canzone dautore 
                  
                a 
                  cura di Alessio Lega 
                  
                
                 Un 
                secolo di canzone d'autore 
                Si può fare la storia con le canzoni? 
                Se la canzone è la colonna sonora di un'epoca e di una 
                  gente, quel non-genere che si definisce “canzone d'autore”, 
                  per virtù delle sue parole, emerge dalla scenografia 
                  e assurge al ruolo di romanzo di formazione. L'educazione 
                  sentimentale, esistenziale e politica di alcune generazioni 
                  si è affidata, più o meno consciamente, alle canzoni, 
                  soprattutto nell'epoca in cui l'arte di scriverle e cantarle 
                  diventava via via più consapevole e matura. 
                  Si è notato più volte come la canzone popolare, 
                  specificamente nelle forme dei canti di lavoro e dei canti di 
                  protesta e propaganda politica, e la nuova canzone politica 
                  degli anni '60 e '70 del '900, costituisca una sorta di contro-informazione 
                  dal basso che confuta e completa la Storia dei manuali scolastici. 
                  È ovvio che le canzoni nate nelle trincee della Grande 
                  Guerra (“O Gorizia tu sei maledetta” che è 
                  un canto anonimo), come la narrazione delle grandi manifestazioni 
                  (“I treni per Reggio Calabria” di Giovanna Marini), 
                  si contrappongano alla vulgata di libri e giornali controllati 
                  dal potere politico o economico. Ma di queste per stavolta non 
                  ci occupiamo. 
                  L'intenzione di queste riflessioni sulla “canzone d'autore” 
                  prescinde da quel repertorio e analizza invece la zona grigia 
                  di canzoni fortemente influenzate dalla personalità dei 
                  loro autori. Sono canzoni dunque che, senza assumersi un ruolo 
                  di denuncia, nemmeno si adeguano a posizioni etiche o estetiche 
                  imposte dall'alto. Sono il più delle volte canzoni sentimentali 
                  o, al limite, esistenziali; se prendono posizione riguardo a 
                  un fatto di rilevanza collettiva lo fanno rivendicando una posizione 
                  del tutto individuale e senza ambizione di parlare a nome di 
                  un gruppo, una classe, un popolo. Proprio per questo però 
                  esercitano un fascino indiscutibile sugli individui nell'epoca 
                  della loro formazione, sui giovani e giovanissimi, sull'età 
                  inquieta dell'adoloscenza. Quando si rifiuta ogni maestro e 
                  si accettano solo punti di vista fraterni: ecco, queste sono 
                  canzoni fraterne. 
                  Quante persone hanno ricalcato le loro prime lettere d'amore, 
                  le prime poesie, le pagine dei loro diari, le frasi, ma anche 
                  gli interventi in assemblea, sulle parole delle canzoni di Guccini, 
                  de André, ecc? La canzone d'autore ha rappresentato l'alfabeto 
                  condiviso, un repertorio di storie e di immagini al quale “pescare”... 
                  un mezzo verso, e già ci siamo capiti: «Vengo anch'io?»... 
                  «No, tu no!». 
                  Molte di queste canzoni risultano di semplice esecuzione e antepongono 
                  alla perizia tecnica sullo strumento o all'impostazione della 
                  voce un'identificazione con la canzone stessa. I molti orecchianti 
                  in possesso di una chitarra e di una rudimentale formazione 
                  musicale, si trovano in grado di eseguire molte di queste canzoni, 
                  favorendone una diffusione orale che riporta un fenomeno tipicamente 
                  novecentesco – le canzoni dei cantautori – all'archetipo 
                  del trovatore medievale, del menestrello girovago. Quest'idea 
                  era anche una formidabile arma di critica per i detrattori del 
                  genere, che hanno sempre trovato queste canzoni povere sul piano 
                  musicale (come se poi musica e testo in una canzone fossero 
                  scindibili!). «La canzone è un genere minore perché 
                  non prevede apprendistato» diceva con foga auto-sminuente 
                  un grande cantautore francese. Beh, non è proprio così. 
                  Per cantare quelle canzoni serve apprendistato umano, serve 
                  capacità di masticarsi le parole come una cosa buona, 
                  serve, più che la pulizia del suono, l'intonazione perfetta 
                  e la dizione cristallina (tutte cose, utili, ma non indispensabili), 
                  crederci. L'apprendistato della canzone si fa credendo in quel 
                  che si vuol dire, tenendo presente chi c'è ad ascoltare, 
                  immeddesimandosi. 
                  100 anni di storia degli italiani – non d'Italia, ma proprio 
                  della gente che è vissuta qui – filtrano attraverso 
                  100 anni di storia della canzone d'autore. Questa storia sta 
                  fra le righe, fra le parole e le mode musicali. Senza alcuna 
                  altra ambizione che quella di registrare la propria personale 
                  evoluzione attraverso gli anni in cui è vissuto, l'autore 
                  di canzoni e poi il cantautore, ci racconta l'evoluzione del 
                  gusto, dello stile, del linguaggio e dei rapporti interpersonali 
                  del mondo che lo circonda. Raramente l'autore di canzoni appartiene 
                  alle élites intellettuali del paese, ma spesso 
                  non è nemmeno un sottoproletario. Appartiene il più 
                  delle volte a quella piccola borghesia anonima, alla classe 
                  degli impiegati statali, degli operai inurbatisi alla generazione 
                  precedente, dei minuti esercenti, e in genere ha frequentato 
                  gli studi almeno fino alla scuola media superiore. 
                   
