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                San Cristóbal de Las Casas: la “città vampiro” e l'insurrezione armata zapatista 
                  
                di Orsetta Bellani 
                    
                Il Chiapas, lo zapatismo, il sub-comandante Marcos sembrano non essere più “di moda”, anche negli ambienti della sinistra rivoluzionaria, che hanno guardato in quella direzione spesso con spirito un po' adorante.  Per una rivista come la nostra, abituata a muoversi – per scelta – in direzione ostinata e contraria, ci sembra giunto il momento di riprendere le fila del discorso. E lo facciamo, a partire da questo numero, con una serie di corrispondenze / riflessioni di Orsetta, da alcuni anni nostra collaboratrice assidua, da anni residente in Chiapas. Si parte proprio da San Cristóbal de Las Casas, punto di approdo e di partenza verso le comunità zapatiste. 
				 
                 A San Cristóbal,  
                  fuori dall'orizzonte di nubi e montagne  
                  che adornano ogni strada,  
                  nulla è stato regalato,  
                  tutto è stato conquistato. 
                  Andrés Aubry1 
                 L'ora migliore per guardare San Cristóbal de Las Casas sono le sei 
                  del pomeriggio. Il sole scende lentamente dietro il vulcano 
                  Huitepec e colora di viola le nuvole basse. Le indigene, per 
                  lo più maya tzotziles, stendono il loro artigianato di 
                  fronte alla cattedrale gialla che l'illuminazione notturna fa 
                  sembrare di zucchero, mentre nelle strade del centro la gente 
                  si riversa nei bar e nei ristoranti italiani, argentini, libanesi. 
                  San Cristóbal è una città turistica. I 
                  turisti, che non si muovono dalle strade principali, pensano 
                  sia solo una cittadina, quando in realtà ha circa 190mila 
                  abitanti2. Viviamo tra le grandi 
                  case del centro laccato - di tegole e fango intonacato dai colori 
                  accesi, con i ricchi cortili abbelliti da alberi e piante tropicali 
                  -, i barrios costruiti dagli spagnoli per confinare gli 
                  indigeni e la più recente periferia: quartieri come La 
                  Hormiga, eretto abusivamente negli anni '80 dai maya di San 
                  Juan Chamula espulsi dalla violenza religiosa. 
                  San Cristóbal è una città povera e aspra, 
                  con un passato difficile. Quando nel 1528 il conquistador 
                  Diego de Mazariegos la fondò, credeva di trovarsi in 
                  Giappone e ancora non sapeva che più a sud ci fosse tutto 
                  un continente: il Chiapas era considerato un finis terrae. 
                  Nella storia di San Cristóbal abbondano i terremoti, 
                  le inondazioni, le epidemie e le ingiustizie. Era, ed è 
                  tuttora, una “città duale”, che riflette 
                  nella sua urbanistica la divisione sociale tra la classe dirigente 
                  ladina3 e il proletariato 
                  indigeno4. 
                  San Cristóbal è fredda e umida, circondata da 
                  pantani e da montagne di boschi verdi. Il sole brucia le giornate 
                  della sua valle, a più di 2mila metri sul livello del 
                  mare, ma quando tramonta il freddo intirizzisce le ossa. I pomeriggi 
                  estivi sono innaffiati da acquazzoni che ricorrono come una 
                  costante intorno alle 2 del pomeriggio; prima di arrivare in 
                  Messico, non avevo mai pensato che la pioggia potesse avere 
                  un orario. 
                  A causa della sua “alta” posizione – preferita 
                  dagli invasori spagnoli visto il caldo soffocante delle terre 
                  ai suoi piedi – San Cristóbal non è mai 
                  diventata un centro agricolo importante, e a partire dal XIX 
                  secolo la sua principale attività economica è 
                  stata il reclutamento di braccianti indigeni per le terre basse 
                  chiapaneche5. 
                  Seconda città più antica d'America e capitale 
                  dello Stato del Chiapas durante più di tre secoli, San 
                  Cristóbal è stata dimenticata dai presidenti che 
                  si sono succeduti a partire dal 1824, quando da territorio guatemalteco 
                  diventò messicano. Il primo che da Città del Messico 
                  si spinse fino alla sierra chiapaneca fu, nel 1940, Lázaro 
                  Cárdenas, che intraprese un viaggio che durò vari 
                  giorni per raggiungere l'isolata San Cristóbal, fino 
                  agli anni cinquanta unita al resto del paese da una sola strada 
                  asfaltata6. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   San Cristóbal de Las Casas (Chiapas), 2014.  Cattedrale di San Cristóbal  | 
                   
