  
                  
 In qualche modo avrebbe reagito 
                  
                intervista a Dori Ghezzi di Renzo 
                  Sabatini 
				
  
                  Con questa intervista alla moglie e compagna di una vita si concludeva, sei anni fa, la lunga serie di trasmissioni radiofoniche in italiano in una radio australiana. E dunque così si chiude la loro trascrizione su “A”, durata 20 numeri. 
                 
                  Siamo alle battute finali di questa trasmissione che ha accompagnato il nostro pubblico per lungo tempo e le conclusioni le tiriamo assieme a Dori Ghezzi, fondatrice e presidente della Fondazione Fabrizio De André, che ringraziamo di essere oggi qui con noi in trasmissione. Dori, voi avete riassunto il lavoro dei primi anni della Fondazione in un libro intitolato Volammo davvero. Anche don Gallo, che ho avuto la fortuna di incontrare a Genova, pochi mesi fa, ha voluto salutarci in trasmissione con quelle parole, tratte dal Sogno di Maria, dicendoci: “Con Fabrizio volammo davvero”. Cominciamo proprio dalla Fondazione: quali sono gli obiettivi e le attività principali di questa istituzione? 
Intanto sono io che voglio ringraziare voi, che mi date l'opportunità di sentirvi un po' più vicini, perché l'Australia è così lontana! Le fondazioni, come sai, nascono per tutelare l'immagine, il patrimonio, ma per quanto riguarda Fabrizio non credo che ce ne fosse una grande esigenza, perché è molto amato; è rispettato e seguito in modo veramente sorprendente e onestamente io, inizialmente, non sentivo l'esigenza di creare la Fondazione, ma ho accettato di farla nascere perché non me la sentivo di prendere da sola determinate decisioni che riguardavano Fabrizio e il patrimonio culturale che Fabrizio ci ha lasciato. Questo mi è sembrato un buon motivo per accettare il consiglio di creare la Fondazione. Noi siamo il crocevia di manifestazioni, intenzioni, idee che nascono spontaneamente, non solo in Italia ma, come nel vostro caso, anche all'estero. Rappresentiamo un po' il sigillo e il sugello di queste iniziative. Inoltre il nostro compito è quello di seguire Fabrizio nei primi passi che sta facendo all'estero, quindi di esportarlo. Già adesso stanno nascendo cose un po' in tutto il mondo e soprattutto l'aspetto didattico è molto interessante. Per esempio nelle scuole dove si studia l'italiano preferibilmente si scelgono i testi di Fabrizio, una cosa che mi piace molto. 
 
                  Nel corso di questa trasmissione abbiamo mandato in onda 
                  qualche canzone di De André eseguita da artisti non italiani, 
                  per esempio la Disamistade della rockband statunitense 
                  Walkabouts. Lo scrittore algerino Amara Lakhous1 
                  ci ha detto che le canzoni di Fabrizio si potrebbero tradurre 
                  anche in arabo. Puoi raccontarci che cosa si sta muovendo nel 
                  panorama internazionale? Chi sta scoprendo De André fuori 
                  dall'Italia? 
                  La cosa curiosa è che anche all'estero sta accadendo 
                  quello che agli inizi era successo in Italia. Come si sa Fabrizio 
                  non era stato molto disponibile sul piano promozionale e lo 
                  si è conosciuto all'inizio sopratutto attraverso il passaparola. 
                  Ha funzionato una specie di tam-tam ed è quello che sta 
                  accadendo oggi all'estero. Per esempio David Byrne2, 
                  che è uno che si è sempre dichiarato estimatore 
                  di Fabrizio, non si è vergognato di ammettere che ha 
                  spesso rimasterizzato dei dischi di Fabrizio per poterli donare 
                  ad amici e colleghi. Quindi Fabrizio si sta diffondendo in modo 
                  sincero e spontaneo, un modo che poi, fra l'altro, te lo fa 
                  sentire più vicino. Per questo Fabrizio è particolarmente 
                  amato, perché è come se facesse parte della sfera 
                  delle amicizie o addirittura della cerchia familiare. 
 
                  Ho letto qualche tempo fa che Shel Shapiro, ex dei mitici 
                  Rokes3, ha tradotto 
                  in inglese un paio di testi di De André, fra cui Fiume 
                  Sand Creek, per farli interpretare nientemeno che a Joni 
                  Mitchell.4 Ne sai 
                  qualcosa? 
Spesso accade che non siamo i primi a sapere le cose, quindi potrebbe anche essere accaduto ma io non sono in grado di confermarlo al momento. Anche se Fabrizio ancora non si trova in vendita in certi mercati esteri, so che è conosciuto e rispettato dai discografici esteri, quindi tutto è possibile. 
			Una situazione anomala 
			Tra le cose che stanno cominciando a spuntare in queste lingue straniere e in molti idiomi locali italiani, ce n'è qualcuna che avresti preferito non fosse mai stata fatta? 
No, io parto sempre dal presupposto che le cose vengono fatte in buona fede e che ciascuno fa secondo i propri mezzi, quindi non mi piace dare giudizi di questo tipo. Qualunque cosa venga fatta su Fabrizio non la percepisco come speculazione e anche su questo punto la Fondazione non vuole certo esercitare il ruolo del gendarme. 
 
