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				pedagogia libertaria 
                  
                Contro l'educazionismo. Ovvero critica dell'educazione in quanto tale 
                  
                di Yves Bonnardel, a cura di Filippo Trasatti 
                 
                  Il brano che presentiamo è tratto da libro La 
                  Domination adulte di Yves Bonnardel, attivista anarchico 
                  antispecista, antisessista, antiadultista francese, cittadino 
                  del mondo, co-fondatore dei Cahiers antispécistes, promotore 
                  di campagne sui diritti dell'uomo e degli animali e per l'abolizione 
                  del sistema penale (http://abolition.prisons.free.fr/index2.html). 
                  Il libro cerca di mostrare che benché le nostre società 
                  siano costruite non solo su un dominio di classe, di genere 
                  e di specie, ma anche tra le età, quest'ultimo tipo di 
                  dominio è raramente fatto oggetto di indagine, se non 
                  talvolta, ma non sempre, da una prospettiva libertaria e anarchica. 
                  Si tratta allora di tornare ad affrontare la questione dell'infanzia 
                  da un punto di vista politico radicale, ponendo in questione 
                  la subordinazione dei minori e ricercando le vie per una liberazione 
                  dell'infanzia.  
                  Si tratta di un libro militante che discute la questione 
                  dello statuto di minorità del minore, basato su categorizzazioni 
                  in classi d'età e sulla fabbricazione sociale e culturale 
                  dell'infanzia e che analizza, anche storicamente, gli snodi 
                  fondamentali per i rapporti tra adulti e bambini: la scolarizzazione, 
                  la famiglia, le istituzioni per la protezione dei diritti dei 
                  bambini e così via, senza dimenticare, e lo si vede in 
                  questo brano tradotto, la resistenza dei bambini alla dominazione 
                  adulta.  
                  È possibile reperire online articoli dell'autore in 
                  diverse lingue (http://yves-bonnardel.info/fr/publications_emissions 
                  ) e un documentario-intervista in cui Bonnardel ripercorre le 
                  linee fondamentali del suo itinerario di ricerca https://www.youtube.com/watch?v=zMh335Ho4qM.
                