                 
                Sfruttamento e sangue dei nativi 
                A partire dagli anni '70, a causa della crisi del settore agricolo 
                  e delle tensioni che si crearono nelle campagne tra protestanti 
                  e cattolici, la migrazione indigena alla bella città 
                  coloniale, che era fondamentalmente e orgogliosamente meticcia7, 
                  divenne sempre più massiva. L'integrazione è stata 
                  lenta e incompleta, dovuta al razzismo dei coletos8 
                  e alle difficoltà, per gli indigeni, di adattarsi al 
                  contesto urbano. Ancora oggi molti nativi continuano a essere 
                  legati ai modi rurali, e non è difficile incontrare donne 
                  che pascolano pecore alle porte del centro storico. 
Con il suo centro “perfetto”, San Cristóbal è oggi lo specchio dei contrasti del Chiapas, che presenta una facciata turistica da cartolina e un dietro le quinte di violenza ed emarginazione, soprattutto nei confronti degli indigeni. 
                  “San Cristóbal è chiamata “città 
                  vampiro”, perché vive del sangue e dello sfruttamento 
                  dei nativi. Prima dell'insurrezione zapatista, nel loro discorso 
                  i coletos esprimevano in modo esplicito il razzismo nei 
                  confronti degli indigeni”, ricorda Juan Blasco, professore 
                  della Unach (Universidad Autónoma de Chiapas). “Dopo 
                  l'insurrezione zapatista, i giornali criticarono i sancristobalensi 
                  per aver maltrattato gli indigeni durante secoli, e da allora 
                  il loro atteggiamento è cambiato, almeno nel discorso9”. 
 
