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				 antropologia 
                  
                Il trickster? Un briccone divino 
                  
                intervista a Massimo Canevacci di Barbara Collevecchio 
                    
                Prendersi gioco dell'autorità, insinuare il dubbio e mettere in moto il cambiamento: è la sua funzione. 
Un antropologo ci conduce alla scoperta del trickster, figura presente in quasi tutte le culture. 
                  
                  È uscito, per la Bonanno editore, Sinkretica, 
                  un libro di antropologia sulle esplorazioni etnografiche e le 
                  arti contemporanee sincretiche.  
                  Il libro è il risultato di una ricerca empirica più 
                  che decennale tra l'Italia, il Brasile e il resto del mondo 
                  compiuta del professor Massimo Canevacci, professore di antropologia 
                  culturale, arte e culture digitali presso la Facoltà 
                  di Scienze della comunicazione dell'università “La 
                  Sapienza” di Roma, attualmente visiting professor presso 
                  l'Istituto di studi avanzati dell'Università di San Paolo 
                  in Brasile. Sinkretica è un lavoro basato su un'idea 
                  chiara: i processi globali e locali di mutamento culturale stanno 
                  affermando il rapporto tra culture soggetti diversi come una 
                  ricchezza potenziale del presente-futuro. Anziché chiusure 
                  nei rispettivi recinti identitari, oscillanti tra razzismo esplicito 
                  ed etnocentrismo praticato, il testo afferma prospettive in 
                  cui le differenze culturali si incrociano, mescolano, scambiano, 
                  confliggono fino a produrre nuove versioni teoretiche e pratiche 
                  nel campo delle arti intese intense esteteso. L'antropofagia 
                  per il professor Canevacci non è mangiare il corpo del 
                  nemico bensì un selezionare con attenzione e sagacia 
                  alcune parti “saporite” dell'altro, (concetti, immagini, 
                  canti, racconti che arrivano da fuori), per masticarle con gusto, 
                  inghiottirle e rielaborarle con sensibilità decentrate. 
                  Attraverso queste narrazioni etnografiche, basati su una metodologia 
                  vacante sincretica, andiamo oltre le teorie tradizionali ed 
                  eurocentriche.  
                  Ne approfittiamo dunque per fare due chiacchiere e un'intervista 
                  al professor Canevacci sul concetto di Trickster: l'ingannatore, 
                  un particolare personaggio del folklore di diversi popoli.  
                  In generale, possiamo dire che il trickster è un archetipo. 
                  Per questo ricorre molto spesso in miti e leggende vari, e per 
                  questo può assumere forme varie: può essere un 
                  dio (Hermes, ad esempio) o non esserlo (Prometeo, per restare 
                  in campo greco-romano.. ma anche Odisseo, a suo modo, è 
                  un trickster). 
                  Il trickster è un saggio, ma è anche un folle, 
                  è un ribelle contro l'autorità di cui si prende 
                  gioco, è un ladro e un sollevatore, e spesso risulta 
                  essere il peggior nemico di se stesso. La sua funzione è 
                  di dare scosse qualora le cose vengano accettate ciecamente, 
                  di insinuare il dubbio e il moto verso il cambiamento ed è 
                  egli stesso dotato spesso della capacità di mutare, di 
                  cambiare, di trasformarsi. E' il distruttore del mondo come 
                  lo si conosce, ma è anche il creatore di un mondo nuovo, 
                  che sostituisce il precedente, e per questo può essere 
                  considerato nemico e allo stesso tempo salvatore. 
                   
