società 
                 
                Felicità e anarchia 
                  
                di Enrico Finzi 
                   
                 
                Al suo secondo libro sulla felicità “percepita”, un sociologo riscontra sostanziali analogie tra elementi della tradizione libertaria e le aspirazioni di molti italiani/e. 
                 
                  
                  In certi ambienti Paolo Finzi, 
                  noto a voi tutti come animatore di “A”, è 
                  sempre stato considerato mio fratello, il Finzi minore rispetto 
                  al 'noto sociologo' (che poi sarei io). Nel vasto mondo libertario 
                  io sono ignoto oppure sono sempre stato ritenuto – pur 
                  più vecchio – il fratello minore, meno rilevante, 
                  di Paolo. Ora, per la prima volta, i due fratelli si incontrano 
                  su queste pagine: non perché io, ricercatore sociale 
                  di tradizione comunista italiana, sia passato all'anarchismo, 
                  ma poiché è appena uscito un mio libro, Felici 
                  malgrado che in qualche modo invade il campo libertario. 
                  Il volume sviluppa alcuni studi sul rapporto tra gli Italiani 
                  e la felicità, sulla base non delle mie opinioni ma di 
                  migliaia di interviste demoscopiche a campioni rappresentativi 
                  della popolazione: e lo fa aggiornando un mio precedente libro 
                  del 2007 alla luce della drammatica crisi del paese, nello sforzo 
                  di descriverne l'immenso disagio sociale e – contemporaneamente 
                  – i tentativi messi in atto dai nostri connazionali per 
                  conquistare un po' di felicità nonostante il peggioramento 
                  del proprio tenore di vita e il boom della disperazione 
                  collettiva e individuale. 
                  Beh, che c'entra tutto ciò con la pratica e il pensiero 
                  libertari? C'entra molto, poiché alcuni dei modi-chiave 
                  della ricerca nostrana dell'appagamento esistenziale hanno molti 
                  punti in comune con la tradizione anarchica. Provo a spiegare 
                  come e perché. 
                  In primo luogo gioca la massiccia presa di distanza sia dal 
                  capitalismo, dalla formazione economico-sociale fondata sulla 
                  proprietà privata e sul cosiddetto mercato, sia da quella 
                  specifica cultura (volgarmente detta consumismo) che ha dominato 
                  dagli anni '50 in poi diffondendo l'illusione che il crescente 
                  acquisto di beni e servizi garantisca di per sé una vita 
                  migliore. Il tutto in un contesto inedito, caratterizzato da 
                  una potente insofferenza riferita all'ormai insopportabile disuguaglianza 
                  sociale, alla marcescenza del potere e delle sue istituzioni, 
                  alla manifesta falsità delle ideologie correnti. 
                  In secondo luogo – pur se quasi nessuno lo dice – 
                  si osserva un forte riorientamento verso i valori, gli ideali: 
                  non, come in passato, quelli legati alla religione, ma quelli 
                  'laici' o comunque comuni a molte opzioni, inclusa quella dell'ateismo 
                  e dell'agnosticismo. Al fondo, è come se la crisi, che 
                  non è solo economico-sociale ma di civiltà, stesse 
                  rilanciando le filosofie della responsabilità, dell'impegno, 
                  della generosità a scapito del menefreghismo, del disimpegno, 
                  dell'egoismo: anche se questa realtà, documentata dalle 
                  indagini sociali, non viene (volutamente) fatta emergere dai 
                  mass media, i quali invece mirano a indebolire le variegate 
                  forze del riscatto e dell'opposizione sociale. 
                  Ancor di più conta, nel perseguimento d'una vera realizzazione 
                  esistenziale, la riscoperta della cooperazione, del rigetto 
                  dell'individualismo, della socialità come valore e come 
                  prassi, come mostra il capitolo del libro dedicato proprio a 
                  questo nodo cruciale, qui sotto riportato quasi integralmente. 
                  La conclusione è sorprendente, comunque non banale: la 
                  rottura di un pluridecennale equilibrio (o disequilibrio) apre 
                  nuovi spazi a chi ha avuto sinora un ruolo assai minoritario, 
                  a volte di mera testimonianza. Per dirla in altri termini, per 
                  i libertari si moltiplicano le opportunità di estendere 
                  la propria influenza, di proporre – a volte in modo nuovo 
                  – le proprie convinzioni ed esperienze in un mondo che, 
                  proprio grazie ai suoi disastri, attende, chiede, chiama, persino 
                  invoca nuove vie di liberazione degli umani. 
                
