con A Margalida, la canzone 
                  che nella seconda metà degli anni Settanta Joan Isaac 
                  scrisse per Salvador Puig Antich. Un racconto che non si è 
                  però fermato alla sola Barcellona, ma è approdato 
                  anche in Italia grazie al Club Tenco e a Cose di Amilcare, l'associazione, 
                  nata nel 2012 nella città di Gaudí, che funge 
                  da ponte culturale tra la canzone d'autore italiana e catalana. 
                  Ne avevamo parlato su queste pagine qualche mese fa con un'intervista 
                  a Sergio Secondiano Sacchi, fondatore del Club Tenco insieme 
                  ad Amilcare Rambaldi e di Cose di Amilcare insieme a Roberto 
                  Molteni e a chi sta scrivendo questo articolo. Con l'approdo 
                  in Italia, Cançons d'amor i d'anarquia si è 
                  trasformata, per dirla in qualche modo, in Storie e amori 
                  d'anarchie. Le lingue sono veicolo di culture e tradizioni, 
                  di storie e di amori, di sofferenze e di passioni. Mai devono 
                  essere barriere. E così è stato, con uno spettacolo 
                  cantato in più lingue e interpretato da artisti di diversi 
                  paesi. Quello italiano è stato un doppio incontro per 
                  queste storie e questi amori d'anarchie. Prima a Firenze e poi 
                  a Sanremo. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Peppe Voltarelli e Olden  | 
                   
                 
                 
                Italia, Spagna, Francia, Argentina e Stati Uniti 
                Nel capoluogo toscano per il concerto del Primo Maggio in una 
                  serata targata CGL-Coop, promossa da Sergio Staino. Una serata 
                  emozionante, in cui sono stati consegnati anche i premi “Cavallo 
                  del Lavoro” – tra i premiati anche Francesco Guccini 
                  –, con la sala dell'Obihall gremita. Oltre un migliaio 
                  di persone sulle rive dell'Arno. Storie e amori d'anarchie 
                  si è aperto con una breve performance di danza contemporanea 
                  dell'inglese Julyen Hamilton. Nel mentre le prime immagini venivano 
                  proiettate sullo sfondo e arrivavano le note dell'Inno della 
                  rivolta della Scraps Orchestra. Frammenti dei loro bei dischi, 
                  tra cui il pregiato Il diavolo a mezzogiorno del 2005, 
                  si sono convertite nella colonna sonora dei video musicali che 
                  hanno introdotto ciascuna delle diciotto canzoni che compongono 
                  lo spettacolo. Dei video che, sotto l'attenta regia di Michelangelo 
                  Ricci, hanno tracciato un file rouge in grado di legare 
                  i diversi episodi dell'intera rappresentazione. Episodi che 
                  si svolgono nei cinque paesi che tra Otto e Novecento sono stati 
                  la patria di anarchici e libertari: Italia, Spagna, Francia, 
                  Argentina e Stati Uniti. E così, tra questi paesi e queste 
                  lingue – italiano, spagnolo, catalano, francese e inglese 
                  – si snoda il racconto lungo un secolo, dalla comune di 
                  Parigi del 1871 fino alla strage di piazza Fontana del 1969. 
                  Nel mezzo tante altre storie alcune conosciute, altre meno: 
                  gli incidenti di Haymarket Square del 1886 e la tragica fine 
                  del sindacalista e cantautore svedese, ma americano d'adozione, 
                  Joe Hill; le vicende degli anarchici italiani scacciati dalla 
                  Svizzera a inizio secolo; la figura di Simón Radowitzky, 
                  autore dell'attentato che colpì il capo della polizia 
                  Ramón Falcón responsabile della repressione della 
                  Settimana rossa di Buenos Aires nel 1909; le lotte degli anarchici 
                  argentini della FORA; le peripezie della banda Bonnot; le trincee 
                  della Grande Guerra; Sacco e Vanzetti; la storia della CNT; 
                  i viaggi e le fughe di Buenaventura Durruti; la formazione delle 
                  Milicias Antifascistas durante la Guerra Civile spagnola, il 
                  maggio parigino e il già ricordato assassinio “legale” 
                  di Salvador Puig Antich ad un anno e mezzo dalla morte del dittatore 
                  Francisco Franco. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Wayne Scott  | 
                   
                 
                 
                  Accompagnati da un quartetto di giovani musicisti fiorentini 
                  (Marco Poggiolesi alla chitarra, Leonardo Volo al pianoforte, 
                  Antonio Masoni alla batteria e Michele Staino al contrabbasso), 
                  a ridare vita alle canzoni di tutto un secolo sono state le 
                  voci del chitarrista che ha accompagnato per una vita Guccini, 
                  Juan Carlos “Flaco” Biondini, della voce e anima 
                  dei New Trolls, Vittorio De Scalzi, di Peppe Voltarelli, Alessio 
                  Lega, Joan Isaac, Silvia Comes, Anna Roig, Olden e Wayne Scott. 
                  Memorabile La locomotiva di Guccini interpretata in catalano 
                  dalla brava Silvia Comes, Sacco e Vanzetti cantata a 
                  cappella da Joan Isaac e Olden, Né dio né padrone 
                  di Leo Ferré interpretata da un poderoso Voltarelli, 
                  La canzone del maggio di Fabrizio De Andrè cantata 
                  in francese, catalano e italiano rispettivamente da Anna Roig, 
                  Joan Isaac e Olden, la bella Eight Hour Day interpretata 
                  da Wayne Scott e Miserere Capinere di Mario Buffa Moncaldo 
                  con un De Scalzi da solo, con la sua voce e con un pianoforte. 
                  E un finale emozionante come pochi: sul palco tutti gli artisti 
                  insieme a intonare Here's to you di Joan Baez dedicata 
                  a Giuseppe Pinelli, “morto innocente” 45 anni fa. 
                  Il pubblico in piedi tutto, a cantare con gli artisti.
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Joan Isaac  | 
                   
                 
                 
                
                   
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                    |   Juan Carlos “Flaco” Biondini  | 
                   
                 
                 
                In piedi, ricordando Pinelli 
                  E dopo Firenze, il 2 e il 3 maggio è toccato a Sanremo, 
                  all'interno di una due giorni sulla riviera ligure segnata da 
                  molti appuntamenti: incontro con gli artisti in mattinata, proiezioni, 
                  conferenze e concerti nelle piazze della città vecchia 
                  al pomeriggio e due spettacoli serali al Teatro del Casinò. 
                  Una due giorni dedicata ad Amilcare Rambaldi, finalmente ricordato 
                  anche nella sua città. Rambaldi non ha bisogno di presentazioni: 
                  geniale organizzatore culturale, raffinato conoscitore della 
                  musica e della canzone, fu l'ideatore nel lontano 1945 del Festival 
                  di Sanremo e poi, nel 1972, fondatore del Club Tenco che darà 
                  vita alla più importante rassegna internazionale della 
                  canzone d'autore ormai arrivata alla sua 38ª edizione. 
                  Il 2 maggio è stata la volta di uno spettacolo intitolato 
                  Cose di Amilcare, che si è diviso in due tempi. 
                  Il primo dedicato a Barcellona, a quello che è stata 
                  e a quello che è ora. Sul palco si sono avvicendati Joan 
                  Isaac, che ha anche duettato con Giorgio Conte, e alcuni giovani 
                  artisti di punta della fertile vita musicale della città 
                  catalana, come Rusó Sala & Caterinangela Fadda e 
                  i Dinatatak, un gruppo che rappresenta molto bene il melting 
                  pot barcellonese. Il secondo tempo è stato invece 
                  dedicato ai Premi Rambaldi. Sul palco due mostri sacri della 
                  canzone d'autore europea: il portoghese Sérgio Godinho 
                  – che nel 1995 fu l'ultimo Premio Tenco della gestione 
                  Rambaldi e che nel 2013, non a caso, è stato il primo 
                  Premio Rambaldi – e Mauro Pagani a cui è stato 
                  consegnato, proprio dal cantore della Rivoluzione dei garofani, 
                  il Premio opera di Marco Nereo Rotelli, un artista che trasforma 
                  la parola in pittura, scultura e luce e che è stato anche 
                  l'autore di tutte le preziose scenografie dello spettacolo. 
                  Il fondatore della Premiata Forneria Marconi e storico collaboratore 
                  di Fabrizio De Andrè, accompagnato da Eros Cristiani 
                  alle tastiere e Joe Damiani alla batteria, ha ripercorso la 
                  sua lunga carriera toccando l'apice con Creuza de mä, 
                  di cui proprio quest'anno si celebrano i trent'anni, presentata 
                  insieme a Godinho, Isaac e De Scalzi. Ma i momenti da ricordare 
                  sono stati molti, come i duetti e le sorprese. Una su tutte: 
                  Perfect Day di Lou Reed interpretata in italiano da Vittorio 
                  De Scalzi. Un'anticipazione di un nuovo disco dedicato al poeta 
                  di Brooklyn a cui sta lavorando l'associazione Cose di Amilcare.
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Tutti sul palco. In ordine da sinistra: Alessandro Certini,  Vittorio de Scalzi, Juan Carlos “Flaco” Biondini, Wayne Scott, Olden, Peppe Voltarelli, Anna Roig, Joan Isaac e Silvia Comes  | 
                   