Un'altra notizia che abbiamo letto sui giornali qualche tempo fa è stata quella del ritrovamento di una incisione di Tutti morimmo a stento in inglese, con la voce proprio di Fabrizio. 
Questo è un tasto abbastanza dolente. È vero che Fabrizio aveva fatto questo tentativo di realizzare la versione inglese di Tutti morimmo a stento, anche se credo che il lavoro non fu neanche ultimato. Comunque a lui, alla fine, non piacque e non volle pubblicare quella versione e io preferisco rispettare questa sua volontà. Il ritrovamento deve riferirsi a una lacca, non a un disco vero e proprio perché, appunto, il disco non è mai stato pubblicato. Purtroppo le maglie italiane sono sempre troppo larghe, anche rispetto a queste cose che non dovrebbero essere diffuse. In questo caso il nostro compito, come Fondazione, sarà quello di far rispettare la volontà di Fabrizio e quindi non vogliamo assolutamente che quel lavoro venga pubblicato. 
 
In Italia c'è un flusso continuo di conferenze, concerti, iniziative dedicate a Fabrizio. C'è un proliferare di cover band e di artisti anche famosi che ricantano quelle canzoni. A lui vengono intitolate scuole, vie piazze... Come mai questo clamore non si ferma? 
Se consideriamo che Fabrizio si riproponeva a volte dopo tantissimi anni (perché passavano anche sei o sette anni fra un disco e l'altro e poi spariva dalla scena), direi che questa situazione è abbastanza anomala, perché Fabrizio ora è costantemente presente e la cosa ci ha sorpresi un po' tutti. Evidentemente è stata proprio la sua assenza a far capire quanto sia stato importante per la cultura italiana. E poi fra lui e il suo pubblico si è creato un rapporto che è singolare, unico, non solo in Italia ma proprio nel mondo ed è ancora più singolare per uno che è stato così schivo. Difficilmente lo chiamano De André, lui era Fabrizio per tutti o addirittura Faber, come se si trattasse di un amico, di un fratello, qualcuno con cui si ha un rapporto molto personale. È un punto di riferimento preciso. 
 
Insomma anche se è un fenomeno collettivo alla fine l'incontro con Fabrizio, con la sua musica, la sua poesia, la sua voce, resta una cosa individuale, un incontro molto personale... 
Sì, lo si è capito anche nei concerti (quei pochi che ha fatto) quanto fosse importante per lui questo incontro con il suo pubblico. Difficilmente trovi un artista che, dopo il concerto, si ferma a parlare con chiunque lo volesse incontrare. Lui invece si fermava per delle ore, dopo i concerti, e parlava con i suoi fan (se vogliamo chiamarli così), parlava con questi ragazzi, dal primo che si presentava fino all'ultimo. Per chi l'ha vissuta questa è stata una cosa molto importante. 
 
Nell'intervista che ci ha rilasciato Paolo Finzi, che tu conosci molto bene, ha insistito molto sulla dimensione intellettuale di Fabrizio. Lui sostiene che si potrebbero scrivere libri interi su singoli aspetti della poetica o addirittura su singoli versi. Come procedono gli studi sul lavoro di De André? Cosa accade a livello del mondo accademico? 
                  Ha ragione Paolo Finzi: ogni sua canzone, addirittura ogni sua 
                  frase è veramente un film. Noi abbiamo affidato questo 
                  lavoro all'università di Siena presso cui è nato 
                  il Centro Studi Fabrizio De André. Il lavoro sta andando 
                  molto bene ma non è ultimato, anzi c'è ancora 
                  molto da fare. Nell'ottobre scorso, ad esempio, si è 
                  tenuto un convegno in cui si discuteva del rapporto fra poesia, 
                  musica e canzone. Una borsista in quell'occasione ha presentato 
                  il suo lavoro, una lettura critica comparata fra i testi di 
                  Fabrizio e la letteratura di Alvaro Mutis. Questo lavoro e altri 
                  saranno inseriti in un libro di prossima pubblicazione che si 
                  chiamerà: Il suono e l'inchiostro5. 
 
                  Vittorio De Scalzi6 
                  ha rivelato che Faccia di cane, il miglior testo per 
                  la giuria di Sanremo 1996, in realtà era stata scritta, 
                  ma non firmata, da Fabrizio De André, una notizia che 
                  ci ha incuriosito. Quanto c'è di De André “segreto”, 
                  non firmato, in giro? Quanti regali di questo genere ha fatto? 
                  È vero, Fabrizio ha scritto Faccia di cane come 
                  autore occulto. È successo una sera che tutto 
                  il gruppo è venuto da noi a Milano. Del resto lui non 
                  si è mai negato. Una sera, per esempio, venne a casa 
                  nostra Mimì, cioé Mia Martini. Ora non ricordo 
                  più se lui scrisse ex novo tutto il testo di La mia 
                  razza7 o se, più semplicemente, 
                  corresse un testo che era già stato stilato, comunque 
                  ha fatto parecchio anche per quel testo. Anche nel mio album 
                  Mamma Dodori8 c'è 
                  molto di Fabrizio. Insomma adesso io non ricordo tutto quello 
                  che ha fatto, ma lui non necessariamente firmava tutto quello 
                  che faceva. 
			Con i nostri amici sardi, un rapporto stupendo 
			    È interessante quello che racconti, perché 
                  si parla molto dei collaboratori di De André ma resta 
                  più nascosta quest'altra faccia della medaglia. Mi chiedo 
                  quante volte De André, nel corso di queste collaborazioni, 
                  sia stato a sua volta ispiratore di testi che magari sono diventati 
                  dei successi.  
                  Penso per esempio a Francesco De Gregori che ha scritto 
                  Rimmel9 più 
                  o meno nello stesso periodo in cui collaborava con De André 
                  su alcuni testi che poi hanno trovato posto in Volume VIII. 
                  Retrospettivamente ci si potrebbe chiedere quanto De André 
                  occulto ci sia in Rimmel, se non altro a livello di ispirazione. 
                  È vero che Rimmel è stato scritto quasi 
                  contemporaneamente a Volume VIII. Diciamo che Fabrizio 
                  sicuramente influenzava questi giovani autori, ma allo stesso 
                  tempo lui stesso era influenzato da loro. Direi che la cosa 
                  è proprio reciproca e io, in Volume VIII, sento 
                  molto De Gregori in Fabrizio, anche nel modo di cantare. Ma 
                  questo non lo trovo negativo. Altrimenti, se non avesse voluto 
                  farsi influenzare, avrebbe continuato a lavorare da solo. 
                  Del resto se riascoltiamo il primissimo Fabrizio ci troviamo 
                  dentro molto degli chansonnier francesi e ci troviamo un po' 
                  di Bindi, un po' di Tenco, un po' di Modugno... come fanno tutti 
                  del resto. Lui questo non lo ha mai rinnegato, non si è 
                  mai nascosto. Poi, piano, piano, ha trovato una sua strada. 
                  Comunque è inevitabile che quando si collabora si diventa 
                  come spugne, si attinge dall'altro. Quindi non solo Massimo 
                  Bubola o il giovane De Gregori hanno imparato da Fabrizio, ma 
                  lui stesso ha attinto molto da questi giovani cantautori. 
                   