   
                  Enrico Finzi 
                  sociologo, presidente di AstraRicerche
                
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                        Cooperare
                          
                          La felicità è vivibile e vissuta solo 
                          personalmente: nessuno può delegarla o, al contrario, 
                          sperimentarla per conto di un'altra persona. Ma è 
                          spesso sia relazionale, affondando le sue radici nei 
                          rapporti con gli altri (a volte pochissimi), sia – 
                          più a fondo – sociale. Perché? A 
                          parte il nostro, già citato, essere 'animali 
                          sociali', dobbiamo considerare i tanti benefici connessi 
                          alla cooperazione tra gli umani. 
                          In primo luogo, stare con gli altri è un potente 
                          antidoto al veleno dell'infelicità. Senza dubbio, 
                          a volte le relazioni interpersonali risultano sgradevoli, 
                          ansiogene, persino ammalanti. Ma, in genere, favoriscono 
                          la realizzazione esistenziale, se sono davvero libere, 
                          profonde, durature e specialmente variegate (cioè 
                          con soggetti e ambienti diversi): anche se poche e selettive, 
                          'pantografano' l'io, lo espandono, lo rafforzano. 
                          Il secondo beneficio deriva dal coinvolgimento valoriale, 
                          dal condividere non episodicamente passioni, ricordi, 
                          progetti, attività: insomma, dallo stare insieme 
                          non solo per farsi compagnia ma per produrre o consumare 
                          o svolgere un'attività socialmente utile sulla 
                          base di una 'filosofia' comune. 
                          Ma non è solo questione di valori e azioni: se 
                          si passa dalla collaborazione alla cooperazione in senso 
                          stretto (quella di certe famiglie e associazioni oltre 
                          che di molte delle vere coop) se ne godono i vantaggi: 
                          la proprietà comune, con obiettivi avvertiti 
                          come propri; il maggior peso delle istanze etiche; un 
                          significativo senso di appartenenza; la protezione dei 
                          membri più deboli; il minor divario di potere 
                          e di reddito rispetto alle imprese private e pubbliche; 
                          il reinvestimento degli utili; la persistenza nel tempo; 
                          la tendenza a sfavorire i leaders e gli stili di leadership 
                          autoritari. 
                          Ecco, se vogliamo accrescere la soddisfazione esistenziale 
                          impariamo a lavorare in squadra e a cooperare con altri 
                          (meglio condividendo con essi proprietà, governo, 
                          responsabilità): il che richiede regole comuni, 
                          tolleranza reciproca, mutue gratificazioni. La sillaba-chiave 
                          è 'co': quella che fonda il co-involgimento, 
                          la con-divisione, la co-operazione e anche il con-tatto, 
                          la com-partecipazione, il con-senso, al fondo la com-unità, 
                          l'essere 'noi' che è proprio dell''io', l'identità 
                          personale come fascio di relazioni. 
                          Viene da interrogarsi: cosa richiede la vita 'in cordata' 
                          con altri? Secondo le ricerche, molte delle seguenti 
                          dieci esperienze o virtù: 
                          - l'ascolto degli interlocutori: curioso, empatico, 
                          rispettoso, non iper-valutativo; 
                          - il dialogo, basato sull'apertura agli altrui contributi 
                          e sul piacere della mutua influenza; 
                          - la citata condivisione di valori, interessi, analisi, 
                          programmi, attività; 
                          - la comune motivazione, il reciproco 'rinforzo'; 
                          - il vero e proprio gioco di squadra, che funziona se 
                          ci sono fiducia, 'ingaggio' e impegno di ciascuno; 
                          - la trasparenza, nelle relazioni interpersonali e nell'organizzazione; 
                          - l'orientamento all'obiettivo, più che l'ottemperamento 
                          delle norme; 
                          - la comunanza di dignità, riconosciuta e tutelata; 
                          - la valorizzazione dei talenti; 
                          - la solidarietà, specie nelle difficoltà; 
                          - l'oblatività, ossia lo sforzo generoso e gratuito 
                          a favore degli altri per aiutarli e gratificarli. 
                          Troppo? In apparenza sì, se non fosse che tutto 
                          ciò – complesso a descriversi se razionalizzato 
                          – nella realtà risulta semplice e accessibile: 
                          tale lo rendono il DNA che ci orienta alla collaborazione; 
                          tante esperienze di successo in ogni epoca; i valori 
                          delle principali culture democratiche fondate su libertà, 
                          uguaglianza e fraternità (o sororità); 
                          gli stessi fallimenti epocali sia dell'autoritarismo 
                          (richiedente sudditi o schiavi e non cittadini) sia 
                          dell'individualismo (non quello 'buono' che esalta il 
                          ruolo e la responsabilità di ognuno ma quello 
                          'cattivo' che contrappone individuo a società, 
                          indebolisce le libere comunità anche conflittuali, 
                          respinge l'idea-limite – la meta e la bussola 
                          – dell'autogoverno collettivo). 
                          La ricerca della gratificazione esistenziale è 
                          così anche politica, riguarda la polis e il senso 
                          – a un tempo primo e ultimo – del nostro 
                          essere 'animali sociali'. 
                           
                          Tratto da Felici Malgrado, pagg. 78-81.
                          
                            
                          E. F.   | 
                   
                 
                
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