                 
                
                  Sabato 3 maggio, poi, il gran finale con la riproposizione sulla 
                  costa ligure di Storie e amori d'anarchie. Pienissimo 
                  il Teatro del Casinò che ha accolto la rappresentazione 
                  dello spettacolo con qualche piccolo cambiamento rispetto al 
                  primo maggio fiorentino. Non c'era Alessio Lega, Julyen Hamilton 
                  è stato sostituito dal bravo Alessandro Certini nella 
                  performance d'apertura e il quartetto di musicisti fiorentini 
                  è stato sostituito da un quartetto tutto catalano composto 
                  da Enric Colomer al piano, Jordi Camp al basso, Yerai Hernández 
                  alle chitarre e Lluís Ribalta alla batteria. E una novità. 
                  Invece di Vigliacca, la bella canzone di Alessio Lega 
                  dedicata alla Grande Guerra, è stato Olden a riportare 
                  il pubblico alla tragedia dei quattro anni di trincea con un'interpretazione 
                  indimenticabile di O Gorizia, tu sei maledetta. Il ricordo 
                  di molti è andato al Festival dei Due Mondi di Spoleto 
                  del 1964, quando il Nuovo Canzoniere Italiano presentò 
                  la canzone all'interno dello spettacolo “Bella ciao” 
                  e ci furono incidenti in sala mentre Michele Straniero e Fausto 
                  Amodei cantavano O Gorizia tu sei maledetta / per ogni cuore 
                  che sente coscienza / dolorosa ci fu la partenza / e il ritorno 
                  per molti non fu. E un altro finale emozionante. Con il 
                  pubblico un'altra volta in piedi per ricordare Giuseppe Pinelli. 
                  Storie e amori d'anarchie è uno spettacolo necessario 
                  in questi tempi bui e cupi dove la memoria delle lotte passate 
                  è sempre meno presente. Ricordare per non dimenticare. 
                  Ricordare per ripensare il nostro presente e sognare un futuro 
                  diverso. 
                 Steven Forti 
                 
                 
                  Brescia/ 
                  Pino Pinelli a scuola 
                Nel mese di aprile l'Assessorato alla Pubblica Istruzione del 
                  Comune di Brescia, in vista delle celebrazioni per il 28 maggio 
                  (40° anno dalla strage di Piazza della Loggia), ha proposto 
                  ad ogni scuola l'adozione di una vittima del terrorismo realizzando 
                  una formella, da porsi all'interno di ogni edificio scolastico. 
                  Ad ogni scuola è stato assegnato un nominativo, una vittima 
                  da commemorare. Mercoledì 28 maggio la formella che ricorda 
                  Giuseppe Pinelli è stata posta sui muri dell'istituto 
                  in cui insegno a fianco di un elaborato realizzato dagli studenti, 
                  che commemora la strage di Piazza della Loggia del 1974 e ci 
                  rammenta che “La memoria non si cancella”. 
                  Una piccola cosa, ma mi son reso conto che spesso quando varco 
                  l'ingresso della scuola lo sguardo va a cercare Pino. 
                  Nei primi anni 70 quando ho iniziato a sentirmi parte di una 
                  storia condivisa, l'immaginare una formella per Pinelli all'interno 
                  di un edificio scolastico, non poteva che avere un sapore del 
                  tutto surreale. 
                 Agostino Perrini 
                  
                 
                 
                  Ricordando Salvador Gurucharri/ 
                  Un impegno duraturo e tenace 
                Salvador Gurucharri (1936-2014) ha avuto una vita segnata dall'impegno 
                  libertario. Nei primi anni Sessanta assunse, con pochi altri, 
                  una nuova sezione della CNT, la Defensa Interior, destinata 
                  a realizzare attacchi, anche violenti, al franchismo e alle 
                  sue strutture dentro e fuori della Spagna. L'esperienza durò 
                  alcuni anni e permise a Salva e ad altri di conoscere dall'interno 
                  le carceri francesi che affiancavano quelle spagnole. Questa 
                  esperienza è narrata, con la documentazione conservata 
                  soprattutto da Salva, nel libro che scrisse insieme a Tomás 
                  Ibáñez, Insurgencia Libertaria. Las Juventudes 
                  Libertarias en la lucha contra el franquismo (Barcellona,Virus, 
                  2011). 
                  Per diversi anni, in un modo o nell'altro, Salva si occupò 
                  di sostenere la lotta antiautoritaria in Spagna, anche nella 
                  difficile fase della cosiddetta “transizione” dopo 
                  la morte (nel suo letto!) del dittatore e l'avvio di un regime 
                  istituzionale formalmente democratico (con notevole continuità 
                  dell'apparato statale franchista). Nei momenti più difficili 
                  di questa delicata militanza, lo ricordava Salva, compariva 
                  a Barcellona un compagno italiano, Franco Leggio, che si metteva 
                  a disposizione per l'aiuto concreto. È stato uno dei 
                  non pochi momenti di solidarietà libertaria tra spagnoli 
                  e altri movimenti europei e americani. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Salvador Gurucharri  | 
                   
                 
                 Lo conobbi personalmente nell'estate del 1982, al primo dei 
                  miei frequenti viaggi a Barcellona. Lo contattai, con altri 
                  due importanti militanti come Diego Camacho (Abel Paz) e Luis 
                  Andrés Edo, alla ricerca di un appoggio per un possibile 
                  scritto su Malatesta in Spagna. Era il 50nario della scomparsa 
                  di Errico e la Spagna aveva sempre occupato un posto particolare 
                  nella sua frenetica attivitá internazionale. Sapevo che 
                  Errico era stato alcune volte, di sicuro nel 1892, a contattare 
                  i compagni in vista di un'insurrezione comune contro re e capitalisti 
                  di tutta Europa. Mi risposero irridendo il mio impegno storico 
                  ed esprimendo una forte diffidenza e un'ostilità evidente 
                  nei confronti degli storici di professione, in particolare dei 
                  compagni, che pretendevano ricostruire fasi e problemi del più 
                  importante movimento anarchico della storia. 
                  Dopo la morte di Edo e di Diego, Salva era rimasto l'unico della 
                  peña (circolo) che si era riunito ogni giorno 
                  in un caffé per discutere di molti aspetti dell'anarchismo 
                  teorico e pratico. Si trovavano vicino alla Libreria di Salva, 
                  Los Artales, nella centralissima Plaza del Pí, e avviavano 
                  spettacolari discussioni ideologiche e politiche coinvolgendo 
                  anche i clienti del caffé Amagatotis. Gli animati incontri 
                  (vere rivoluzioni verbali) durarono una decina di anni finché 
                  non incontrarono le proteste di chi voleva solo gustare un caffé 
                  o si orientava in senso antilibertario. Le riunioni poi si dissolsero 
                  nell'attività quotidiana del movimento, anche allora 
                  molto vivace nella città catalana, la “Mecca dell'anarchismo”. 
                  Le aspre critiche di Salva erano dirette verso il modo burocratico 
                  di intendere l'organizzazione, l'attitudine troppo personalistica 
                  della leadership, la riflessione incerta e superficiale sul 
                  grave compromesso che portò, per diversi mesi tra il 
                  1936 e il 1937, esponenti dell'anarchismo spagnolo a collaborare 
                  con i partiti antifascisti fino al punto di assumere incarichi 
                  di governo. 
                  Tra i vari tentativi di rafforzare il movimento a Barcellona 
                  dopo il suo ritorno nel 1976, Salva riuscí di avviare 
                  la libreria “Rosa de Foc”, uno dei nomi storici 
                  della Barcellona ribelle, che continua tuttora ed è un 
                  punto cruciale per la conoscenza del passato e del presente 
                  della galassia libertaria. Per una decina di anni, poco prima 
                  del 2000, la sua “direzione” di Solidaridad Obrera, 
                  portavoce della CNT catalana, cercò di legare il giornale 
                  ai movimenti di base e ai confronti tra libertari di diverse 
                  tendenze. La sua scelta editoriale si notava anche dai disegni 
                  che un giovane compagno, col soprannome di Nono, dedicava al 
                  giornale mettendo in evidenza questo o quell'aspetto paradossale 
                  del potere. Con il nuovo secolo, Salva riuscì a concretare 
                  un progetto pluridecennale, la costruzione di una guida della 
                  ricca bibliografia di e sull'anarchismo spagnolo di opere apparse 
                  fino al 2000 (Barcellona, Rosa de Foc, 2004). 
                  Devo ringraziare una volta di più la pazienza e l'attenzione 
                  con cui lesse il manoscritto di “Anarchia e potere nella 
                  guerra civile spagnola” dandomi suggerimenti e consigli 
                  preziosi. Avevamo in progetto di aggiornare la bibliografia 
                  fino al 2010, ma la sua scomparsa ha fatto rinviare sine 
                  die anche questo ambizioso programma. 
                  Di Salva mi resta lo spirito critico e ipercritico, il sarcasmo, 
                  l'ironia con cui affrontava i molteplici aspetti del movimento 
                  a Barcellona. Era uno degli ultimi “vecchi” ad aver 
                  vissuto, in prima linea, la lotta antifranchista e la difficile 
                  ricostruzione della CNT a metà degli anni Settanta. La 
                  sua memoria era assai utile per orientarsi in quel labirinto, 
                  entusiasmante ma talvolta triste, nel quale quasi si persero 
                  gli sforzi e le speranze per una rinascita in forze del movimento, 
                  sia specifico che anarcosindacalista, come molti si aspettavano. 
                  Ad ogni modo, le valutazioni negative e pessimiste dell'ambiente 
                  libertario barcellonese si acompagnavano ad un impegno duraturo 
                  e tenace per dare corpo e testa al diffuso spirito antiautoritario 
                  che, anche ultimamente, si è espresso nelle proteste 
                  popolari di questa città eccezionale. 
                 Claudio Venza 
                 P.S. Di sicuro Salva sarebbe stato contrario ai ricordi che 
                  in queste settimane hanno espresso suoi amici e compagni. Ricordiamo 
                  comunque quelli di Octavio Alberola, a lungo al suo fianco, 
                  riportato in http://www.alasbarricadas.org/noticias, 
                  di Tomás Ibáñez in Bulletin du CIRA, n. 
                  70, Eté 2014, p. 12 e di Nono in htpp://www.territoriokadaver.blogspot.com.es. 
                 