                  Visto che abbiamo aperto il capitolo dei cantautori vorrei 
                  chiedere il tuo parere sul panorama attuale della canzone d'autore 
                  in Italia. C'è molta nebbia o si vede la luce? C'è 
                  qualcuno che, potresti dire, ha raccolto il testimone di Fabrizio? 
                  Già quando Fabrizio c'era diversi cantautori gli venivano 
                  associati, chi per un motivo, chi per l'altro. Ora si è 
                  parlato molto di Vasco Rossi come erede di Fabrizio e in un 
                  certo senso potrei dire che lo è: proprio per il rapporto 
                  che si sta creando con il pubblico direi che Vasco è 
                  quello più di tutti vicino a Fabrizio. Anche De Gregori 
                  si potrebbe considerare a pieno titolo l'erede di Fabrizio. 
                  Però devo dire anche che io ho la netta sensazione che 
                  Fabrizio non abbia ancora deciso di lasciare il testimone a 
                  qualcuno. Il testimone mi sembra ancora ben saldo nelle sue 
                  mani! 
                   
                  Come sai questa nostra trasmissione si è svolta 
                  tutta sul filo di una serie di interviste che abbiamo raccolto 
                  nel tempo. In alcune di queste interviste, penso per esempio 
                  a quelle con Luca Nulchis10 e 
                  Raffaella Saba11, è venuto 
                  fuori, inevitabilmente, l'argomento del vostro rapimento in 
                  Sardegna e dell'atteggiamento tenuto nei confronti dei vostri 
                  carcerieri dopo la liberazione. Com'è stato il tuo rapporto 
                  con Tempio Pausania e con la Sardegna prima e dopo il rapimento? 
                  Il rapporto dopo il rapimento è tornato ad essere esattamente 
                  quello che era prima. A parte il fatto che il rapimento non 
                  è stato una sofferenza solo per noi, per le nostra famiglie, 
                  ma lo è stato anche per la Sardegna stessa. Perché 
                  la parte buona della Sardegna si è colpevolizzata per 
                  quei fatti e questo è stato uno dei motivi che ci ha 
                  fatto restare fermi nelle nostre decisioni. 
                  Del resto abbiamo un rapporto stupendo con i nostri amici sardi, 
                  con quei profumi, con quella terra, con quella limpidezza, con 
                  quel mare unico. Non vedo perché avremmo dovuto rinunziare. 
                  Quello del rapimento è stato un episodio. Un'esperienza, 
                  per un verso, certo, negativa, ma un'esperienza che anche ci 
                  ha insegnato parecchio e ci ha fatto crescere molto. 
                   
                  Se mi permetti di aggiungere una considerazione che viene 
                  fuori dalle testimonianze di tutti i sardi che abbiamo intervistato, 
                  direi che da parte loro c'è molta gratitudine proprio 
                  per questo vostro atteggiamento, di amore nonostante tutto. 
                  Sì, anche se non è stata certo una decisione presa 
                  per arrivare a queste conseguenze. Si è trattato piuttosto 
                  di qualcosa di spontaneo. Io ho cercato da subito di ricominciare 
                  a vivere come se quel fatto non fosse accaduto. Fin dai primissimi 
                  giorni ho ricominciato a viaggiare da sola, di notte, in macchina. 
                  È una cosa comunque che non intendo neanche dimenticare, 
                  che non mi mette paura e ne parlo, neanche con distacco, ne 
                  parlo come di una cosa che mi appartiene, come tante altre della 
                  mia vita. 
                   