                  «Che genere fate?»  
                   
                  Quando nasce la canzone d'autore e cosa si intende di preciso 
                  con questa definizione? 
                  Il problema è tutt'altro che di facile risoluzione. Evidentemente 
                  ogni canzone – anche anonima – ha uno o più 
                  autori e, in quanto a cantare parole, lo si fa da sempre. Ci 
                  si pone il problema di distinguere una produzione seriale di 
                  canzoni da una più genuina e personale, da ché 
                  esiste un'industria culturale e un massiccio sfruttamento della 
                  produzione musicale. In qualche misura la canzone d'autore è 
                  figlia dell'industrializzazione della canzonetta. La definizione, 
                  che in fin dei conti vorrebbe identificare la qualità 
                  delle canzoni stesse, è però necessariamente porosa 
                  ed ambigua: anche un grande autore può scrivere una brutta 
                  e banale canzone, come pure un mestierante può avere 
                  un colpo di genio. 
                  Io e i musicisti che mi accompagnano siamo alla frontiera Svizzera, 
                  quella sera ho un concerto a Lugano, mi fermano i doganieri 
                  e con un'occhiata agli strumenti, di cui la macchina è 
                  piena, domandano «che genere fate?». 
                  Quasi tutti i musicisti che conosco s'infastidirebbero all'idea 
                  di racchiudere la propria musica in una definizione... ma pochi 
                  hanno l'imbarazzo di me, che provo a rispondere «canzone 
                  d'autore», conscio di quanto quest'espressione sia aleatoria. 
                  «Come chi?» azzarda l'agente... e già, ma 
                  se questo genere si caratterizza per l'individualità 
                  dell'autore, la risposta è impossibile. Con un tocco 
                  di snobismo il mio amico Max Manfredi diceva «come Petrarca»... 
                  e forse la risposta è meno peregrina di quel che può 
                  sembrare, nel senso che le infinite variazioni di una struttura 
                  chiusa, come il sonetto petrarchesco, possono avere qualche 
                  rapporto con l'intenzione di scrivere l'ennesima alternanza 
                  di strofe e ritornelli, su una melodia orecchiabile ma non troppo. 
                  Ma se la definizione è troppo arzigogolata, perde l'unica 
                  sua utilità, l'immediatezza. 
                  Quando diciamo “Canzone d'autore” dovremo dunque 
                  contentarci di evocare un immaginario labile, sperando che non 
                  sia troppo distante dal nostro. Sappiamo per certo che se dicessimo 
                  “Lirica”, “Blues”, “Jazz”, 
                  “Rap” i rapporti fra l'immaginario evocato e le 
                  caratteristiche più propriamente musicali del genere 
                  sarebbero più centrati. E invece “Con te partirò” 
                  cantato con intenzione lirica da Bocelli è un brano del 
                  cantautore Lucio Quarantotto (di recente scomparso), “Diamante” 
                  dell'appassionato di Blues Zucchero Fornaciari è anche 
                  una canzone di De Gregori, Paolo Conte è senz'altro un 
                  grande compositore jazz e il rapper Frankie HI-NRG è 
                  stato a più riprese invitato nelle rassegne dedicate 
                  alla canzone d'autore. 
                  La canzone d'autore dunque è troppo permeabile per definirsi 
                  musicalmente e non è aiutata nemmeno dalla simbologia 
                  dell'abbigliamento o dall'uso di un gergo ricorrente, e se è 
                  vero che pianoforte e chitarre acustiche sono strumenti abbastanza 
                  consueti, il loro uso è troppo universale per caratterizzare 
                  timbricamente questo genere. 
                   