                 
                  Jean Jaurès/ 
                  Un socialista contro la prima guerra mondiale 
                “Jean Jaurès profeta della Sinistra”. 
                  Ricordo di uno dei padri del socialismo europeo a cento anni 
                  dalla morte. Una delle canzoni piu famose di Jacques Brel è 
                  dedicata proprio a lui.
  
                  Da mesi in Francia, specie negli ambienti della sinistra, è 
                  tutto un brulicare di iniziative per ricordare quell'eccezionale 
                  pensatore, politico e giornalista dell'emancipazione degli ultimi 
                  che fu Jean Jaurès, di cui il prossimo 31 luglio ricorre 
                  il centenario della morte. Riconosciuto nel “vulcano che 
                  vomita ghiaccio” per la sua oratoria dirompente e ammaliante, 
                  il fondatore del Partito Socialista francese e dello storico 
                  quotidiano l'Humanité (oggi testata del Partito 
                  Comunista francese) fu un inflessibile sostenitore della trasformazione 
                  della proprietà individuale capitalista in proprietà 
                  sociale, i suoi sagaci articoli (scrisse anche per la Depéche 
                  de Toulouse e La petite République) declinavano 
                  all'incitamento di una lotta che portasse alle realizzazione 
                  di un progetto mutualistico e cooperativo di umanità. 
                  A parte alcune bieche speculazioni politiche che si sono verificate 
                  nel recente passato – alle elezioni europee del 2010 il 
                  partito dei Le Pen fece stampare dei manifesti con su scritto 
                  “Jaurès avrebbe votato per il Fronte Nazionale” 
                  - ancora oggi il suo pensiero politico e filosofico rimane tra 
                  i prediletti e i più discussi nella sinistra francese. 
                  Jaurès partiva da una base politica, diciamo, marxista, 
                  ma il suo umanesimo riponeva profonde radici nel mondo classico. 
                  A lui bisogna riconoscere lo sforzo compiuto per tracciare il 
                  percorso (non facile) che portasse all'unificazione dei socialisti 
                  francesi e ad erigere quella repubblica sociale in cui dovevano 
                  trovare sintonia le correnti rivoluzionari con le componenti 
                  riformiste. Nato nel 1859 a Castres, nel Sud della Francia, 
                  Jaurès si laurea in filosofia e diventa professore all'Università 
                  di Tolosa, qui si distingue per le due doti di “inesauribile 
                  parlatore”, nel 1885 viene eletto per la prima volta al 
                  Parlamento, sarà deputato socialista nel 1893 grazie 
                  ai consensi dei minatori di Carmaux che trovarono in lui un 
                  referente affidabile per le loro lotte. Perde il seggio di parlamentare 
                  nel 1898 (ma lo riconquisterà quattro anni dopo) per 
                  aver denunciato gli intrighi di potere intorno al caso Dreyfus 
                  di cui fu acerrimo sostenitore della tesi innocentista. Oltre 
                  a battersi per l'affermazione di un socialismo riformista, dalle 
                  pagine dell'Humanitè la sua penna diventerà 
                  il megafono per un mondo di pace, e per tale obiettivo guarderà 
                  con interesse e costanza all'amalgama tra spiritualismo e cristianità. 
                  Fortemente radicato nel suo territorio d'origine, Jaurès 
                  unì all'irrefrenabile lavoro di giornalista e politico 
                  quello di saggista: tra le sue opere vanno ricordate Azione 
                  socialista (1899), Storia socialista (1901), Studi 
                  socialisti (1902). Allo scoppio della prima guerra venne 
                  fuori fortemente il Jaurès antimilitarista, tant'è 
                  che il 14 luglio del 1914 fece adottare al congresso della Sfio 
                  (Sezione francese dell'Internazionale Operaia) un ordine del 
                  giorno per proclamare uno sciopero dei socialisti europei contro 
                  i venti di guerra. Fu questo l'ultimo grido di battaglia del 
                  “Jaurès umanista intransigente”, infatti 
                  il 31 luglio 1914 venne assassinato mentre cenava con degli 
                  amici al Cafè du Croissant di Parigi da Raoul Villain, 
                  un giovane nazionalista sostenitore dell'entrata in guerra della 
                  Francia contro la Germania. Una delle ultime e più belle 
                  canzoni di Jacques Brel è dedicata proprio a Jaurès: 
                  e senza voler confezionare nessun santino, il cantautore belga 
                  si chiede cosa hanno guadagnato gli assassini nell'ammazzarlo? 
                  Canta Brel: “Pourquoi ont-ils tué Jaurès?” 
                  (Perché hanno ucciso Jaurès?). E ancora: “Pourquoi 
                  ont-ils tué Jaurès?”. 
                 Mimmo Mastrangelo 
                 
                 
                  Francia/ 
                  Asif Hussainkhil, un migrante sulle onde della libertà 
                Sei assi di legno, bastoni di plastica a formare l'albero, 
                  un blocco di polistirolo avvolto da un telo di plastica come 
                  galleggiante, un lenzuolo a mo' di vela. Con il materiale recuperato 
                  nel campo dei migranti di Calais in Francia, Asif Hussainkhil, 
                  33 anni, fuggito dall'Afghanistan nel 2000, ha costruito una 
                  zattera e il 5 maggio scorso ha tentato di attraversare lo stretto 
                  della Manica. Voleva andare dallo zio e dai cugini in Inghilterra 
                  navigando per i 34 km che separano Calais da Dover. 
                  Hussainkhil è stato recuperato dalla Guardia costiera 
                  dopo mezz'ora. La sua zattera senza timone era alla deriva, 
                  e lui, con indosso una giacca leggera, senza bussola né 
                  cibo, soffriva già di ipotermia. Salvato da una probabile 
                  morte, Hussainkhil ha detto ai soccorritori di essere “scocciato”, 
                  perché già due volte era stato fermato. Come ha 
                  spiegato al Daily Mail, in passato aveva provato a raggiungere 
                  la costa inglese a nuoto, con assi di legno come pinne. Questa 
                  volta, con la zattera, era convinto di riuscirci. “Durante 
                  il viaggio cantavo, ero felice. Stavo andando nella giusta direzione. 
                  Ci proverò ancora, il mio destino è andare in 
                  Inghilterra”, ha detto. 
                  La foto del salvataggio suscita rabbia e ammirazione. A Calais 
                  arrivano migliaia di migranti in fuga dai conflitti (tremila 
                  quelli identificati nei primi cinque mesi del 2014). Il 2 luglio 
                  scorso 610 persone, di cui 121 minorenni, sono stati sgomberati 
                  dal misero campo di tende e da alcuni edifici occupati. 
                  Hussainkhil, con la sua zattera contro le onde e i confini tracciati 
                  sulla pelle dell'umanità, è come quelle piante 
                  inaspettate che spuntano dagli incavi delle rocce. La sua ostinazione 
                  è amore per la vita e la libertà. 
                 Daniele Ferro 
                 