                  Parlando del tuo vecchio lavoro, parlando insomma per 
                  un attimo di Dori Ghezzi, dal successo di Casatchock, 
                  nel 1968, alla grande notorietà del duo con Wess... molti 
                  italiani che vivono in Australia ti ricordano così. Tu 
                  che ricordo hai di quei tempi? 
                  Sono stati sicuramente tempi molto belli ma, proprio smettendo, 
                  ho dimostrato che non ho mai considerato quella della cantante 
                  come un'attività per me consona, perché per calcare 
                  un palcoscenico bisogna avere delle caratteristiche diverse 
                  dalle mie. Bisogna avere un po' di protagonismo, di esibizionismo 
                  e questo un po' mi manca; sono sempre stata un po' intimidita 
                  e quindi quel periodo l'ho un po' subito, anche se con grandi 
                  soddisfazioni, perché io comunque rispettavo i contratti, 
                  sono stata sempre una professionista diligente. Però, 
                  soprattutto quando si trattava di fare manifestazioni tipo Sanremo, 
                  con il giudizio della giuria, per me era un incubo. Allora, 
                  fino a che sei giovane sono cose che si possono anche fare, 
                  ma un giorno ho detto basta e ho deciso di dedicarmi ad altro. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Dori Ghezzi e Fabrizio De André  | 
                   
                 
			Ma Fabrizio è sempre stato imprevedibile 
			    Però i critici hanno detto che, con il passare del 
                  tempo, le tue interpretazioni erano sempre più belle. 
                  Come mai hai smesso anche di incidere? 
                  Proprio perché ho smesso di fare quel lavoro in modo 
                  definitivo. Poi l'ho fatto, sporadicamente, per esempio come 
                  corista con Fabrizio. Oppure quando hanno fatto un documentario 
                  su Fernanda Pivano mi hanno chiesto di cantare una canzone di 
                  Fabrizio e allora feci Il suonatore Jones. Ecco, ho fatto 
                  delle cose così, qua e là, mi sono lasciata coinvolgere. 
                  Ma tutto questo non significa che io abbia ricominciato a cantare. 
                  Non canto più da diciotto anni e mai più mi rimetterei 
                  sul mercato. 
                   
                  Siamo all'ultima puntata di una trasmissione interamente 
                  dedicata a “Faber”. Per un anno intero siamo andati 
                  in onda con queste testimonianze e la Fondazione tra l'altro 
                  ha pubblicato sul suo sito l'elenco completo delle trasmissioni 
                  e questo naturalmente ci ha fatto molto piacere. Altre trasmissioni 
                  di questo genere, in Italia o all'estero, ce ne sono state? 
                  Voi avete fatto davvero un lavoro veramente encomiabile, avete 
                  fatto quello che neanche qui in Italia si è mai fatto. 
                  Comunque devo dire che ci sono state anche qui cose molto, molto 
                  interessanti e anche importanti. Documentari come quello di 
                  Giovanni Minoli, che viene continuamente riproposto. Per il 
                  prossimo anno ci sono progetti molto belli. Fabrizio è 
                  sempre molto presente e a volte è difficile anche per 
                  me seguire tutto quello che passa nelle varie emittenti televisive 
                  e radiofoniche. C'è molta cura, c'è molto rispetto, 
                  ci consultano regolarmente; quindi direi che non ci si possa 
                  lamentare di come viene riproposto Fabrizio. Certo non si è 
                  mai fatta una trasmissione lunga un anno, quella ci manca! Ma 
                  forse sentite maggiormente voi questa esigenza perché 
                  ha senso per far conoscere Fabrizio in Australia. Un'esigenza 
                  che in Italia non è avvertita. 
                   
                  Ovviamente la situazione è diversa, qui vogliamo 
                  proprio far conoscere De André al pubblico australiano 
                  e farlo scoprire o riscoprire ai tanti italiani che vivono qui. 
                  Ma attraverso questa trasmissione volevamo anche parlare di 
                  tante cose: della poetica, della musica ma anche dei tanti temi 
                  affrontati da quella poetica, che ha i tratti dell'universalità. 
                  Abbiamo portato in trasmissione le prostitute, i drogati, gli 
                  emarginati e questo proprio grazie al viatico delle canzoni 
                  di De André.  
                  Parlando del suo impegno sociale vorrei andare ora su 
                  una cosa che mi preme particolarmente: in Italia è tempo 
                  di caccia ai rom, di commissari straordinari, raid nei campi 
                  nomadi, ronde notturne contro i migranti. Mi sembra che sia 
                  tornato il momento descritto nei versi drammatici di Khorakhané 
                  quando: “un uomo ti incontra e non si riconosce, ogni 
                  terra si accende e si arrende la pace”. Se fosse ancora 
                  con noi, che reazione avrebbe avuto l'autore di Khorakhané, 
                  in una situazione così grave, che non mi pare abbia uguali 
                  nell'Italia del dopoguerra? 
                  È veramente un brutto momento, è vero, ma passerà, 
                  ne sono certa. È difficile dire che cosa avrebbe fatto 
                  Fabrizio perché lui è sempre stato imprevedibile. 
                  Se tieni conto che al '68 ha risposto con La buona novella, 
                  chissà come avrebbe reagito in una situazione di questo 
                  genere, quale metafora avrebbe usato, perché lui trovava 
                  sempre queste soluzioni, queste chiavi uniche, imprevedibili, 
                  impensabili. Sono certa però che non avrebbe assistito 
                  inerme. In qualche modo avrebbe reagito. 
                 Renzo Sabatini 
                Note 
                 
                  - Vedi A n. 384, novembre 
                    2013. 
                  
 - Musicista e compositore scozzese, naturalizzato statunitense, 
                  fondatore tra l'altro dei Talking Heads.
                  
 - The Rokes, band inglese nata nel 1960 che ha avuto un grande 
                  successo in Italia fino a farli definire “i Beatles italiani”. 
                  Shel Shapiro, il componente più noto della band, è 
                  ancora oggi impegnato in Italia come artista poliedrico, con 
                  un forte impegno sociale.
                  
