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               storia 
                  
                Cent'anni fa, la Settimana rossa 
                  
                a cura di Luigi Balsamini  
                    
                Giugno 1914: le strade e le piazze di Ancona, di gran parte delle Marche, della Romagna e in genere di quello che era stato il Regno del Papato si infiammano. Ne nasce un vero e proprio moto insurrezionale, che a molti fa credere che l'ora della Rivoluzione sia imminente. 
	La repressione è durissima. Un secolo dopo, tra le numerose iniziative, esce una  graphic novel di cui riproduciamo cinque tavole. 
	La precedono una breve sintesi storica di quei fatti, una bibliografia essenziale e una scheda specifica sulla  graphic novel.
                   
                  
                     
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                      |   Ancona, giugno 1914 - La settimana rossa  | 
                     
                   
                 
                Una sintesi storica 
                Il 7 giugno 1914 si celebrava l'anniversario dello Statuto 
                  Albertino, una ricorrenza nazionale monarchica per la quale 
                  erano previsti festeggiamenti e parate militari in ogni città. 
                  Nello stesso giorno le forze popolari e sovversive si mobilitano 
                  per dar luogo a manifestazioni antimilitariste; su «Volontà», 
                  giornale degli anarchici anconetani, si legge: “Il 7 giugno 
                  è la festa del militarismo imperante. Faccia il popolo 
                  che diventi giorno di protesta e di rivendicazione”. 
                  Almeno fin dal 1911, quando l'Italia si era mossa alla conquista 
                  della Libia per soddisfare le proprie aspirazioni colonialiste, 
                  l'agitazione antimilitarista aveva ripreso forza, tenendo assieme 
                  socialisti, anarchici e repubblicani. Altro elemento comune 
                  era l'anticlericalismo, un sentimento mai sopito e che si andava 
                  radicalizzando tra le masse popolari di fronte alle alleanze 
                  politiche tra cattolici e liberali per il mantenimento dell'ordine 
                  sociale. Più in generale, il paese stava affrontando 
                  un periodo di forte disagio economico e sociale, con scioperi 
                  che si susseguivano nelle fabbriche e nelle campagne, mentre 
                  in molti si trovavano costretti ad emigrare. 
                  Il governo Salandra vieta per il 7 giugno cortei e comizi pubblici 
                  di protesta. Ad Ancona circa 500 persone si riuniscono nel pomeriggio 
                  nei locali di Villa Rossa, la sede dei repubblicani; all'uscita 
                  si ritrovano a fronteggiare le forze dell'ordine, schierate 
                  per bloccare l'accesso alle vie del centro. Nascono dei disordini, 
                  i carabinieri fanno fuoco sulla folla e uccidono tre ragazzi 
                  di 17, 22 e 24 anni. 
                  Immediatamente la città si solleva in uno sciopero generale 
                  spontaneo che per qualche giorno assume i caratteri di una vera 
                  e propria insurrezione. Carabinieri e guardie vengono attaccati, 
                  la folla si procura armi assaltando le armerie, i caselli del 
                  dazio sono dati alle fiamme, il grano dei magazzini viene requisito. 
                  Da Ancona la rivolta si propaga velocemente, nelle principali 
                  città italiane la popolazione scende in piazza, i manifestanti 
                  si scontrano con le forze dell'ordine in tafferugli che proseguono 
                  per qualche giorno lasciando sul selciato altri morti. 
                  La Confederazione generale del lavoro dichiara concluso dopo 
                  solo 48 ore lo sciopero generale, ma è proprio allora 
                  che l'agitazione si trasforma in un moto insurrezionale, accendendo 
                  in molti l'illusione che il momento tanto atteso della rivoluzione 
                  sociale fosse finalmente arrivato. 
                  In Romagna, in particolare, si respira un clima decisamente 
                  rivoluzionario: diverse chiese vengono assaltate e date alle 
                  fiamme, così come i palazzi del potere, un generale viene 
                  fatto prigioniero, in alcune piazze viene eretto l'“albero 
                  della libertà” (simbolo rivoluzionario risalente 
                  ai tempi della Rivoluzione francese). Lì dove il movimento 
                  repubblicano ancor più di quello anarchico era una componente 
                  fondamentale delle sinistre, si diffonde la convinzione che 
                  sia giunta l'ora di farla finita con la monarchia, i signori 
                  e i loro tirapiedi. 
                  I dimostranti bloccano le linee ferroviarie, tagliano i fili 
                  telefonici e telegrafici e abbattono i pali. Questi atti di 
                  sabotaggio sono diretti a impedire lo spostamento delle truppe 
                  e ad interrompere le comunicazioni e quindi l'organizzazione 
                  della repressione tra prefetti, questori, ministero dell'interno, 
                  caserme. Allo stesso tempo viene anche impedita la distribuzione 
                  dei giornali, le notizie faticano quindi a circolare e si ingigantiscono 
                  passando di bocca in bocca: le false notizie circa il successo 
                  della rivoluzione aumentano ancora di più l'entusiasmo 
                  incontrollato delle folle romagnole. 