                  Come un senso di perdita 
                   
                  La canzone d'autore ha fortemente caratterizzato la cultura 
                  popolare del secondo '900, fra la fine degli anni '60 e la prima 
                  metà degli anni '80 è stato il genere musicale 
                  autoctono di maggior successo. I dischi di De Gregori, quelli 
                  di Dalla di quegli anni raggiunsero tirature vertiginose, i 
                  concerti dei cantautori si tenevano nei palazzetti dello sport 
                  quando non negli stadi. Il genere aveva una sua vitalità 
                  anche per quel che riguardava gli outsider come Rino 
                  Gaetano, Herbert Pagani o Piero Ciampi, che nonostante le carriere 
                  discontinue ebbero occasione di produrre opere ben confezionate 
                  con una certa libertà di espressione. 
                  La crisi irreversibile dell'industria discografica, la nuova 
                  vitalità del Rock italiano, l'assenza di palchi adeguati 
                  a una musica d'ascolto, che non può in alcun modo piegarsi 
                  a fare da sottofondo, riducono la canzone d'autore a spazi residuali 
                  e a una condizione di clandestinità... «poco male» 
                  direte voi «se nessuno le vuole 'ste canzoni, cantatevele 
                  nelle vostre camerette». 
                  Il successo ininterrotto dei cantautori dell'epoca d'oro ancora 
                  in attività, ci dimostra che la fame di un certo tipo 
                  di canzoni non è spenta, né a mio avviso può 
                  esserlo. 
                  La canzone d'autore è forse il solo genere che si rivolge 
                  al pubblico tenendo in equilibrio il rapporto fra massa e individuo. 
                  Vasto o piccolo che sia l'uditorio, stipata o semivuota la sala, 
                  il cantautore canta per tutti, ma dà come l'impressione 
                  di “parlare” singolarmente a ognuno. L'esperienza 
                  è lontanissima dal concerto rock che coinvolge tutta 
                  assieme una generazione precisa, che spingendo al parossismo 
                  il suono mira a una trance nel quale pubblico e musicisti 
                  sono fusi in una sorta di celebrazione religiosa. Un genere 
                  fondato sulla parola come il Rap, oltre a utilizzare abbigliamenti 
                  che rendono riconoscibili gli adepti, pur riducendo al 
                  minimo l'alibi della melodia, investe il pubblico con un eloquio 
                  così rapido, aggressivo, frenetico che, quasi inintellegibile, 
                  mira anch'esso all'ipnosi, i versi sono sovente degli slogan, 
                  fissi in sé. Grappoli ritmici di parole, come mitragliate 
                  fatte per colpire, più che per raccontare. 
                  Intendiamoci, ogni genere ha poi le sue zone di confine e di 
                  contaminazione. 
                  La canzone d'autore si caratterizza per l'equilibrio fra ritmo, 
                  melodia, dizione, poesia e prosa, linguaggio aulico e quotidiano. 
                  Il cantautore canta senza affettazione, come un amico che parla 
                  con la sua propria voce. Il palco, l'amplificazione sono strumenti 
                  per favorire l'espressione, non armi di guerra per celebrare 
                  la fusione di tutti i presenti. 
                  Per questo siamo disposti ad ascoltare il cantautore come fossimo 
                  noi a parlare, per questo perdere questo non-genere equivale 
                  ad abbandonare un dialogo fatto con noi stessi. 
                  Per questo io e il fisarmonicista Guido Baldoni abbiamo ripercorso 
                  in un nuovo spettacolo – suddiviso in 10 concerti – 
                  100 anni di storia della canzone, per conoscere, riconoscersi 
                  e, dopo aver fatto il punto, ripartire. 
                  