                  Non è certo un caso se in Chiapas c'è stato un 
                  levantamiento10 armato 
                  indigeno. Fino al 1952, anno in cui apparve l'Instituto Nacional 
                  Indigenista (INI), la discriminazione a San Cristóbal 
                  era stabilita per legge: ai nativi era proibito camminare nella 
                  piazza principale, andare per strada di notte e dovevano scendere 
                  dal marciapiede se s'imbattevano in un ladino11. 
                  Dopo il 1952, il razzismo ha continuato ad esistere come pratica 
                  consuetudinaria e nel mio quartiere, costruito all'epoca della 
                  Colonia come ghetto per gli indigeni, fino al 1985 non c'erano 
                  asfalto né fognature12. 
Intanto, a metà degli anni '80 San Cristóbal si trasformò in una meta turistica, ai tempi riservata solo a viaggiatori freakettoni. Tempo fa, quando lavoravo come volontaria nel centro di ricerche CIEPAC (Centro de Investigaciones Económicas y Políticas de Acción Comunitaria), incontrammo un documento in cui il governo dello Stato del Chiapas, pur preoccupato per il subbuglio causato dagli zapatisti, si diceva convinto che la loro insurrezione (1994) avesse favorito il turismo. 
Li chiamiamo zapaturisti e sono persone che vengono da tutto il mondo per appoggiare il movimento e per imparare, conoscere e diffondere nel loro paese la propria esperienza. Mossi da nobili intenti e spesso e volentieri piuttosto “spiantati”, gli zapaturisti rappresentano una bella opportunità per i piccoli albergatori, ristoratori e per chi vende artigianato. 
Un altro fenomeno curioso causato dall'insurrezione zapatista a San Cristóbal è stato l'arrivo in pianta stabile di attivisti politici di vario ordine e grado, provenienti dall'estero o da altre città del Messico. Integrarsi nella città coleta non è facile, visto l'abisso culturale che ci separa dai tzotziles e la diffidenza dei meticci, proprio a causa del nostro appoggio alla causa indigena. Il rischio che si corre è di trovarsi in una nicchia sociale di “salvatori del mondo”. 
					Il trattato di libero commercio 
                È comune sentir parlare del collasso della civiltà 
                  maya, come se si trattasse di un'etnia scomparsa dalla faccia 
                  della terra. In realtà, malgrado siano tramontati i regni 
                  di Palenque, Toniná e Chichén-Itzá13, 
                  la realtà comunitaria indigena, figlia dei figli degli 
                  abitanti di quelle ricche città, è viva e vegeta. 
                  Oggi i maya, che rappresentano circa il 30% della popolazione 
                  chiapaneca14, sono gli abitanti 
                  più poveri dello stato che ha il minor indice di sviluppo 
                  umano del Messico15 e 
                  in cui, nel 2012, la povertà interessava ancora il 74,7% 
                  della popolazione16. Prima del 
                  '94, la situazione era ancora più grave: il 50% delle 
                  case nei municipi di Ocosingo, Comitán e Las Margaritas 
                  avevano il pavimento in terra battuta, il 65% non godevano dell'allacciamento 
                  all'acqua corrente e il 70% all'elettricità17. 
                  All'inizio degli anni '90, il governo neoliberista di Carlos 
                  Salinas de Gortari prese due provvedimenti che misero in allarme 
                  l'agro messicano: la riforma dell'art. 27 della Costituzione, 
                  che interruppe la riforma agraria e la distribuzione delle terre, 
                  privatizzando gli ejidos18, 
                  e la firma del Trattato di Libero Commercio (TLC) con il Canada 
                  e gli Stati Uniti (North American Free Trade Agreement - NAFTA). 
                  Dal primo gennaio 1994, quando il NAFTA entrò in vigore, 
                  i prodotti agricoli messicani si trovarono a dover competere 
                  con quelli dei vicini del nord, e già allora c'era chi 
                  prevedeva la catastrofe che, a vent'anni di distanza, è 
                  davanti ai nostri occhi: i sussidi che il governo statunitense 
                  e quello canadese offrono all'agricoltura rendono i loro prodotti 
                  più economici sul mercato messicano rispetto a quelli 
                  locali, con il risultato che le importazioni di mais – 
                  alimento base della cucina messicana e che trova la sua origine 
                  proprio in questa parte del mondo – tra il 1992 e il 2008 
                  sono aumentate di quasi cinque volte19. 
                  I piccoli contadini messicani, la cui produzione è incentrata 
                  soprattutto sul granoturco, si sono trovati a non poterlo più 
                  vendere nei mercati locali. Il NAFTA ha creato una crisi economica 
                  e umanitaria: dalla sua entrata in vigore, il paese ha perso 
                  4,9 milioni di posti di lavoro nell'agricoltura familiare e 
                  6 milioni di persone hanno dovuto abbandonare la campagna20. 
                  All'alba del primo gennaio 1994, giorno dell'entrata in vigore 
                  del NAFTA, il Chiapas fu l'epicentro di un terremoto. Centinaia 
                  di indigeni maya armati e con i volti coperti da passamontagna 
                  occuparono San Cristóbal e altri quattro centri urbani 
                  chiapanechi. Dal Palazzo Municipale della città lessero 
                  la Prima Dichiarazione della Selva Lacandona: “A loro 
                  non importa che stiamo morendo di fama e malattie curabili, 
                  che non abbiamo nulla, assolutamente nulla, né un tetto 
                  degno, né terra, lavoro, salute, alimentazione, educazione, 
                  non abbiamo diritto a eleggere liberamente e democraticamente 
                  le nostre autorità, né pace e giustizia per noi 
                  e per i nostri figli. Ma oggi diciamo basta! Pertanto, conformemente 
                  a questa dichiarazione di guerra, diamo alle forze militari 
                  dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale l'ordine di 
                  avanzare verso la capitale del paese, vincendo l'esercito federale 
                  messicano21”. 
                  La dichiarazione di guerra di quei primi giorni del 1994 spaventò 
                  molti. “La mattina del 1° gennaio, accesi la radio 
                  e scoprii che tutti i networks locali erano stati occupati dagli 
                  zapatisti”, racconta il professor Juan Blasco22. 
                  “Viste le esperienze delle guerre brutali in Centroamerica 
                  degli anni '80 e '90, quando ascoltai la Prima Dichiarazione 
                  della Selva Lacandona mi spaventai. In seguito si scoprì 
                  che gli zapatisti usavano le armi per richiamare l'attenzione, 
                  ma la loro lotta abbandonò presto il piano militare. 
                  Quella mattina, dopo aver ascoltato la radio, andai in centro 
                  perché ero curioso di sapere cosa stava succedendo. Quando 
                  arrivai davanti al Palazzo Municipale c'erano dei guerriglieri 
                  con i volti coperti da passamontagna che presidiavano la piazza 
                  armati, ma in nessun momento pensai che mi avrebbero potuto 
                  fare del male”. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Indigeni maya tzotziles caricano  sulle spalle una sedia  adibita al trasporto umano  | 
                   