                  Il 12 giugno l'anarchico Errico Malatesta, tra i principali 
                  protagonisti della rivolta di Ancona, scrive su «Volontà»: 
                  “Non sappiamo ancora se vinceremo, ma è certo che 
                  la rivoluzione è scoppiata e va propagandosi. La Romagna 
                  è in fiamme; in tutta la regione da Terni ad Ancona il 
                  popolo è padrone della situazione. A Roma il governo 
                  è costretto a tenersi sulle difese contro gli assalti 
                  popolari: il Quirinale è sfuggito, per ora, all'invasione 
                  della massa insorta, ma è sempre minacciato. A Parma, 
                  a Milano, a Torino, a Firenze, a Napoli agitazioni e conflitti. 
                  E da tutte le parti giungono notizie, incerte, contraddittorie, 
                  ma che dimostrano tutte che il movimento è generale e 
                  che il governo non può porvi riparo. E dappertutto si 
                  vedono agire in bella concordia repubblicani, socialisti, sindacalisti 
                  ed anarchici. La monarchia è condannata. Cadrà 
                  oggi, o cadrà domani, ma cadrà sicuramente e presto”. 
                  Il moto rivoluzionario va in realtà esaurendo le proprie 
                  forze, dopo aver tenuto in scacco per una settimana intere zone 
                  del paese. Poco più tardi, il 28 giugno 1914, l'assassinio 
                  dell'arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo innesca la tragica 
                  spirale che trascinerà l'Europa nella prima guerra mondiale 
                  e contrapporrà in Italia interventisti e neutralisti, 
                  fino all'ingresso del paese in guerra nel maggio 1915. 
                   La 
                  Settimana rossa, in particolare nelle zone dell'anconetano e 
                  del ravennate, lascerà una traccia profonda nell'immaginario 
                  popolare come un momento in cui il proletariato aveva unitariamente 
                  dato prova della propria combattività, arrivando a sfiorare 
                  per un fugace attimo l'ebbrezza della rivoluzione sociale. 
				Bibliografia essenziale 
                Luigi Lotti, La Settimana rossa: con documenti inediti, Firenze, Le Monnier, 1972 (1. ed. 1965). 
Gino Cerrito, Dall'insurrezionalismo alla settimana rossa: per una storia dell'anarchismo in Italia, 1881-1914, Firenze, CP, 1977. 
La Settimana rossa nelle Marche, a cura di Gilberto Piccinini e Marco Severini, [Ancona], Istituto per la storia del movimento democratico e repubblicano nelle Marche, 1996. 
Alessandro Luparini, Settimana rossa e dintorni. Una parentesi rivoluzionaria nella provincia di Ravenna, Faenza, Edit Faenza, 2004. 
Massimo Papini, Ancona e il mito della Settimana rossa, Ancona, Affinità elettive, 2013. 
Alessandro Luparini, Laura Orlandini, La libertà e il sacrilegio: la Settimana rossa del giugno 1914 in provincia di Ravenna, prefazione di Luigi Lotti, Ravenna, Giorgio Pozzi, 2014. 
				La graphic novel “Una settimana rossa” 
                Bruno, Iole e Sante, tre ragazzi di Ancona, lavoratori del porto, poveri e precari della città. Le vite costrette tra navi da scaricare e reti da rammendare. Errico Malatesta, rivoluzionario da sempre, nemico pubblico, è tornato in città dopo un lungo esilio. Ad un tratto, la quotidianità viene travolta dagli avvenimenti di quella che sarà ricordata come la “Settimana rossa” del giugno 1914. 
Un comizio antimilitarista, indetto da anarchici, socialisti e repubblicani si chiude nuovamente, dopo tante stragi, col piombo delle forze dell'ordine e tre corpi sul selciato. La reazione dei “sovversivi” questa volta è immediata. E determinata. La popolazione scende in strada, occupa le piazze, caccia via carabinieri e guardie costringendoli a trincerarsi nelle caserme. Lo sciopero è generale, i treni fermi, negozi e magazzini assaltati e il cibo redistribuito, le comunicazioni interrotte dai dimostranti che abbattono le linee telefoniche e telegrafiche. 
I tre ragazzi non resistono al richiamo. La festa della rivoluzione è anche la loro. Finalmente la vita quotidiana scompare, sentono di aver preso il destino nelle proprie mani, convinti che sia giunta l'ora di sbarazzarsi in un sol colpo del re, dell'esercito, dei signori e anche dei preti. Che fare? La città di Ancona rimane per alcuni giorni come sospesa in una calma piena di tensione rivoluzionaria e di incertezza. Intanto, la rivolta è contagiosa e si propaga nel resto della provincia: Fabriano, Jesi, Senigallia e oltre; notizie di scontri e tafferugli provengono dalle principali città italiane, mentre in Romagna lo sciopero acquista il carattere di un'insurrezione radicale e diffusa. 
Ma la rivoluzione sociale, tanto attesa, non arriva: troppe le divisioni e le incertezze dei dirigenti, troppo forte la repressione e la minaccia dell'esercito. Ancona e il resto del paese tornano sotto lo stivale dei militari, la strada è spianata verso la prima guerra mondiale. I fumaioli delle navi, giù al porto, riprendono a sbuffare fumo nero, ma Bruno, Iole e Sante sono già altrove, la passione per la libertà attraverserà ancora la storia. 
 
                  Sceneggiatura di: Luigi Balsamini, Pamela Galassi, Marco 
                  Mattioli, Vittorio Sergi 
 
                  matite di Filippo Mattioli 
 
                  chine di Massimiliano Paladini 
 
                  Coedizione: 
Gwynplaine, 
Archivio-Biblioteca Enrico Travaglini, 
Anarchici/che Valcesano 
                 
                   
                
  
                
  
                
  
                
  
                
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