 - Cantautrice canadese molto nota ed amata nel mondo anglosassone. 
                  Shel Shapiro tuttavia mi ha detto recentemente che la notizia, 
                  che avevo appreso da un quotidiano, era imprecisa: le traduzioni 
                  in inglese di tre canzoni di De André erano in realtà 
                  destinate alla cantautrice statunitense Patti Smith, la quale 
                  avrebbe dovuto inciderle in un disco. Il progetto non è 
                  andato in porto ma Patti Smith ha comunque cantato la versione 
                  inglese di “Amore che vieni, amore che vai”, nella 
                  traduzione di Shapiro (“Does love come or go”), 
                  in occasione di una serata dedicata a De André a Genova, 
                  nel 2006.
                  
 - Edizioni Chiarelettere, 2009, a cura del Centro Studi Fabrizio 
                  De André.
                  
 - Musicista genovese, fra i fondatori dei New Trolls.
                  
 - L'omonimo album è stato pubblicato dalla cantante nel 
                  1990.
                  
 - Pubblicato nel 1980, dopo il rapimento, dedicato alla figlia 
                  Luvi. È l'unico album da solista di Dori Ghezzi.
                  
 - Pubblicato nel 1975, stesso anno di pubblicazione del Volume 
                  VIII di De André, che contiene cinque canzoni firmate 
                  anche da De Gregori.
                  
 - Pubblicata su A 
                    n. 380, maggio 2013. 
                  
 - A n. 385, dicembre 
                    2013. 
                
  
                  
                (intervista realizzata via telefono nel luglio 2008. Registrata 
                presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. Andata in onda 
                nell'ambito della trasmissione radiofonica settimanale: “In 
                direzione ostinata e contraria”, dedicata ai personaggi 
                delle canzoni di Fabrizio De André) 
                  
                   
                    |   In 
                        direzione ostinata e contraria  
                       Con 
                        questa intervista, si conclude la pubblicazione su “A” 
                        di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche 
                        realizzate da Renzo Sabatini e andate 
                        in onda in Australia nel programma “In direzione 
                        ostinata e contraria” sulle frequenze di Rete Italia 
                        fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si 
                        è trattato di sessanta puntate (ciascuna della 
                        durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi 
                        40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state 
                        trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni 
                        di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più 
                        lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al 
                        cantautore genovese. 
                       Se proponiamo questi testi, 
                        è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio 
                        e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio 
                        e voce ne hanno poco o niente nella “cultura” 
                        ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del 
                        cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio 
                        e poste alla base di una riflessione critica sul mondo 
                        e sulla società, con quello sguardo profondo e 
                        illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con 
                        una profonda sensibilità libertaria e – scusate 
                        la rima – sempre in direzione ostinata e contraria. 
                       Precedenti interviste 
                        pubblicate: a Piero 
                        Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla 
                        Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora 
                        Marcasciano (“A” 372, maggio 2012), Franco 
                        Grillini (“A” 373, estate 2012), Massimo 
                        (“A” 374, ottobre 2012), Santino 
                        “Alexian” Spinelli (“A” 375, 
                        novembre 2012)); Paolo 
                        Solari (“A” 376, dicembre-gennaio 2012-2013); 
                        Gianni Mungiello, 
                        Armando Xifai, Alfredo Franchini (“A” 
                        377, febbraio 2013); Giulio 
                        Marcon e Gianni Novelli (“A” 378, marzo 
                        2013); Sandro 
                        Fresi e Paola Giua (“A” 379, aprile 2013); 
                        Luca Nulchis 
                        (“A” 380, maggio 2013); don 
                        Andrea Gallo (“A“ 381, giugno 2013; Paolo 
                        Finzi (“A” 382, estate 2013); Gabriella 
                        Gagliardo (“A” 383, ottobre 2013); Amara 
                        Lakhous (“A” 384, novembre 2013); Raffaella 
                        Saba (“A” 385, dicembre 2013-gennaio 2014); 
                        Paolo Maddonni 
                        (“A“ 386, febbraio 2014); Stefano 
                        Benni (“A” 387, marzo 2014) e Nadia 
                        Piave (“A” 388, aprile 2014). 
                       la redazione di “A”  | 
                   
                 
                 
                   
                 
                 
                
                   
                    in 
                        direzione ostinata e contraria 
                        conclusioni  | 
                   
                   
                    | 
 È soltanto un discorso sospeso 
                       
                      a cura della redazione 
                        scritti di Renzo Sabatini, Dori Ghezzi, 
                        Paolo Finzi 
                       
                       
                      Con l'intervista pubblicata nelle 
                        pagine precedenti si completa la serie di interviste ospitate 
                        ininterrottamente dalla nostra rivista a partire dalla 
                        prima,  a Piero 
                        Milesi, pubblicata nell'aprile di due anni fa. Piero 
                        era morto da poco e decidemmo di fare un omaggio a un 
                        amico di così alto spessore etico prima ancora 
                        che musicale, pubblicandola per prima. 
                        Chiudiamo ora questa serie “in direzione ostinata 
                        e contraria” con tre scritti. A  Renzo 
                        abbiamo chiesto qualche sua considerazione finale, dopo 
                        che nelle 137 pagine complessivamente occupate dalle sue 
                        interviste lui aveva avuto modo di esprimersi quasi solo 
                        attraverso le proprie domande. 
                        Di  Dori ripubblichiamo lo scritto 
                        da lei affidatoci per il  numero 
                        speciale di “A” (358, dicembre 2010/gennaio 
                        2011) commemorativo dei primi 40 anni della rivista: un 
                        articolo per noi particolarmente significativo perchè 
                        testimonia che l'anarchia non ha contagiato solo Faber. 
                        Infine  un nostro redattore ci 
                        affida una testimonianza per certi aspetti intima di quando, 
                        nel 2000, in quella saletta di registrazione, nello studio 
                        di Lucio “Violino” Fabbri, Dori se ne stava 
                        accoccolata in un angolino... 
                        È il nostro modo per ringraziare l'amica che incontrammo 
                        proprio 40 anni fa con Fabrizio. Eravamo andati per conoscere 
                        il cantautore, con lui c'era Dori. E negli anni, nei decenni 
                        ci siamo resi conto che fu un bellissimo caso di “paghi 
                        uno, prendi due”...  
                       | 
                   