                 
                “Scusate il disturbo, è una rivoluzione” 
                Alcuni turisti si avvicinarono a un uomo incappucciato e alto, 
                  dall'aspetto meticcio, mentre rilasciava dichiarazioni alla 
                  stampa sotto il porticato del Palazzo del Municipio. La loro 
                  guida, nervosa, si lamentò perché doveva accompagnare 
                  il gruppo al sito archeologico di Palenque. “La strada 
                  per Palenque è chiusa”, rispose l'uomo. “Abbiamo 
                  occupato la città di Ocosingo. Scusate il disturbo, ma 
                  questa è una rivoluzione23”. 
                  Era il subcomandante Marcos che, secondo l'ex presidente Ernesto 
                  Zedillo, si chiama Rafael Sebastián Guillén Vicente 
                  ed è nato a Tampico nel 195724. 
                  Marcos arrivò nella Lacandona a seguito di un gruppo 
                  di sei meticci giunti dal centro del Messico il 17 novembre 
                  1983, con l'intenzione di organizzare un gruppo armato rivoluzionario 
                  in Chiapas. Appartenevano al FLN (Fuerzas de Liberación 
                  Nacional), e scelsero la Lacandona non a seguito di una prudente 
                  valutazione politica, ma solo perché avevano dei contatti 
                  nella zona. 
                  Ad ogni modo la scelta, benché casuale, fu senz'altro 
                  felice. I maya chiapanechi, normalmente considerati un popolo 
                  mansueto, hanno in realtà scatenato numerose ribellioni 
                  già ai tempi dell'occupazione spagnola. Nell'aprile 1712, 
                  nel paese di San Juan Cancuc, alla giovane maya tzeltal Maria 
                  de la Candelaria apparve una vergine che prometteva di aiutare 
                  gli indigeni. L'apparizione miracolosa, che non a caso coincise 
                  con l'aumento della decima25 
                  e la visita del maligno vescovo Juan Bautista Alvarez de Toledo, 
                  portò a un'insurrezione degli indigeni di tutta la zona 
                  contro l'esercito di Ciudad Real26 
                  in nome della vergine, che si concluse solo nel novembre dello 
                  stesso anno. Anche la ribellione contro la corona spagnola del 
                  paese tzotzil di San Juan Chamula (1869) ebbe origine “divina”. 
                  A seguito del ritrovamento, da parte dell'indigena Agustina 
                  Gómez Checheb, di tre pietre “scese dal cielo”, 
                  venne creata una nuova religione e detenuto a San Cristóbal 
                  il suo predicatore, Pedro Díaz Cuscate. Al comando di 
                  migliaia di tzotziles armati - a cui aveva assicurato che i 
                  morti durante la guerra sarebbero resuscitati dopo tre giorni 
                  -, il meticcio Ignacio Fernández de Galindo attaccò 
                  a più riprese la città chiapaneca per liberare 
                  il leader religioso27. Più 
                  recentemente (1974) i tzotziles di Venustiano Carranza e San 
                  Andrés Larrainzar si ribellarono contro i possidenti 
                  locali, che si comportavano come signori feudali e che repressero 
                  duramente l'iniziativa dei maya28. 
Ad ogni modo, è solo con la ribellione del EZLN del 1994 che la questione indigena entrò nell'agenda politica del Messico. Gli indigeni del Chiapas, i più poveri dello stato più povero del paese, salirono alle cronache internazionali. La guerra “regolare”, presto sostituita dal paramilitarismo, durò dodici giorni e si concluse a seguito di una manifestazione che riempì la piazza principale di Città del Messico, e che chiedeva al governo di Salinas de Gortari di decretare il cessate il fuoco e aprire il tavolo dei negoziati. 
I guerriglieri si ritirarono in montagna e iniziò il processo di costruzione dell'autonomia zapatista che, secondo molti analisti, rappresenta oggi un esempio pratico dell'“altro mondo possibile”. 
Secondo l'intellettuale messicano Gustavo Esteva: 
                  “Il mondo nuovo esiste nella zona zapatista, lo possiamo 
                  prendere come orizzonte per duplicarne l'esperienza. Non esiste 
                  un modo di ripeterla nel centro di Città del Messico 
                  o nella Sierra Norte dello Stato di Oaxaca, ma la possiamo utilizzare 
                  come inspirazione, è un esempio da condividere per parlare 
                  del mondo nuovo. Dobbiamo fare in modo, come gli zapatisti, 
                  che la nostra lotta abbia la forma del risultato: quando evitiamo 
                  di separare i mezzi dai fini, il nostro modo di lottare è 
                  già il risultato della lotta. In questo processo, l'amicizia 