  F.T.
                  Si critica volentieri questo o quell'altro metodo, si contesta 
                  questa o quell'altra pedagogia, ma purtroppo generalmente la 
                  nozione di “educazione” in se stessa non viene posta 
                  in questione. 
                  Qualcuno invero ci ha provato: nei paesi anglosassoni, John 
                  Holt che resta un punto di riferimento obbligato per il movimento 
                  dei Youth Rights, che ha pubblicato nel 1976 Instead 
                  of Education1 o le analisi 
                  di Ekkehard von Braunmühl2; 
                  in Francia ci sono stati ad esempio René Schérer 
                  o Claude Guillon e Yves le Bonniec, ma penso soprattutto a Insoumission 
                  à l'école obligatoire3 
                  di Catherine Baker. 
                  Proprio quest'ultima ci chiede cosa ci spinga a desiderare per 
                  i bambini che mettiamo al mondo, che essi diventino i soldatini 
                  di una società militaristica che ci arruola tutti, più 
                  spesso di quanto possiamo a nostra volta arruolare i bambini? 
                  Perché attribuirci il ruolo di leader, caudillo e desiderare 
                  a tutti i costi di guidarli? Perché fare un progetto 
                  su di loro? Perché non lasciarli vivere, gioendo nel 
                  guardarli vivere e aiutarli, accompagnarli nella loro scoperta 
                  del mondo, quando loro stessi ce lo domandano? Perché 
                  non dar loro fiducia e non fidarsi dell'amore reciproco che 
                  può svilupparsi tra due esseri che provano a relazionarsi 
                  lasciandosi liberi? 
                  Di fatto anche se sono pochi a teorizzare la loro pratica, ci 
                  sono un certo numero di persone che al tempo stesso rifiutano 
                  il rapporto educativo con i (loro) figli e più in generale 
                  con chiunque: se non hanno questo genere di rapporti con gli 
                  amici, perché dovrebbero averli con i bambini che sono 
                  proprio quelli che non possono difendersene? Si tratta spesso 
                  di persone libertarie per scelta che rifiutano l'istituzione 
                  scolastica allo stesso modo in cui rifiutano per sé e 
                  per gli altri ogni forma di oppressione e sperano in «un 
                  mondo aperto e libero»4. 
                  L'educazione si fonda sul dominio 
                L'educazione rivolge alla persona che la subisce un discorso 
                  implicito di negazione. Benjamin Kiesewetter scriveva: «l'educazione 
                  significa costrizione per l'allievo anche se tutto sembra accadere 
                  con gioia e acquiescenza, perché il bambino sa bene ciò 
                  che implicitamente lo minaccia se non collabora. Fondamentalmente 
                  educazione significa non accettare il bambino nel suo essere, 
                  non rispettarlo né tollerarlo in quanto tale, ma volerlo 
                  cambiare (o «migliorare»)»5. 
                  I minori del collettivo Kraetzae spiegano che l'educazione è 
                  un rapporto gerarchico e ineguale, negazione di fatto dei diritti 
                  fondamentali che si suppone siano stati concessi a tutta l'umanità. 
                  Martin Wilke, uno dei minori attivisti del collettivo Kraetzae, 
                  definisce così l'educazione: «l'educazione è 
                  un'attività sistematica (intenzionale) esercitata allo 
                  scopo preciso di formare le persone, per lo più giovani. 
                  Essa non è presente «naturalmente» in ogni 
                  tipo di comunicazione, di influenza, ma solo se ci si pone in 
                  una posizione superiore rispetto all'altro e si pensa di poter 
                  o dover portare quest'ultimo verso un obiettivo. Nell'educazione 
                  si trova sempre un soggetto e un oggetto dell'educazione, un 
                  alto e un basso, qualcuno che conduce e qualcuno che è 
                  condotto, un educatore e un allievo6». 
                  Wilke sottolinea che l'educazione è necessariamente una 
                  violenza, ha bisogno del dominio, in quanto definisce un “bene 
                  per il bambino” indipendentemente da lui stesso, glielo 
                  impone, se necessario contro la sua volontà. 
                  «L'educazione non rispetta i bambini, si attribuisce il 
                  diritto di cambiare le persone. L'educatore tenta di reprimere 
                  delle caratteristiche dell'allievo che considera negative, allo 
                  stesso tempo in cui cerca di rinforzare quelle «positive». 
                  Egli vuole decidere su ciò con cui il bambino dev'essere 
                  in contatto. L'educatore crede di agire nell'interesse del bambino 
                  come i colonizzatori credevano o dicevano di agire nell'interesse 
                  dei colonizzati [...] L'educatore ha essenzialmente a disposizione 
                  due mezzi: la seduzione (la distrazione, l'imbroglio, la corruzione) 
                  e il ricatto (intimidazione attraverso minaccia e i danni che 
                  può arrecare)». 
                  L'educazione si oppone a qualsiasi forma di relazione egualitaria. 
                  «Essa e il suo sfondo teorico “pedagogico” 
                  considerano i bambini come oggetti, come materiale umano da 
                  formare. Ma i bambini non sono oggetti, sono soggetti, esseri 
                  viventi autonomi come tutti gli altri, fin dal principio. 
                  [...] Il fatto che manchino loro ancora delle capacità 
                  determinate (la pretesa capacità di esecuzione) non costituisce 
                  un problema fondamentale. Quando accade agli adulti, non li 
                  si trasforma in allievi, ma giustamente li si aiuta. 
                  [...] Ma perché i genitori lo fanno? Una vita comune 
                  egualitaria non sarebbe fondamentalmente più piacevole 
                  per entrambe le parti? La follia educativa che caratterizza 
                  molti genitori trova la sua origine nella supposizione che i 