                  Alessio Lega 
                  alessio.lega@fastwebnet.it 
                
                   
                      
                        La 
                          canzone d'autore (tra nostalgia e memoria)
                          
                          Un'impresa mai tentata prima: oltre 140 brani, eseguiti 
                          rigorosamente dal vivo, da un interprete che li ha accuratamente 
                          selezionati nel meglio della produzione storica della 
                          canzone d'autore italiana. 
                          La canzone d'autore è un genere musicale e letterario 
                          che ha segnato molte generazioni d'italiani, estendendosi 
                          su 100 anni di storia. La canzone è il romanzo 
                          di formazione sentimentale ed esistenziale del nostro 
                          tempo. 
                          “Poesia per tutte le tasche” (la definizione 
                          è del maestro francese Georges Brassens), la 
                          canzone è entrata in stretta relazione con le 
                          mode, le tendenze, i gusti, il linguaggio, le ribellioni 
                          di tutte le composizioni sociali dal nord al sud. 
                          Nata in forma strutturata nei “café chantant” 
                          d'inizio secolo – erede della tradizione poetica 
                          partenopea, dell'opera e dell'operetta – la canzone 
                          d'autore ha una fioritura immediata e un periodo di 
                          letargo nel ventennio fascista (con qualche nobile eccezione). 
                          Risorge nei ritmi imitativi e nelle rielaborazioni del 
                          dopoguerra, per imporsi negli anni '60 come una delle 
                          massime realtà culturali della lingua italiana. 
                          Modugno, De André, De Gregori non sono solo ai 
                          vertici della produzione culturale del proprio tempo, 
                          ma anche nelle classifiche di vendita dei dischi e sbancano 
                          ogni botteghino con spettacoli gremiti di pubblico sempre 
                          nuovo. 
                          L'Italia è un paese con molta nostalgia e poca 
                          memoria. Se queste canzoni sono rimaste nell'orecchio 
                          di molti, difficilmente si riesce a collocarle nel loro 
                          tempo e a distinguere quella produzione di straordinario 
                          valore artistico dai ritornelli fatti per durare poche 
                          settimane. 
                          Alessio Lega cantautore (con cinque dischi e centinaia 
                          di concerti all'attivo, Targa Tenco 2004) e storico 
                          della canzone (un libro e decine di articoli) dipana 
                          il filo della memoria del '900, eseguendo dal vivo in 
                          versione integrale e raccontando la storia degli indimenticabili 
                          capolavori e di qualche perla nascosta della musica 
                          italiana d'autore. La direzione sonora è del 
                          maestro Guido Baldoni che, con piano e/o fisarmonica, 
                          riveste e armonizza fra loro 100 anni di splendide melodie 
                          e mode musicali. 10 concerti unici dipanano così 
                          una storia indimenticabile e mai cantata tutta assieme. 
                          
                            
                          A. L.   | 
                   
                 
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