                 
                  Ronchi (Go)/ 
                  Dei legionari o dei partigiani? 
                Nasce il 18 luglio 2013, per iniziativa di alcuni cittadini/e 
                  di Ronchi, la pagina facebook per chiedere il cambio del nome 
                  di Ronchi dei Legionari in Ronchi dei Partigiani! 
                  Ronchi deve il suo attuale nome alla spedizione dei Legionari 
                  capeggiati da Gabriele D'Annunzio, che il 12 settembre 1919 
                  casualmente da qui partirono per l'avventura politico-militare 
                  di occupazione di Fiume. 
                  A portare a quel mutamento, proposto il 4 ottobre del 1923 dal 
                  Consiglio comunale popolar-fascista, sarà il seguente: 
                  “Rammentando la nobile ed audace Impresa del Comandante 
                  G. D'Annunzio, il quale partì con i suoi Legionari da 
                  Ronchi, per suggellare l'Italianità della Città 
                  di Fiume, rendendo con ciò noto per la seconda volta 
                  il nome di Ronchi nella storia delle rivendicazioni italiane”. 
                  In realtà Mussolini ritardava l'attuazione di tale richiesta 
                  come formulata dai fascisti di Ronchi probabilmente perché 
                  in competizione con D'Annunzio e la sua immagine pubblica. 
                  Per sollecitare la modifica gli interessati in una seduta straordinaria 
                  del Consiglio Comunale di Ronchi deliberarono di nominare “cittadino 
                  onorario” Benito Mussolini. Quindi, il 2 novembre del 
                  1925 con un Regio Decreto, il nome diventa “Ronchi dei 
                  Legionari” contestualmente all'attribuzione a Mussolini 
                  della cittadinanza onoraria. 
                  A partire dal movimento che si è creato con la proposta 
                  di cambio di denominazione di Ronchi, il 14 aprile 2014 la città 
                  di Ronchi delibera la revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini. 
                  Quasi due ore di dibattito per approvare la mozione come presentata 
                  dal consigliere di Rifondazione Comunista, su impulso dell'iniziativa 
                  avviata dal gruppo Ronchi dei Partigiani. 
                   Al 
                  di là della proposta politica che passa anche attraverso 
                  una provocazione culturale, questo stimolo è anche un'occasione 
                  di analisi storico-sociale. In data 14 giugno, infatti, a Ronchi 
                  si è tenuto un convegno sulla toponomastica locale patrocinata 
                  da ANPI, ANED, Associazione slovena Jadro, con la libreria La 
                  linea d'ombra e la casa editrice Kappa Vu che a breve pubblicherà 
                  gli atti del convegno. L'iniziativa, curata da Luca Meneghesso, 
                  ha visto tra i relatori Maurizio Puntin (esperto di toponomastica), 
                  Alessandra Kersevan (storica ed editrice), Piero Purini (storico), 
                  Wu Ming1 e Boris Pahor (scrittori), Marco Barone (blogger e 
                  attivista) oltre ad interventi di tipo artistico-culturale. 
                  In seguito a questa iniziativa, estremamente partecipata in 
                  sala con più di 300 persone presenti e che ha avuto buona 
                  visibilità sulla stampa locale, le forze della destra 
                  hanno avuto una reazione compatta. Casa Pound, Fratelli d'Italia, 
                  Forza Nuova, Fiamma Tricolore, anche Ex Granatieri ed anonimi 
                  contro Ronchi dei Partigiani, annunciano raduno per il 2019 
                  e iniziano una raccolta di firme a difesa del suffisso dei Legionari 
                  e dello status quo. Evidentemente anche a distanza di quasi 
                  un secolo le forze che tuttora sostengono “dei Legionari” 
                  legato a Ronchi sono le stesse. 
                  Per fortuna anche l'ANPI, con un libro curato dal presidente 
                  provinciale onorario Silvano Bacicchi, ha sottolineato la totale 
                  estraneità della comunità ronchese alla marcia 
                  su Fiume e l'identità antifascista. 
                  Il progetto “Ronchi dei Partigiani” continua. Per 
                  la dignità di queste terre e dei suoi abitanti, contro 
                  il fascismo. 
                 Luca Meneghesso 
                 
                 
                  Canton Ticino/ 
                  Il Circolo Carlo Vanza ora è a Bellinzona 
                Dopo dieci anni di presenza a Locarno, il Circolo Carlo Vanza 
                  CCV è stato obbligato a trasferirsi e ha trovato una 
                  nuova sede a Bellinzona, in via Convento 4. 
                  Fondato a Minusio nel 1986, il Circolo, oltre all'archivio su 
                  e del movimento anarchico e libertario ticinese, possiede una 
                  biblioteca di 5'000 tra libri e opuscoli orientata sui temi 
                  dell'anarchismo, dell'autogestione, dell'antimilitarismo, del 
                  libero pensiero, consultabili sul posto o ottenibili in prestito. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Bellinzona (Svizzera). Nella nuova sede del Circolo Carlo  Vanza, uno scorcio dell'esposizione delle opere di  mail-art Bakunin 1814-2014. Per il bicentenario della nascita  | 
                   
                 
                 Durante gli anni di permanenza a Locarno il CCV ha promosso 
                  abbastanza regolarmente appuntamenti culturali e di carattere 
                  politico indirizzati non solo al movimento, ma anche a persone 
                  esterne interessate. 
                  Dopo qualche mese impiegato a preparare il nuovo locale e a 
                  trasferire documenti e mobilio da Locarno a Bellinzona, infine 
                  il 24 maggio vi è stata l'inaugurazione della nuova sede 
                  e numerosi sono stati i compagni, i simpatizzanti e i curiosi 
                  passati a dare un'occhiata all'archivio sistemato a nuovo. Per 
                  l'occasione sono state esposte le opere del progetto di mail-art 
                  organizzato dal CCV per il bicentenario della nascita di Michail 
                  Bakunin. Quasi centocinquanta i contributi giunti da tutto il 
                  mondo. 
                  Ora si tratta di rimboccarsi le maniche e riprendere le attività 
                  con nuova lena in un posto dotato di maggiore spazio rispetto 
                  alla vecchia sede, e benché situato in un quartiere dormitorio 
                  è raggiungibile in venti minuti a piedi dalla stazione 
                  o coi mezzi pubblici. 
                  La presenza di parecchi giovani tra gli intervenuti all'inaugurazione 
                  può servire da stimolo per le future attività 
                  che riprenderanno dal prossimo mese di settembre. 
                  L'occasione per una visita potrebbe essere l'assemblea annuale 
                  prevista per sabato 13 dicembre. 
                  Per essere informati mettetevi in contatto all'indirizzo: circolo-vanza@bluemail.ch. 
                 L'orso (e)retico 
                 