                  bambini abbiano bisogno di educazione. Per quanto sia diffusa, 
                  essa è falsa. La maggior parte delle persone confonde 
                  apprendimento e educazione: la seconda è organizzata 
                  dall'educatore, mentre la prima al contrario vede il bambino 
                  nel ruolo di agente. Egli esplora l'ambiente, acquisisce informazioni 
                  senza che nessuno ve lo costringa. Il bambino è il soggetto 
                  dell'apprendimento. Non si può impedire l'apprendimento, 
                  tutt'al più lo si può limitare, ad esempio attraverso 
                  l'educazione. I bambini non hanno bisogno di educazione, 
                  hanno bisogno di apprendere, e lo fanno senza educazione». 
                  Ogni persona lasciata libera apprende facendo, a volte leggendo 
                  o guardando la Tv, ma perlopiù semplicemente vivendo. 
                  In tal modo bambini che non sono stati forzati a leggere, apprendono 
                  da soli, senza sforzo, inevitabilmente7. 
                  Vale lo stesso per la musica, il nuoto e più in generale 
                  per tutto ciò che è utile. Queste modalità 
                  di apprendimento erano la regola prima che si imponesse l'educazione. 
                  Ciò che fondamentalmente si inculca attraverso l'educazione 
                  è la sottomissione... e l'idea che l'educazione sia necessaria. 
                  Naturalmente i bambini apprendono anche attraverso l'educazione, 
                  e ciò che in tal modo apprendono è prima di tutto 
                  proprio le regole dell'educazione: che i bambini debbano fare 
                  quel che si dice loro di fare; che in caso di conflitto ciò 
                  che conta non è ciò che il bambino vuole o pensa, 
                  ma ciò che gli educatori decidono. I bambini insomma 
                  “apprendono” a credere che l'educazione sia indispensabile. 
                  [...] Così generazione dopo generazione si allevano i 
                  bambini, benché la vita in comune racchiuda la possibilità 
                  di relazioni egualitarie che facciano a meno della tutela e 
                  della violenza. 
                  [...] Cerchiamo di evitare un altro possibile malinteso: rinunciare 
                  all'educazione non significa trascurare il bambino e non preoccuparsi 
                  affatto di lui. I bambini piccoli non possono ancora fare tante 
                  cose e dipendono dal sostegno degli altri. Ma questo stato di 
                  cose comporta che gli altri si pongano in posizione di dominio 
                  rispetto a loro, che prescrivano loro dei fini e li costringano 
                  a realizzarli anche con l'uso della forza? Si agisce così 
                  con gli adulti o con le persone disabili? E anche se così 
                  fosse, sarebbe giusto? 
                  [...] Oggi, in realtà, l'educazione viene imposta per 
                  lo più in modo sottile, mentre in passato si era picchiati 
                  o rinchiusi. Nessuna delle due varianti è compatibile 
                  con la dignità umana e con i diritti fondamentali del 
                  bambino all'autodeterminazione e al libero svilippo della personalità». 
                  Kiesewetter nota che si utilizza il termine “limiti” 
                  quando si tratta di minori per parlare eufemisticamente di “proibizioni” 
                  e in tal modo giustificarle: 
                  «Un altro aspetto importante: i bambini hanno bisogno 
                  di limiti? I partigiani dell'educazione tradizionale rispondono 
                  a questa domanda ovviamente con un sì, mentre i partigiani 
                  dell'educazione «antiautoritaria» con un no. Entrambi 
                  fanno l'errore di mettere tutti i limiti insieme in uno stesso 
                  fascio. In realtà ci sono due tipi di limiti completamente 
                  diversi da un punto di vista qualitativo: ci sono limiti aggressivi 
                  e difensivi. Si mettono dei limiti difensivi per difendersi, 
                  per proteggersi dalle prevaricazioni degli altri (ad esempio: 
                  mi disturba che tu ascolti musica alle tre del mattino perché 
                  non posso dormire) e fanno riferimento al principio: “la 
                  mia libertà si ferma dove comincia quella degli altri”. 
                  Si tratta di una legittima difesa sensata se si vuol vivere 
                  in comune pacificamente e questo tipo di limiti non contraddice 
                  in nessun modo l'eguaglianza di diritti tra genitori e bambini. 
                  Al contrario si fissano dei limiti aggressivi ad altre persone 
                  per proteggerle, ad esempio, “da se stesse” e costringerle 
                  al loro presunto bene (ad esempio: “non puoi ascoltare 
                  questa musica assordante perché non ti fa bene!”). 
                  I limiti educativi sono limiti aggressivi che non si possono 
                  giustificare con il diritto alla legittima difesa. A livello 
                  sociale si ritrovano questo tipo di limiti in modo particolare 
                  negli stati in cui i diritti fondamentali delle persone e dei 
                  cittadini non vengono tutelati neppure per gli adulti. I limiti 
                  aggressivi riguardano il dominio e non il diritto 
                  (la giustizia) come è invece il caso dei limiti difensivi»8. 
                  La necessità di “fissare dei limiti per il bambino” 
                  viene contiuamente invocata per legittimare le prescrizioni 
                  e le proscrizioni. “Fissare dei limiti” sarebbe 
                  indispensabile per una sana strutturazione del bambino, per 
                  il suo sviluppo sociale e morale armonioso. Gli permetterebbero 
                  di far proprio il necessario “principio di realtà” 
                  che bilancia il “principio di piacere” che si suppone 
                  capriccioso. Si tratta di un luogo comune psicologistico sull'infanzia 
                  che serve a legittimare l'esercizio della costrizione. 
                  