                  ha un ruolo centrale: è lei a guidare i passi di chi 
                  sta costruendo il mondo nuovo29”. 
La rivoluzione neozapatista ha aperto la strada alle proteste anticapitaliste di Seattle (1999) e al primo Social Forum di Porto Alegre (2001), che hanno messo le basi per la nascita di movimenti sociali con respiro internazionale come quello No Global e quello degli Indignados. 
                  Gli zapatisti hanno inoltre risvegliato un senso di orgoglio 
                  pan-indigeno, per aver dimostrato che una forza composta da 
                  nativi può confrontarsi con il governo, l'esercito e 
                  i ladinos30. Dopo il 1994, 
                  molte nazioni indigene del continente americano sono diventate 
                  attrici centrali nella vita politica dei loro paesi, e il Chiapas 
                  non è più un luogo dimenticato e finis terrae 
                  della conquista coloniale. 
					Organizzazioni flessibili e democratiche 
                L'arrivo di Marcos e dei suoi compagni del FLN non rappresentò 
                  l'unica miccia che causò l'esplosione neozapatista. A 
                  partire dagli anni '50, il governo messicano promosse la colonizzazione 
                  della selva Lacandona: invece di ripartire, come prevedeva la 
                  riforma agraria, le terre dei latifondi ai contadini privi di 
                  terra, il governo li spingeva a disboscare e occupare quella 
                  vergine e sconosciuta porzione di Chiapas. Nel 1972, il presidente 
                  Luis Echeverría fece una mossa che si rivelò controproducente, 
                  promulgando il cosiddetto Decreto della Comunità Lacandona, 
                  con cui assegnava più di 600mila ettari di terra a sessantasei 
                  famiglie indigene lacandone - che godevano di un rapporto privilegiato 
                  con il governo -, ignorando i diritti su quella terra di più 
                  di trenta villaggi indigeni di altre etnie. 
                  Le nuove comunità sorte nella Lacandona erano organizzazioni 
                  flessibili e democratiche, propense a prendere decisioni in 
                  assemblea31. Negli anni '70, 
                  i villaggi che erano stati danneggiati dal Decreto della Comunità 
                  Lacandona crearono organizzazioni di autodifesa contadina di 
                  ispirazione maoista, e si moltiplicarono poi le associazioni 
                  indigene per la difesa dei diritti dei coloni della selva. Tra 
                  queste la ANCIEZ (Alianza Nacional Campesina Indígena 
                  Emiliano Zapata), organizzazione radicale che il 12 ottobre 
                  1992 - anniversario dell'arrivo di Colombo in America e dell'inizio 
                  della sua conquista - organizzò una marcia di 10mila 
                  indigeni per manifestare contro i 500 anni di oppressione coloniale. 
                  La marcia, che attraversò le vie di San Cristóbal 
                  in assetto quasi militare, è stata poi considerata come 
                  la prima uscita pubblica dell'EZLN, che da più di dieci 
                  anni preparava l'insurrezione travestita da ANCIEZ. 
                  A partire dagli anni '80, i fondatori dell'EZLN andavano per 
                  le comunità della Lacandona in cerca di persone che servissero 
                  come basi d'appoggio per la guerriglia: famiglie che sposassero 
                  la loro causa, li sfamassero e che li accogliessero nelle loro 
                  case con discrezione, salvaguardando la clandestinità 
                  dei guerriglieri32. Gli zapatisti 
                  parlavano di terra per i contadini e di giustizia sociale, e 
                  sempre più persone si univano a loro; chi come basi d'appoggio, 
                  chi come guerriglieri e guerrigliere33. 
                  Un anonimo miliziano zapatista ricordò l'origine dell'idea 
                  della lotta armata alla giornalista catalana Guiomar Rovira, 
                  che incontrò l'indomani dell'insurrezione del '94: 
                  Abbiamo iniziato a vedere che ci dovevamo preparare in un 
                  altro modo perché ci ascoltassero, perché soddisfassero 
                  le nostre necessità, per denunciare quello che è 
                  successo durante molti anni, lo sfruttamento in cui viviamo. 
                  Però nessuno capiva come poteva essere l'altro modo. 
                  Alcuni dicevano: un'organizzazione armata. Così venne 
                  fuori l'idea, con una risata.34 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Zapatisti e zapatiste del Caracol della Garrucha  | 
                   