                 
                  I 200 anni di Mikhail Bakunin/ 
                  Conferenza internazionale di Pryamukhino 
                Quando i pneumatici della Lada famigliare di Sergey 
                  Kornilov transitano sobbalzando bruscamente, dal lucido asfalto 
                  sovietico, allo spesso materassino di polvere giallastra dello 
                  sterrato che porta a Pryamukhino, le lontane immagini della 
                  metropoli moscovita putiniana si nebulizzano nell'atmosfera 
                  bucolica delle terre avite di Mikhail Bakunin. Oltre il fiume 
                  Osuga (al quale Alexander, padre del noto rivoluzionario, 
                  dedicò una struggente poesia di sapore romantico) l'emozione 
                  diviene intensa e crea percezioni visive stupefacenti, al limite 
                  dell'assurdo, riflesse sullo schermo chiaro della notte luminosa 
                  del margine meridionale del famoso “anello bianco” 
                  di S. Pietroburgo. In effetti, la lunga fila di izbe 
                  in legno e lo spartano cartello in cirillico dell'atteso paese, 
                  posto a oltre duecentocinquanta chilometri nord-ovest da Mosca, 
                  contrastano surrealisticamente con le sagome palladiane degli 
                  edifici di culto eretti dall'architetto Nikolaj Aleksandrovi 
                  L'vov (eclettico personaggio “illuminato” vissuto 
                  nella seconda metà del '700, tra le altre, autore 
                  nel 1798 del suo Russky Pallady, ovvero una traduzione 
                  riadattata de I quattro libri dell'architettura di Andrea 
                  Palladio) amico ed estimatore della famiglia Bakunin. Un moto 
                  di commozione pervade Tatiana Bakounine, belga di nascita, discendente 
                  diretta del grande Mikhail, mentre osserva i poderi collettivizzati 
                  durante il lungo periodo di governo del Kolchoz locale (ora 
                  lasciati in stato di semi abbandono), seduta stoicamente sui 
                  sedili consunti della “Fiat dell'URSS”, come la 
                  chiama ironicamente Sergey, organizzatore di punta del Convegno 
                  di studi per i 200 anni di Mikhail Bakunin. L'accoglienza è 
                  quella tipica delle genti russe: izbe aperte, sorrisi, presentazioni 
                  dirette, capacità di mettere a proprio agio qualsiasi 
                  ospite nazionale ed internazionale, nonostante gli ostacoli 
                  linguistici. La due giorni di approfondimenti sulla figura, 
                  la vita e le azioni di uno dei “padri dell'Anarchismo”, 
                  si apre così, in un clima di totale accoglienza individuale 
                  e collettiva. Il calendario degli interventi, che si tengono 
                  nell'aula magna della piccola scuola in stile collettivistico 
                  del paese, prevede un taccuino degli appuntamenti di tutto rispetto. 
                  Nelle giornate di sabato 12 e domenica 13 luglio, parlano “a 
                  cascata” i seguenti relatori che trattano temi inusuali 
                  e specifici: 1) Tatiana Bakounine (Belgio), Che cosa rappresenta 
                  per me Mikhail Bakunin?. 2) Piotr Ryabov (Russia), Mikhail 
                  Bakunin e la Filosofia del XX secolo. 3) Giulio Spiazzi 
                  (Italia), Bakunin e l'educazione alla ribellione. 4) 
                  Franco Buncuga (Italia), Bakunin e l'arte. 5) Hikaru 
                  Tanaka (Giappone), Gli anarchici giapponesi e Bakunin: fattori 
                  di background e loro interpretazioni. 6) Dmitry Rublev (Russia). 
                  Condizione scientifico-politica privilegiata: la preoccupazione 
                  di Bakunin circa il ruolo dell''intelligentsia' nello sviluppo 
                  socio-politico della società. 7) Vadim Damier (Russia) 
                  esperto in anarco-sindacalismo, Bakunin: dal federalismo 
                  all' anarchismo. 8) James Goodwin (USA). 'Conversando 
                  con Bakunin': il contributo di Grigorii Maksimov agli studi 
                  Bakuniniani. 9) Jean-Christophe Angaut (Francia), Bakunin 
                  e il ruolo rivoluzionario dei 'déclassés'. 
                  10) Andrey Levandovsky (Russia), Alexander Kornilov, biografo 
                  di Mikhail Bakunin. 11) Ivan Zadorozhnyuk (Russia), Il 
                  200 esimo anniversario di tre rilevanti combattenti contro ogni 
                  forma di autocrazia: Lermontov, Shevchenko, Bakunin. 12) 
                  Sergey Kornilov (Russia), Miti attorno a Bakunin. 13) 
                  Valery Dolzhnikov (Russia), Tendenza 'riconciliatrice' nell'attività 
                  politica di Mikhail Bakunin tra il 1830-1860. 14) Alexander 
                  Lanevsky (Polonia), Mikhail Bakunin nella memoria e nel pensiero 
                  degli anarchici polacchi contemporanei. 15) Oleg Safronov 
                  (Russia), Aspetti di storia delle società primitive 
                  nella interpretazione di Bakunin. 
                  A questi interventi “di cartello”, si è aggiunta 
                  (purtroppo solo in lingua russa) tutta una serie di altre relazioni 
                  di studiosi, giornalisti e ricercatori della figura storica, 
                  politica e filosofica di Mikhail Bakunin correlata alle sintesi 
                  principali.
                   Intervista a Jean-Christophe Angaut  
                  
                (Professore di filosofia presso l'École normale supérieure 
                  Lettre et Sciences humaines di Lione. Ha partecipato alla conferenza 
                  con un intervento dal titolo “Bakunin e il ruolo rivoluzionario 
                  dei déclassés”). 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Jean-Christophe Angaut al lavoro  nella izba di Sergey Kornilov  | 
                   
                 
                
                  Jean-Christophe, tu sei considerato uno dei pochi massimi 
                  esperti della figura strorico-filosofica e del pensiero di Bakunin 
                  in Francia, cosa ti porti a casa da questo Convegno? 
                  “Sì, l'hai detto a ragione”, sghignazza Angaut 
                  divertito. “Bakunin è la mia passione, il mio studio, 
                  il mio orizzonte di ricerca. Dall'anniversario dei 200 anni 
                  mi porto in Francia innanzitutto, l'aver vissuto un momento 
                  realmente 'alternativo', dove il tratto più significativo 
                  è stato quello della 'fratellanza' tra tutte le componenti 
                  anarchiche presenti al convegno di studi. Il che, è molto 
                  importante. Come una sorta di 'specialista' della figura di 
                  Bakunin, per me, incontrare altri studiosi di così alto 
                  livello è stato fondamentale, ho imparato tanto nell'ascoltarli 
                  e penso di aver dato un utile contributo anche a loro e a tutti 
                  con la mia relazione.” 
                   
                  Da ciò che vediamo, sembra proprio che l'Anarchia 
                  colleghi pacificamente le genti. Che cosa pensi del rapporto 
                  attuale tra giovani ed anarchia? 
                  “Si, l'anarchia la si vive nella vita di ogni giorno. 
                  Ammiro tantissimo il senso di semplice ed efficiente organizzazione 
                  che pervade qualsiasi meeting organizzato da anarchici. 
                  Si lavora insieme, non sorgono problemi irrisolvibili, c'è 
                  un senso immediato di solidarietà che ci lega. È 
                  veramente una esperienza speciale. In questo incontro importante, 
                  c'erano veramente tanti giovani che, immagino, più che 
                  pensare all'Anarchia, si siano messi alla prova come 
                  natural born anarchists”... Jean-Christophe, abituato 
                  a stare con i giovani nei licei francesi, se la ride ed aggiunge: 
                  “La Teoria è realmente una cosa secondaria; 
                  il vivere l'anarchia è invece, come vediamo qui, il fatto 
                  oggettivo più importante.” 
                   
                  In poche parole, qual è stato il fulcro del tuo 
                  intervento? 
                  “Ho dedicato la mia tavola di discussione a ”Bakunin 
                  e il ruolo rivoluzionario dei déclassés“. 
                  Ho focalizzato il mio studio su quello che ritengo essere uno 
                  dei più importanti aspetti presente negli scritti di 
                  Bakunin, considerando l'attualità dei movimenti rivoluzionari: 
                  mi riferisco al ruolo rivoluzionario che Bakunin riconosce a 
                  gruppi sociali o nazionali che sono generalmente relegati ai 
                  margini o addirittura rifiutati dagli altri socialisti rivoluzionari 
                  del suo tempo e più precisamente nella storia del marxismo. 
                  Come gruppi sociali 'reietti' intendo riferirmi ai contadini, 
                  ai giovani, ai fuorilegge, insomma a tutta quella gente che 
                  il marxismo ha storicamente aggregato sotto la denominazione 
                  infame di Lumpenproletariat o 'sotto-proletariato' e 
                  che Bakunin aveva individuato con il termine francese déclassés. 
                  Come 'gruppi nazionali' io intendo la gente appartenente a tali 
                  ambienti sociali che costituiscono una forte proporzione numerica 
                  nella loro società e che risiedono in nazioni che non 
                  sono ancora totalmente integrate nel dominio capitalista (sempre 
                  che una nazione abbia mai conosciuto una tale completa integrazione) 
                  e qui, penso a casi quali quelli dell'Egitto e della Tunisia.”
                 Intervista a Sergei Kornilov 
                  
                (Presidente del comitato promotore della Conferenza di Pryamukhino). 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Sergey Kornilov nella sua Izba  di Pryamukhino. Alle sue spalle  le mappe storiche  dei fondi dei Bakunin  | 
                   
                 
                
                  Sergei, puoi brevemente illustrarci la storia di queste 
                  conferenze annuali? 
                  Si può dire che questa che abbiamo appena concluso era 
                  la Conferenza del Giubileo, dunque la più importante 
                  tra tutti i 14 convegni che abbiamo tenuto in questi lunghi 
                  anni. Abbiamo dunque dovuto affrontare problemi organizzativi 
                  nuovi, come quello degli alloggiamenti o del vitto di così 
                  tanti partecipanti (circa un centinaio). Comunque da questo 
                  particolare convegno si intuisce tutto il percorso svolto fino 
                  ad ora. I temi di confronto e discussione cambiano, ma lo scheletro 
                  della struttura rimane. Il comitato organizzatore ha dovuto 
                  lavorare duramente per poter accogliere con riguardo, specialisti 
                  provenienti da Francia, Italia, Polonia, Giappone, Brasile, 
                  Stati Uniti ecc., un'esperienza e una risposta forte che non 
                  si era mai avuta, così partecipata, negli anni precedenti. 
                  A giudicare comunque dagli attestati di stima, pensiamo di essere 
                  stati all'altezza del compito, nonostante vi sia da fare ancora 
                  molto per ciò che riguarda le traduzioni istantanee, 
                  la proiezione di slides ed immagini ecc. 
                   