                 
                        
				 
 Fabrizio downunder 
                   
                di Renzo Sabatini  
                “Cara Dori,  
                  mi ha fatto molto piacere ricevere la lettera di ringraziamento 
                  della Fondazione (...) ma in realtà sono io a dover ringraziare. 
                  Faccio parte, infatti, di quella schiera di fortunati che sono 
                  cresciuti con le canzoni di Fabrizio e ho beneficiato, per gran 
                  parte della mia vita, delle emozioni che trasmettono e delle 
                  riflessioni che stimolano. Avrò avuto sette anni quando 
                  un fratello maggiore mi ha fatto ascoltare per la prima volta 
                  quelle canzoni. Correva l'anno 1967 e credo di aver cominciato 
                  con Bocca di Rosa, Via del Campo, La guerra di Piero, La ballata 
                  dell'eroe, Amore che vieni amore che vai e Re Carlo Martello. 
                  Non so quanto ne capissi, ma so che da allora non ho più 
                  smesso di ascoltarlo (...) e quando, una trentina di anni dopo, 
                  è uscito Anime Salve, sono stato, ancora una volta, folgorato, 
                  stupito, non solo dalla bellezza di quelle canzoni, ma anche 
                  dalla loro incredibile ricchezza: dopo trent'anni Fabrizio era 
                  ancora in grado di farmi riflettere, costringendomi a mettermi 
                  in discussione. 
                  Molte volte ho pensato di trovare un modo per ringraziarlo 
                  personalmente ma non l'ho mai fatto, forse per pudore o per 
                  timidezza. Poi è arrivato l'11 gennaio del 1999 e per 
                  me è stato come perdere un fratello maggiore, un amico, 
                  un maestro amato come se lo avessi conosciuto personalmente. 
                  Quando la vita mi ha portato agli antipodi ho avuto l'occasione 
                  di presentare l'opera di Fabrizio a tanti che non la conoscevano, 
                  alla radio, nelle università, nelle scuole, o semplicemente 
                  nelle conversazioni con gli amici, con i dischi prestati, ascoltati 
                  e commentati assieme. 
                  È solo una piccola cosa, un modo, forse, di pagar 
                  tributo, esprimere gratitudine in ritardo nei confronti del 
                  maestro che in vita non ho avuto il coraggio di ringraziare. 
                  Continuerò a farlo finché starò qui, sperando 
                  che qualcuno si fermi ad ascoltare, si affezioni, magari cominci 
                  a ripensare alle proprie scelte ascoltando la Guerra di Piero 
                  o Smisurata Preghiera, perché le canzoni di Fabrizio 
                  possono donare emozioni e stimolare alla riflessione anche a 
                  queste latitudini dove l'estate arriva a dicembre e la tramontana 
                  spira dal sud. Perché questa terra è stata colonizzata 
                  e conquistata da noi europei e qui vivono ancora oggi, come 
                  accampati sulla terra dei bianchi, come stranieri, quegli aborigeni 
                  che non hanno avuto miglior sorte dei Cheyenne di Black Kettle 
                  accampati al Sand Creek. Anche per loro canta ancora Fabrizio 
                  De André”. 
                 Renzo 
                  Fabrizio 
                  fra i canguri s'intitolava il pezzo 
                  pubblicato da Paolo Finzi su “A”, a commento 
                  del giro di incontri e conferenze da lui effettuato in tre capitali 
                  australiane nell'ottobre del 2004. Ero stato proprio io a farlo 
                  arrivare in Australia, per inaugurare la “settimana della 
                  lingua italiana nel mondo” con una conferenza dedicata 
                  al ricordo di Fabrizio De André. Per una di quelle ironie 
                  della vita il giornalista anarchico, all'arrivo sul suolo australe, 
                  aveva in tasca un invito del Consolato italiano di Melbourne. 
                  A quella data se ne aggiunsero poi altre, per due settimane 
                  di intenso tour australiano (ne seguì poi un altro nel 
                  2008, questa volta con un invito del Consolato italiano di Sydney, 
                  per parlare non solo di De André ma anche del Porrajmos 
                  dei Rom, a dimostrazione del fatto che gli intrecci della vita 
                  sono davvero imprevedibili). 
                  È stato dopo quella prima esperienza del 2004, per molti 
                  aspetti entusiasmante, che ho deciso di mettere da parte il 
                  pudore e scrivere a Dori Ghezzi la lettera che ho riportato 
                  qua sopra e che spiega, in qualche misura, il senso del molto 
                  lavoro fatto in quegli anni per far conoscere De André 
                  in una terra così lontana da Genova e da Tempio Pausania. 
                  In quei giorni, nella tiepida primavera di Melbourne, parlando 
                  con Paolo Finzi di tante cose, gli accennai anche del mio progetto 
                  di interviste radiofoniche, ricevendone l'incoraggiamento a 