                  
                La cattedrale piena di anarchici e rivoluzionari 
                Un elemento che, involontariamente, ha creato le basi per l'insurrezione 
                  zapatista, è stato la predicazione di don Samuel Ruiz 
                  García. Nel 1960 il sacerdote fu ordinato vescovo della 
                  diocesi che nel XVI secolo era di Bartolomé de Las Casas, 
                  il frate “amico degli indigeni” che diede il nome 
                  alla città in cui operava. 
                  Per commemorare i cinquecento anni dalla nascita di Bartolomé 
                  de Las Casas, Samuel Ruiz fu chiamato a organizzare il Congresso 
                  Indigeno, che si tenne il 13 ottobre 1974 a San Cristóbal 
                  e vide la partecipazione di circa 1400 persone. Per la prima 
                  volta, rappresentanti dei popoli originari di tutto il Chiapas 
                  si ritrovarono a dibattere di terra, commercio, salute ed educazione, 
                  e pretesero una maggiore indipendenza dalla diocesi meticcia 
                  di San Cristóbal. Samuel Ruiz rispose formando e nominando 
                  diaconi maya, che iniziarono a lavorare nelle comunità 
                  predicando un “cattolicesimo indigeno”. 
                  Il cattolicesimo del Tatic35 
                  Samuel credeva nelle idee della teologia della liberazione36, 
                  cristallizzate nel 1968 durante la Conferenza Episcopale di 
                  Medellín (Colombia). Quando Don Ruiz García arrivò 
                  in Chiapas dal nord del Messico, all'inizio degli anni '60, 
                  era un conservatore. “Quando sono arrivato vedevo le chiese 
                  piene di indios, ma solo più tardi mi sono reso conto 
                  della sofferenza di questa gente, della triste realtà, 
                  che ha suscitato un processo di conversione dentro di me37”, 
                  ha affermato il sacerdote. 
                  A piedi e a cavallo, don Samuel viaggiò per tutto il 
                  Chiapas predicando, anche nelle zone più remote, il messaggio 
                  di emancipazione sociale e politica contenuto nel Vangelo, dicendo 
                  agli indigeni che la giustizia e la felicità si potevano 
                  raggiungere in terra, senza aspettare il paradiso. Quando poi 
                  scoprì che l'incontro tra i suoi fedeli e i membri del 
                  FLN aveva portato alla nascita del EZLN, decise di arginare 
                  quello che considerava un “cammino verso la morte”. 
                  Cercò quindi di indurre i maya a isolare i guerriglieri, 
                  per essere meticci venuti da fuori con idee contrarie all'idiosincrasia 
                  indigena; ma ormai era troppo tardi38. 
                  Samuel Ruiz non avrebbe mai potuto pensare che il suo lavoro 
                  di predicazione avrebbe spinto migliaia di indigeni a prendere 
                  in mano le armi. E non avrebbe mai potuto pensare che il giorno 
                  dei suoi funerali, il 26 gennaio 2011, la cattedrale di San 
                  Cristóbal sarebbe stata piena di anarchici e rivoluzionari. 
                 Orsetta Bellani 
                  @sobreamerica 
                Note 
                 