                  Cosa rappresenta per te Bakunin? 
                  “È una domanda interessante. Fin dalla prima infanzia, 
                  ho sentito risuonare questo nome tra le mura domestiche. I miei 
                  parenti stretti, mio bisnonno e sua moglie erano contadini al 
                  servizio dei Bakunin. Riuscii finalmente a farmi un'opinione 
                  personale di Mikhail solo nel 1970 quando Natalia Pirumova pubblicò 
                  la sua celebre biografia. All'epoca io avevo trent'anni, e ovviamente 
                  c'era l'Unione Sovietica e l'atmosfera era chiaramente differente 
                  rispetto ai tempi attuali. Mi accorsi comunque che la figura 
                  del grande rivoluzionario russo veniva trattata in maniera stereotipata 
                  e così pure, l'idea di anarchia. Comunque, dopo il crollo 
                  dell'Unione Sovietica, riuscii a comprendere meglio quale fu 
                  l'importante peso politico di quella biografia, uscita in un 
                  periodo di ristrettezze culturali. Quando andai dunque in pensione 
                  iniziai a dedicare, anima e corpo al recupero di ciò 
                  che rimaneva, anche fisicamente, della permanenza del padre 
                  dell'anarchismo a Pryamukhino. Costituii così un fondo 
                  per la salvaguardia di questo luogo ed iniziai a proporre in 
                  comitato, le conferenze sulla figura del filosofo rivoluzionario.” 
                   
                  Cosa resta ancora da fare?  
                  “Come sempre dobbiamo continuamente lottare. Attualmente 
                  v'è in corso una specie di contenzioso strisciante tra 
                  noi e l'amministrazione. Ciò che proponiamo di particolare 
                  per la sola figura di Mikhail Bakunin, nota bene, con il consenso 
                  generale della gente di Pryamukhino, come ad esempio, una via 
                  dedicata al suo nome, una lapide ove venga ricordato singolarmente 
                  ecc., viene costantemente 'virato' d'autorità, dalle 
                  varie amministrazioni, in memoriali dedicati 'ai Bakunin'. La 
                  nostra attuale e futura lotta, sarà di arrivare ad ottenere 
                  un riconoscimento certo, per questo grande uomo dalla caratura 
                  di pensiero e d'azione internazionale, messosi a servizio di 
                  tutta l'Umanità.”  
                Intervista a Mikhail Tsovma 
                  (Membro organizzatore e responsabile per le relazioni internazionali).
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Mikhail Tsovma, orgnizzatore e  addetto alle relazioni internazionali  per il comitato di Pryamukhino  | 
                   
                 
                
                  Mikhail, nel corso degli anni i Convegni di studi sono 
                  transitati da una fase più generica sull'importanza storica 
                  di Pryamukhino, a quella più spiccatamente 'orientata' 
                  di analisi politica della figura di 'uno' dei Bakunin, 
                  ovvero di Mikhail il rivoluzionario... In Italia, ad esempio 
                  all'Ateneo degli Imperfetti di Mestre, è stata rimarcata 
                  l'attualità del pensiero di Mikhail Bakunin...  
                  Sì, è vero, penso che attualmente ciò che 
                  ha detto il nostro pensatore sia straordinariamente d'attualità, 
                  soprattutto per ciò che concerne l'analisi sul potenziale 
                  predominio delle classi che detengono il 'potere della 
                  conoscenza', della 'tecnica' delle 'scienze' e che 
                  conoscono, data la loro posizione privilegiata, meglio di altri, 
                  come le società 'debbano', dal loro punto di vista, 
                  essere governate (è ciò è capitato anche 
                  durante il periodo marxista sotto forma di potere burocratico 
                  e così pure in Cina e in altri Stati satelliti). Per 
                  questo ed altro, penso che Mikhail Bakunin sia tuttora un importante 
                  filosofo, un interessante pensatore sociale, considerando che 
                  egli visse nel pieno delle sue forze, più di un centinaio 
                  di anni fa, ed è per questo interessante analizzare come 
                  una persona, con l'attività del suo cervello, possa approcciare 
                  con visioni corrette, tante situazioni particolari, collegate 
                  allo sviluppo del sociale, anche di altre epoche. Dunque sottolineo 
                  che Bakunin, pur essendo un rivoluzionario del suo tempo, è 
                  ancora in grado di infonderci ottime indicazioni sulle problematiche 
                  dei nostri giorni. 
                   
                  Qual è il lascito di questo Convegno?  
                  Principalmente tanto lavoro. Ciò che abbiamo fatto prima 
                  per organizzarlo è solo parte di quello che ci aspetta 
                  ora. Verrà fatta una pubblicazione in lingua russa degli 
                  atti della conferenza e questo, per noi, rimane di primaria 
                  importanza, in quanto può sembrare strano ma Mikhail 
                  Bakunin, per ragioni storiche e politiche non è così 
                  ben conosciuto in Russia. Nei Paesi occidentali vi sono numerosi 
                  testi che riguardano la sua figura. Qui, no. Perciò nostro 
                  compito ora, è diffondere il più possibile il 
                  suo pensiero tra la gente, in particolar modo oggi, nella situazione 
                  sociale in cui versiamo. In Russia, attraverso il suo attuale 
                  Governo, sta avvenendo una paradossale accelerazione verso... 
                  il passato, con il ritorno alla religione ortodossa istituzionalizzata, 
                  al conservatorismo più gretto, all'autocrazia. Per cui, 
                  abbiamo bisogno che il pensiero di Mikhail Bakunin venga sempre 
                  più conosciuto e compreso. 
                 Giulio Spiazzi 
                 
                 
                  Piazza Errico Malatesta a Milano/ 
                  Ricordando l'anarchico italiano 
                Finalmente anche Milano ha una piazza dedicata a Errico Malatesta 
                  (Santa Maria Capua Vetere 1853 - Roma 1932), di gran lunga la 
                  più importante e influente personalità dell'anarchismo 
                  di lingua italiana. Dopo tanti politici, uomini di stato, rivoluzionari 
                  di professione, spesso di dubbio spessore etico, un bella targa 
                  fa giustizia di questa mancanza. A oltre 80 anni dalla sua morte, 
                  ci voleva. 
                  Peccato che la piazza sia inaccessibile al pubblico, dal momento 
                  che - con la sua relativa targa - si trovi in una proprietà 
                  privata, per la precisione nel giardino della casa di Arturo 
                  Schwarz, ex-gallerista, ex-editore, amico e abbonato sostenitore 
                  (e, in qualche occasione, anche collaboratore) della nostra 
                  rivista fin dal primo numero. 
                   
				
                 Abbiamo tratto questa informazione dalla rivista on-line 
                  Odissea (http://libertariam.blogspot.it), su segnalazione del 
                  suo fondatore e direttore Angelo Gaccione, che qui ringraziamo. 
                 