                  Professor Canevacci ci può illustrare la figura 
                  del trickster? Chi era e che ruolo aveva nella mitologia? 
                  Il libro di Paul Radin 'Il briccone divino' è uno dei 
                  più belli che si possano leggere e mi ha influenzato 
                  in modo determinante, in quanto è stato il primo esempio 
                  in cui quelli che erano considerati 'selvaggi' – i Winnebago 
                  – potevano narrare dal loro punto di vista la loro filosofia 
                  narrativa. Il concetto di trickster è di difficile traduzione, 
                  ma la soluzione data mi sempre ottima: briccone divino. Chiaramente, 
                  ci sono variazioni molteplici su tale tema, ma vorrei sottolineare 
                  che il metodo di cogliere elementi diciamo comuni a più 
                  culture era diffuso nei secoli passati, mentre da tempo si mettono 
                  in risalto le differenze e le autonomie culturali o i “glocalismi”, 
                  anche e forse soprattutto sul mito. Tra l'altro, almeno nel 
                  caso Winnebago, userei più una costellazione di termini 
                  che sfidano le tassonomie acquisite: letteratura orale, filosofia, 
                  cosmologia e forse mitologia. 
                  Quest'ultimo concetto, infatti, a volte è associato a 
                  una dimensione originaria o primitiva, mentre nel caso specifico 
                  il mito è una narrazione che cerca di dare soluzione 
                  a quello che è insolubile. Per cui si intreccia con la 
                  poesia pur avendo un potere di riaffermazione continua e di 
                  adeguarsi, modificandosi, nei vari contesti storico-culturali. 
                  Insomma ogni cultura ha i suoi propri miti e immaginare che 
                  ci siano delle forme archetipiche che li unifichino in un passato 
                  originario è un mito, cioè una epistemologia diffusa 
                  nel passato, ma che ora – almeno nelle più diverse 
                  scuole antropologiche – nessuno più continua a 
                  sostenere. Anzi, l'antropologia culturale (a differenza di quella 
                  filosofica) sottolinea la riproduzione di un dominio eurocentrico 
                  (e coloniale) quando si afferma per es. che Exu (divinità 
                  di origine africana nel culto candomblé) è il 
                  diavolo o Hermes. 
                  Nessuna prospettiva di liberazione 
				  
                Qual era la funzione sociale del trickster per la comunità? 
                   
                  Userei anche qui concetti diversi da “funzione sociale”: 
                  direi che nel trickster si incorporano diverse fantasie che 
                  si oppongono a ogni funzionalismo, anzi, lo sottopongono a crisi 
                  per quanto temporanea e poetica. L'istanza di avere diverse 
                  identità, di transitare e mescolare il dualismo maschio-femmina, 
                  di attraversare la dimensione animale e quindi divina, scorrendo 
                  persino in quella vegetale o minerale, esprime un desiderio 
                  che molte culture (non tutte!) risolvono con i proprio moduli 
                  narrativi. I rituali sciamanici, i vari carnevali, le feste 
                  della primavera, tanti riti di iniziazione e le arti varie riescono 
                  a presentare tali istanze disordinanti di quello che si chiama 
                  “sociale” per essere poi ricondotti nella normalità 
                  oppure fuoriuscire in linee di fuga laterali: per es. nelle 
                  maschere, nelle musiche e danze, nell'assunzione di sostanze 
                  alteranti. E infine il riso. Ridere è specificatamente 
                  umano e tale espressione è stata analizzata da infiniti 
                  autori, che qui non cito, ma che determinano differenze radicali 
                  (il riso dionisiaco, sardonico, deridente, repressivo, riproduttivo, 
                  industriale), per cui vi sono modelli diversissimi di dare soluzione 
                  a tale desiderio, non tutti liberatori, anzi, molto spesso riprodutori 
                  di domini regressivi e discriminativi (si ride dell'altro) 
                    
                  Se volessimo fare un paragone con Beppe Grillo, e la politica 
                  attuale, a suo avviso potrebbe essere visto come una figura 
                  di trickster moderno? Millantatore e furbacchione che come un 
                  briccone, fa oggetto di tricks («tiri mancini») 
                  i politici?  
                  Ricordo che un trickster dei nativi americani era Iktomi, il 
                  ragno. Lui voleva dividere le tribù Sioux, spingere i 
                  membri a isolarsi in modo da renderli indifesi. E per insinuare 
                  questa separazione, si infiltra nelle tribù sotto sembianze 
                  diverse: può apparire come un comico (heyoke). 
                  Attenzione! È esattamente il contrario: Grillo è 
                  l'espressione quasi emblematica di accendere un riso autoritario 
                  sempre e solo contro qualcuno. Lui incarna il ridere come deridere, 
                  come coprolalia riproduttrice di “risi anali” (il 
                  vaffa non è immune da quelle che Marcuse chiamava offese 
                  degli organi erotici). Ha una identità fissa, anzi fissata. 
                  Non è un furbo, è una cosciente e “onnipotente” 
                  trasfigurazione delle volgarità oscene presenti nelle 
                  pulsioni di tante persone, purtroppo, e che lui “libera”, 
                  cioè riesce a fare esplodere. Lui fa ridere il suo pubblico 
                  contro l'altro che, di volta in volta, è ridicolizzato. 
                  Nessuna prospettiva di liberazione, quindi, né di attraversamenti 
                  identitari o sensuali: dominio che usa la retorica e una qual 
                  certa funzionalità (qui ci vuole) “razionale” 
                  della propaganda mediatica che seduce il rancoroso insoddisfatto. 
                  Si rileggono le pagine sul risentimento di Nietzsche e si scopre 
                  la forza retorica autoritaria e regressiva di Grillo e dei grillini, 
                  cioè i suoi elettori sono forse peggiori di lui. 
                   