                  - Andrés Aubry, San Cristóbal de Las Casas. 
                    Su historia urbana, demográfica y monumental, 1528-1990, 
                    Editorial Fray Bartolomé de Las Casas, A.C., San Cristóbal 
                    de Las Casas, Chiapas, México, 1991, pag. 16. 
                  
 - INEGI (Instituto Nacional de Estadística y Geografía), 
                    Principales Resultados del Censo de Población y 
                    Vivienda 2010 – Chiapas, Aguascalientes, México, 
                    2011. 
                  
 - Si definiscono ladinos le persone non indigene. In 
                    Chiapas, i ladinos sono chiamati caxlanes dagli indigeni. 
                  
 - Andrés Aubry, San Cristóbal de Las Casas. 
                    Su historia urbana, demográfica y monumental, 1528-1990, 
                    Editorial Fray Bartolomé de Las Casas, A.C., San Cristóbal 
                    de Las Casas, Chiapas, México, 1991. 
                  
 - Jan Rus, La nueva ciudad maya en el Valle de Jovel: urbanización 
                    acelerada, juventud indígena y comunidad en San Cristóbal 
                    de Las Casas. In Marco Estrada Saavedra, Chiapas después 
                    de la tormenta. Estudios sobre economía, sociedad y 
                    política, Distrito Federal, México, 2009, 
                    pag. 180. 
                  
 - Andrés Aubry, San Cristóbal de Las Casas. 
                    Su historia urbana, demográfica y monumental, 1528-1990, 
                    Editorial Fray Bartolomé de Las Casas, A.C., San Cristóbal 
                    de Las Casas, Chiapas, México, 1991, pag. 91. 
                  
 - Chi ha i genitori di etnie differenti, generalmente uno 
                    bianco e uno indigeno. È meticcia la maggior parte 
                    della popolazione messicana. Nella stratificazione sociale 
                    razzista, i meticci sono considerati “inferiori” 
                    ai bianchi e “superiori” agli indigeni. 
                  
 - Sancristobalense, persona nata a San Cristóbal de 
                    Las Casas. L'origine del termine non è molto chiara, 
                    l'interpretazione più comune è che coleto 
                    si riferisca al modo di raccogliere i capelli – in una 
                    “coleta” – dei conquistadores spagnoli. 
                  
 - Intervista a Juan Blasco (Universidad Autónoma de 
                    Chiapas) di Orsetta Bellani. San Cristóbal de Las Casas, 
                    14 aprile 2014. 
                  
 - Insurrezione. 
                  
 - Jan Rus, La nueva ciudad maya en el Valle de Jovel: urbanización 
                    acelerada, juventud indígena y comunidad en San Cristóbal 
                    de Las Casas. In Marco Estrada Saavedra, Chiapas después 
                    de la tormenta. Estudios sobre economía, sociedad y 
                    política, Distrito Federal, México, 2009, 
                    pag. 180-181. 
                  
 - Andrés Aubry, San Cristóbal de Las Casas. 
                    Su historia urbana, demográfica y monumental, 1528-1990, 
                    Editorial Fray Bartolomé de Las Casas, A.C., San Cristóbal 
                    de Las Casas, Chiapas, México, 1991, pag. 93. 
                  
 - Antiche città maya, oggi siti archeologici. Le prime 
                    due si trovano nello Stato del Chiapas, l'ultima in Yucatán. 
                  
 - Jan Rus, La nueva ciudad maya en el Valle de Jovel: urbanización 
                    acelerada, juventud indígena y comunidad en San Cristóbal 
                    de Las Casas. In Marco Estrada Saavedra, Chiapas después 
                    de la tormenta. Estudios sobre economía, sociedad y 
                    política, Distrito Federal, México, 2009, 
                    pag. 177. 
                  
 - UNDP (United Nations Development Programme), Índice 
                    de Desarrollo Humano Municipal en México, Distrito 
                    Federal, México, 2014. 16 Coneval (Consejo Nacional 
                    de Evaluación de la Política de Desarrollo Social, 
                    Medición de la pobreza en México y en las 
                    Entidades Federativas 2012, México, luglio 2013. 
                  
 - Raúl Zibechi, Il paradosso zapatista. La guerriglia 
                    antimilitarista in Chiapas, Elèuthera, Milano, 
                    1998, pag. 22-23. 
                  
 - Proprietà rurale di uso collettivo, distribuita attraverso 
                    la riforma agraria. Fino alla riforma dell'art. 27 della Costituzione 
                    (1992), i contadini la ricevevano in usufrutto ma il terreno 
                    rimaneva di proprietà collettiva. La riforma di Salinas 
                    de Gortari permette la privatizzazione degli ejidos 
                    e, di conseguenza, apre la possibilità della loro vendita. 
                    L'ejido era una delle promesse della rivoluzione messicana 
                    di inizio '900, ma la figura giuridica venne creata solo nel 
                    1934 dal presidente Lázaro Cárdenas. 
                  
 - David Bacon, Los saldos del TLCAN para los trabajadores, 
                    rivista elettronica desinformemonos.org, 10 febbraio 2014. 
                  