                 
                  Cuba/ 
                  Gli anarchici, la Cia, i servizi di sicurezza 
                Alcuni giorni fa, nella prima settimana di agosto, gli strumenti 
                  di costruzione massiva di opinione a Cuba, in mano alla “Sicurezza 
                  dello Stato”, al “Burò Politico”, e 
                  ai Dipartimenti Ideologici del MINFAD e MININT, ci hanno regalato 
                  un nuovo capitolo della storia delle loro imprese nella lotta 
                  diretta alle operazioni sovversive del goberno yanqui. 
                  Il tema di oggi ci arriva attraverso Associated Press, presentata 
                  questa volta come una seria agenzia di stampa internazionale: 
                  viene denunciata una ulteriore modalità di sovversione 
                  in Cuba, orchestrata dalla USAID, attraverso l´invio di 
                  agenti a basso costo e scarsa formazione professionale di origine 
                  latinoamericana, per il reclutamento di giovani cubani, “contatti 
                  stella”, così dicono, per la “generazione 
                  di una rete di volontari per la trasformazione sociale” 
                  a Cuba, e per “costruire un attivismo contro il governo”, 
                  attraverso corsi di educazione sessuale e protezione contro 
                  il HIV, con il fine attraverso questi temi di “reclutare 
                  giovani, insegnando loro come organizzarsi da soli”. 
                  Su tutto questo noi, che abbiamo fondato la Rete di Osservatorio 
                  Critico circa dieci anni fa e che abbiamo inoltre costituito 
                  il Laboratorio Libertario Alfredo Lopez quattro anni fa, avevamo 
                  ed abbiamo, tra gli altri propositi per nulla nascosti, anche 
                  “la generazione di una rete di volontari per la trasformazione 
                  sociale a Cuba”, però specificatamente in un senso 
                  antiautoritario ed anticapitalista. 
                  Volevamo, e vogliamo, non “reclutare”, perché 
                  non siamo sergenti di nessuna gerarchia militare, bensì 
                  promuovere il gusto per l'organizzazione autonoma, assemblearia 
                  e orizzontale, che permetta di agglutinare energie e potenziare 
                  fraternità, che prefigurino la società che vogliamo, 
                  senza comandanti né capi, né soldati obbedienti, 
                  e, inoltre, volevamo e vogliamo fare attivismo, non semplicemente 
                  contro l'attuale goberno cubano, ma contro tutte le forme 
                  di relazioni interpersonali nocive alla dignità, utilizzate 
                  da coloro che governano, da quelli che si lasciano governare, 
                  e da quelli che combattono un governo per sostituirlo con un 
                  altro, nei momenti e luoghi piú diversi. 
                  Volevamo e vogliamo fare queste cose perché nascere e 
                  vivere a Cuba e conoscere in prima persona la deriva autoritaria 
                  della Rivoluzione Cubana, è stata l'esperienza che ci 
                  ha resi più rivoluzionari, più anticapitalisti, 
                  più antiautoriari, più antisessisti, più 
                  antiomofobici, più ambientalisti indipendenti, più 
                  antipatriarcali, più libertari, ed a molti di noi, più 
                  anarchici. 
                  Se non abbiamo avuto grande successo in questo si deve, oltre 
                  alla nostra inconsistenza ed inefficienza, anche al fatto che 
                  il goberno cubano ha saputo indiscutibilmente creare 
                  una società tanto in salute quanto sottomessa, tanto 
                  patriottica quanto dipendente dalle autorità, tanto unita 
                  di fronte all'imperialismo yanqui, quanto indifesa di 
                  fronte alla burocrazia ed i suoi poteri... 
                  Tutto ciò ha dato luogo a che i minori di 35 anni di 
                  età in Cuba, oltre ad essere in un processo di estinzione, 
                  in assai poche occasioni possono incontrarsi nelle strade per 
                  fare qualcosa di diverso dall'essere spettatori passivi dei 
                  passatempi statali per la massa o consumatori manovrabili dell'offerta 
                  di divertimento non statale autorizzato. Questo è il 
                  contesto ideale perché gli agenti della USAID possano 
                  svolgere il loro compito, preceduto però dal lavoro sporco 
                  gratuito che già durante decenni hanno saputo attuare 
                  gli agenti che proteggono il nostro “Stato rivoluzionario”. 
                  Se la USAID da quattro anni sta reclutando giovani latinoamericani 
                  per trovare nuove marionette che possano svolgere il proprio 
                  lavoro sporco a Cuba, a loro, ai cubani comuni come noi, ed 
                  alla Sicurezza di Stato cubano diciamo: noi non riceviamo 
                  ordini da nessuno e nemmeno li diamo. Viviamo in un mondo 
                  nostro, stretto e fragile però reale e palpabile, dove 
                  non siamo né pecore né pastori. 
                Il significato del comunismo 
				Siamo quello che siamo e facciamo, perché pensiamo che 
                  il comunismo si fa qui ed ora, e non è un decreto governativo 
                  che si maneggia discrezionalmente, secondo gli indicatori economici 
                  dello Stato imprenditore e benefattore, perché pensiamo 
                  che una società non finisca di essere capitalista quando 
                  gli sfruttatori del lavoro altrui sono “nazionalizzati” 
                  per lasciarne uno solo, fosse anche il più benevolo e 
                  umanitario. 
                  Non finiremo mai di ripetere che il comunismo non è nè 
                  può essere un semplice “Stato comunista”, 
                  ma un processo sociale verso la comunicazione della vita, dall'arte, 
                  prodotto diffusamente con le energie e l'immaginazione, la pazienza, 
                  il coraggio, e molte altre cose, dei collettivi e delle persone 
                  che vogliono costruirlo; e se non è questo sarebbe solo 
                  il nome di un altro regime di oppressione che incontrerà 
                  magari sempre argomenti sublimi e metodi fallaci per perpetuarsi. 
                  Se la rivoluzione non ha potuto essere quello che doveva e quello 
                  che annunciavano i suoi portavoce, perché l'imperialismo 
                  è troppo vicino e...., allora i membri della cosiddetta 
                  “generazione storica” ed i suoi adepti, lo avrebbero 
                  pensato meglio e non avrebbero fatto la rivoluzione, perché 
                  la geografia è più difficile da cambiare delle 
                  mentalità, o avrebbero smantellato tutte le concetrazioni 
                  di potere corruttore, per accorciare il tempo in cui sarebbe 
                  sparita la fatidica funzione di quadro politico, annunciata 
                  da Fidel Castro 46 anni fa! E non si sarebbero avvelenati tanti 
                  giovani cubani con il tentatore “miele del potere” 
                  che lo stesso caudillo ha confessato. 
                  Se c'è qualcosa che abbiamo ricevuto in questi anni nell'Osservatorio 
                  Critico nel Laboratorio Libertario Alfredo Lopez è stata 
                  la solidarietà internazionale con idee, risorse e mezzi 
                  per fare quello che facciamo, da parte di compagni che –essendo 
                  militanti attivi anticapitalisti- mai ci hanno chiesto di fare 
                  corsi di educazione sessuale per mascherarci, nè nulla 
                  che gli somigli, e meno ancora hanno preteso il compimento di 
                  ordini o suggerimenti, di fatto mai ci hanno detto quello che 
                  dobbiamo fare. 
                  Abbiamo fatto esattamente ciò che abbiamo voluto o potuto, 
                  nel momento e nel luogo di nostra scelta, che è come 
                  dire che abbiamo fatto ciò che è scaturito da 
                  dialoghi e dal consenso tra chi di noi ha voluto fare qualcosa. 
                  La nostra più recente iniziativa, la “I Giornata 
                  Primavera Libertaria”, è stata possibile grazie 
                  alla solidarietà dei nostri compagni fuori dall'isola, 
                  però è stata una sorpresa anche per loro, che 
                  hanno avuto notizia di questa attività solo quando l'abbiamo 
                  fatta conoscere pubblicamente. 
                  E prima di arrivare a questa Giornata, allo scopo di proporre 
                  esplicitamente una prospettiva libertaria su temi svariati, 
                  mai abbiamo nascosto in alcun spazio a Cuba la nostra identità 
                  e le nostre attività, quando qualcosa di simile è 
                  accaduto è stato per non distruggere il dialogo di esperienze 
                  concrete con uscite ideologiche fuori luogo o per rispettare 
                  spazi autonomi degni. 
                Niente da nascondere 
				Per tutto questo, signori agenti della CIA e della USAID, possiamo 
                  dirvi che potrete inviare tutti i vostri impiegati e reclutatori 
                  che desiderate, e sperperare il denaro dei vostri disciplinati 
                  contribuenti, almeno con noi. Ed ai cittadini agenti della Sicurezza 
                  dello Stato cubano comunichiamo: non abbiano nulla da nascondere, 
                  i nostri compagni di idea nel mondo non sono imprenditori milionari, 
                  né aristocratici filantropi, nè politici progressisti 
                  che vengono a mettere a sacco l'“immagine di Cuba” 