                  Intorno alla violenza, alle regole, alle soglie, ai limiti 
                «Alcune scuole, di fronte a tali brutalità [di 
                  bambini scolarizzati in precedenza] si sono accontentate di 
                  stabilire regole. Da che mondo è mondo, è facile 
                  capirlo, non si è immaginato niente di peggio. Altre 
                  tuttavia – e non ci sarebbe da stupirsi!- che non si sono 
                  fatte riconoscere dallo stato, hanno rifiutato leggi e punizioni: 
                  i conflitti sono stati contenuti volta a volta in modo diverso 
                  in relazione agli individui coinvolti (adulti e bambini). Schiere 
                  di pedagogisti patentati hanno alzato la voce contro questa 
                  assenza di regole e di autorità che “lascerebbe 
                  i bambini senza sicurezza”. Sciocchezze! Ciò che 
                  rende insicuro il mondo è la legge del più forte 
                  (tutte le leggi), gli eserciti, i giudici, le polizie; ciò 
                  che davvero rende qualcuno non sicuro è sapere che l'altro, 
                  di fronte a lui, ha dalla sua leggi, eserciti, giudizi, polizia... 
                  Un bambino a cui si dice, con rispetto e fiducia: “fai 
                  ciò che vuoi”, acquisisce stima in se stesso ed 
                  è a partire da ciò che si attinge la vera potenza: 
                  quella di non aver bisogno di usare la forza. Quando la collera 
                  o la furbizia producono vittime, la maggior parte degli adulti 
                  reagisce con una discussione o con tentativi di consolazione. 
                  Si tenta di esprimere la propria disapprovazione in modo non 
                  colpevolizzante; esprimere il proprio disaccordo è sempre 
                  segno di considerazione per l'altro. Talvolta si arriva allo 
                  scontro, ma lanci la prima pietra chi non ha mai perso il suo 
                  sangue freddo”.9 [...] 
                  Vivo con bambini intorno a me che non sono educati; la maggior 
                  parte degli adulti che li circonda non cerca di imporre loro 
                  dei limiti e non ha mai pensato di riunirsi per discutere “come 
                  comportarsi con loro”: l'idea ci sarebbe sembrata assurda 
                  e oscena. Eventualmente si dice loro ciò che si pensa 
                  del loro modo di comportarsi, si fa loro notare, più 
                  o meno delicatamente, quando disturbano, si viene a patti con 
                  loro, li si accompagna quando ne manifestano il bisogno, li 
                  si avverte quando si pensa che si stiano mettendo in pericolo 
                  (il che avviene di rado), come si fa con gli adulti. 
                  Stanno bene, sono al sicuro, più intraprendenti, più 
                  vivi, più felici di tanti altri bambini. 
                  Insomma, che cosa oppongono all'idea di educazione i minori 
                  di Kraetzae? L'idea di uguaglianza, di rapporti egualitari. 
                  Dice ancora Martin Wilke: 
                  «Nelle relazioni egualitarie tra genitori e bambini non 
                  si pone affatto il problema di permettere o proibire qualunque 
                  cosa. Ciascuno viene preso sul serio, per i propri interessi 
                  e le proprie decisioni. L'autodeterminazione non implica che 
                  qualsiasi decisione sia razionale, o che non si commettano errori, 
                  ma che ciascuna persona possa decidere per se stessa ciò 
                  che considera il “proprio bene”, ciò che 
                  è desiderabile e come comportarsi. I genitori non devono 
                  giudicare il modo di vivere del bambino. Se essi credono che 
                  una certa cosa sarebbe meglio per il bambino, possono parlarne 
                  con lui, proporgli dei consigli concreti, informarlo delle conseguenze 
                  dei suoi atti, fargli proposte. Ci possono essere ovviamente 
                  reazioni di simpatia o antipatia per il comportamento dei bambini 
                  in situazioni precise, come avviene tra gli adulti. Soltanto, 
                  i genitori non devono prescrivere al bambino ciò che 
                  deve fare o evitare, non diversamente da come si fa tra adulti». 
                  In breve parlare di educazione nell'interesse dell'altro è 
                  farsi gioco degli altri. L'abolizione del dominio degli adulti 
                  passa necessariamente attraverso la critica del concetto di 
                  educazione, richiede la decostruzione dell'ideologia pedagogica 
                  che la sostiene e la messa a nudo della brutale realtà 
                  dei rapporti sociali tra adulti e minori che sono mascherate 
                  dalle connotazioni positive (in quanto conseguenti all'ordine 
                  adulto) della parola “educazione”. 
                 Yves Bonnardel 
                Note 
                 