                  Come mai a suo avviso la figura del trickster è 
                  così ambigua? Come archetipo può portarci davvero 
                  alla conoscenza e liberazione o è solo un inganno?  
                  Come detto, sono contrario radicalmente al concetto di archetipo, 
                  la cui determinazione unificata tenta di controllare ogni diversità 
                  culturale. Se forse concepibile nei secoli passati, oggi è 
                  da sottoporre a critica. Tra l'altro è preferibile il 
                  concetto di protitipo (che Kerényi usa), che esprime 
                  tendenze al mutamento e alle differenziazioni. La figura del 
                  trickster, come qualsiasi concetto (libertà, sacro, morte, 
                  eros ecc.) è polisemica nella sua immanenza. E questa 
                  polifonia concettuale desta meraviglia e fascino – e dissonanza. 
                  Le passioni che le varie culture hanno e continuano a performare 
                  non possono che essere ambigue. 
                  Quindi, è fondamentale raffinare i metodi di osservazione 
                  empirica e di trasfigurazione compositiva il testi per individuare 
                  di volta in volta chi è trickster, altrimenti si compiono 
                  errori che possono essere gravi. Odisseo non è un trickster: 
                  egli rappresenta il modello della soggettività greca 
                  (e poi occidentale) che si auto-afferma in quanto si auto-sacrifica. 
                  In questo senso le pagine di Adorno/Horkheimer su Odisseo sono 
                  ancora decisive per cogliere un problema ancora irrisolto della 
                  nostra cultura che si è esteso al di fuori dei suoi “confini”. 
                  Né lo è Crozza o il carnevale carioca. Molti artisti 
                  sono trickster, per es. Orlan, Kapoor o Zaha Hadid. Giuseppe 
                  Penone è trickster. Nessun politico può esserlo, 
                  per definizione a priori! Fellini lo è stato nel cinema 
                  con Chaplin e Buster Keaton, tantissimi nella letteratura Pessoa, 
                  Burroughs, Musil, von Chamisso (!), Hoffmann (!!), per non parlare 
                  della musica (Mozart e Zappa). La liberazione è un processo: 
                  non si raggiunge mai, che sarebbe un incubo, per questo si deve 
                  modificare il sistema poetico-cognitivo che scorre nel raggiungere 
                  frammenti di liberazioni e così assemblarli, modificarli, 
                  per vedere costellazioni liberatorie e soggettive (multividuali) 
                  in movimento e non un pianeta fisso collettivo. 
                   
                  Il trickster è un ribelle... 
                  Molti anni fa feci la mia unica trasmissione alla radio Rai 
                  proprio sul trickster: rielaborai il personaggio principale 
                  del libro-capolavoro di Paul Radin che si chiama Wakdjungaka 
                  – nome musicalmente onomatopeico. In quel periodo di forti 
                  conflitti, per me questo briccone divino cercava di incorporare 
                  un desiderio che percorre diverse culture e sboccia a volte 
                  in maniera sorprendente e imprevista: poter trasmigrare tra 
                  diversi sessi e generazioni; mescolare dimensioni animali, umane, 
                  divine, vegetali e persino inorganiche; far danzare le cose 
                  ed erotizzarle; liberare le merci dalle reificazioni; rifiutare 
                  le regole del gioco e inventare nelle proprie avventure sregolate 
                  l'appartenenza a un cosmo non solo antropocentrico; praticare 
                  l'oltre ogni violenza o discriminazione; dichiararsi uguali 
                  in quanto differenti e non identici. Insomma ridere il riso 
                  che genera vitalità vagante. 
                   
                  Insomma un anarchico? 
                  Claro, loro vivevano in una “società-senza-stato”!
                  Barbara Collevecchio
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