                  per vincere elezioni nel loro paese, e nemmeno sono rappresentanti 
                  di potenze imperialiste emergenti diventate, insieme alle rimesse 
                  economiche dei familiari dei cubani che se sono andati, il sostegno 
                  decisivo dei governanti cubani per mantenere la loro voluminosa 
                  burocrazia politica, amministrativa e militare, così 
                  come i dispositivi di controllo sociale della onnipresente Sicurezza 
                  di Stato cubana, che periodicamente necessita fatti come quelli 
                  riferiti per garantire la permanenza integra dei suoi interessi 
                  e del suo stile di vita, quando non c'è molto lavoro 
                  di controspionaggio spettacolare da assolvere. 
                  I compagni nel mondo 
                I nostri compagni nel mondo non sono quegli antiimperialisti 
                  di facciata, che sognano un inconfessabile capitalismo rivoluzionario 
                  terzomondista o semplicemente “leninismo di mercato” 
                  che già ora svegli e davanti ai microfoni chiamano “Socialismo 
                  del XXI Secolo”. I nostri compagni non chiudono gli occhi 
                  di fronte alle turbie incoerenze dei caudillos progressisti 
                  di turno per poi svegliarsi un giorno come intellettuali “confusi” 
                  o “delusi”. I nostri compagni sanno meglio di molti 
                  politici di sinistra che la forma più effettiva di essere 
                  antiimperialista è essere antiautoritari, che è 
                  il modo più sicuro per non perdere la testa nel labirinto 
                  paralizzante di “buoni governanti/cattivi governanti ”, 
                  e poter concentrare le energie per progettare spazi e esperienze 
                  dove siano innecessari gli stessi governanti. 
                  Per questo non abbiano nulla di cui vergognarci rispetto a coloro 
                  con cui ci relazioniamo e continueremo facendo ciò che 
                  facciamo, non per denaro, non per ordini ricevuti, e nemmeno 
                  solo per motivi di coscienza, ma anche perché è 
                  proprio quello che ci piace fare. 
                  Nella società cubana, che abbiamo conosciuto nei nostri 
                  anni di vita cosciente, sono accadute molte cose ed altre continuano 
                  ad accadere intorno a noi e non sono state introdotte dagli 
                  agenti della USAID, bensì dagli stessi che fecero, sostennero 
                  e ora vivono di questa “Rivoluzione Cubana”. 
                  Ci annoia la “massificazione della cultura” della 
                  quale nemmeno più parlano i suoi promotori locali, però 
                  continua operando identica a se stessa, senza smettere di essere 
                  quello che sempre è stata: un'altra mascherata per controllare 
                  la creatività e convertire in cultura il controllo totale 
                  dello Stato. 
                  Ci repellono i loro docili “intellettuali critici”, 
                  gagliardi e giovani, dai capelli fluenti o meno, però 
                  eruditi prematuri nella aritmetica dell'equilibrio e della convenienza, 
                  che fanno qualsiasi cosa per scalare e viaggiare all'estero 
                  e, in molti casi, scappare, senza dover passare per i tramiti 
                  truffaldini disegnati dal MININT. 
                  Sentiamo pena per quelle migliaia di eccellenti medici cubani 
                  che, svezzati nelle carenze d'ogni tipo, confrontando miseria 
                  come la emulazione nella docilità, e la ipocrisia esistenziale, 
                  vanno in Brasile o in altri paesi a svolgere un lavoro ineguagliabile, 
                  come unica via per trovare un'ancora di salvezza, un mezzo con 
                  cui vestire i propri figli e rammendare la loro vita. 
                  Professiamo una tenerezza infinita per tutti quei lavoratori, 
                  nostri padri e nonni, che offrirono le loro migliori energie 
                  e la loro stessa vita per la “Rivoluzione” ed oggi 
                  sono cittadini di scarto, dai quali i leader politici solo si 
                  aspettano che continuino ad essere pazienti, comprensivi, e 
                  come buoni integranti del già “milionario” 
                  precariato cubano, godano delle bontà del plurimpiego 
                  dopo essere stati giubilati. 
                  Ci spaventa la qualità umana dei bambini e dei giovani 
                  che stanno uscendo dalle scuole, prodotta dalla tremenda crisi 
                  di senso in cui si trova l'educazione nel nostro Paese, in istituzioni 
                  ridipinte e riparate, però dove i maestri, nella miseria 
                  di sempre, alienati e controllati in tutto, “insegnano” 
                  ai bambini ed ai giovani solo quello che conviene agli interessi 
                  degli amministratori dello Stato e alla sua polizia mentale, 
                  con le incoerenze più insostenibili, mentre gli studenti, 
                  i padri, e le comunità di vicini non possono decidere 
                  nulla in un assunto così cruciale e con effetti a lungo 
                  termine per le loro vite. 
                  Capitalismo statale 
                Ci vergogniamo delle acrobazie tecnocratiche e economicistiche 
                  della cosiddetta “attualizzazione del modello economico 
                  cubano” e del Nuovo Codice del Lavoro, dibattuti ed approvati, 
                  come in altre campagne anteriori, nel mezzo di un montaggio 
                  mediatico dispotico, che ha impedito qualsiasi discussione pubblica 
                  seria e ragionata tra il popolo lavoratore sugli effetti di 
                  simili parti. 
                  Percepiamo continuamente la disperazione suicida della élite 
                  governante dell'isola, nel tentativo di salvare la “Rivoluzione 
                  Cubana”, insegna dorata e con un certo prestigio che nasconde 
                  ora un capitalismo statale ordinario, con alcune notevoli successi, 
                  però in una crisi di produzione ormai permanente, non 
                  solamente limitata al piano economico ma anche a quello culturale, 
                  a quello simbolico, a quello morale, che a loro parere si potrà 
                  risolvere con “l'ossigeno” velenosamente vivificatore 
                  degli investimenti diretti dei loro equivalenti stranieri: i 
                  grandi capitalisti del mondo. 
                  In questo impegno ai governanti cubani non serve una gioventù 
                  imbevuta di alti valori, che nascono solo nella terra nutrice 
                  della libertà di pensiero e di scelta. A loro servono 
                  giovani competitivi e atomizzati, addestrati nel gioco creativo 
                  con la retorica dominante d'ogni momento, e preparati per il 
                  calcolo ragionevole del costo/beneficio di ciò che fanno. 
                  A loro non serve l'autogestione dei lavoratori e delle comunità, 
                  nè un movimento cooperativo vivo, nè progetti 
                  partecipativi, nè municipio sovrani, nè dinamiche 
                  associative aliene al lucro ed al pagamento di imposte, nè 
                  nulla di simile che possa condurre a rivitalizzare le potenzialità 
                  liberatrici che una volta, fugacemente, ebbe la rivoluzione 
                  cubana, e che potrebbero condurre verso una socializzazione 
                  e comunicazione concreta nella vita quotidiana di Cuba. 
                  Sono mossi solo dal maneggio dolciastro e assuefacente delle 
                  parole che un tempo erano la sintesi dei valori attivi in ampi 
                  strati del popolo cubano. E soprattutto li guida l'esempio ispiratore 
                  dei loro soci: i vincenti e criminali burocapitalisti cinesi, 
                  che massacrarono in Piazza Tienanmen l'espressione più 
                  pura della gioventù di quel paese, al solo fine di mantenere 
                  incolume il loro potere, liberando il cammino per riciclarsi 
                  come grandi imprenditori di taglia mondiale; o le potenti imprese 
                  brasiliane, oggi all'avanguardia della produzione di alimenti 
                  transgenici, sostenitori di un governo come quello del PT, che 
                  ha saputo tradire la sinistra sudamericana e massacra ora la 
                  propria gente riversata nelle strade. 
                  Per tutto questo e perché lo abbiamo deciso: siamo anticapitalisti, 
                  antisessisti, antiomofobici, antipatriarcali, libertari e in 
                  vari casi anarchici, e continueremo facendo quello che pensiamo 
                  di dover fare, quello di sempre: forgiare, promuovere ed apprendere 
                  autonomia e autorganizzazione dal basso, delle persone, dei 
                  vicini, dei lavoratori, degli studenti, dei giovani, degli anziani... 
                  Ed insieme a loro non smetteremo di relazionarci coi nostri 
                  compagni nel mondo, che nei più dissimili ed avversi 
                  scenari, non lasciano morire la dignità umana e sono 
                  come noi anticapitalisti, antiautoritari, antisessisti, antiomofobici, 
                  antipatriarcali, ambientalisti indipendenti, libertari e, in 
                  molti casi, anarchici. 
                 Laboratorio libertario  “Alfredo 
                  Lopez” 
                  Cuba 
                  traduzione di Max “Alf” Serini 
                   
                  L'Avana, 21 agosto 2014 
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