                  provare. Nel marzo 2005 stavo già lavorando alle prime 
                  interviste, ma è solo nel maggio 2007 che la trasmissione 
                  ha preso il volo, accompagnando il vasto pubblico di “Rete 
                  Italia” per oltre un anno, fino all'agosto 2008. 
                  In realtà la voglia di realizzare questa indagine mi 
                  aveva assalito fin dal '99, quando ancora vivevo in Italia e 
                  ascoltavo ovunque un diluvio di parole a commemorare il cantautore 
                  scomparso. Giornalisti e commentatori di ogni genere spesso 
                  parlavano del De André che aveva “restituito la 
                  dignità” alle prostitute, ai tossicodipendenti, 
                  ai trans, ai rom e io cominciai a chiedermi: “ma loro, 
                  i protagonisti di quelle canzoni, cosa ne pensano? Cosa ne pensano 
                  le prostitute, i drogati, i rom? Davvero si sono sentiti restituire 
                  la dignità?”. Insomma, un progetto coltivato per 
                  anni, ripreso e accantonato infinite volte, che il trasferimento 
                  in Australia, per uno di quegli strani scherzi che fa il destino, 
                  mi ha dato modo di realizzare. 
                  Con questa indagine cercavo delle conferme a quelle affermazioni, 
                  ma ne ho ricevuto molto di più: quelle conversazioni 
                  sul filo del telefono e dei ricordi sono state spesso emozionanti 
                  e mi hanno arricchito. L'ex prostituta (anche se Carla Corso 
                  non ama questa definizione, ma io non saprei come altro dire), 
                  la trans, l'omosessuale, l'ex tossicodipendente e gli ex detenuti; 
                  il musicista sardo, il giornalista anarchico, l'insegnante, 
                  il prete, il pastore valdese, la palestinese, il rom, lo studioso 
                  delle culture indigene americane, la cantante, lo scrittore, 
                  il compositore e tutti gli altri, fino ai ragazzi della comunità 
                  di San Benedetto al Porto a Genova.... se non avessi realizzato 
                  questo lungo e faticoso progetto, non avrei mai avuto il privilegio 
                  di entrare in contatto con questa umanità. Non sempre 
                  sono stato d'accordo con le cose che hanno detto, ma queste 
                  interviste sono state altrettante tappe di un percorso di conoscenza 
                  e di crescita. I messaggi di apprezzamento che ogni tanto mi 
                  arrivavano, magari da qualche anziana ascoltatrice che aveva 
                  avuto modo di sentire le parole di Carla Corso o di Porpora 
                  Marcasciano (per citare due testimonianze che avrebbero potuto 
                  risultare potenzialmente “scandalose” per un pubblico 
                  poco avvezzo), mi hanno fatto capire che stavo andando nella 
                  giusta direzione e che Fabrizio davvero può far riflettere 
                  chiunque abbia voglia di mettersi in ascolto. 
                  Con alcuni di questi interlocutori il rapporto è continuato 
                  anche dopo, trasformandosi talvolta in un percorso di amicizia 
                  e collaborazione. Tutti li ringrazio, quelli le cui interviste 
                  abbiamo riproposto, in venti tappe, su questa rivista (i cui 
                  nomi sono elencati in un'altra pagina) e quelli che, per un 
                  motivo o per un altro, non hanno trovato posto in questa rubrica: 
                  la palestinese Miriam Abu Samra che conosce Sidun e che, imprevedibilmente, 
                  ho incontrato un giorno ad Amman, sette anni dopo l'intervista; 
                  il pastore valdese Andrea Rostan, che usa De André nei 
                  suoi sermoni; l'attrice Loredana Tommasini e il medico Carlo 
                  Bonanni, che mettono in scena spettacoli “deandreiani”; 
                  lo psicologo Angelo Aparo che usa De André nel suo lavoro 
                  di recupero dei detenuti nel carcere di San Vittore; i ragazzi 
                  della comunità di San Benedetto al Porto di Genova, che 
                  mi hanno accolto a suon di canzoni e allegria. 
                  Un pensiero commosso va a coloro che, nel frattempo, se ne sono 
                  andati: Piero Milesi e Don Andrea Gallo. E un ringraziamento 
                  particolare va all'amico Paolo Finzi, per avermi fatto tirare 
                  fuori queste interviste dall'armadio dove stavano languendo 
                  ed averle fatte rivivere su “A”. 
                  Intanto, le canzoni di Fabrizio si fanno strada “laggiù 
                  sotto”: “Downunder”, come gli australiani 
                  chiamano affettuosamente il loro Paese. Chissà che un 
                  giorno non mi riesca di convincere Archie Roach, cantautore 
                  aborigeno vittima egli stesso di persecuzioni, a cantare la 
                  Guerra di Piero o Fiume Sand Creek nella sua lingua madre che, 
                  naturalmente, non è l'inglese. Sono sicuro che a Faber 
                  farebbe molto piacere. 
                  Renzo Sabatini  
				 