                  - John Holt, Instead of Education, Holt Associates Publication, 
                  1976.
                  
 - Ekkehard von Braunmühl, Antipädagogik. Studien 
                  zur Abschaffung der Erziehung (1975) (Antipedagogia. Studi 
                  per l'abolizione dell'educazione). Nel 1970, Braunmühl 
                  ha fondato con 25 famiglie una scuola per l'infanzia che rifiuta 
                  i rapporti educativi e che esiste tuttora. In Germania esce 
                  con regolarità una rivista dal titolo Unerzogen 
                  (“ineducati”), dedicata ai rapporti egualitari tra 
                  adulti e bambini.
                  
 - Éditions tahin party, Lyon, 2003 [1985].
                  
 - cfr. Catherine Baker, Les Cahiers au feu, Bernard Barrault, 
                  1988, una lunga e appassionante ricerca dedicata a questi insuscettibili 
                  di subordinazione sociale. Si parla oggi talvolta di unschooling 
                  per indicare il movimento ormai divenuto internazionale di rifiuto 
                  dell'educazione e della scolarizzazione.
                  
 - Benjamin Kiesewetter, “Ein Plädoyer gegen antiautoritäre 
                    und jede andere Erziehung” (Un Plaidoyer contre l'éducation 
                    auti-autoritaire et toute autre forme d'éducation), 
                    in Die 68er – Warum wir Jungen sie nicht mehr brauchen 
                    (Les Soixante-huitards – Pourquoi nous autres jeunes 
                    n'avons plus besoin d'eux), Berlin, Stiftung für die 
                    Rechte zukünftiger Generationen, 1998. Traduzione in 
                    francese di Yves Bonnardel : https://enfance-buissonniere.poivron.org/Plaidoyer_contre_l_Education. 
                  
 - Martin Wilke, Erziehen ist gemein, http://kraetzae.de/erziehung/erziehen_ist_gemein/ 
                    (Éduquer est ignoble ; traduction parziale in 
                    francese : http://fr.kraetzae.de/eduquer. 
                    Le citazioni in corpo minore sono tratte dallo stesso articolo. 
                  
 - Nel film En Rachâchant (1982) che Jean-Marie 
                  Straub e Danièle Huillet hanno tratto da un racconto 
                  di Marguerite Duras, il piccolo Ernesto decide di non andare 
                  più a scuola. Quando gli si ingiunge di dire perché, 
                  dichiara: «non val la pena di apprendere ciò che 
                  non si sa ancora. Inevitabilmente lo saprò. Non potete 
                  farci niente, calmatevi». Éd. Montparnasse, 2009, 
                  cofanetto Straub - Huillet, vol. 4.
                  
 - Kiesewetter, art. citato.
                  
 - Catherine Baker, Les Cahiers au feu, cit., p. 176.
  
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