 - Matilde Pérez U., Campo devastado, quotidiano 
                    La Jornada, 20 febbraio 2014, pag. 2. 
                  
 - Primera Declaración de la Selva Lacandona, 
                    1994. In http://www.cedoz.org/site/content.php?doc=64&cat=10. 
                  
 - Intervista a Juan Blasco (Universidad Autónoma de 
                    Chiapas) di Orsetta Bellani. San Cristóbal de Las Casas, 
                    14 aprile 2014. 
                  
 - Carlos Tello Díaz, La rebelión de las cañadas. 
                    Origen y ascenso del EZLN, Editorial Planeta Mexicana, 
                    Distrito Federal, México, 2005, pag. 15-19. 
                  
 - Laura Castellanos, Corte de caja. Entrevista al Subcomandante 
                    Marcos, Impresos Gráficos Publicitarios, 2008, 
                    pag. 12. 
                  
 - Tributo che corrisponde alla decima parte del raccolto o 
                    del reddito. 
                  
 - Nome di San Cristóbal de Las Casas durante il periodo 
                    coloniale. 
                  
 - Prudencio Moscoso Pastrana, Rebeliones indígenas 
                    en los Altos de Chiapas, Universidad Autónoma de 
                    México (UNAM), Distrito Federal, México, 1992. 
                  
 - Raúl Zibechi, Il paradosso zapatista. La guerriglia 
                    antimilitarista in Chiapas, Elèuthera, Milano, 
                    1998, pag. 23. 
                  
 - Gustavo Esteva, atti del seminario Las Venas Abiertas 
                    del Chiapas Contemporáneo, San Cristóbal 
                    de Las Casas, Chiapas, 23-25 ottobre 2013. 
                  
 - Jan Rus, La nueva ciudad maya en el Valle de Jovel: urbanización 
                    acelerada, juventud indígena y comunidad en San Cristóbal 
                    de Las Casas. In Marco Estrada Saavedra, Chiapas después 
                    de la tormenta. Estudios sobre economía, sociedad y 
                    política, Distrito Federal, México, 2009, 
                    pag. 184. 
                  
 - Raúl Zibechi, Il paradosso zapatista. La guerriglia 
                    antimilitarista in Chiapas, Elèuthera, Milano, 
                    1998, pag. 27. 
                  
 - Marco Estrada Saavedra, Articulando la resistencia: la 
                    organización militar, civil y política del neozapatismo. 
                    In Marco Estrada Saavedra, Chiapas después de la 
                    tormenta. Estudios sobre economía, sociedad y política, 
                    Distrito Federal, México, 2009, pag. 505-510. 
                  
 - Per conoscere la storia della selva Lacandona e le condizioni 
                    che hanno portato alla nascita dell'EZLN, un testo imprescindibile 
                    è: Jan De Vos, Una tierra para sembrar sueños. 
                    Historia reciente de la Selva Lacandona, 1950-2000, Centro 
                    de Investigación y Estudios Superiores en Antropología 
                    Social, Distrito Federal, México, 2002. 
                  
 - Guiomar Rovira, ¡Zapata Vive! La rebelión 
                    indígena de Chiapas contada por sus protagonistas, 
                    Barcelona, 1994, ere l'no: solo una organizzazione armata. 
                    Cosuno capiva come poteva essere l'pag. 38. 
                  
 - Padre, in lingua tzotzil. Così gli indigeni chiamavano, 
                    affettuosamente, don Samuel Ruiz. 
                  
 - Corrente cattolica latinoamericana, che non ha l'approvazione 
                    della Chiesa Romana, basata su alcune idee innovatrici del 
                    Concilio Vaticano II. I sacerdoti della Teologia della Liberazione 
                    abbracciarono la cosiddetta “opzione per i poveri”, 
                    considerando che la situazione in cui vive la maggioranza 
                    del popolo latinoamericano contraddice il disegno divino, 
                    basato sulla giustizia e l'uguaglianza. Uno dei più 
                    noti e radicali teologi della liberazione è il colombiano 
                    Camilo Torres Restrepo, sacerdote e membro della guerriglia 
                    dell'ELN (Ejército de Liberación Nacional). 
                  
 -  El Despertador Mexicano, dicembre 1993. 
                  
 - Sulla vita di don Samuel Ruiz García si può 
                    leggere, in spagnolo: Carlos Fazio, El caminante, Espasa 
                    Calpe, España, 1994. 
  
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