 Un bellissimo sogno da consegnare al futuro 
                   
                di Dori Ghezzi De André  
                Fino a un certo punto della mia vita, per me il concetto di 
                  anarchia è stato una versione distorta rispetto a ciò 
                  che l'anarchia è nella sua vera essenza; e credo che 
                  questo possa capitare alla maggior parte delle persone condizionate 
                  da un'informazione che troppo spesso usa a sproposito la parola 
                  anarchia. 
                  La presa di coscienza di che cosa significasse è maturata 
                  conoscendo da vicino chi si dichiarava anarchico con consapevolezza 
                  e onestà. 
                  Ho capito che anarchici non si diventa perché qualcuno 
                  ti indottrina e ti affilia attraverso dei codici, ma scaturisce 
                  da una naturale tensione al saper convivere con gli altri. 
                  È la libertà all'ennesima potenza che sancisce 
                  la possibilità per l'uomo di essere completamente autonomo 
                  e intendere il rispetto non come un dovere ma come una scelta. 
                  Malgrado sia pienamente in sintonia con questo pensiero, mi 
                  è tuttora difficile – non so se per pudore o per 
                  un (irragionevole?) dubbio di chiarezza – potermi considerare 
                  una vera anarchica. 
                  Non ho incontrato Stirner, Bakunin o Anna Kuliscioff, ma Fabrizio 
                  e alcuni amici del circolo anarchico di Carrara, e un allora 
                  giovanissimo Paolo Finzi con la compagna Aurora. 
                  Furono proprio Paolo e Aurora a regalarmi alcuni volumi di Emma 
                  Goldman, e ancora li ringrazio poiché attraverso quelle 
                  letture ho conosciuto il modo giusto per riscattare la condizione 
                  dei più deboli e, ancor di più, la dignità 
                  della donna. 
                  Alcuni anni dopo ho avuto la fortuna di conoscere Fernanda Pivano, 
                  un'altra anarchica convinta, con la quale ho condiviso i medesimi 
                  pensieri sulla (per noi) errata impostazione della battaglia 
                  femminista. 
                  Se, nostro malgrado, persistono ingiustizie non solo fra etnie 
                  e culture diverse, ma anche quasi ovunque fra uomo e donna, 
                  purtroppo, almeno ancora per ora, l'anarchia sembra un bellissimo 
                  sogno da consegnare al futuro.
                  Dori Ghezzi De André 
                  da “A” 358 (dicembre 2010/gennaio 2011)  
				 
 Accoccolata ad ascoltar Fabrizio 
                   
                di Paolo Finzi  
                Una breve camminata nel traffico milanese, dalla sede della 
                  Fondazione Fabrizio De André allo studio di Lucio “Violino” 
                  Fabbri, e poi giù in una stanza super-attrezzata ad ascoltare 
                  la registrazione di un concerto di Fabrizio. Anzi, di una canzone 
                  in particolare: “Se ti tagliassero a pezzetti”. 
                  Una versione anch'essa particolare, perchè in quell'esecuzione 
                  (come avvenne altre volte) Fabrizio quella sera aveva pronunciato 
                  la parola anarchia al posto di quella “ufficiale” 
                  e usuale fantasia. “Signora libertà, signorina 
                  fantasia” diventava “signora libertà, signorina 
                  anarchia”. 
                   Un 
                  pensiero raffinato questo della mia amica Dori. Ero in ballo 
                  da mesi con la preparazione di quel “mio” primo 
                  CD che sarebbe poi uscito nel giugno 2001 e lei ancora una volta 
                  mi dava una mano. Come avrebbe poi fatto con le altre nostre 
                  “cose” su Fabrizio.  Sempre rispettando la 
                  nostra autonomia. Con discrezione, certo, ma anche con una disponibilità 
                  e una determinazione senza le quali non avrei potuto combinare 
                  niente.  E di questo non le sarò mai abbastanza 
                  grato. 
                  Tra l'altro, mi aveva procurato, tramite il buon Giancarlo Pierozzi, 
                  storico fonico di Fabrizio, ore ed ore di registrazioni dal 
                  mixer delle chiacchierate di Fabrizio prima dell'esecuzione 
                  delle canzoni, permettendo a me e all'amico Mariano Brustio 
                  (che mi aiutò in quella cernita), di identificarne cinque 
                  che poi avrebbero costituito il nucleo di quel CD. Decisivo 
                  il suo aiuto anche nelle relazioni con la casa discografica. 
                  E poi nella presentazione del CD alla stampa, nel campo-Rom 
                  di via Idro, a Milano, con i suoi e anche nostri amici don Andrea 
                  Gallo, Antonio Ricci, ecc.. Il giorno dopo quasi tutti i quotidiani 
                  ne parlarono, anche con una pagina intera. 
                  Non era prevista musica, in questo CD, basato appunto sulla 
                  voce parlante (e non cantante) di Fabrizio. Dori era stata chiara 
                  sulle caratteristiche del progetto e della mano che mi dava. 
                  Poi un giorno Dori mi telefona e mi dice di fare un salto in 
                  Fondazione. Mi propone l'ascolto di quella canzone, così 
                  specifica per il prodotto con la “A” cerchiata in 
                  copertina che sto preparando. Ma non è tanto questo suo 
                  gesto che voglio ricordare, ma – se possibile – 
                  vorrei comunicare l'intensità di quell'oretta, trascorsa 
                  in quella sala di registrazione, ad ascoltare diverse esecuzioni 
                  live di quella canzone. Dori era accucciata in un angolino, 
                  piccola piccola. La voce di Fabrizio in quella stanza insonorizzata 
                  e con quelle tecnologie ci arrivava profonda, intensa, viva 
                  e ci attraversava anche per quelle parole, quell'evocare il 
                  non-detto del loro rapimento in Sardegna, una ventina d'anni 
                  prima. 
                  Se è vero, come è vero, che “l'emozione 
                  non ha voce”, non ci fu alcun imbarazzo nel nostro silenzio: 
                  non ci dicemmo una parola, non c'era niente da dire. Ma quell'immagine 
                  prolungata dello sguardo e dell'intensità di quella piccola 
                  donna mi è rimasta fissa nel cuore e nella mente. 
                  Dori mi, anzi ci regalò quell'interpretazione di Fabrizio 
                  (che poi in rete si trova, di tutto e di più). Fu naturalmente 
                  lei a scegliere la versione a suo avviso migliore, quella che 
                  è poi stata messa nel CD. 
                  Quell'ascolto comune, ognuno solo con se stesso in un angolo 
                  della stanza, per me è un ricordo indelebile e qui ho 
                  cercato di trasmetterlo. Con il mio grazie.
                  Paolo Finzi
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